Italiano, residente in Venezuela: la sentenza di condanna statunitense dev'essere riconosciuta anche in Italia

Il riconoscimento delle sentenze penali straniere risulta ammissibile anche laddove il reo non risieda più nel territorio italiano, dovendosi fare riferimento - ai fini della delimitazione della giurisdizione del giudice nazionale al di fuori dello spazio giudiziario europeo”, al solo criterio della cittadinanza.

Lo ha stabilito la Sesta sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 50616, depositata il 16 dicembre 2013. Residenza in Venezuela e condanna negli Stati Uniti . Nel caso di specie un pluripregiudicato ha visto applicarsi dalla Corte d'appello l'aggravante soggettiva della recidiva in seguito al riconoscimento di una sentenza di condanna straniera, emessa dal Tribunale distrettuale del New Jersey per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione e allo spaccio di stupefacenti. La sentenza di riconoscimento è stata censurata innanzi alla Corte capitolina, ove il ricorrente ne ha sostenuto l'erroneità poiché emessa in violazione dell'art. 730, co. 1, c.p.p. in particolare, la difesa dell'imputato – residente ormai da diverso tempo in Venezuela - ha sottolineato come detta norma, nel prevedere la competenza della Corte d'appello in materia di riconoscimento di sentenze straniere pronunciate all'estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato”, osterebbe alla riconoscibilità delle decisioni in questione allorchè queste siano state inflitte nei confronti di soggetti non residenti nel territorio italiano ed ivi non assoggettati a procedimento penale. Detto limite - sempre secondo la prospettazione della difesa - discenderebbe da una ragione logica, e cioè l'assenza di concreta utilità della espletanda procedura giurisdizionale. I criteri che informano la cooperazione giudiziaria in materia penale . La Suprema Corte si è dunque misurata con la questione giuridica propostagli, peraltro nella consapevolezza della totale assenza di validi precedenti giurisprudenziali o di accordi di cooperazione giudiziaria tra Stato italiano e quello statunitense cui fare riferimento. Il punctum dolens è stato, allora, comprendere se la locuzione residenti nello Stato” debba riferirsi tanto ai cittadini quanto agli stranieri e agli apolidi oppure no. Ebbene, nella ricostruzione svolta non è stata di aiuto l'interpretazione letterale, atteso che la disgiunzione o”, contenuta nella norma, si presta - come osservato - a letture di senso opposto. Si è dunque fatto ricorso all'interpretazione cd. sistematica di cui all'art. 12 delle preleggi, facendo leva sull'analisi delle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe”. Con riferimento all'istituto del riconoscimento delle sentenze stranieri, materie analoghe” - si è detto - sono senza dubbio quelle dell'estradizione e delle rogatorie internazionali – la cui disciplina, non a caso, è contenuta nel Libro XI del codice di procedura penale – accomunate tra loro dall'essere strumenti normativi di cooperazione internazionale fondati, spesso e volentieri, su atti di rango sovranazionale. Il criterio della cittadinanza fuori e dentro l'Unione Europea . Minimo comune denominatore degli istituti sopra citati è rappresentato dal criterio della cittadinanza analogamente a quanto accade – perlomeno di prevalenza - nel diritto internazionale privato , quale caposaldo per dirimere gli eventuali conflitti di giurisdizione che possono insorgere tra Stati sovrani, cui in effetti moltissimi accordi bilaterali e convenzioni fanno ricorso si pensi alla Convenzione Europea di estradizione sottoscritta a Parigi nel 1957, al Trattato di estradizione tra U.S.A. e Italia del 1983, alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale del 2000 . Sul piano della normativa nazionale, il criterio della cittadinanza si affianca a quello territoriale nel delimitare - anche sotto il profilo del locus commissi delicti - l'estensione della giurisdizione del giudice italiano, e ciò tanto con riferimento al soggetto agente quanto alla persona offesa cfr., sul punto, gli artt. 3, 4, 6 , 7, 9 e 10, c.p. . Da segnalare, tuttavia, è la perdita di rilievo del criterio della cittadinanza ove la questione da trattare riguardi il cd. spazio giudiziario comune” di matrice meramente europeistica in questo caso, infatti, la tendenza è quella di dar maggior peso ai criteri del domicilio e della residenza, giusta la politica perseguita dal che è quella di un significativo potenziamento della cooperazione giudiziaria tra Stati tutti appartenenti all'Unione Europea il riferimento, in questo caso, è al mandato di arresto europeo, nato con la Decisione Quadro 2002/584/CEE, e recepito in Italia - non senza alcune resistenze - con L. n. 69/2005 nonché alla Decisione Quadro 2008/909/GAI, recepita dallo Stato italiano con il D.lgs. n. 161/2010, in materia di reciproco riconoscimento delle sentenze . Prevale il criterio della cittadinanza . In virtù di siffatto panorama normativo, e tenuti presenti i presupposti di fatto sui quali la Corte è stata chiamata a pronunciarsi, il ricorso è stato rigettato dovendosi, nel caso di specie, sposare una lettura dell'art. 730, co. 1, c.p.p. in linea con la preservata attenzione, a livello nazionale, del criterio della cittadinanza. Per l'effetto, si è affermato come la disposizione in parola – atta a delimitare la giurisdizione del giudice penale italiano - debba trovare applicazione per tutti i cittadini italiani condannati all'estero, a nulla rilevando il loro luogo di residenza o la circostanza che in Italia fosse stato avviato il procedimento penale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 - 16 dicembre 2013, n. 50616 Presidente Di Virginio – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con atto depositato il 23/01/2023 e sottoscritto dal proprio difensore, C.G. ha proposto ricorso avverso la sentenza emessa il 01/12/2012 dalla Corte di Appello di Milano che aveva riconosciuto, ai fini dell'applicazione della recidiva, la sentenza penale straniera pronunziata il 13/08/1993 dalla Corte d'Appello per il Terzo Distretto degli Stati Uniti d'America, che a sua volta aveva confermato la sentenza del 22/01/1993 del Tribunale Distrettuale del New Jersey emessa a carico del ricorrente per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti cocaina . 2. Prospettando come unico motivo di censura l'erronea applicazione dell'articolo 730, comma 1, cod. proc. pen., il ricorrente deduce che la Corte territoriale ha indebitamente proceduto al riconoscimento della sentenza penale straniera nei propri confronti, essendo egli cittadino italiano ma da tempo residente all'estero Venezuela . Sostiene, infatti, che il citato articolo 730, comma 1, cod. proc. pen. nel contemplare la trasmissione da parte del Ministro della Giustizia al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello competente di sentenze penali pronunciate all'estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato ovvero di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato stabilisce un preciso limite alla riconoscibilità delle sentenze penali straniere nei confronti di cittadini che non sono residenti nel territorio dello Stato ed ivi non risultano sottoposti a procedimento penale, limite che trova una logica giustificazione nella concreta utilità processuale dell'espletanda procedura giurisdizionale. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito enunciate. La questione sollevata dal ricorrente non sembra avere precedenti specifici nella giurisprudenza di questa Corte nell'ambito di questa sezione, peraltro, con sentenza Cass. sez. 6, n. 33161 del 29/05/2012, Munafò è stato affermato incidentalmente che è dubitabile, in linea di diritto, che la locuzione residenti nello Stato si riferisca anche ai cittadini italiani, oltre che agli stranieri e agli apolidi . Va anche premesso che non esiste, nell'ambito dei rapporti di cooperazione giudiziaria penale tra Italia e Stati Uniti d'America, uno strumento pattizio di regolamentazione della materia, che avrebbe altrimenti postulato l'applicazione dell'articolo 731 cod. proc. pen. sono, dunque, propriamente le previsioni dell'articolo 730 cod. proc. pen. a trovare applicazione nel caso di specie. Ciò posto, il primo canone ermeneutico che si impone nell'interpretazione della legge è quello letterale, secondo quanto stabilito dall'articolo 12, comma primo, preleggi, a mente del quale Nello applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore , ma nel caso di specie occorre prendere atto che la previsione in esame sentenza pronunciata all'estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato ovvero di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato non si presta ad interpretazione ictu oculi piana e dirimente. L'uso in sequenza delle disgiunzioni o e ovvero non permette, infatti, di escludere che le definizioni di residenti nello Stato e di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato si riferiscano in maniera non equivoca alle sole categorie degli stranieri e degli apolidi e non anche a quella categoria dei cittadini italiani. Un esito interpretativo più netto sarebbe stato ad es. consentito dall'eventuale uso da parte del legislatore della congiunzione e dopo il termine stranieri , struttura sintattica che avrebbe infatti permesso di accomunare stranieri e apolidi in un'unica categoria di persone, ulteriormente caratterizzata, ai fini dell'individuazione dell'ambito soggettivo di applicabilità della norma, dalla condizione di essere residenti nel territorio dello Stato. È dunque consentito ricorrere, secondo la scala di priorità delineata dallo stesso articolo 12 preleggi, all'interpretazione c.d. sistematica, che si sostanzia nel ricorso a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe ed infine, se il caso rimane ancora dubbio ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato articolo 12, comma secondo preleggi . È proprio il ricorso a previsioni contenute in materie analoghe che, secondo questo collegio, consente di stabilire un ambito di applicazione della norma coerente con altri istituti dell'ordinamento penale e processuale penale. Ai fini dell'identificazione delle materie analoghe vale, infatti, in primo luogo ricordare che l'articolo 730 si colloca nel Libro XI del codice di procedura penale, quello cioè dedicato ai rapporti con le autorità giurisdizionali straniere ed in particolare alle materie dell'estradizione Titolo II , delle rogatorie internazionali Titolo III e per l'appunto degli effetti delle sentenze penali straniere nonché dell'esecuzione all'estero di sentenze penali italiane Titolo IV . È dunque di palese evidenza che le materie analoghe a quelle delineate dal codice sono quelle in cui l'ordinamento nazionale si coordina con altri ordinamenti per mezzo dei consueti strumenti normativi di cooperazione internazionale costituiti dai trattati, bilaterali o multilaterali e delle convenzioni internazionali oppure si integra con detti ordinamenti nell'ambito di spazi giuridici particolari, come lo Spazio Europeo di libertà, sicurezza e giustizia, quale definito dal Titolo V del vigente TFUE - Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea per mezzo degli atti normativi dell'Unione Europea in tema di cooperazione giudiziaria penale convenzioni, decisioni - quadro e decisioni nel recente passato e sotto il vigore del previgente Trattato sulla Unione Europea ed oggi solo direttive, in base all'articolo 82 TFUE quale risultante a seguito del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, in vigore dal 1 gennaio 2009 . Orbene, la prima considerazione che viene in rilievo è che nei rapporti internazionali su base bilaterale o multilaterale in materia penale, il criterio della cittadinanza ha da sempre svolto e continua a svolgere un ruolo centrale per dirimere i dubbi concernenti l'ambito di estensione della giurisdizione delle parti contraenti in altri termini, è ancora in base al criterio della cittadinanza che si dirime la gran parte dei potenziali conflitti di giurisdizione tra Stati sovrani. Rimanendo ad es. ai rapporti bilaterali Italia - USA, l'articolo 111 del Trattato di estradizione sottoscritto a Roma il 13 ottobre 1983 ed entrato in vigore il 24 settembre 1984, riconosce la facoltà per la Parte richiesta di concedere l'estradizione anche per un reato commesso al di fuori del territorio della Parte richiedente, alla duplice condizione che le sue leggi prevedano la punibilità di tale reato c.d. criterio della doppia punibilità e che l'estradando sia cittadino dello Stato della Parte richiedente. Il trattato in questione non modificato sul punto dallo 'Strumento contemplato dall'articolo 3 2 dell'Accordo di estradizione tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione Europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all'applicazione del Trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo della Repubblica italiana firmato il 13 ottobre 1983, sottoscritto a Roma il 3 maggio 2006' e ratificato con legge n. 25 del 16 marzo 2009 rappresenta oltre tutto già un'evoluzione dello schema dei trattati di estradizione più risalenti nel tempo, dal momento che l'articolo IV espressamente prevede che la Parte richiesta non può rifiutare l'estradizione di una persona solo perché questa è cittadina della parte richiesta. Risulta ad es. evidente la novità rispetto alla temporalmente antecedente Convenzione Europea di Estradizione sottoscritta a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata con legge 30 gennaio 1963, n. 300, il cui articolo 6, par. 1 prevede come principio generale che gli Stati contraenti mantengono la facoltà di rifiutare l'estradizione dei propri cittadini ed i cui effetti appaiono solo limitati dall'affermazione dell'altro principio, progressivamente affermatosi nei rapporti internazionali, dell'obbligo in tal caso di procedere penalmente contro il proprio cittadino principio dell'aut dedere aut judicare espressamente stabilito dallo stesso articolo 6, par. 2 Se la parte richiesta non proceda all'estradizione del proprio cittadino essa dovrà, su domanda della Parte richiedente, sottoporre la questione alle autorità competenti onde consentire l'instaurazione, se del caso, di procedimenti giudiziari . Su base multilaterale, si può ricordare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo del 12-15 dicembre 2000, il cui articolo 15 stabilisce che per adottare le misure necessarie a determinare la propria giurisdizione in relazione ai reati oggetto della Convenzione, ogni Stato Parte fa riferimento a vari criteri, tra cui quello della commissione del reato ad opera di un proprio cittadino nonché di un apolide che abbia la propria residenza abituale nel territorio di quello Stato par. 2, lett. b . Il criterio della cittadinanza funge, dunque, da elemento di caratterizzazione della natura e della qualità dei rapporti di cooperazione tra le giurisdizioni dei singoli Stati, posto che da sempre esso rappresenta uno degli elementi che definiscono l'ambito di estensione della giurisdizione statale, delimitata com'è noto dai due limiti costituiti dal territorio ambito spaziale, v. artt. 3 4, comma 2 6 cod. pen. e della cittadinanza ambito personale , intesa sia come condizione soggettiva per l'applicazione extraterritoriale della legge nazionale artt. 7 n. 4 e 9 cod. pen. sia come uno dei requisiti cittadinanza della persona offesa per la punibilità dello straniero per delitto comune commesso all'estero articolo 10, comma 1, cod. pen. . Quando, invece, il rapporto tra gli ordinamenti statali si imposta su basi diverse e sotto il profilo dell'efficacia, anche in vista di una migliore collaborazione tra gli stessi, il criterio della cittadinanza nazionale perde progressivamente, anche se non del tutto, rilevanza, in favore di altri criteri, quali la residenza e il domicilio. Costituisce, come anzidetto, dato normativo espresso l'esistenza tra gli Stati membri dell'Unione Europea di un c.d. spazio giudiziario comune entro il quale i provvedimenti giurisdizionali da ciascuno di essi emanati possono circolare e spiegare la propria efficacia, in base al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, affermato per la prima volta al Punto 37 delle Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere del 1999. Il mandato d'arresto Europeo rappresenta l'antesignano di simili strumenti, la relativa introduzione essendo stata deliberata dal Consiglio GAI del 30 novembre 2000, venendo successivamente istituito con Decisione Quadro 2002/584/CEE, attuata nell'ordinamento interno con legge n. 69 del 22 aprile 2005. Così ad es. l'articolo 4 n. 6 della Decisione Quadro 2002/584/CEE parifica il criterio della residenza e della dimora, peraltro riferita ai cittadini degli altri Stati dell'Unione Europea, a quello della cittadinanza dello Stato richiesto, ai fini della rilevanza come motivo, solo facoltativo, di rifiuto alla consegna. È noto, altresì, come la legge n. 69 del 2005 abbia stabilito una regolamentazione della materia talora in contrasto con il dettato formale e con la filosofia della disciplina Europea, tanto che solo la c.d. interpretazione conforme delle sue previsioni rispetto alla Decisione Quadro ha consentito l'operatività anche in Italia di tale importante strumento di cooperazione giudiziaria in materia penale per la giurisprudenza delle Sezioni Unite si richiama la sentenza n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348 per quella di questa sezione, v. ex plurimis sez. 6 sent. n. 34355 del 26/09/ 2005, Ilie Petre, Rv. 232053 . La differente rilevanza che la normativa interna attribuisce al criterio della cittadinanza nazionale rispetto alla disciplina Europea è, del resto, ben illustrato dalla vicenda dell'articolo 18 lett. r legge n. 69 del 22 aprile 2005, che ha previsto quale motivo di rifiuto della consegna da parte dell'Italia la qualità di cittadino italiano della persona richiesta, ma com'è noto tale distonia è stata eliminata per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 227 del 24 giugno 2010, la quale ha stabilito che possa fungere da motivo di rifiuto alla consegna della persona richiesta la sua condizione di cittadino di un altro Paese membro dell'Unione Europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano. La menzione di tale vicenda vale a confermare la tendenziale perdita di rilevanza della cittadinanza nazionale quale criterio specificante la natura e le modalità di cooperazione tra le giurisdizioni degli Stati interessati, membri dell'Unione Europea e facenti parte del c.d. spazio giudiziario Europeo, ma non la sua scomparsa. Il requisito della cittadinanza nazionale riacquista, infatti, rilevanza, proprio in tema di reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione nel territorio dell'Unione Europea. L'articolo 5 Condizioni di emissione par. 3 del d.lgs. 7 settembre 2010 n. 161, che ha attuato nell'ordinamento interno la Decisione Quadro 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento di tali sentenze, stabilisce invero che la trasmissione all'estero delle sentenze penali, del certificato del casellario giudiziale e della documentazione rilevante e1 disposta a verso lo Stato membro dell'Unione Europea di cittadinanza della persona condannata in cui quest'ultima vive b verso lo Stato membro dell'Unione Europea di cittadinanza della persona condannata in cui quest'ultima sarà espulsa, una volta dispensata dall'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, a motivo di un ordine di espulsione o di allontanamento inserito nella sentenza di condanna o in una decisione giudiziaria o amministrativa o in qualsiasi altro provvedimento adottato in seguito alla sentenza di condanna c verso lo Stato membro dell'Unione Europea che ha acconsentito alla trasmissione cioè che abbia espresso il consenso a riceverla . Il criterio della cittadinanza nazionale mantiene, invece, piena la sua valenza nel rapporto tra ordinamenti nazionali impostati su base bilaterale o convenzionale, che si collocano cioè al di fuori di ambiti di integrazione anche politica tra gli stessi. Ai fini della soluzione della questione in esame, il rilievo preminente del criterio della cittadinanza nazionale impone, a giudizio di questo collegio, di dare valore assoluto al riferimento normativo che l'articolo 730 cod. proc. pen. fa di tale condizione soggettiva, nel senso di risultare applicabile a tutti i cittadini italiani, a prescindere dal luogo della loro residenza o dalla circostanza della loro sottoposizione a procedimento penale in Italia. Né è dato rinvenire nella norma o individuare quale argomento di interpretazione sistematica della medesima quello, propugnato dal ricorrente, della concreta utilità processuale dell'espletanda procedura giurisdizionale, rappresentando infatti l'articolo 730 cod. proc. pen. uno degli istituti presenti nell'ordinamento volti a delimitare l'ambito soggettivo di estensione della giurisdizione penale dello Stato. 3. Al rigetto del ricorso segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.