Anziano lasciato solo di notte: condannato il badante ‘sbadato’

Per la configurazione del reato è sufficiente il dolo generico, costituito dalla consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo, che non abbia le capacità di provvedere autonomamente alle proprie esigenze.

È quanto emerge dalla sentenza n. 49493 della Corte di Cassazione depositata lo scorso 9 dicembre 2013. Il caso. Assistenza continuativa ed integrale in cambio dell’intera pensione dell’assistito. Questo prevedeva l’accordo tra un uomo di quasi cinquant’anni e un invalido affetto da tetraparesi spastica. Solo che il ‘badante’ aveva lasciato che il suo assistito dormisse da solo nella propria abitazione, visitandolo solo saltuariamente nel corso della giornata. Era scattata, quindi, la condanna per abbandono di persona incapace art. 591 c.p. . Rilevante il rapporto pattizio intervenuto con la persona offesa La questione viene esaminata anche dalla Quinta Sezione Penale della Cassazione, che conferma la penale responsabilità dell’imputato. Infatti, l’art. 591 c.p. tutela il valore della sicurezza dei soggetti vulnerabili in determinate situazioni di pericolo e – precisano gli Ermellini - non vi è alcun limite nell’individuazione delle fonti dalle quali derivano gli obblighi di custodia ed assistenza nei confronti di tali soggetti . ma anche la consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo. Per questo è irrilevante la mancanza, in capo all’imputato, di competenze professionali all’assistenza di persone disabili. È sufficiente, in realtà, il dolo generico, costituito dalla consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo, che non abbia le capacità di provvedere autonomamente alle proprie esigenze.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 ottobre – 9 dicembre 2013, n. 49493 Presidente Lombardi – Relatore Zaza Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza della Corte d'Assise di Trapani del 29/03/2011 veniva confermata l'affermazione di responsabilità di R.V. per il reato di cui all'art. 591 cod. pen., commesso in omissis abbandonando l'invalido A.G.B. , affetto da tetraparesi spastica ed affidato alle sue cure in forza di un accordo che prevedeva assistenza continuativa ed integrale in contropartita della riscossione da parte del R. dell'intera pensione dell'A. , in particolare lasciando che quest'ultimo dormisse da solo nella propria abitazione e visitandolo solo saltuariamente nel corso della giornata riducendosi la pena inflitta in primo grado, in conseguenza dell'esclusione dell'aggravante della provocata morte della persona offesa, ad anni uno di reclusione. L'imputato ricorre sull'affermazione di responsabilità e deduce violazione di legge rispetto ad una fattispecie incriminatrice che, nonostante la genericità della norma nell'indicazione del soggetto attivo del reato, presuppone che sullo stesso gravino specifichi obblighi di cura verso la persona incapace. Lamenta altresì contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, in un soggetto quale l'imputato che non rivestiva una posizione professionale nell'assistenza della persona offesa, nel riferimento alla possibilità che il R. potesse prefigurarsi l'insufficienza, al fine della prevenzione di eventi dannosi, dell'aver lasciato all'A. , abitante a breve distanza dall'imputato, un telefono cellulare con il proprio numero memorizzato ed attivabile come cercapersone con la semplice pressione di un tasto. Deduce infine mancanza di motivazione sul non aver la polizia giudiziaria e lo stesso pubblico ministero impedito il protrarsi di tale situazione nel corso del procedimento fino alla morte della persona offesa. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Considerato che l'art. 591 cod. pen. tutela il valore della sicurezza dei soggetti vulnerabili in determinate situazioni di pericolo, non vi è alcun limite nell'individuazione delle fonti dalle quali derivano gli obblighi di custodia ed assistenza nei confronti di tali soggetti Sez. 5, n. 290 del 30/11/1993 14/01/1994 , Balducci, Rv. 196779 . Tanto esclude la natura di reato sostanzialmente proprio che il ricorrente sembra attribuire all'ipotesi contestata e rende per altro verso corretta l'argomentazione della Corte territoriale sulla sussistenza nella specie dei descritti obblighi a carico dell'imputato, a seguito del rapporto pattizio intervenuto con la persona offesa. Per le stesse ragioni, è irrilevante la mancanza, in capo all'imputato, di competenze professionali nell'assistenza di persone disabili. Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del reato, è invero sufficiente il dolo generico, costituito dalla consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere autonomamente alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica Sez. 5, n. 15147 del 14/03/2007, Simone, Rv. 236157 Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012 08/03/2013 , T., Rv. 255173 . La sentenza impugnata era congruamente motivata in tal senso, laddove vi si osservava che lasciare sola in casa una persona nelle condizioni dell'A. , bisognevole di continua assistenza, soprattutto in tempo di notte, equivaleva ad abbandonarla e che la pericolosità di tale situazione per l'integrità fisica della persona offesa era immediatamente percepibile anche in assenza di cognizioni specialistiche. Ed anche il riferimento difensivo all'aver dotato l'A. di un telefono da utilizzare per chiamate di soccorso era adeguatamente esaminato dai giudici di merito, i quali, oltre a notare che la totale paralisi motoria della persona offesa impediva alla stessa di tenere in mano l'apparecchio, concludevano coerentemente che tale accorgimento non svolgeva comunque adeguata funzione preventiva di rischi incombenti per l'incolumità di un soggetto privo della capacità di movimento. Insussistente, in quanto relativo ad elementi evidentemente irrilevanti rispetto alla responsabilità dell'imputato, è infine il lamentato vizio di carenza motivazionale sulla mancanza di interventi delle pubbliche autorità, sulla situazione dell'A. , nel corso del procedimento. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.