Moglie uccisa, marito condannato a diciotto anni di galera. Il tradimento di lei non è una provocazione

Nessun dubbio sulla colpevolezza dell’uomo, capace di uccidere la moglie, soffocandola a mani nude. Dinamica chiara nessun raptus, ma azione consapevole, prolungata per diversi minuti. Illogico richiamare l’infedeltà della moglie come provocazione, anche perché quella situazione è stata ‘metabolizzata’ dall’uomo.

Ferita metaforica profonda, quella provocata dalla ‘scoperta’ della relazione extraconiugale della propria compagna, ma certo da non considerare come ‘provocazione’ tale da giustificare la reazione violenta dell’uomo. A maggior ragione quando la condotta dell’uomo è così assurda e criminale da culminare con l’omicidio della moglie, realizzato non in preda a un raptus ma sulla base di un’azione cosciente e prolungata per diversi minuti, e quando, come in questa vicenda, il tradimento è già stato ‘metabolizzato’ Cass., sent. n. 50639/2013, Prima Sezione Penale, depositata oggi Colpevole. Nessun dubbio, alla luce della ricostruzione del terribile episodio, sulla colpevolezza dell’uomo egli, difatti, viene condannato, per omicidio , su decisione del Giudice delle indagini preliminari, a venti anni di reclusione , poi ridotti a diciotto in secondo grado, anche alla luce della esclusione delle aggravanti di aver agito per motivi futili e con crudeltà . Chiarissima la dinamica l’uomo, dopo avere gettato a terra la moglie , le ha stretto il collo con le mani, imprimendo movimenti di scuotimento con urti sul pavimento, e le comprimeva le vie aeree, cagionandone la morte per soffocamento . Nonostante la riduzione della pena in secondo grado, però, l’uomo sceglie comunque di proporre ricorso in Cassazione. Obiettivo è vedere ulteriormente ‘alleggerita’ la propria posizione, puntando, in particolare, sul riconoscimento, negato in primo e in secondo grado, della circostanza attenuante della provocazione , rappresentata, secondo l’uomo, dalla infedeltà della moglie. Consapevolezza. Ma i giudici del ‘Palazzaccio’ valutano come corretta la condanna decisa in secondo grado confermati, quindi, i diciotto anni di reclusione per l’uomo. Fondamentale la ricostruzione dell’omicidio in particolare, è evidente la gravità dell’ azione compiuta , testimoniata dalla particolare intensità della volontà omicida, desumibile dalla modalità di strangolamento della moglie, compiuto a mani nude con una azione violenta protratta per vari minuti, lasso temporale durante il quale l’uomo pur assistendo agli spasimi e alla agonia della moglie, non aveva receduto dal proposito omicida . Allo stesso modo, è illogico ipotizzare, come invece fatto dall’uomo, la circostanza attenuante di aver agito in stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui , ossia la infedeltà coniugale della donna. Ciò perché, chiariscono i giudici, la degradazione del rapporto coniugale durava da parecchio tempo e non poteva essere attribuita in maniera netta al comportamento infedele della vittima , soprattutto tenendo presente che l’uomo aveva assunto, da diverso tempo, atteggiamenti provocatori e violenti nei confronti della moglie, la quale, da alcune settimane, si era allontanata dalla casa coniugale . Senza dimenticare, poi, concludono i giudici, che la situazione era stata ‘metabolizzata’ dall’uomo, il quale, difatti, aveva accettato di partecipare ad un incontro chiarificatore con la moglie e l’uomo e con cui ella intratteneva una relazione

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 novembre – 16 dicembre 2013, n. 50639 Presidente Cortese – Relatore Locatelli Ritenuto in fatto Con sentenza del 4.11.2011 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Udine dichiarava G.S. colpevole del reato previsto dagli artt. 575 e 577 cod. pen. perché, dopo avere gettato a terra la moglie C.C., le stringeva il collo con le mani imprimendo movimenti di scuotimento con urti sul pavimento e le comprimeva le vie aeree, cagionandone la morte per soffocamento. Con l'aggravante di avere commesso il fatto in danno del coniuge, in Tavagnaccio il 25.4.2010. Per l'effetto, escluse le contestate aggravanti di ave, agito per motivi futili e con crudeltà, ed applicata la diminuente per il rito, condannava l'imputato alla pena di anni venti di reclusione. La Corte di assise di appello di Trieste, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, riduceva la pena inflitta ad anni diciotto di reclusione. Avverso la sentenza i difensori dell'imputato ricorrono in cassazione per i seguenti motivi 1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici di merito hanno negato la concessione di attenuanti generiche 2 mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione violazione, in relazione ad entrambe le circostanze attenuanti richieste, del principio al di là di ogni ragionevole dubbio nella parte in cui il giudice di merito pur possedendo la ricostruzione dei fatti offerta dall'imputato con atteggiamento collaborativo non ha inteso darvi credito ed ha fondato la negazione delle due attenuanti su una ricostruzione meramente soggettiva ed emotiva. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. I giudici di merito hanno negato il riconoscimento di circostanze attenuanti considerata l'irrilevanza della semplice incensuratezza e la mancanza di ravvedimento per la gravissima azione compiuta il giudice di appello ha inoltre sottolineato la particolare intensità della volontà omicida desumibile dalla modalità di strangolamento della moglie, compiuto a mani nude con una azione violenta protratta per vari minuti 4-5 per la perdita di conoscenza e da 9 a 14 per il decesso, secondo il consulente tecnico del pubblico ministero 2-3 minuti secondo il consulente tecnico della difesa , lasso temporale durante il quale l'imputato, pur assistendo agli spasimi e alla agonia della moglie, non aveva receduto dal proposito omicida. La motivazione, priva di vizi logici, è giuridicamente corretta, facendo riferimento alla irrilevanza della incensuratezza ai sensi dell'art. 62 bis comma 3 cod. pen., nonché ai criteri di valutazione previsti dall'art. 133 cod. pen., con particolare riguardo alla intensità del dolo ed alla condotta dell'imputato contemporanea e susseguente al reato. 2. Il giudice di merito ha motivato il diniego della circostanza attenuante di aver agito in stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui infedeltà coniugale della vittima con la ragione che la degradazione del rapporto coniugale durava da parecchio tempo, e non poteva essere attribuita in maniera netta al comportamento infedele della vittima l'imputato da diverso tempo aveva assunto atteggiamenti prevaricatori e violenti nei confronti della moglie, la quale da alcune settimane si era allontanata dalla casa coniugale la situazione era stata metabolizzata dall'imputato, che aveva accettato di partecipare ad un incontro a scopo chiarificatore con la moglie e l'uomo con cui ella intratteneva una relazione pag. 12 sentenza di primo grado . Le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, immuni da vizi logici, non sono in questa sede suscettibili di ulteriori apprezzamenti in fatto. A norma dell'art. 616 cod. proc. pen. il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.