Non è un risarcimento ma un’indennità … da liquidare con equità

Lo scopo della legge è quello di consentire, a colui che è stato privato della libertà, di riappropriarsi della propria vita sociale, lavorativa e familiare, di quella determinata vita sociale, lavorativa e familiare, ingiustamente interrotte.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49106, depositata il 6 dicembre scorso. La fattispecie. Arrestato e sottoposto per 2 volte alla misura cautelare in carcere, per un totale di 277 giorni. Poi, la revoca dell’ordinanza con cui era stata disposta la misura, per il venir meno delle esigenze cautelari. Anche perché, l’indagato era stato assolto - per non aver commesso il fatto – dall’accusa di aver partecipato insieme ad altri imprenditori all’acquisizione del controllo egemonico del territorio da parte di una associazione mafiosa. I giudici di appello, a cui si è rivolto l’indagato per ottenere la riparazione dell’ingiusta detenzione, dopo che la liquidazione in primo grado non era stata ritenuta soddisfacente, hanno liquidato una cifra di euro 235,82 per ogni giorno di detenzione. Cifra che, tuttavia, è stata ridotta nella misura del 20% dalla stessa Corte territoriale perché le conseguenze del provvedimento restrittivo della libertà sull’attività imprenditoriale dell’indagato non erano rilevanti, in quanto lo stesso svolgeva un ruolo meramente esecutivo. Ad esprimersi sulla questione è anche la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione a cui si è rivolto l’indagato. Funzione indennitaria e non risarcitoria. I Supremi Giudici, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata, sottolineano, in primis , che l’azione in questione non ha funzione risarcitoria, ma indennitaria in quanto diretta ad ottenere il ristoro delle sofferenze di ordine personale e familiare . È compito del giudice – precisa la S.C. – assicurare l’equità della riparazione nel caso sottoposto al suo esame, equità che, se vengono indicate specifiche voci di danno, non può essere conseguita se non attribuendo a quelle voci il loro peso, non dovendo dimenticarsi che lo scopo della legge, se non è il risarcimento, è pur sempre quello di consentire, a colui che è stato privato della libertà, di riappropriarsi della propria vita sociale, lavorativa e familiare, di quella determinata vita sociale, lavorativa e familiare, ingiustamente interrotte . Infine, è illogica l’ordinanza impugnata laddove ritiene di ridurre il parametro aritmetico nella misura del 20%.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 ottobre – 6 dicembre 2013, numero 49106 Presidente Brusco – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 13 maggio 2010 la Corte di appello di Napoli ha accolto l'istanza di riparazione dell'ingiusta detenzione sofferta da V.C. liquidando in favore del medesimo la somma di Euro 52257,68. La Corte dava atto che il predetto era stato tratto in arresto il 15 giugno 1995 fino al 27.10.1995 la misura era stata poi ripristinata dal 15 novembre 1995 fino al 16 aprile 1996 quando l’indagato venne definitivamente scarcerato per revoca dell'ordinanza cautelare per il ritenuto venire meno delle esigenze cautelari l'accusa era quella di aver partecipato, insieme ad altri imprenditori, all'acquisizione del controllo egemonico del territorio da parte di una associazione mafiosa, accusa da cui era stato assolto per non aver commesso il fatto. La Corte escludeva la colpa grave dell'istante e per quanto concerne il quantum” dell'indennizzo, riteneva di doversi attestare sul parametro medio di liquidazione indicato dalla giurisprudenza e cioè Euro 235,82 giornalieri per il periodo di detenzione carceraria tenuto conto che la custodia cautelare in carcere si era protratta per 277 giorni, si aveva la somma di 65322,14, in ipotesi spettante al V. per il titolo in questione tale cifra, a giudizio della Corte, andava congruamente ridotta nella misura del venti per cento, sia in relazione alla durata complessiva della custodia cautelare, sia perché le possibili conseguenze del provvedimento restrittivo della libertà sull'attività imprenditoriale all'epoca svolta dal ricorrente conseguenze da questi sottolineate in un'ampia memoria non apparivano di particolare rilievo dal momento che lo stesso V.C. nel corso del giudizio aveva sempre sostenuto di aver svolto un ruolo meramente esecutivo di iniziative decisionali del fratello G. , anch’egli coinvolto nel processo. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di V.C. . Lamenta violazione dell'art. 606 lett. b c.c., e degli artt. 314, 315 cpp in relazione alle ragioni per le quali è stata operata la decurtazione della somma ottenuta in base al parametro aritmetico nonché in relazione alla omessa valutazione dei danni materiali e morali subiti, debitamente documentati dall'istante. 3. È stata depositata una memoria per il Ministero dell'Economia con la quale si eccepisce la tardività del ricorso e si sostiene la correttezza della decisione assunta dalla corte d'appello di Napoli. Considerato in diritto 1. Deve preliminarmente darsi atti della tempestività del presente ricorso che, come si evince chiaramente dal timbro apposto dalla cancelleria, risulta depositato il 20 luglio 2011 e non il 28 come eccepito dalla avvocatura. 2. Il ricorso è fondato. Giova al riguardo ricordare che i principi fondamentali cui aver riguardo nella determinazione dell'indennizzo dovuto a colui che abbia subito una detenzione ingiusta, sono stati chiariti da due pronunce rese dalle sezioni unite di questa Corte, la prima delle quali sentenza numero 1 del 13.1.1995, Ministero Tesoro in proc. Castellani rv. 201035 ha chiarito che l'azione prevista dagli artt. 314 e 315 cpp non ha funzione risarcitoria, ma indennitaria in quanto diretta ad ottenere il ristoro delle sofferenze di ordine personale e familiare derivanti a un soggetto da un atto giudiziario pienamente legittimo ed ha svincolato la liquidazione dall'esclusivo riferimento a parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi, stabilendo che si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. La seconda sentenza numero 24287 del 9.5.2001, Ministero del Tesoro in proc. Caridi ha indicato le modalità di calcolo del parametro matematico al quale riferire, in uno con quello equitativo, la liquidazione dell'indennizzo, nel senso che esso è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315, comma 2, cod. proc. penumero , e il termine massimo della custodia cautelare, di cui all'art. 304, espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita. È stato dunque del tutto abbandonato il criterio di cui all'art. 135 cod. penumero , dettato per il ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie in caso di condanna, invocato dall'Avvocatura nella memoria depositata, ma che la giurisprudenza di questa Corte ha, con giurisprudenza ormai consolidata, ritenuto del tutto estraneo alla materia della ingiusta detenzione. In particolare con la prima di queste sentenze, le sezioni unite hanno individuato i due criteri cui si deve avere riguardo nel proporzionamento della riparazione, che consistono nella durata della custodia cautelare e nelle conseguenze personali e familiari derivanti dalla privazione della libertà' criteri indicati nell'articolo 643, I comma, c.p.p., richiamato dal III comma dell'articolo 315 dello stesso codice e dunque applicabili anche alla riparazione. Ed hanno precisato che questi criteri, molto lati, consentono di abbracciare qualsiasi danno, patrimoniale e morale, diretto o mediato, che sia in rapporto eziologico con la ingiusta detenzione, che gli stessi rappresentano parametri generici di giudizio, nel senso che non sono scomponibili in singole voci dettagliatamente e aritmeticamente liquidabili, poiché, altrimenti, si ricadrebbe nel criterio proprio della concezione risarcitoria e non di quella riparatoria. Ciò non significa, tuttavia, - proseguono le sezioni unite - che, ove vengano allegati sufficienti e precisi pregiudizi, il giudice non li debba valutare nella quantificazione complessiva. Compito del giudice, infatti, è assicurare l'equità della riparazione nel caso sottoposto al suo esame, equità che, se vengono indicate specifiche voci di danno un particolare danno psico/fisico scaturito dalla detenzione la perdita di un determinato lavoro o affare la particolare risonanza del fatto, dovuta anche alla qualità' della persona, nell'ambiente di lavoro e in famiglia un particolare disagio familiare ecc , non può1 essere conseguita se non attribuendo a quelle voci il loro peso, non dovendo dimenticarsi che lo scopo della legge, se non è il risarcimento, è pur sempre quello di consentire, a colui che è stato privato della libertà, di riappropriarsi della propria vita sociale, lavorativa e familiare, di quella determinata vita sociale, lavorativa e familiare, ingiustamente interrotte. È poi pacifico per tutte sez. IV 21.4.2009 numero 25901 Rv. 244226 che il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione per ingiusta detenzione è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento ma non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità, a meno che, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta. Nella specie la ordinanza della Corte di appello di Napoli appare illogica laddove ritiene di ridurre il parametro aritmetico in misura del venti per cento in relazione sia alla durata complessiva della custodia cautelare sia al fatto che le conseguenze patrimoniali sull’attività imprenditoriale non apparivano di particolare rilievo, avendo il V. sostenuto di aver svolto in tale attività un ruolo subordinato a quello del fratello. Non è infatti agevole comprendere cosa abbia voluto intendere la Corte di Napoli con tali affermazioni, specie tenuto conto che il c.d. parametro aritmetico costituisce un parametro medio di liquidazione rapportato a giorno e commisurato in via principale alle conseguenze personali e familiari della detenzione lo stesso è normalmente idoneo a costituire ristoro anche dei danni patrimoniali, e pertanto, mentre non appare logico ridurlo per la considerazione che tali danni non sono stati rilevanti, è certamente consentito non aumentarlo per tale considerazione di ciò terrà conto il giudice di rinvio nella nuova determinazione allo stesso rimessa che dovrà prendere in esame anche la richiesta di danni ulteriori avanzata con l’istanza e valutare, ove opportunamente documentata, l’indennizzabilità degli stessi. P.T.M. - Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.