Assegno alimentare stabilito in Albania, ‘dimenticata’ la figlia disabile che vive in Italia: condannato

Davvero grave la condotta dell’uomo, che ha mancato di dare il proprio contributo per garantire adeguati mezzi di sussistenza alla figlia portatrice di handicap. Non regge la tesi delle difficoltà economiche, e il quadro è ancor più grave per il disinteresse mostrato dall’uomo. Confermata la condanna, senza beneficio della sospensione condizionale della pena.

Quantum dell’assegno alimentare stabilito in Albania, e poi modificato in Italia ciò, però, non modifica assolutamente la posizione dell’uomo, a cui viene contestato di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia disabile. Violazione non discutibile, e resa ancora più grave dalle difficili condizioni della ragazza condanna consequenziale per l’uomo, con tanto di pena detentiva. Cass., sent. n. 49134/2013, Sesta Sezione Penale, depositata oggi Dietro le sbarre. Dura la linea di pensiero tracciata già dai giudici del Tribunale prima e della Corte d’Appello poi l’uomo – un cittadino albanese, emigrato in Italia –, accusato di non aver fatto la propria parte per garantire i mezzi di sussistenza alla figlia minore, portatrice di handicap , viene condannato a pena di giustizia e viene obbligato a provvedere a un adeguato risarcimento dei danni . Pronta la reazione dell’uomo, che respinge l’idea della condanna, richiamando, innanzitutto, a proprio favore, la documentazione prodotta relativamente alle proprie precarie condizioni economiche . A questo elemento, poi, egli ne aggiunge un altro, ricordando di essere cittadino albanese, divorziato dalla moglie, anch’ella cittadina albanese , e che a seguito di sentenza emessa da Tribunale albanese era stata fissata la misura dell’assegno alimentare , da lui regolarmente rispettato . Solo successivamente, in Italia, il quantum è stato rideterminato da un Tribunale italiano Ulteriore appunto, mosso dall’uomo, quello relativo alla decisione dei giudici di non applicare la sola pena pecuniaria, essendo stata subordinata la sospensione condizionale all’integrale risarcimento del danno , senza, però, aggiunge l’uomo, tenere conto delle sue condizioni economiche . Di fronte a tali obiezioni, però, i giudici del ‘Palazzaccio’ non compiono alcun passo indietro rispetto alle valutazioni cristallizzate in Corte d’Appello. In primo luogo, viene chiarito che il fatto , ossia il mancato supporto alla figlia disabile, si è concretizzato in territorio italiano, dove viveva la minore . Eppoi, i giudici ribadiscono che sono indimostrate le difficoltà economiche dell’uomo, soprattutto tenendo presente che si sarebbe potuto aprire questo fronte solo di fronte all’evidenza di una concreta, reale, indiscutibile indigenza . Per chiudere, infine, i giudici confermano, e condividono, anche la durezza mostrata, nei primi due gradi di giudizio, nei confronti dell’uomo. Ciò, partendo dalla premessa che ci si trova a trattare un delitto punito con la pena detentiva , alla luce della negata incapacità economica dell’uomo e, soprattutto, alla luce dell’ assoluto disinteresse mostrato nei confronti di una figlia affetta da grave handicap . Legittima, quindi, la scelta di negare il beneficio della sospensione condizionale della pena .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 luglio – 6 dicembre 2013, n. 49134 Presidente Agrò – Relatore Capozzi Considerato in fatto e ritenuto in diritto 1. Con sentenza del 10.2.2012 La Corte di Appello di Firenze - a seguito di gravame interposto dall’imputato L.A. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Siena sezione di Poggibonsi in data 26.5.2009 - ha confermato detta sentenza con la quale il predetto imputato era stato riconosciuto colpevole del reato di cui aIl’art. 570 n. 2 c.p. ai danni della figlia minore portatrice di handicap per il periodo decorrente dal 28.6.2006 e condannato a pena di giustizia oltre al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile. 2. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato unitamente al suo difensore deducendo 2.1. difetto di giurisdizione e, in subordine, insufficiente motivazione al riguardo risultando l’imputato, cittadino albanese, divorziato dalla moglie, anch’ella cittadina albanese, a seguito di sentenza emessa da Tribunale Albanese che aveva anche fissato la misura dell’assegno alimentare, rispettato dall’imputato, poi rideterminato dal Tribunale di Firenze. 2.2. erronea applicazione dell’art. 570 c.p. con particolare riguardo all’elemento psicologico in considerazione della documentazione prodotta relativamente alle condizioni economiche dell’imputato. 2.3. erronea applicazione della legge pena in relazione al difetto di procedibilità dell’azione e carenza della contestazione suppletiva in quanto per il periodo temporale per il quale è intervenuta condanna non v’era né querela né è stata effettuata contestazione suppletiva. 2.4. erronea applicazione dell’art. 133 c.p. non essendo stata applicata la sola pena pecuniaria, essendo stata subordinata illegittimamente la sospensione condizionale all’integrale risarcimento del danno e non essendo state considerate le condizioni economiche del reo. 3 II ricorso è inammissibile. 4 Manifestamente infondato è il primo motivo rispetto al quale la Corte ha correttamente motivato rilevando la commissione del fatto in territorio italiano dove la minore viveva. 5 Il secondo motivo è una inammissibile riproposizione di ragioni di fatto in presenza di una motivazione che correttamente ha ritenuto indimostrate le difficoltà economiche dell’imputato ed irrilevanti ai fini della sussistenza del reato qualora non si dimostri una vera e propria indigenza impeditiva della ottemperanza all’obbligo. 6. Manifestamente infondato è il terzo motivo trattandosi di reato permanente. 7. Manifestamente infondato è il quarto motivo in relazione al trattamento sanzionatorio trattandosi di delitto punito con la pena detentiva e, comunque, generico in relazione agli altri profili non essendosi confrontato con la motivazione resa in ordine alla negata incapacità economica e all’assoluto disinteresse mostrato dall’imputato nei confronti di sua figlia affetta da grave handicap che ha motivato il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena. 8. Alla inammissibilità dei ricorso consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali ed alla somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.