Assolto con formula piena, ma frequenta malavitosi: colpa lieve e riduzione dell’indennizzo

Il giudice della riparazione non può decidere in ordine alla colpa grave sulla base di dati congetturali, privi di prova della loro ontologica esistenza e del nesso eziologico tra la condotta e l’idoneità della stessa a porsi come elemento causale dello stato di restrizione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48545, depositata il 4 dicembre 2013. Il caso. Un palleggio tra uffici giudiziari è ciò che si verificava riguardo alla richiesta di indennizzo per l’ingiusta detenzione di un soggetto che aveva dato avvio all’istanza davanti alla Corte d’appello competente ratione loci . Imputato per associazione per delinquere di tipo mafioso, l’uomo era stato assolto con formula pienamente liberatoria, motivo per cui proponeva istanza di riparazione per la detenzione cautelare subita. L’attuale ricorso costituisce il terzo accesso alla Corte di legittimità effettuato dal ricorrente che, una priva volta, investiva la Cassazione per annullare con rinvio l’ordinanza della Corte d’appello un secondo accesso si aveva a seguito del rigetto della domanda da parte della Corte d’appello investita del nuovo esame e che determinava annullamento con nuovo rinvio, cui seguiva l’accoglimento della domanda formulata e la condanna della P.A. al pagamento della somma di oltre 168.000,00 euro. Ad adire, per la terza volta, la Cassazione è il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Idoneità della condotta a ingenerare errore nel giudice che emise il provvedimento restrittivo. Il giudice adito per l’indennizzo deve valutare se chi ha patito la detenzione ingiusta vi abbia dato corso o vi abbia concorso con dolo o colpa grave. Per svolgere tali valutazioni si impone l’analisi di tutti gli elementi disponibili e, in particolare, se vi siano condotte segnatamente negligenti, imprudenti o che vi sia violazione di leggi o regolamenti. Colpa grave della detenzione è quella che consiste nella macroscopia, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza e che realizza una situazione non voluta ma prevedibile e che determina l’intervento dell’autorità giudiziaria nel senso di emissione di un provvedimento cautelare o comunque restrittivo della libertà. Nell’autonomia che caratterizza la decisione della Corte adita per la riparazione, si deve valutare se le condotte costituiscano fattore condizionante alla produzione della detenzione, perché la colpa grave costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo. non sussiste nel caso di specie La Corte d’appello aveva escluso che i due accertati episodi di frequentazione del ricorrente con parenti appartenenti alla malavita o la latitanza seguita al provvedimento in cui si disponeva la restrizione della libertà personale potessero integrare la colpa grave. La decisione assunta dai giudici di merito non appare alla Cassazione manifestamente illogica, in quanto il dolo o la colpa grave – che escludono l’indennizzo – sono da riscontrare in quei comportamenti specifici che abbiano dato causa” o concorso a dare causa” al provvedimento limitativo della libertà tale indagine va compiuta anche rispetto al nesso eziologico tra tali condotte e il provvedimento. ma la colpa lieve sì! L’esclusione della sussistenza di colpa grave non fa venir meno la possibilità che le condotte del richiedente possano qualificarsi nell’ambito della colpa lieve, riscontro che, come noto, determina una riduzione dell’indennizzo, senza escluderlo tout court . La Corte di merito non aveva compiuto un accertamento rispetto al rimprovero delle condotte sotto lo specifico profilo della loro addebitabilità a titolo di colpa lieve e, conseguentemente, non ne aveva quantificato l’incidenza riduttiva sull’ammontare standard di indennizzo determinato sulla mera base del calcolo aritmetico. Condotte non decisive ma significative. Era stato accertato che il ricorrente intratteneva rapporti con soggetti malavitosi, in quanto era accolto all’interno di auto blindate detenute da soggetti riconducibili alla criminalità organizzata situazione emblematica della connivenza, in forza dell’apparente rapporto fiduciario . Inoltre, all’interessato era stata applicata una misura di prevenzione, paradigma del positivo accertamento di una complessiva condotta connivente con determinati ambienti. Pur non sconfessando la pronuncia assolutoria di merito o di essere stata causa decisiva colpa grave , non può revocarsi in dubbio che tali condotte, frutto di atteggiamento colpevole di minore intensità, avevano contribuito all’emissione del provvedimento restrittivo. Taxatio sul quantum debeatur. L’effetto del riconoscimento della colpa lieve determina la necessità di applicare i principi generali in materia di responsabilità civile e, dunque, impone un congruo ridimensionamento dell’indennizzo in favore dell’interessato. Pregiudizio minore per il pregiudicato. Pur dando atto di un orientamento di legittimità di segno contrario, secondo cui la sofferenza della detenzione non può essere quantificata, in minus , a seconda del soggetto che la sopporta Cass. n. 17404/2011 anche perché altrimenti costituirebbe fattore di disuguaglianza tra cittadini Cass. n. 9713/2010 contrasto che varrebbe un intervento risolutivo delle Sezioni Unite , la Cassazione aderisce all’opposto orientamento secondo cui è legittima la riduzione dell’indennizzo dovuto nei confronti del soggetto pregiudicato. La Corte adduce che vi sarebbe una minore afflittività della privazione della libertà personale sia riguardo al danno all’immagine sociale già compromessa, sia riguardo alla dimestichezza con l’ambiente carcerario che renderebbe meno traumatica l’ingiusta privazione della libertà personale, dovuta ad una sorta di assuefazione” con il regime restrittivo. Nel caso di specie, però, la Suprema Corte ritiene che manchi la prova dei precedenti giudiziari invocati dalla difesa erariale e, quindi, la prova che l’interessato avesse già sperimentato la restrizione in carcere prima di essere gravato dalla misura cautelare oggetto del contendere.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 settembre - 4 dicembre 2013, n. 48545 Presidente Sirena – Relatore Grasso Fatto e diritto 1. Con ordinanza del 3/7/2006 la Corte d'appello di Reggio Calabria condannò il Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento in favore di B.L.A. della somma di Euro 144.000,00 a titolo di riparazione per la detenzione subita dal 13/12/1999 al 9/6/2000 e dal 21/12/2000 al 5/6/2002, nell'ambito del procedimento penale che lo aveva visto imputato del delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso, accusa dalla quale era stato poi assolto dalla Corte d'assise d'appello con formula pienamente liberatoria. La Corte suprema di cassazione, Sez. IV, adita dal Ministero e dal B. , con sentenza n. 23910 del 9/4/2008, in accoglimento del ricorso del Ministero, assorbito quello del B. , annullò la predetta ordinanza, rinviando per nuovo esame alla medesima Corte territoriale. Con ordinanza del 12/1/2010 la Corte d'appello reggina rigettò la domanda del B. . La Corte suprema di cassazione, Sez. III, accogliendo il ricorso del B. , con sentenza n. 43686 del 10/11/2011, annullò quest'ultima statuizione di merito, rinviando per nuovo esame sempre alla medesima corte locale. Quest'ultima, con deliberazione del 4/5/2012, accogliendo la domanda del richiedente, condannò la P.A. al pagamento della complessiva somma di Euro 168,139,66. Avverso la determinazione di cui immediatamente sopra insorge mediante nuovo ricorso per cassazione il Ministero dell'Economia e delle Finanze, articolando quattro motivi di doglianza. Il difensore del B. replica con memoria pervenuta il 3/9/2013, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. 2. Con il primo motivo viene denunziata mancanza di motivazione e, comunque, grave vizio motivazionale in questa sede rilevabile. Assume la Difesa erariale che la Corte territoriale aveva malamente rivisitato la vicenda a séguito della sentenza di legittimità che aveva annullato la precedente ordinanza di rigetto dell'istanza. Sussisteva il nesso di casualità tra le condotte dell'istante e l'adozione della misura cautelare, sul quale la Cassazione aveva imposto nuovo esame, per le seguenti ragioni a le accertate frequentazioni con soggetti malavitosi erano tre e non due b non era vero che erano distanziate da sei anni l'una dall'altra c oltre che con congiunti erano intercorse anche con estranei collegati al mondo della criminalità organizzata e trovavano espressa menzione nell'ordinanza custodiale d la lunga latitanza corroborava, infine, l'assunto. Inoltre, se era pur vero che la misura di prevenzione era stata assunta dopo l'applicazione della misura cautelare ciò non incrinava il collegamento causale, stante che era stata adottata con riferimento agli stessi fatti oggetto del processo penale Ciò implica l'esistenza di elementi sufficienti a sostenere il non revocato giudicato di prevenzione, e ciò nonostante l'insufficienza di quelli richiesti per il giudizio penale ”. 2.1. Con il secondo motivo vien dedotta mancata assunzione di una prova decisiva, avendo la Difesa dello Stato richiesto vanamente, con memoria del 22/2/2012 che venissero acquisiti gli atti del procedimento penale e quelli del procedimento di prevenzione ”. L'accoglimento dell'istanza, secondo il ricorrente, avrebbe consentito di acquisire ulteriori elementi in ordine alle frequentazioni e comunque alle condotte che avevano determinato l'adozione delle misure cautelari e di prevenzione ”. 2.2. Con il terzo motivo vien dedotto vizio motivazionale in relazione all'entità dell'indennizzo. Chiarisce l'impugnante che la Corte di merito mediante motivazione sbrigativa e solo apparente aveva escluso l'incidenza di condotte, le quali pur non inquadrabili nella categoria della colpa grave, tuttavia erano tali da incidere, in quanto sempre e comunque frutto di atteggiamento colpevole di minore intensità, sulla taxatio sul quantum debeatur , dovendosi applicare i principi generali in materia di responsabilità civile artt. 1227 e 2056, cod. civ. . Invero, la Corte di legittimità con la pronuncia di annullamento dell'ordinanza reiettiva non aveva statuito sul punto, limitandosi a rilevare l'inadeguatezza motivazionale in ordine al nesso di causalità. L'indennizzo, erogato nella misura standard, calcolata assegnando Euro. 235,82 per ognuno dei 713 giorni di detenzione subiti Cass., S.U., n. 24287 del 9/5/2001 , avrebbe dovuto essere congruamente ridimensionato tenendo conto proprio di quelle stesse circostanze che erano state giudicate non integranti la colpa grave, ben potendo costituire ipotesi di colpa lieve. 2.3. Con l'ultimo motivo, collegato al precedente, viene dedotto il medesimo vizio di legittimità, perché il giudice del merito non aveva tenuto conto dei precedenti giudiziari del B. e della circostanza che il medesima era stato fatto oggetto di misura di prevenzione antimafia, mai revocata o annullata, proprio a cagione delle sue frequentazioni e del suo inserimento in famiglie e contesti a spiccata vocazione mafiosa. Ne derivava che, per massima di comune esperienza, che il pregiudizio patito doveva ritenersi ben minore rispetto a soggetto incensurato e del tutto estraneo ad ambienti delinquenziali. 2.4. In data 3/9/2013 perveniva memoria difensiva con la quale B. insisteva per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso. 3. Il ricorso è solo in parte fondato. 3.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l'ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. È quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell'illecita detenzione di stupefacente. 3.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, affermando di aderire alle indicazioni di cui alla sentenza di legittimità del 10/11/2011, ha escluso che i due episodi accertati di frequentazione con parenti malavitosi, distanziati di oltre sei anni nel tempo, non potevano integrare la colpa grave prevista dall'art. 314, cod. proc. pen. Né potevasi tener conto, allo stesso fine della latitanza. Infine, si è argomentato che la misura di prevenzione, oltre ad essere stata applicata in epoca successiva, risultava fondata sui medesimi elementi posto a base dell'ordinanza di custodia cautelare. 3.3. Alla stregua di tale contenuto del testo del provvedimento impugnato, il divisamento espresso dai giudici del merito in ordine alla ritenuta insussistenza di una colpa grave dell'istante non si appalesa come manifestamente illogico. Giova al riguardo rilevare e ricordare che, premesso che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l'indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano dato causa o abbiano concorso a darvi causa all'instaurazione dello stato privativo della libertà - sicché è, tra l'altro, ineludibile l'accertamento del rapporto causale, eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà personale - ad escludere il diritto in questione è pur sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga al suo conclusivo divisamento in base a dati di fatto certi, cioè ad elementi accertati o non negati Cass., Sez. Un. n. 43/1996 cit. tale valutazione, quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo venne adottato. Inoltre, la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, autonomo, rispetto a quello del giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all'imputato il primo, invece, deve valutare non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si posero come fattore condizionante anche nel concorso dell'altrui errore alla produzione dell'evento detenzione Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell'altro spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l'ausilio dei criteri propri all'azione esercitata dalla parte Cass., Sez. Un., 13 dicembre 1995, n. 43/1996 . A tali principi mostra di non essersi discostato il provvedimento impugnato, con considerazioni valutative del tutto avulse da vizio alcuno di illogicità manifesta. E quanto a tale vizio, deducibile in sede di legittimità ai sensi del precitato art. 606, 1 comma, lett. e , c.p.p., pure giova ricordare che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice del merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, giacché esula dai poteri della Corte medesima quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. Un., 30.4.1997, n. 6402, Rv. 207944 Sez. Un., 24.11.1999, n. 24, Rv. 214794 in termini sostanzialmente identici, ancorché con riferimento alla materia cautelare, Sez. Un., 19.6.1996, n. 16, Rv. 205621 e non dissimilmente, Sez. Un., 27.9.1995, n. 30, Rv. 202903 Sez. Un., 25.10.1994, n. 19, Rv. 199321 e, con riguardo al giudizio, Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996, Rv. 203428 Sez. Un., 31.5.2000, n. 12, Rv. 216260 . Inoltre, l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606.1, lett. e , c.p.p., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289, Rv. 226074 Sez. Un., 24.11.1999, n. 24, Rv. 214794 . Ed in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996 id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12 . Infine, poiché il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'art. 606.1, lett. e , c.p.p. dall'art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 - da altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame , tanto comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che Viter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché munite in tesi di eguale crisma di logicità cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30 . Alla stregua di tali principi, il motivo di ricorso sul punto si sostanzia, al postutto, in una inammissibile prospettazione in sede di legittimità di un diverso apprezzamento di merito, a fronte di una motivazione congrua e logica, la quale ha valorizzato la circostanza che i registrati contatti potevano trovare giustificazione nel rapporto di parentela Cass., III, n. 363/08 del 30/11/2007, Rv. 238782 , oltre ad apparire ininfluenti, per la loro sporadicità e lontananza nel tempo, sulla decisione giudiziaria emessa in sede cautelare. Dovendosi, inoltre, ribadire che la decisione dell'imputato di sottrarsi alla cattura e di darsi alla latitanza non costituisce di per sé elemento per l'individuazione della colpa grave di cui all'art. 314 comma primo cod. proc. pen., sia perché non può negarsi a chi sia colpito ingiustamente da una misura restrittiva il diritto di sottrarvisi, sia perché trattasi di condotta comunque successiva all'emissione della misura Cass., Sez. IV, n. 42746 del 6/11/2007, Rv 238306 . Né, anche ad ammettere la sussistenza di un ulteriore contatto, meramente enunciato in ricorso, risalente al 1995, il quadro muterebbe, non trattandosi di circostanza che appaia decisiva, non presa in considerazione. 4. Palesemente inammissibile è da qualificare il secondo motivo. Il ricorrente asserisce che gli atti del procedimento penale e di quello di sorveglianza avrebbe consentito di scrutinare ulteriori condotte qui rilevanti, ma non specifica a quali specifiche circostanze intenda far riferimento, con la conseguenza che la doglianza si appalesa del tutto generica e priva di autosufficienza. 5. Il terzo motivo deve essere accolto. Questa Corte suprema ha più volte ribadito che, se la colpa grave costituisce causa ostativa al riconoscimento dell'indennizzo, tanto non toglie che il giudice possa valutare eventuali condotte dell'istante che siano caratterizzate da colpa lieve nella determinazione dello stato detentivo, al fine di ridurre per tale causa la entità dell'indennizzo dovuto ex ceteris , Sez. IV, 20.5.2008, n. 27529 . È fondamentale la differenza tra colpa grave che esclude il diritto all'indennizzo e colpa lieve che determina solo una riduzione dello stesso . Come si è già sopra richiamato, la colpa grave, la cui nozione va ricavata dall'art. 43 c.p., consiste nel porre in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell'autorità giudiziaria con l'adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà Sez. Un., 13.12.1995, n. 43/1996 e, per escludere il diritto all'indennizzo, essa deve essere grave , come vuole la norma, connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc ibid . Al di fuori di tali pregnanti e specifiche connotazioni, nulla esclude che una stessa circostanza possa essere assunta e valutata non come colpa grave, ma solo come colpa lieve, come tale incidente solo sulla determinazione dell'indennizzo dovuto. Quanto alla ritenuta sussistenza di tale colpa lieve, devono poi richiamarsi i limiti del controllo di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato, sopra di già evocati. Nella specie, l'assunto argomentativo dei giudici del merito presta il fianco alla proposta specifica censura. Con la prima ordinanza del 3/7/2006 la Corte di merito aveva ridotto, peraltro assai modestamente, l'ammontare dell'indennizzo, calcolato secondo il parametro esclusivamente aritmetico, valorizzando la circostanza che il soggetto fosse stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di anni tre. Con l'ordinanza oggi impugnata la Corte territoriale considerando la misura di prevenzione irrilevante, in quanto il relativo giudizio di pericolosità risultava essere stato formulato in epoca successiva all'irrogazione della misura che aveva dato luogo all'ingiusta detenzione, esclusa ogni riduzione, rifacendosi tout court al criterio aritmetico, ha determinato in Euro 168.139,66 la misura dell'indennizzo. Il percorso motivazionale appare illogico e, ad un tempo, incompiuto. I giudici del merito, invero, avendo la piena disponibilità della materia, avrebbero dovuto accertare se le condotte addebitate al B. che in un primo tempo avevano portato al rigetto della domanda gli fossero comunque rimproverabili, in relazione al nesso di causalità qui in rilievo l'emissione della misura cautelare a titolo di colpa lieve e, in caso affermativo, quantificarne l'incidenza riduttiva sull'ammontare nummario, senza vincolo in relazione alla prima statuizione di merito, successivamente annullata. In particolare, quella Corte di merito ha omesso di valutare, a tal fine, la complessiva vischiosità dei rapporti, pur sporadicamente riscontrati, tenuti dall'interessato l'accoglienza all'interno di autovetture blindate possedute da soggetti inseriti in contesti di criminalità organizzata, la quale implica per lo meno apparente condivisione e reciproco rapporto fiduciario, da valutarsi quale significativa connivenza la stessa lunga latitanza oltre due anni , se in sé può non costituire elemento sufficiente ad integrare la colpa grave, per quel che prima si è detto, unitamente alle altre emergenze, ben può assurgere ad indice di estrinsecazioni comportamentali tali da aver contribuito, sia pure non decisivamente, all'emissione del provvedimento restrittivo, sconfessato poi dalla statuizione di merito. L'applicazione, poi, della severa misura di prevenzione, pur non influendo sul giudizio di esclusione della colpa grave come s'è visto adeguatamente motivato , incarna paradigma emblematico di positivo riscontro di una complessiva condotta connivente il che, se, per un verso, non consente di mettere in discussione il giudizio di assoluzione nel merito, qui ovviamente insindacabile, per altro verso, pone in qualificata luce i comportamenti che rimandano a legami e contiguità significative. 6. L'ultimo motivo non coglie nel segno. Questa corte, nonostante si registri il sopravvenire di una contraria opinione Cass., Sez. III, n. 17404 del 20/1/2011, Rv 25029 , resta dell'avviso che è legittima la riduzione, sulla somma giornaliera computata come frazione aritmetica di quella massima liquidabile per legge, dell'indennizzo dovuto a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione a soggetto pregiudicato, data, per esso, la minore afflittività della privazione della libertà personale, riconducibile sia al minore discredito che l'evento comporta per una persona la cui immagine sociale è già compromessa, sia al fatto che la sua dimestichezza con l'ambiente carcerario rende meno traumatica l'ingiusta privazione della libertà Cass., Sez. IV, n. 34673 del 22/6/2010, Rv 248083 . Nel caso in esame, tuttavia, non consta essere stato neppure allegato che il B. , segnato da precedenti giudiziari ”, secondo l'assunto impugnatorio, abbia già sperimentato restrizione carceraria prima di essere stato sottoposto alla misura cautelare di cui qui si discorre né, ovviamente, a tal fine assume rilievo la misura di prevenzione successivamente applicata. 7. Tenuto conto di quanto fin qui esposto il provvedimento gravato deve essere annullato, con rinvio alla medesima Corte di merito perché, fermo restando il diritto all'indennizzo, nella quantificazione di questo tenga conto delle enunciazioni di cui al p.5. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla misura della somma liquidata, con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria.