Tratta delle nigeriane, imputati (anche) nigeriani. Vanno tradotti i soli atti che specificano la contestazione …

Non vanno tradotte, invece, le ordinanze di custodia cautelare né le sentenze né l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari . I giudici sconfessano in un sol colpo gli obblighi convenzionali internazionali di conoscibilità degli atti allo straniero.

Pozioni magiche e riti vodoo, queste, fra le altre più gravi, le minacce che un sodalizio criminale italo-nigeriano muoveva nei confronti di ignare donne africane, convinte di trovare nel Bel Paese occasioni di lavoro e di sostegno per i figli rimasti in patria. Ad attenderle erano spietati obblighi di meretricio presso le vie di noti luoghi balneari. Pesanti le contestazioni e le condanne dei giudici di merito ai promotori della tratta umana riduzione in schiavitù, favoreggiamento della immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, violenze, minacce e falsificazione materiale di documenti. L’ultima parola alla Cassazione, gli imputati contestano la lesione di alcune garanzie difensive – la mancata traduzione degli atti per gli stranieri, ad esempio – ed il ruolo comprimario di alcuni componenti, quei tassisti italiani che conducevano le Africane nei luoghi della bonifica, in concerto con gli sfruttatori. La Cassazione, Quinta Sezione Penale, n. 48782/2013, depositata il 5 dicembre, riserva agli imputati la stessa severità dei giudici per primi aditi. L’assistenza linguistica per lo straniero va fatta solo per gli atti che specificamente descrivono la contestazione penale. Discutibile la soluzione della Cassazione. Di fatto le forze di polizia non avevano consentito, per l’urgenza delle procedure, la traduzione degli atti mossi nei confronti dei componenti della parte nigeriana del sodalizio - fra cui le ordinanze che disponevano le misure custodiali e l’avviso della conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. - né avevano permesso per quegli atti l’assistenza di un interprete ex art. 143 c.p.p., sebbene gli stranieri avessero dimostrato di non conoscere la lingua. La Cassazione sancisce la superfluità dell’assistenza linguistica in ogni caso in cui l’atto non sia destinato a rendere nota la specifica contestazione formulata, di fatto riducendo la portata precettiva delle norme poste a tutela della conoscenza degli atti del procedimento da parte dello straniero. La gravità delle contestazioni ha probabilmente imposto, giunti ormai alla conclusione del processo, un respiro meno rigoroso delle succitate norme. La Cassazione ignora l’adeguamento agli obblighi di diritto comunitario . L’art. 5 della CEDU – pienamente vincolante per l’Italia per l’adeguamento imposto alle convenzioni internazionali sottoscritte ex artt. 11 e 117, comma 1, Cost. - prescrive la conoscibilità per lo straniero dell’ accusa e dei motivi posti a fondamento, di fatto includendo anche quegli specifici atti esplicativi e descrittivi dell’apparato istruttorio a carico. L’art. 6, comma 3, della convenzione medesima esplicitamente impone il carattere specifico e di dettaglio dell’assistenza linguistica, per ogni elemento e per la natura dell’accusa. Non solo la direttiva UE 2010/64 impone la traduzione di tutti i documenti fondamentali per l’esercizio del diritto di difesa e per tutelare l’equità del procedimento. La Cassazione, di contro, riferisce del mancato recepimento nazionale di quella direttiva e nega la vigenza prescrittiva dei vincoli di traduzione ivi previsti, anche – in uno slancio inquisitore - per le ordinanze che dispongono misure custodiali o per le sentenze medesime - in quanto atto cui lo straniero non partecipa personalmente. Di fatto gli Ermellini non solo sconfessano il valore immediatamente vincolante di direttive comunitarie già univoche e determinate, ignorano altresì la presenza nel codice di procedura nazionale di norme – gli artt. 143 e ss. c.p.p. – già esplicative di quei contenuti. Per la Cassazione la mancata traduzione avrebbe comunque costituito una nullità intermedia. Dunque sottoposta ad un regime decadenziale più breve ed eccepibile solo su eccezione di parte. I giudici, ancora, hanno ignorato anche l’arresto delle Sezioni Unite n. 5052/2003, che dalla violazione dell’art. 143 c.p.p. deducono una nullità assoluta , rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, come già previsto in caso di violazione dell’art. 109 c.p.p. che impone la traduzione di una più ampia platea di atti quando destinati all’appartenente a minoranza linguistica riconosciuta e le cui ragioni di tutela vanno assimilate a quello spettanti allo straniero. Lo impongono gli obblighi di diritto comunitario ed internazionale succitati ed i principi di uguaglianza ex art. 3 Cost. – sarebbe irragionevole la disparità di trattamento.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 ottobre – 5 dicembre 2013, numero 48782 Presidente Dubolino – Relatore Palla Fatto e diritto A.J. detta omissis , O.A. , O.O.P.G. alias, , A.E. alias, omissis , E.E.K.E. detto , E.E. , O.K. , E.I. , U.T.O. , D.E.G. e M.M. alias, ricorrono avverso la sentenza 25.5.12 della Corte di assise di appello di L'Aquila con la quale, in parziale riforma di quella in data 28.5.11 del locale g.u.p., è stata rideterminata - per quel che qui rileva ed in conseguenza delle intervenute assoluzioni per alcuni dei reati fine dell'organizzazione criminosa in argomento - la pena per O. , O.O. , E. , qualificati tutti quali partecipi del reato associativo di cui al capo 1 articolo 416 c.p. , in anni sette di reclusione ciascuno per A.E. in anni otto e mesi sei di reclusione per E.E. in anni dieci di reclusione per O. e E.I. , qualificati entrambi partecipi del reato associativo di cui al capo 1 , in anni sei di reclusione ciascuno per M. in anni nove di reclusione e per U.T. in anni cinque di reclusione. Veniva confermata la condanna di D.E.G. - il tassista che di intesa con le maman” gestiva in via esclusiva e continuativa l'attività di trasferimento delle giovani prostitute da e verso i luoghi del meretricio, riscuotendo il relativo compenso - alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione e tutti gli imputati erano condannati in solido al pagamento, in favore delle parti civili A.A.E. , A.H.L. , O.E. , E.S. , O.M. e O.R. , di una provvisionale di Euro 50.000,00 ciascuna e delle parti civili Società Cooperativa Sociale Be Free e Associazione On The Road, di una provvisionale di Euro 10.000,00 ciascuna. Veniva revocato il provvedimento di confisca dei beni in sequestro, che venivano sottoposti a sequestro conservativo in favore delle parti civili appellanti A. , A.H. , O. , E. e O. , a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dai reati. Il procedimento originava da una indagine della DDA di L'Aquila e svolta dai Carabinieri del ROS negli anni 2008-09, all'esito della quale era stata individuata una organizzazione criminale a carattere internazionale, con base in Nigeria e operante in vari Paesi Europei, tra i quali l'Italia, dove, nelle province di Teramo e Ascoli Piceno, avveniva la riduzione in schiavitù, tratta, favoreggiamento della immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione di giovani donne nigeriane, anche minorenni - secondo gli articolati capi di imputazione -, il cui reclutamento avveniva in Benin City dove alle stesse veniva prospettata l'opportunità di un regolare lavoro in Europa, cui seguiva la sottoposizione ad un rito voodoo con il quale la giovane si impegnava a restituire una somma tra i 40.000,00 e i 60.000,00 Euro, corrispondente a quella necessaria per il trasferimento in Italia e all'ottenimento di lavoro e alloggio. Senonché - evidenziavano i giudici territoriali - una volta trasferite le ragazze in Europa e munite di documenti di identificazione falsi, forniti dalla organizzazione, unitamente a denaro e a carte di credito, per rendere credibile la finalità turistica del viaggio, le stesse, dopo aver superato i controlli alla frontiera, venivano condotte nella provincia di Teramo e affidate a una maman” che le avviava alla prostituzione, lungo la strada provinciale Bonifica del Tronto, provvedendo a riscuotere tutti i guadagni delle giovani le quali, oltre ad essere sottoposte a continui controlli, in caso di disobbedienza o di scarsi guadagni, venivano minacciate così come i loro familiari in Nigeria e aggredite fisicamente. Deduce O.A. , nel chiedere l'annullamento dell'impugnata sentenza, con il primo motivo, violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c ed e c.p.p, in relazione ai reati di cui ai capi 13 ,14 ,14-bis e 15 , per mancanza e illogicità della motivazione, dal momento che l'affermazione di responsabilità si fondava sul fatto che egli era il fidanzato della sfruttatrice di O.M. , senza però che gli venisse attribuita alcuna condotta eziologicamente rilevante, essendosi i giudici di merito limitati ad una semplice illustrazione delle risultanze investigative, senza correlarle ai singoli interessati. L'aver svolto, secondo l'accusa - assume il ricorrente - un'attività di controllo sui luoghi del meretricio, non poteva comunque giustificare l'affermazione di colpevolezza anche per i reati, quale quello di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ai quali non aveva prestato alcun contributo. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b e c c.p.p., in relazione ai reati di cui ai capi 19 ,20 e 21 tratta, riduzione in schiavitù, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina in danno di B.O. , per non avere i giudici considerato che la B. era pienamente a conoscenza che in Italia avrebbe svolto il lavoro di prostituta e la stessa si era inoltre allontanata dal centro di permanenza di Basilea, e viene accompagnata in Italia da soggetti”, uno dei quali T.O. era stato assolto da tali reati per non essere state ritenute attendibili le dichiarazioni della B. , ritenute invece, senza alcuna valutazione, tali nei confronti di O.A. . Con il terzo motivo si lamenta la pronuncia di colpevolezza in relazione ai reati di cui ai capi da 22 a 28 , commessi in danno di O.M. , pur avendo la Corte di merito evidenziato solo un'attività di controllo del meretricio esercitata da esso ricorrente. Con il quarto motivo si lamenta mancanza di motivazione con riferimento ai reati di cui ai capi 31 ,32 e 33 , in danno di J.L. , essendosi la Corte aquilana limitata a ripercorrere brevemente la vicenda della donna, senza nemmeno indicare, con riferimento all'imputato, un'attività di controllo sui luoghi del meretricio. Con il quinto motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ,c ed e c.p.p. per avere i giudici di merito omesso di eliminare ogni dubbio sulla colpevolezza dell'imputato in ordine a tutti i reati ascrittigli, sia con riferimento alla consapevolezza di quella estrema forma di inibizione della libertà personale di cui agli articolo 600 e 601 c.p. che in ordine all'elemento soggettivo necessario alla integrazione del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Con il sesto ed ultimo motivo si lamenta illogicità della motivazione con riferimento alla condanna al pagamento della provvisionale anche nei confronti di A. , A.H. e O. , nei confronti delle quali nulla era stato contestato all'O. . Osaro Osagie Peter Gorge lamenta che tutte le indagini ed anche la sentenza sono gonfiate dal ripetersi all'infinito delle stesse cose facendo apparire l'operazione XXXXX qualcosa di grandioso per la quale sono state spiegate ingenti forze di polizia con profusione di mezzi”, ma - sostiene il ricorrente - così non era stato e le due sentenze di merito non avevano riguardato l'O. se non timidi riferimenti e chiamate in causa buttate lì” e anche nella riferita intercettazione non vi era alcuna prova che fosse stato in effetti l'O. a parlare o un fantomatico marito di una delle madame e soprattutto il testo tradotto dal nigeriano non si sa da chi sia stato effettuato”. Nulla vi era in motivazione - prosegue il ricorrente - circa il ruolo di O.O. nell'organizzazione, il cui nome figurava più volte nei capi di imputazione e nel dispositivo ma era assente nella motivazione anche perché è assente in tutti gli atti investigativi”. Solo in tre occasioni - sostiene ancora il ricorrente - compariva il nome di O.O. , come marito di una delle madam”, salvo ovviamente non dimostrare nemmeno se sia vero o falso che fosse il marito di una delle madam” e dunque vi era stato un travisamento di una prova del processo”, nonché violazione di legge essendo la prova della colpevolezza basata su fragili sillogismi e su una ricostruzione dei fatti indiziaria, non confermata da nessun riscontro probatorio certo, valido e utilizzabile”, essendo le dichiarazioni delle parti offese del tutto generiche e prive di riscontri oggettivi, senza che il semplice richiamo alle deposizioni delle persone offese, agli atti irripetibili compiuti dalla p.g., agli atti dell'incidente probatorio, alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio degli imputati di reato connesso o collegato con l'odierno ricorrente” potessero ritenersi sufficienti per sostenere la declaratoria della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai fatti di cui è sentenza”, anche perché inutilizzabili per violazione degli articolo 197-bis e 210 c.p.p., in relazione alla l. numero 63/01 e all'articolo 111 della Costituzione. Inoltre, la quantificazione della pena sembra comunque eccessiva”, come pare eccessiva la pronuncia di condanna al risarcimento dei danni posta a carico dell'odierno imputato, in favore delle parti civili, anche se statuita in solido con gli altri coimputati”, né la Corte di merito aveva indicato i criteri seguiti nella liquidazione del danno morale. Con l'ultimo motivo si deduce violazione di legge, con riferimento agli articolo 143 e 178 lett.e c.p.p., in relazione agli articolo 13,14 e 21 Cost. e all'articolo 5 CEDU e 9 del Patto Internazionale dei diritti civili e politici di New York in quanto all'O.O. , cittadino nigeriano e da poco tempo in Italia, quindi non in grado di comprendere la lingua italiana, tratto in arresto con ordinanza di custodia cautelare non tradotta in lingua madre o in lingua conosciuta e senza l'assistenza di un interprete che potesse informarlo sulle accuse a suo carico, non era stato neanche garantito il diritto di farsi assistere da un interprete, ex articolo 143 c.p.p., né al momento dell'arresto né nelle successive fasi processuali, tanto che né l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, né la sentenza di condanna del g.u.p. aquilano gli erano state tradotte, mentre anche il decreto di citazione per il giudizio in appello e la successiva sentenza di condanna del 25.5.12, oggetto del gravame, erano viziati dalla stessa violazione, mentre all'udienza per il giudizio di secondo grado, pur presente l'interprete, la relativa sentenza di condanna non era stata tradotta ai sensi dell'articolo 143 c.p.p. Il procedimento - conclude il ricorrente - era quindi da considerarsi nullo, tanto che anche l'avviso di cui all'articolo 415-bis c.p.p. presentava un quadro di assoluta incertezza circa l'effettiva conoscibilità del contenuto dell'avviso stesso e dei susseguenti atti da parte dell'odierno ricorrente, il G.u.p. del Tribunale di L'Aquila nonché la Corte di assise di appello avrebbero ben potuto rilevare la nullità ex articolo 178 lett.e dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e di ogni altro atto successivo lesivo del diritto di difesa e in ogni caso avrebbero dovuto emettere sentenza di assoluzione nei confronti dell'odierno ricorrente dichiarandolo non punibile ex articolo 5 c.p.”. E.I. deduce, con il primo motivo, violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e c.p.p., con riferimento al reato associativo, reputando la sentenza impugnata basata sulle testimonianze contraddittorie ed inattendibili delle parti offese, prive di riscontri oggettivi, in assenza inoltre della indicazione di specifiche attività in concreto ascrivibili alla ricorrente. Con riferimento, infatti, ai reati di cui ai capi 1 , 2 e 3 la p.o. O.R. aveva riferito solo che in casa di E.E. talvolta vi era anche la I. , sorella della E. la p.o. O.A. aveva invece parlato di un'attività di controllo svolta dalla I. , senza però specificare in cosa consistesse tale attività, mentre in merito alla p.o. M. reati di cui ai capi 7,8 e 9 vi era un'intercettazione dalla quale emergerebbe un rito voodoo eseguito per telefono, rito che non era per nulla temuto dalle ragazze e quindi inefficace soprattutto per mezzo del telefono. Quanto poi - prosegue la ricorrente - alla p.o. F. , nella relativa intercettazione telefonica l'interlocutrice aveva chiesto spiegazioni sul motivo per cui una delle ragazze non aveva fatto rientro in casa, ma non vi era la prova che la voce di sottofondo fosse della I. e in ogni caso, pur ammettendo che si trattasse della voce della predetta, nulla vi era di anomalo per la richiesta di spiegazioni in ordine al mancato rientro di una ragazza ospitata in casa. Gli elementi raccolti - conclude sul punto la difesa della ricorrente - erano insufficienti per sostenere un impianto accusatorio di tale gravità e mancava la prova del vincolo associativo, come la consapevolezza di rivestire un ruolo principale madame o secondario mini madame , essendosi peraltro trattato di un aiuto offerto a ragazze connazionali giunte in Italia senza permesso di soggiorno, mentre la ritenuta individuazione di 2-3 cellule criminose costituiva invece un fatto occasionale che non rivelava una situazione di stabilità, essendosi in ogni caso i fatti verificati in un breve lasso di tempo sì che avrebbe dovuto essere di volta in volta ravvisato il concorso nei singoli reati. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge nella determinazione della pena, non potendo la costituzione di un'associazione finalizzata al solo sfruttamento della prostituzione essere punita a doppio titolo ex articolo 416 e 600 e 601 c.p., poi aumentata ulteriormente per l'articolo 4 L. numero 146/06, aggravante esclusa nella sentenza di primo grado , per il disposto dell'articolo 15 c.p., con una palese violazione degli articolo 132,62-bis e 69 c.p. per quanto attiene alla determinazione della pena che appare eccessiva e va ridotta”. Anche A.K. XXX deduce, con il primo motivo, violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p. negli stessi termini di quelli evidenziati da E.I. , sostenendo, in particolare che nella propria abitazione le liti sorgevano per futili motivi, legati ai costumi delle ragazze, ma non per i mancati o bassi guadagni, in quanto le giovani erano libere di muoversi e di fuggire in qualsiasi momento, alcun timore inducendo il rito voodoo e nella consapevolezza che le ragazze avevano di volersi prostituire per mantenersi economicamente in Italia. Le somme di denaro che le giovani avevano consegnato a K. - prosegue la ricorrente – servivano per rifondere le spese di vitto e alloggio sostenute dalla predetta, tanto che la p.o. E. reati di cui ai capi 47, 48 e 49 aveva riferito che il denaro guadagnato non veniva consegnato a K. , ma inviato in Nigeria, mentre le altre parti lese capi da 41 a 46 avevano narrato storie di violenze subite, facendo però riferimento a periodi antecedenti al loro arrivo a Martinsicuro e comunque riferite a persone diverse dalla ricorrente. Nessuna pozione magica - in merito al procurato aborto - era poi stata preparata da K. , essendo le dichiarazioni delle parti lese confuse sul punto. Quanto, infine, alla insussistenza del reato associativo e alla violazione di legge sulla determinazione della pena, i motivi erano identici a quelli svolti dal difensore, Avv. Gabriele De Santis, nell'interesse di E.I. . A.E. , sempre a mezzo dell'Avv. De Santis, sviluppa motivi analoghi a quelli della sorella K. , sottolineando come dalla testimonianza della p.o. O.M. reati di cui ai capi 1, 13, 14, 14-bis e 15 era emerso essere stata la stessa O. a decidere di prostituirsi, una volta giunta in Italia, senza alcuna coartazione fisica o psichica da parte della E. , la quale, come sorella di K. , era normale che talvolta si recasse a casa di quest'ultima, nulla essendo state in grado di riferire O.M. , O.B. e O.M. sul ruolo svolto dalla E. nella presunta associazione, mentre le informazioni assunte dalle altre parti lese E.S. , J.L. , E.J. , N.R. , T. , L. o J. avevano escluso qualsiasi partecipazione attiva e/o omissiva della E. , neppure nominata o conosciuta. Quanto, poi, alla insussistenza del reato associativo e alla violazione di legge circa la determinazione della pena, i motivi erano identici a quelli in precedenza svolti dalle altre assistite dell'Avv. De Santis. Anche E.E.K.E. , sempre a mezzo dell'Avv. De Santis, deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p., in relazione in particolare al reato associativo, lamentando un'affermazione di responsabilità basata sulle dichiarazioni contraddittorie e inattendibili delle parti offese, risultate prive di riscontri oggettivi e senza che venissero dai giudici di merito indicate le specifiche attività in concreto ascrivibili all'imputato, se non la limitata partecipazione ad alcune attività del tutto neutre” ed insufficienti a fondare un giudizio di partecipazione all'associazione criminosa, quali un mutamento di alloggio attribuito alla iniziativa del ricorrente che non presentava comunque una diretta ed univoca connessione con lo svolgimento della prostituzione. Con riferimento, poi, alle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio dalla p.o. O.B. , non poteva con certezza l'attività di controllo essere riferita anche all'E. , avendo la ragazza indicato il compagno della sorella della Madame”, la quale madame” aveva due sorelle, e nulla avendo le altre parti lese riferito, sempre in sede di incidente probatorio, sulla posizione del prevenuto, se non nel caso di O.E. la quale, in sede di s.i.t. dinanzi al ROS dei carabinieri, aveva fatto riferimento ad E. solo per indicarlo nella fotografia numero 8, senza però attribuirgli alcun ruolo, mentre laddove si individuava la presenza di E. in compagnia di XXXXXXXX A.J. , trattandosi della cognata, i racconti non valgono ad integrare con certezza un livello di partecipazione che si ponga oltre la mera connivenza”. La circostanza di essere il marito di A.E. - evidenzia ancora la difesa del ricorrente - e di vivere in Italia da oltre dieci anni, giustificava peraltro la eventuale occasionale presenza dell'imputato nei luoghi dove si erano svolti i fatti addebitati al coniuge, ma ciò non costituiva prova di partecipazione alla organizzazione. Infine, anche nell'interesse del prevenuto l'Avv. De Santis formulava motivi circa l'insussistenza del reato associativo e la violazione di legge con riferimento alla determinazione della pena, analoghi a quelli presentati in favore dei suindicati ricorrenti. Sempre nell'interesse di E.E.K.E. , l'Avv. Antonio Valentini ha dedotto violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.e c.p.p. per mancanza di motivazione, presentandosi scarna e priva di un apprezzabile apparato argomentativo la sentenza impugnata che si limitava a ripercorrere i passi della denuncia sporta dalla p.o., senza alcun'altra argomentazione. M.M. , in relazione al reato associativo sub 1 e a quelli di cui ai capi 7,8,9, 50, 51 e 52 deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b e c c.p.p. assumendo essere consistita la sua condotta solo nell'avere accompagnato la p.o. O.M. - che non era stata sentita né a s.i.t. né in sede di incidente probatorio - presso l'abitazione di E. E. in Martinsicuro, per cui era illogica la condanna addirittura anche per i reati di tratta e riduzione in schiavitù senza che la presunta parte offesa sia stata sentita”. Quanto ai reati di cui ai capi 50 , 51 e 52 , la Corte di merito - lamenta il ricorrente - si era limitata a richiamare il contenuto di alcune intercettazioni telefoniche senza considerare se le loro risultanze consentissero di ritenere integrati tutti i reati contestati, non emergendo peraltro dalle stesse elementi per attribuire al M. anche il reato di favoreggiamento dell'immigrazione delle predette donne. Con il secondo motivo si censura il trattamento sanzionatorio, ritenuto davvero troppo severo” e, con il terzo, si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p. per essere stato condannato al pagamento di una provvisionale di Euro 50.000,00 anche in favore delle parti civili diverse da O.M. e B.B. , le uniche in danno delle quali gli erano stati contestati i reati. E.E. propone, con il primo motivo, le medesime doglianze, già avanzate dal difensore di O.O.P.G. con riferimento alla violazione dell'articolo 143 c.p.p. per mancata assistenza dell'interprete anche per la traduzione degli atti processuali. Con il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.c c.p.p. per essere l'affermazione di responsabilità basata solo su elementi indiziali, privi di sicuri riscontri probatori, essendo state valorizzate le affermazioni delle parti lese, del tutto generiche e prive di riscontri oggettivi. Con il terzo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p. per avere i giudici fatto semplice riferimento agli atti irripetibili compiuti dalla p.g., agli atti dell'incidente probatorio e alle dichiarazioni di imputati di reati connessi, inutilizzabili perché rese in violazione degli articolo 197-bis e 210 c.p.p Con il quarto motivo si deduce insufficienza motivazionale, avendo la Corte di merito effettuato solo un esame sommario degli elementi probatori e, con il quinto e ultimo motivo, violazione di legge con riferimento al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo in ragione dell'incensuratezza dell'imputata che avrebbe meritato il riconoscimento delle attenuanti generiche, e alla condanna al risarcimento del danno, ritenuta anch'essa eccessiva e comunque non preceduta dall'analisi dei criteri seguiti nella liquidazione del danno, come pure dalla esposizione delle ragioni legittimanti l'adozione della misura del sequestro conservativo. U.T.O. deduce, in relazione ai reati di cui ai capi 1 , 31 e 32 , violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p. dal momento che, essendo egli accusato solo di aver accompagnato in Italia le ragazze L. e B. , non poteva essere ritenuto responsabile anche dei più gravi reati di cui agli articolo 600, 600-bis, 601 c.p., 3 e 4 L.numero 75/58 e 4 L.numero 146/06. L'unico reato a lui ascrivibile - sostiene il ricorrente - era quello di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, per il quale era già stato condannato dal Tribunale di Bolzano, ma la Corte territoriale aveva ritenuto sussistenti anche gli altri reati senza motivare sul punto, se non facendo riferimento ai contatti telefonici avuti con il S. e senza considerare i motivi di gravame, per cui illogicamente era stato condannato anche per i reati di riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, tratta di persone, induzione e favoreggiamento della prostituzione. Con il secondo motivo, sempre in relazione ai reati di cui ai capi 1 , 31 e 32 , si deduce ancora violazione dell’articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p. per non essere neanche emerso, nella vicenda riguardante la L. , uno stato di prostrazione e di assenza di autodeterminazione derivante dall'esecuzione del rito voodoo, per cui non potevano configurarsi, oltre ogni ragionevole dubbio, i reati in questione, anche perché lo stato di prostrazione era derivato dal successivo legame di obbedienza che aveva legato la donna, a seguito di minacce e soprusi riconducibili, all'interno della casa, alla maman”. Inoltre - prosegue il ricorrente - i giudici territoriali non avevano motivato in ordine all'elemento psicologico dei reati ascrittigli, anche perché mancava la prova di una sua conoscenza delle attività, degli scopi e dell'esistenza dell'associazione, oltre che delle sua modalità operative, essendo solo emersi contatti telefonici con il coimputato S. . Con il terzo motivo si lamenta la condanna al pagamento, in solido, della provvisionale di 50.000,00 Euro in favore delle parti civili diverse dalla J.L. , pur essendogli contestati solo fatti in danno di quest'ultima. O.K. deduce, con il primo motivo, violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ,c ed e c.p.p. per essersi la Corte di merito limitata ad una mera illustrazione dell'attività investigativa, senza nulla specificare in ordine alla partecipazione psichica nei gravi reati contestati, l'attività di controllo sui luoghi del meretricio avendo automaticamente comportato l'integrazione di tutti i reati ascritti. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p. per avere la Corte di merito ignorato i rilievi difensivi secondo cui la cooperazione offerta dall'imputato era inidonea a giustificare una responsabilità concorsuale per tutte le fattispecie di reato contestate, essendosi in particolare evidenziato, in ordine ai reati di cui ai capi 2 e 3 in danno di O.R. , che la donna era già stata vittima di soprusi commessi da altri soggetti per mantenerla in stato di soggezione che era stato tale XXXXXXXX, nell'agosto del 2005, a sfruttare la prostituzione della predetta, usando minacce nei di lei confronti e dei suoi familiari che era trascorso un anno e mezzo tra l'ingresso in Italia della donna e il passaggio alle dipendenze” di E. moglie di esso ricorrente e pertanto, per lo meno per i reati di tratta e riduzione in schiavitù, alcun contributo causale era da lui stato apportato. Con riferimento alle parti lese O.M. capi 7,8 e 9 e F. capi 10,11 e 12 non erano stati individuati gli elementi a carico, come pure - si afferma con il terzo motivo - con riferimento a E.O. capo 6 , l'attività di controllo non potendo far ritenere integrati anche i reati sub 6,9 e 12, per i quali non era stato offerto alcun contributo agevolativo apprezzabile. Con il quarto motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.b ed e c.p.p. per essere stato condannato, in solido con gli altri coimputati, al pagamento della somma di 50.000,00 Euro a titolo di provvisionale anche nei confronti delle parti civili diverse dalle parti offese con riferimento alle quali era stato condannato. D.E.G. lamenta, con il primo motivo il mancato riconoscimento, con il criterio della prevalenza, delle attenuanti generiche e l'applicazione della pena, ex articolo 444 ss. c.p.p., di cui alla istanza depositata prima dell'udienza preliminare. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lett.e c.p.p. per avere la Corte territoriale omesso di considerare che il D.E. era a conoscenza soltanto che le ragazze che accompagnava erano peripatetiche, ignorandone lo status, nonché per aver omesso di motivare compiutamente sull'entità della pena, facendo riferimento - per il reato di favoreggiamento della prostituzione di cui ai capi 3,5,10,14,20,23,27 e 48 - agli altri capi d'imputazione per i quali era stato assolto ed omettendo altresì di motivare in ordine alla condotta associativa dell'imputato, oltre che in merito allo sfruttamento della prostituzione delle sei ragazze indicate E. , O. , O.B. , O. , O. e E. . Con il terzo motivo si lamenta la omessa valutazione sia degli elementi costitutivi il reato associativo, ignorando i giudici di appello le intervenute assoluzioni per alcune delle imputazioni, sia della personalità di un tassista che accompagnava le prostitute in locus meretricio, che della insussistenza di un accordo tra imputato e le madame”, ignorando il D.E. le condizioni di assoggettamento delle signorine, laddove era il coimputato non ricorrente P.V. a procurare alle ragazze i profilattici. Con il quarto motivo si lamenta la condanna al pagamento della provvisionale di 50.000,00 Euro in favore delle sei parti civili, senza che i giudici avessero motivato sulla congruità della somma né considerato che l'imputato non era stato condannato per reati in danno di due di esse A.E. e A.H.L. . Osserva la Corte, in primis, che con riferimento alle doglianze degli imputati concernenti la mancata individuazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi costitutivi l'associazione a delinquere in argomento e del ruolo dagli stessi ricoperto all'interno di essa, va rilevato che la Corte aquilana, con motivazione congrua, esaustiva ed immune da vizi di illogicità, ha dato anzitutto conto del corposo” materiale investigativo raccolto dai Carabinieri del ROS nel corso delle indagini che - scaturite dalla denuncia presentata ai carabinieri della Compagnia di Alba Adriatica il 28.10.08 da O.R. - li aveva impegnati nel corso degli anni 2008 e 2009. Alla iniziale denuncia se ne erano poi aggiunte altre - hanno sottolineato i giudici aquilani -, mentre ulteriori ragazze nigeriane erano state sentite di iniziativa degli operanti che avevano provveduto ad acquisire i tabulati telefonici relativi alle utenze in uso alle giovani prostitute e che consentivano agli sfruttatori di controllarle e contattarle, mentre erano state disposte anche intercettazioni telefoniche sulle medesime utenze ed erano stati svolti servizi di osservazione e controllo in una con l'acquisizione dell'intera documentazione concernente l'ingresso nel nostro Paese delle giovani nigeriane ed il trasferimento in Nigeria dei proventi dell'attività di sfruttamento. Ne risultava un quadro - hanno rimarcato i giudici di appello - che vedeva in quel di Benin City avvenire il reclutamento delle giovani donne, ad opera della mamma di Harrison” che provvedeva anche ad affidarle ad un suo connazionale, tale S. , con il compito di verificarle” mediante violenze fisiche e sessuali, e quindi, sotto la falsa prospettiva di un regolare lavoro in Europa, seguiva la sottoposizione al rito voodoo che prevedeva il denudamento, il taglio dei peli e delle unghie, l'ingestione di pozioni e la recitazione di una serie di formule , di particolare efficacia nel contesto religioso e culturale di provenienza, tanto che una delle parti lese, O.M. , aveva avuto modo di riferire che appena giunta in Italia aveva parlato con la donna dei riti” che l'aveva obbligata a ripetere, tra le altre, le significative frasi Se io penso di mandare i soldi a casa mia prima di pagare i debiti a chi mi ha comprato, Dio di Notte e il Dio Osango mi ucciderà se pregherò il Dio di Notte e il Dio Osango loro mi aiuteranno a fare le cose che sono venuta a fare qui in Italia”. La donna dei riti” aveva quindi proseguito la conversazione con madam” E.E. dicendole che M. aveva fatto tutto” ed E. - hanno ancora evidenziato i giudizi abruzzesi -aveva pregato perché M. andasse bene al lavoro” e la donna dei riti aveva concluso nel senso che la giovane avrebbe dovuto subito cominciare a lavorare. Tramite il rito voodoo le donne si impegnavano anche a restituire una somma compresa tra i 40.000,00 e i 60.000,00 Euro, versando i compensi della loro attività lavorativa che ben presto le giovani nigeriane si accorgevano - dopo essere state private, come rimarcato dai giudici di secondo grado, persino della loro identità e munite di documenti falsi per il loro ingresso in Europa e quindi in Italia, tramite, per quel che qui interessa, l'opera di U.T.O. , che, domiciliato in Austria, era preposto dall'associazione criminale, nella quale era pienamente inserito, precipuamente ad agevolare il transito e la prosecuzione del viaggio delle giovani nigeriane - che in altro non consisteva se non nell'esercizio della prostituzione cui le stesse erano avviate dopo aver ripetuto il rito voodoo una volta giunte a destinazione ed affidate ad una madam” nella provincia di Teramo, lungo la strada provinciale Bonifica del Tronto”. L'organizzazione nigeriana - hanno evidenziato i giudici territoriali rimarcando come gli atti di indagine avessero consentito di delineare in tutti i suoi aspetti un radicato sistema criminale del quale gli odierni imputati costituivano peraltro solo una periferica articolazione - si articolava nei vari Paesi di destinazione in cellule operative, preposte alla gestione finale delle giovani donne e, con riferimento a quelle operanti lungo la costa adriatica, tra Marche e Abruzzo, ciascuna diretta da una madam”. Erano i vincoli familiari a contrassegnare ogni cellula che era anche preposta al trasferimento in Nigeria del denaro ricavato dall'attività di prostituzione, attraverso il sistema c.d. Hawale”, estraneo al circuito bancario e gestito - hanno precisato i giudici di merito - a Martinsicuro presso l'esercizio commerciale Africa shop” da due soggetti E.A. e O.C.F. separatamente giudicati. Alla cellula di Martinsicuro - hanno ancora osservato i giudici abruzzesi - era preposta madam E. ” identificata in E.E. , coadiuvata dal marito O.K. e dalla sorella E.I. , mentre quella operante nella vicina Villa Rosa di Martinsicuro era riconducibile a madam I. ” identificata in A.K. , alias OMISSIS , coadiuvata, tra gli altri e per quel che qui rileva, dal compagno O.A. il quale nulla ha osservato, in questa sede, circa il reato associativo , dalla sorella A.E. e dal compagno di costei, E.E.K.E. , dalla sorella F. separatamente giudicata e dal marito di quest'ultima, O.O.P.G. . Tali cellule si avvalevano, per gli spostamenti delle ragazze dalle abitazioni al luogo del meretricio, dell'opera esclusiva dei tassisti P.V. non ricorrente e D.E.G. , titolari di regolare licenza amministrativa e ai quali soltanto - che all'occorrenza provvedevano anche a rifornire le prostitute di preservativi - le ragazze erano autorizzate a rivolgersi, dietro un compenso fisso stabilito con le madam” di 5 Euro a corsa per ciascuna ragazza, mentre la terza cellula - hanno ancora evidenziato i giudici di secondo grado - era operante in quel di Castel di Lama, in provincia di Ascoli Piceno, ed era riconducibile a M.M. e N.R. separatamente giudicato . Il riferito dalle parti lese contesto in cui avveniva lo sfruttamento minacce, violenze, intimidazioni anche nei confronti dei parenti rimasti in Nigeria e, in alcuni casi, procurati aborti alle ragazze rimaste incinte, mediante la somministrazione per via orale di ossitocina ed alcool , la costrizione delle stesse in ridottissime unità abitative, con il minimo dei servizi, l'obbligo di prostituirsi tutti i giorni e senza pause e di consegnare tutti i guadagni alle madam” per il pagamento del debito, non certo illegittimamente è stato ritenuto configurare il reato di riduzione in schiavitù, nonché quello di tratta di persone nella forma contestata di cui al comma 1, seconda parte, dell'articolo 601 c.p., in relazione al reato di cui all'articolo 600 c.p., dovendo le due fattispecie trovare concorrente applicazione versandosi nel caso di spostamento migratorio finalizzato alla riduzione in schiavitù e ravvisandosi il delitto di tratta di persone anche se una persona libera sia condotta con inganno in Italia - non occorrendo che si trovi già in schiavitù - al fine di porla nel nostro territorio in condizione analoga alla schiavitù il reato di tratta può essere infatti commesso anche con induzione mediante inganno in alternativa alla costrizione con violenza e minaccia, al fine di commettere i delitti di cui all'articolo 600, comma 1, c.p. Cass., sez. 5, 24 settembre 2010, numero 40045 . Del pari, legittimamente è stato ritenuto integrato il reato di associazione per delinquere capo 1, articolo 416 c.p. , avendo i giudici territoriali compiutamente argomentato come le singole cellule” preposte alla gestione” delle giovani prostitute nigeriane costituissero singole articolazioni della più ampia organizzazione criminale sopra delineata, nella consapevolezza di ciascuno dei sodali della interdipendenza del proprio ruolo con quello degli altri. In tale quadro associativo - hanno ancora perspicuamente osservato i giudici aquilani - era da ricomprendersi anche D.E.G. , il quale gestiva, unitamente al coimputato non ricorrente P.V. , in via esclusiva e continuativa, previo accordo con le madam”, l'attività di trasferimento delle giovani prostitute nigeriane da e verso i luoghi del meretricio, riscuotendo il relativo compenso e fornendo alle ragazze, ove necessario, anche i profilattici. La quotidiana frequentazione delle stesse aveva così consentito al D.E. - hanno non certo illogicamente rimarcato i giudici di appello - di collegare ciascuna ragazza alle rispettive cellule ed in tal senso la continuativa attività di trasporto delle giovani, finalizzata soltanto all'esercizio della prostituzione, in una con la ricordata fornitura di profilattici, correttamente è stato ritenuto un comportamento, consapevolmente tenuto dall'imputato, che ha garantito a ciascuna cellula di perseguire il proprio illecito obiettivo e alla organizzazione tutta di poter funzionare senza interruzione. Per quanto fin qui esposto, dunque, non hanno pregio le doglianze del D.E. in punto di responsabilità - a suo carico anche gli specifici servizi di controllo avviati, come precisato dai giudici di merito, dopo alcune intercettazioni telefoniche, che avevano consentito di notare l'imputato mentre attendeva O.B. sotto l'abitazione di madam F. ”, per poi condurla sul luogo del meretricio non senza averla anche rifornita talvolta come è risultato dall'informativa RONO, in atti di profilattici ed avvisandola anche dell'eventuale sopraggiungere delle Forze dell'ordine - in ordine al reato associativo e a quelli di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, nei limiti però del ruolo che è rimasto accertato aver svolto il D.E. e del profitto che risulta aver conseguito da tale illecita attività riguardante cioè il monopolio” dei trasferimenti in taxi delle prostitute da e verso il luogo di lavoro . Ciò significa che, tale essendo l'ambito illecito in cui l'imputato ha operato, hanno pregio le doglianze con le quali il D.E. lamenta la assenza di motivazione, da parte dei giudici territoriali, relativamente alle aggravanti, non esplicitamente escluse, del reato di cui all'articolo 416 c.p. capo 1 , riguardanti segnatamente i motivi abietti” consistiti nella violazione dei più fondamentali diritti umani delle vittime, dall'aver adottato sevizie nei confronti delle vittime, nell'aver approfittato della loro minorata difesa”, non dandosi conto in sentenza, con riguardo al predetto imputato, che il suo circoscritto ruolo associativo era incompatibile con l'aggravante in argomento. Analogamente, con riferimento, ai diversi reati contestati al D.E. di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di cui ai capi 3 ,5 ,14 ,20 ,23 ,27 e 48 , nulla la Corte di merito ha osservato né circa la contestata attività di induzione e sfruttamento che avrebbe svolto il prevenuto, né in merito alle aggravanti contestate con riferimento al reato di cui all'articolo 3 L.numero 75/58, nonché, segnatamente, quella di cui all'articolo 4 della stessa legge fatto commesso con violenza, minaccia o inganno , oggetto di specifica doglianza dell'imputato e sulla quale manca una compiuta analisi - che non può non tener conto, per quanto sopra detto, del ruolo limitato del D.E. - da parte della Corte di merito. Non risulta, infatti, in alcun modo illustrato quale sarebbe stato il ruolo del ricorrente nell'induzione alla prostituzione né in che cosa sarebbe esattamente consistito lo sfruttamento della medesima, relativamente al quale non sembra inutile rammentare che, secondo quanto più volte affermato da questa Corte, la percezione di denaro o altra utilità da una prostituta non necessariamente comporta la configurabilità del reato di sfruttamento ove essa trovi una giustificazione quale adeguato corrispettivo a servizi resi che non siano di per sé connotati da illiceità v., in proposito, Sez.3, 24 novembre 1999, numero 98 Sez.3, 31.1.97, numero 2796 Sez.3, 14 maggio 2004, numero 30582 . Quanto, infine, alla doglianza circa la condanna al pagamento, in solido, della provvisionale di Euro 50.000,00, rileva questa Corte che la pronuncia circa l'assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell'ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito il quale non è tenuto a fornire una motivazione specifica sul punto, con la conseguenza che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, è destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento v., tra le altre e da ultimo, Cass., sez. 5, 25 maggio 2011, numero 32899 . Consegue che, limitatamente ai profili sopra evidenziati, l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio al giudice di secondo grado anche perché riconsideri il trattamento sanzionatorio irrogato al D.E. e rivaluti la concedibilità all'imputato delle attenuanti generiche con il criterio della prevalenza anche alla luce di quanto è risultato dagli atti di indagine e che gli stessi giudici di merito hanno evidenziato, cioè che il profitto conseguito dal D.E. non ha di certo riguardato - come pure si legge nei diversi capi di imputazione per i quali ha riportato condanna – l’intero provento, con violenza e minacce di morto dell'attività delle diverse prostitute nigeriane che egli provvedeva a trasportare a bordo del suo taxi, bensì l'importo concordato delle sole corse” che egli assicurava in via continuativa ed esclusiva. Il primo motivo di ricorso di O.A. è infondato. Lungi, infatti, dal limitarsi ad una semplice illustrazione delle risultanze investigative, come lamentato dal ricorrente, i giudici di appello hanno evidenziato, con riferimento ai reati di cui ai capi 13 , 14 , 14-bis e 15 in danno di O.M. , che detta p.o. identificata dalla polizia di Novara con il nome di F.M. , reclutata in Nigeria dalla mamma di Harrison”, violentata a Lagos da tale S. a cui era stata affidata, condotta in quel di Martinsicuro e costretta dalla sua madam” A.J. , detta XXXXXXXX a prostituirsi, aveva esercitato per due anni consegnando sempre il ricavato alla A. . La O. , poi - hanno evidenziato i giudici abruzzesi - aveva anche, in sede di s.i.t, compiutamente riferito, tra l'altro, sul ruolo di O.A. , compagno della A.J. , indicandolo come uno degli uomini che la controllava sul luogo del meretricio, obbligandola a lavorare senza pause e a guadagnare 250 Euro nei giorni feriali e 500 Euro in quelli festivi, denaro che, dopo una retata della polizia sulla s.p. Bonifica del Tronto effettivamente riscontrata dagli operanti a seguito della quale era stata spostata nell'appartamento di R.N. separatamente giudicato in quel di Castel di Lama, aveva continuato a versare alla J. la quale, assieme ad E. E.E. , si recava colà a prelevarlo. La p.o. O.B. capi 19,20 e 21 aveva reso dichiarazioni analoghe a quelle della O. , anche circa il ruolo svolto dall’O.A. , come pure - hanno evidenziato sempre i giudici di appello - la p.o. O.M. alias, G.M. , la quale aveva riferito che, una volta giunta a Martinsicuro, era stata presa in consegna da O.A. che l'aveva condotta presso l'abitazione di A.J. , già occupato da altre ragazze nigeriane, e quindi avviata al meretricio ed affidata in particolare per il controllo ad O. , previa sottoposizione a percosse, al suo iniziale rifiuto, da parte della J. e dell'O. stesso, tanto da presentare ematomi e cicatrici riscontrati dagli operanti che avevano sentito a s.i.t. la donna il 10.3.09. Analoghe sono poi state le dichiarazioni della p.o. E.S. - della quale la O. aveva parlato anche con riferimento all'aborto procuratole dalle madam” con la somministrazione di farmaci e al quale aveva personalmente assistito, circostanza confermata dalla stessa E. -, sia in sede di s.i.t. che in incidente probatorio, avendo poi lo stesso g.i.p., in tale sede, dato atto della esistenza di una cicatrice sulla testa della giovane. Con riferimento, invece, alla p.o. J.L. , minorenne, era stata la cugina O.M. -hanno sottolineato i giudici di merito -, stante il rifiuto della L. di rendere dichiarazioni, a riferire delle sue stesse traversie ad opera del medesimo gruppo di persone, mentre anche la p.o. O.M. , che con la L. detta XXXX aveva vissuto nell'abitazione di madam J. ”, aveva narrato dell'attività di meretricio esercitata dalla predetta, sotto il controllo degli uomini della cellula. Quanto all'ultimo motivo di ricorso, relativo alla ritenuta violazione di legge con riferimento alla disposta provvisionale, valgono per O. le stesse considerazioni svolte riguardo al D.E. . La L. - hanno ancora evidenziato i giudici aquilani - aveva fatto il suo ingresso in Italia grazie all'opera di U.T.O. , fermato alla frontiera italo-austriaca l'XXXXXXXX alla guida di una Mercedes con a bordo la ragazza con le diverse generalità di E.L. , unitamente a tale K.U. , con il quale era stato condannato dal Tribunale di Bolzano per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Senonché - hanno rimarcato i giudici di merito - nella memoria del telefono cellulare dell'U. erano stati dagli operanti riscontrati contatti con quel S. ” che in Nigeria era preposto al reclutamento delle donne da avviare alla prostituzione in Europa e pertanto non certo illogicamente i giudici di appello hanno ritenuto il prevenuto pienamente inserito nella catena delittuosa con il compito di favorire gli ingressi alla frontiera austriaca, né il ricorrente ha in questa sede evidenziato elementi di segno a lui favorevole non considerati dai giudici di merito, limitandosi a protestare genericamente una sua ignoranza circa i fatti di reato attribuitigli. Quanto all'ultimo motivo, valgono anche per l'U. le considerazioni svolte in tema di provvisionale e quindi anche il ricorso del prevenuto deve essere rigettato. Le considerazioni fin qui svolte circa il reato associativo di cui al capo 1 non possono non valere anche per O.O.P.G. , laddove le doglianze articolate sul punto con i motivi di ricorso si presentano prive della necessaria specificità e finiscono con il risolversi in una non consentita critica ai profili fattuali della sentenza impugnata, senza che peraltro possa parlarsi di travisamento della prova, anche con riferimento alla pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da soggetti imputati di reato connesso, per violazione del disposto di cui agli articolo 197-bis e 210 c.p.p., trattandosi sempre di doglianze generiche che non indicano quali dichiarazioni sarebbero da dichiarare inutilizzabili, così come generica è anche la doglianza circa il trattamento sanzionatorio e quella relativa al risarcimento dei danni, limitandosi il ricorrente a lamentare l'omessa motivazione da parte dei giudici di appello circa i criteri seguiti nella liquidazione del danno morale, senza considerare che è stata in sede di appello riconosciuta alle parti lese solo una somma a titolo di provvisionale, la cui entità è stata dalla Corte aquilana compiutamente motivata in ragione della particolare gravità delle sofferenze subite dalle parti lese , incidenti in via immediata sul vissuto di ognuna di loro”. Da ultimo, nuovo” si presenta il motivo concernente l'inosservanza dell'articolo 143 c.p.p. nelle varie fasi processuali - così come articolato in sede di ricorso -, non risultando la relativa doglianza essere stata prospettata in sede di appello e quindi essendone precluso l'esame in questa sede, in applicazione del disposto di cui all'ultima parte del comma 3 dell'articolo 606 c.p.p. Peraltro - e per ragioni di completezza - va osservato che il giudice che emetta ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di imputato che ignori la lingua italiana non è tenuto alla traduzione della stessa nella lingua a quest'ultimo nota Cass., sez.1, 14 luglio 2011, numero 33058 , dal momento che il diritto di farsi assistere da un interprete e di ottenere la traduzione degli atti concerne esclusivamente gli atti necessari al fine di comprendere quale sia l'accusa mossa nei suoi confronti, nonché gli atti cui partecipi personalmente Cass., sez.2, 24 ottobre 2007, numero 44599 , tra i quali non può farsi rientrare la traduzione della sentenza che conclude il giudizio Cass., sez.1, 31 marzo 2010, numero 24514 , a meno che l'imputato alloglotta non ne faccia espressa richiesta - circostanza non dedotta dal ricorrente -, in base ai principi contenuti nell'articolo 3 della direttiva 2010/64 UE non ancora operativa nell'ordinamento interno , secondo cui gli Stati membri devono assicurare la traduzione scritta dei documenti fondamentali per l'esercizio della difesa, ivi comprese le sentenze Cass., sez.3, 13 luglio 2012, numero 5486 . L'omessa traduzione, poi, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, in una lingua nota all'indagato, che non comprenda la lingua italiana, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'articolo 183 c.p.p. v. Sez.unumero , 26 settembre 2006, numero 39298 . Alla manifesta infondatezza del ricorso di O.O.P.G. segue quindi la condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00. Il primo motivo di ricorso di E.I. in altro non consiste se non in considerazioni di merito tendenti ad una rivisitazione in chiave riduttiva degli addebiti mossi all'imputata, che, secondo la prospettazione della difesa e ignorando le dichiarazioni delle diverse parti lese, nonché le risultanze delle indagini compiutamente riferite dai giudici aquilani, si sarebbe recata solo in una occasione in casa della sorella E. e comunque in ogni caso, avendo degli ospiti in casa non ben conosciuti è più che naturale e doveroso che occorresse un loro controllo”, a nulla rilevando l'effettuazione del rito voodoo che - sempre secondo la prospettazione difensiva, nettamente smentita dalla sventurate ragazze nigeriane, per quanto sopra ricordato – non era affatto temuto dalle stesse ragazze a cui era rivolto”, connazionali sfortunate alle quali - conclude sul punto la ricorrente - veniva solo offerto aiuto e ospitalità, senza che dai legami di natura familiare potesse farsi derivare tra gli imputati un vincolo associativo. Inammissibile è il secondo motivo, sia perché con esso si lamenta genericamente l'eccessività della pena, di cui si chiede addirittura la riduzione in questa sede, sia perché manifestamente infondato nel ritenere esservi stata una doppia imputazione ex articolo 600 e 601 c.p. con riferimento alla associazione finalizzata al solo sfruttamento della prostituzione, con aumento della pena, ex articolo 81 cpv. c.p., per l'articolo 4 L.numero 146/06, aggravante invece esclusa, secondo il ricorrente, nella sentenza di primo grado. Il reato associativo, infatti, ha riguardo - come emerge dalla stessa lettura del capo 1 di imputazione - non solo alla commissione di più delitti tra quelli di cui alla L.numero 75/58, ma anche a quelli di cui agli articolo 600 e 601 c.p., mentre l'aggravante di cui all'articolo 4 della L.numero 146/06, correttamente è stata ritenuta operante in aumento di 1/3 sulla pena base per il reato di cui agli articolo 600,601 c.p., essendone stata esclusa espressamente l'operatività, già in sede di sentenza di primo grado, solo con riferimento al reato associativo e ritenuta configurabile invece con riferimento a tutti i reati-fine. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00. Anche il primo motivo di ricorso di A.K. detta XXX si articola negli stessi termini di quelli di E.I. , limitandosi a considerazioni di fatto tendenti ad un ridimensionamento della condotta dell'imputata e prospettando, in luogo delle violenze, delle minacce e dei riti voodoo riferiti dalle parti lese, l'insorgere di liti per futili motivi, ma non per i mancati o bassi guadagni, in quanto le ragazze erano libere di muoversi e quindi fuggire in qualsiasi momento”, mentre le somme di denaro che loro hanno consegnato nelle mani di K. erano per rifondere le spese di vitto e alloggio sostenute dalla stessa”, laddove in ogni caso nel processo penale le dichiarazioni delle parti offese non possono assumere prova inconfutabile di per sé ma devono trovare riscontro in circostanze oggettive che non si rinvengono nel quadro probatorio” e senza che dai legami familiari potesse farsi derivare tra gli imputati un vincolo associativo. Quanto al secondo motivo di ricorso valgono le stesse considerazioni ora svolte con riferimento all'analogo motivo presentato nell'interesse di E.I. . Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al gravame proposto nell'interesse di A.E. , sorella di J. , incentrato, quanto al primo motivo, su censure di merito tendenti ad una inammissibile rivisitazione delle risultanze probatorie, con riferimento sia ai reati-fine che a quello associativo, genericamente contestandosi la non attribuibilità alla E. delle conversazioni telefoniche intercettate e la attendibilità delle dichiarazioni delle parti lese, definite tout court false e inverosimili - come nel caso di O.M. - nella parte in cui avevano fatto riferimento a liti violente e a percosse subite per obbligarla a prostituirsi e a consegnare tutto il ricavato di tale attività, non potendosi in ogni caso - si assume anche in detto ricorso - dai legami familiari far discendere un vincolo associativo. Quanto al secondo motivo, valgono le stesse considerazioni svolte con riferimento ai ricorsi di J. ” e di I. ”. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00. Il ricorso di E.E.K.E. non è fondato. I riferimenti probatori circa l'appartenenza di Erold” alla seconda cellula”, lungi dall'essere tratti per accorpamento” delle condotte tenute dai coimputati, come lamentato dalla difesa del ricorrente, e risolversi in una mera enunciazione di principio, se non per qualche neutra” attività inidonea a fondare un giudizio di partecipazione all'associazione criminosa, sono stati compiutamente evidenziati dai giudici aquilani. È ancora O.M. - ha evidenziato la Corte di merito - a delineare il ruolo di E.E. ”, compagno di A.E. alla quale, così come alla sorella di lei, J. ”, venivano versati i proventi della prostituzione, mentre tutti gli uomini cioè gli appartenenti alla cellula” la controllavano sul luogo del meretricio, telefonandole allorché non la trovavano sul posto, fino a che, in seguito ad una retata della polizia, era stata spostata nell'appartamento di R.N. separatamente giudicato in quel di Castel di Lama, dove la donna aveva continuato a prostituirsi e a versare il denaro a J. che si recava a prelevarlo in compagnia di E. . Analoghe dichiarazioni - in sede di s.i.t. e confermate poi in incidente probatorio - erano state rese, hanno precisato i giudici abruzzesi, da O.B. la quale, nel descrivere quanto occorsole, aveva affermato di prostituirsi, una volta giunta in Italia dopo essere stata reclutata in Nigeria dalla mamma di Harrison”, sottoposta al rito voodoo e violentata da S. prima del trasferimento nel nostro Paese, sotto il dominio di madam F. ” e delle sorelle J. e E. , coadiuvate dai rispettivi uomini, O.O.P.G. , O.A. e E.E. , i quali erano costanti nel controllarla sul luogo di lavoro. Analogo è stato il racconto di O.M. e quello di E.S. , con conseguente legittima affermazione di responsabilità del ricorrente sia in ordine al reato associativo che a quelli fine dell'organizzazione criminale cui E. ” è risultato organicamente inserito. Inammissibile, per le ragioni già esposte con riferimento ai tre precedenti ricorrenti, è il secondo motivo di gravame. Il primo motivo di ricorso di E.E. , concernente la pretesa violazione dell'articolo 143 c.p.p., è manifestamente infondato, per le stesse ragioni già esposte con riferimento all'analogo motivo dedotto nell'interesse di O.O.P.G. . Il secondo motivo è del tutto generico, risolvendosi in una aspecifica doglianza circa una pretesa ricostruzione dei fatti, operata dalla Corte aquilana, su base solo indiziaria, non confermata da riscontri probatori certi, validi e utilizzabili, il giudizio di colpevolezza fondandosi solo - secondo la ricorrente - sulle dichiarazioni delle parti offese del tutto generiche. Del tutto aspecifico è anche il terzo motivo di gravame, con il quale si deduce l'insufficienza del quadro probatorio, stante anche la asserita inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da non indicati imputati di reato connesso in violazione degli articolo 197-bis e 210 c.p.p. e, con il quarto motivo, si censura, sempre genericamente, la sentenza impugnata per carenza di motivazione, non avendo i giudici di merito approfonditamente valutato le risultanze processuali. Infine, ancora generico è l'ultimo motivo di ricorso con il quale la ricorrente si duole per l'eccessività della pena irrogatale che - si sostiene senza addurre al riguardo alcun elemento di segno positivo non valutato dai giudici territoriali - ben avrebbe potuto essere contenuta previa concessione di attenuanti generiche, dolendosi, da ultimo e sempre genericamente, per la condanna al risarcimento dei danni che sembra eccessiva”. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00. Il primo motivo di ricorso di O.K. marito di E.E. è generico, limitandosi ad una non specifica doglianza circa l'asserita mancata giustificazione motivazionale in ordine alla attribuzione dei reati contestati, anche sotto il profilo dell'elemento psicologico richiesto per la loro configurabilità. Il secondo motivo, con il quale si lamenta la mancata risposta da parte della Corte di merito alle osservazioni della difesa circa l'inidoneità della cooperazione offerta dall'imputato a giustificare la responsabilità concorsuale per tutte le fattispecie di reato contestate, non è fondato, avendo i giudici di appello non certo automaticamente” - come assume il ricorrente - ritenuto l'attività di controllo esercitata sulle giovani prostitute fondante la responsabilità per tutti i reati contestati, ma hanno analizzato le dichiarazioni delle diverse parti lese, O.R. capi 2 e 3 E.O. capi 4,5, e 6 O.M. capi 7, 8 e 9 e F. capi 10, 11 e 12 , motivatamente derivandone precisi elementi di responsabilità a carico dell'O. . Questi, infatti, è stato indicato da O.R. detta XXXXXX e da E.O. come il compagno di E. ” - la madam” cioè che le aveva comprate ed avviate alla prostituzione - il quale le controllava durante la loro attività di meretricio, con il compito di segnalare anche eventuali assenze dal posto di lavoro e che - hanno evidenziato i giudici di appello -, con riferimento a O.M. bloccata alla frontiera di Lampedusa il 26.6.08, identificata e collocata al c.t.p. di Ponte Galeria ove era rimasta fino al 9.1.09 allorché era stata rilasciata perché non raggiunta nei termini dall'ordine di espulsione , è stato intercettato mentre parlava al telefono con M.M. alias, XXXXXXX che aveva poi condotto la ragazza a Martinsicuro, dove era giunta nella casa di via OMISSIS in cui si trovavano E.I. e E.E. alle ore 15,20 del XXXXXX, come documentato da uno specifico servizio di controllo, di cui all'informativa del 9.12.09, predisposto dalla p.g. parallelamente alle operazioni di ascolto. Analoga condotta attiva - hanno ancora evidenziato i giudici di secondo grado - era stata tenuta dall'O. anche con riguardo alla sorte di F. , con riferimento alla quale era stata intercettata una telefonata in data 29.12.08 con cui il prevenuto aveva contattato dall'Italia un connazionale in Nigeria chiedendogli, oltre alla preparazione dei documenti per l'espatrio, anche di trovare una ragazzina di bella presenza, così arriverete insieme”, aggiungendo di aver anticipato il denaro per il viaggio che si sarebbe fatto restituire dalla testa di questa ragazza” e ricevendo come risposta dall'interlocutore un eloquente Io ho già in mente alcune ragazze”. Era quindi seguita - hanno evidenziato sempre i giudici aquilani - la telefonata numero 1879 del 13.2.09 con la quale il medesimo interlocutore nigeriano aveva contattato E. ” per comunicarle che il visto per F. è fatto” e quindi E. aveva contattato la madre di F. e le due donne avevano parlato della urgenza che la ragazza praticasse il rito voodoo, mentre da ulteriori conversazioni telefoniche si era appreso dell'arrivo in Italia della F. e del trasferimento in Nigeria, tramite l'esercizio commerciale Africa shop” di Martinsicuro, delle somme di denaro versate dalla giovane. Quanto fin qui evidenziato non può che valere anche con riferimento al terzo motivo di ricorso, con il quale si contesta come i giudici siano giunti ad attribuire ad O. anche reati ulteriori rispetto all'attività di controllo da lui svolta lungo la strada Bonifica, mentre, in relazione al quarto motivo di gravame, concernente la doglianza per la condanna al pagamento della provvisionale, valgono le considerazioni in precedenza svolte sul punto. Infondato è, infine, il ricorso di M.M. alias, XXXXXXX , il quale con il primo motivo deduce la inconfigurabilità a suo carico dei reati contestatigli essendosi limitato, per quanto concerne i capi 7,8 e 9 di imputazione, ad accompagnare O.M. presso l'abitazione di E. ” in Martinsicuro, mentre con riferimento alle parti lese B. e B. capi 50, 51 e 52 , la Corte si era limitata a richiamare alcune intercettazioni telefoniche che non offrivano - elementi per attribuirgli anche il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Senonchè, come poco sopra rilevato, i giudici di appello hanno evidenziato, con riferimento al M. , come il recupero” di O.M. dal c.t.p. di Ponte Galeria ed il suo trasferimento in Martinsicuro, presso l'abitazione delle due E. , sia stato possibile solo grazie all'intervento di XXXXXXX che, dopo aver preso accordi con l'O. , aveva condotto a destinazione la ragazza la quale - hanno ancora evidenziato i giudici aquilani - aveva poi contattato telefonicamente XXXXXXX lamentandosi del cattivo trattamento cui era sottoposta dalla madam” e preannunciandogli che le stesse lo avrebbero chiamato ritenendolo responsabile per il mancato lavoro di O. essendo stato lui a condurla lì. Dalle intercettazioni telefoniche, segnatamente dalle telefonate intercorse il 27.3.09 numero 35 e il 28.3.09 numero 261 - hanno non certo illogicamente rilevato i giudici territoriali - era poi emersa la responsabilità dell'imputato anche per i reati ascrittigli in danno di B. e B. , ragazze che il M. è risultato aver gestito” tanto da lamentarsi con la seconda per non averla vista sul luogo di lavoro”, facendo poi riferimento anche alla B. che indossava i pantaloni mentre agli italiani piacciono le gonne” ed esortando infine la B. a guadagnare sempre di più. Particolarmente significativa, per la conferma anche del rapporto di mutualità tra le cellule - hanno del tutto correttamente evidenziato da ultimo i giudici aquilani - era risultata la seconda telefonata, nel corso della quale M. aveva parlato con la madre di B. dicendole che la persona a cui aveva venduto la ragazza si era lamentata perché B. era fuggita ed aveva aggiunto Quando la senti dille che deve portare i soldi alla sua madam ogni mese basta che paga il suo debito, ecco perché quando prendiamo le donne preferiamo prendere quelle che hanno già dei figli, non siamo stupidi, lo facciamo perché se poi si comportano male sappiamo con chi prendercela”. Il secondo motivo è generico nella sua doglianza per il trattamento sanzionatorio davvero troppo severo, mentre il terzo, relativo alla condanna al pagamento della provvisionale, è manifestamente infondato per le ragioni esposte in precedenza e che vanno integralmente richiamate. Al rigetto dei ricorsi di O.A. , U.T.O. , E.E.K.E. , O.K. e M.M. segue la condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.E.G. limitatamente alle aggravanti del reato associativo di cui al capo 1 , nonché ai reati di cui ai capi 3 , 5 , 14 , 20 , 23 , 27 e 48 , limitatamente alle ritenute aggravanti e alla ritenuta sussistenza della induzione alla prostituzione e dello sfruttamento della medesima, con rinvio alla Corte di assise di appello di Perugia per nuovo esame sui punti anzidetti. Dichiara inammissibili i ricorsi di O.O.P.G. , A.E. , A.K. , E.I. e E.E. e condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Rigetta i ricorsi di O.A. , U.T.O. , E.E.K.E. , O.K. e M.M. e condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali.