Il Giudice interrompe l’esame testimoniale ritenendo configurato il reato di falsa testimonianza: si tratta di indebita manifestazione del proprio convincimento?

Le dichiarazioni indizianti che consentono – ex art. 63 comma I c.p.p. – di interrompere l’escussione testimoniale sono, solo ed esclusivamente, quelle da cui poter ricavare la possibile penale responsabilità del teste stesso, e non quelle attraverso le quali il soggetto potenzialmente integri il reato di calunnia, falsa testimonianza od altro.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 47556 del 29 novembre 2013. Il caso. La Corte di Appello di Palermo accoglieva, con ordinanza, l’istanza di ricusazione del Giudice dell’Udienza Preliminare avanzata dall’imputata A.M.G. sulla scorta della circostanza che il Giudicante di prime cure aveva, nel corso di un esame testimoniale, indebitamente manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto di imputazione. In particolare, il GUP, durante l’escussione di un teste, lo aveva interrotto e, ritenendo false le sue affermazioni, non ne aveva consentito il controesame alla difesa. Secondo la Corte territoriale la condotta posta in essere dal Giudice, oltre ad essere irrituale, era chiaramente lesiva del principio del giusto processo, in quanto le dichiarazioni indizianti che consentono – ex art. 63 comma I c.p.p. – di interrompere l’escussione testimoniale sono solo ed esclusivamente quelle da cui poter ricavare la possibile penale responsabilità del teste stesso, e non quelle attraverso le quali il soggetto potenzialmente integri il reato di calunnia, falsa testimonianza od altro. Donde, il GUP, avendo interrotto l’esame sulla scorta della ritenuta configurabilità, nel caso specifico, dell’ipotesi delittuosa della falsa testimonianza a carico del teste, ha pacificamente anticipato la propria valutazione sul merito del processo, dando per acclarato che le successive dichiarazioni del testimone avrebbero costituito falsa testimonianza. Avverso tale ordinanza ricorreva per Cassazione il Procuratore Generale di Palermo, osservando come il Giudice ricusato si fosse semplicemente limitato a rinviare la prosecuzione dell’esame testimoniale ad altra data al precipuo fine di riconoscergli le garanzie ex art. 63 c.p.p. . La legittimità della ricusazione. Con riferimento alla questione processuale precipuamente afferente l’avvenuta ricusazione del GUP, il Supremo Collegio – confermando in toto la decisione della Corte di Appello – rileva semplicemente come la disposta revoca delle prova testimoniale sia stata determinata da una indebita valutazione da parte del Giudice, il quale ha – ex ante – ritenuto inattendibile il teste. In effetti, dalla disamina del verbale di udienza emerge, ictu oculi , come il Giudice dell’Udienza Preliminare non abbia affatto – come, invece, asserito dal ricorrente – meramente rinviato ad altra udienza la prosecuzione dell’esame in modo da riconoscere le garanzie di legge al teste ma, al contrario, abbia interrotto definitivamente l’assunzione della prova, ritenendo false le dichiarazioni del dichiarante. E da tale valutazione aprioristica si ricava, appunto, la legittimità dell’avvenuta ricusazione, avendo il Giudice espresso indebitamente il proprio convincimento sul merito della vicenda processuale. La trattazione dell’udienza con forme diverse da quelle previste. Fermo restando tutto quanto sopra, la Sesta Sezione della Corte di legittimità, con la pronuncia de qua , si sofferma, inoltre, su un ulteriore profilo processuale emerso a seguito della richiesta del Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di rinviare l’udienza al fine di disporre la trattazione della stessa con le forme di cui all’art. 611 c.p.p. . In particolare, l’art. 41 c.p.p. prevede che, nel caso in cui la Corte Territoriale ritenga ammissibile l’istanza di ricusazione, la relativa decisione di merito vada adottata con le forme dell’udienza camerale ex art. 127 c.p.p. tuttavia, è anche vero, precisa il Supremo Consesso, che sussiste un vuoto normativo con riferimento alle modalità di svolgimento del successivo grado di giudizio in Cassazione donde, in mancanza di differente disciplina, lo stesso andrà trattato con le medesime forme dell’art. 127 c.p.p Ciò premesso, la Corte Regolatrice rileva che, effettivamente, l’udienza per la trattazione del ricorso de quo era stata, a contrario , fissata con le forme del rito pubblico. Tuttavia, chiarisce la Suprema Corte, nonostante l’errore formale in questione, non ricorre alcuna ipotesi di nullità infatti, in tutte le ipotesi simili, caratterizzate da una trattazione dell’udienza in forma diversa rispetto a quella normativamente prevista, è disposta una ripetizione delle attività processuali solo ed esclusivamente allorquando i diritti delle parti ed il principio del contraddittorio non siano stati rispettati. In caso contrario, in ossequio al principio di economicità dei mezzi processuali, varrà la regola della salvezza degli atti compiuti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 ottobre - 29 novembre 2013, n. 47556 Presidente Milo – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Palermo con ordinanza del 10 luglio 2013 accoglieva l'istanza di ricusazione proposta dall'imputata A.M.G. nei confronti del gup del Tribunale di Palermo Lorenzo Matassa che, nel corso dell'audizione di un teste, aveva manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione interrompendo la audizione di una testimone ritenendo la falsità delle dichiarazioni che costei stava rendendo, non consentendo il controesame da parte della difesa. 2. Secondo la Corte La scelta del giudice di interrompere la disposta audizione della teste L. è stata irrituale e lesiva dei principi del giusto processo poiché le dichiarazioni indizianti che, ai sensi dell'art. 63 comma 1 cod. proc. pen., consentono di interrompere la audizione del testimone sono soltanto quelle rese da un soggetto che nel corso di una testimonianza riferisca circostanze indicative della sua possibile responsabilità penale, non invece quelle con le quali il soggetto realizzi il reato di calunnia od altri reati. Quindi il giudice procedente nell'interrompere l'esame ritenendo configurabile la falsa testimonianza, aveva anticipato una valutazione sul merito della res iudicanda dando per scontato che le successive dichiarazioni della testimone avrebbero costituito reato di falsa testimonianza. A sostegno di tale tesi richiama la giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha affermato che costituisce motivo di indebita anticipazione del giudizio la trasmissione al pubblico ministero dei verbali di dichiarazioni di testimoni ritenendole false prima della conclusione del dibattimento. 3. In conclusione, la regola affermata dalla Corte di Appello è che la condotta di indebita interruzione dell'audizione del testimone disposta dal giudice senza consentire il pieno contraddittorio e l'esercizio delle attività della difesa, motivando tale interruzione sul presupposto che il teste possa subire la incriminazione per falsa testimonianza, costituisce la causa di ricusazione di cui all'articolo 37 primo comma lettera b cod. proc. pen 4. Propone ricorso avverso tale ordinanza il procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo osservando che, nel caso di specie, il giudice ha semplicemente rimandato l'esame del teste ad altra udienza per riconoscergli le garanzie difensive di cui all'articolo 63 cod. proc. pen Osserva, inoltre, che comunque non ricorre l'ipotesi di indebita anticipazione del convincimento sull'oggetto del processo non essendo tale una qualsiasi valutazione compiuta nel corso del procedimento. La condizione che comporta la sussistenza di ricusazione è il prendere posizione al di fuori della sede processuale ed al di fuori dei compiti e dei ruoli propri del giudice, in assenza, cioè, di qualsiasi necessità funzionale e di collegamento con l'esercizio delle funzioni. 5. Con propria memoria il difensore di A. svolge argomenti a sostegno della infondatezza del ricorso e per la conferma il provvedimento impugnato. Considerato in diritto 6. Va valutata innanzitutto la richiesta del Procuratore Generale che, rilevando la erroneità della trattazione del presente procedimento in forma di udienza camerale partecipata, chiede il rinvio del procedimento per la trattazione in forma scritta. 7. Il procedimento, avente ad oggetto un ricorso avverso la decisione di merito della Corte di Appello in materia di ricusazione, doveva essere effettivamente trattato nelle forme ordinarie di cui all'articolo 611 cod. proc. pen 8. Difatti, ai sensi dell'art. 41 1 comma cod. proc. pen. La corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 611 , nel caso in cui la Corte di Appello abbia pronunciato la inammissibilità della richiesta di ricusazione. 9. Lo stesso art. 41 cod. proc. pen. prevede poi che, ritenuta ammissibile la richiesta, la decisione in merito sulla ricusazione vada adottata dalla Corte di Appello in udienza camerale a norma dell'articolo 127 cod. proc. pen. per tale caso non vi è alcuna previsione specifica della modalità di svolgimento del giudizio in cassazione che, pertanto, non può che essere svolto secondo la disciplina ordinaria di cui all'art. 127 cod. proc. pen. per cui Il ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide nel merito sulla ricusazione, va trattato, in difetto di diversa previsione, con il rito camerale non partecipato stabilito in via generale davanti alla Suprema Corte dall'art. 611 c.p.p. Sez. 6, n. 3853 del 24/11/1999 - dep. 20/12/1999, Papalia ed altri, Rv. 216836 . 10. Essendo però stata disposta nel presente procedimento, ancorché erroneamente, la trattazione in udienza con la partecipazione delle parti, presenti all'odierna udienza, rileva il collegio che, non ricorrendo ragioni di nullità ed in applicazione di un principio di economicità dei mezzi processuali, correttamente si debba procedere a trattazione nella forma dell'udienza camerale partecipata attesa la possibilità di utile decisione immediata. 11. La premessa fondamentale è, anzitutto, che la funzione della udienza non partecipata rispetto a quella partecipata non attiene a diritti delle parti o loro interessi rilevanti ma è semplicemente legata ad esigenze di snellezza della trattazione dei procedimenti. Unica funzione di un procedimento non partecipato è una trattazione con minor dispendio di energie e più rapida sotto entrambi i profili, una volta fissata udienza camerale partecipata e giuntisi in condizioni di regolare partecipazione delle parti all'udienza stessa, il rinvio per la trattazione in diversa forma non corrisponderebbe al raggiungimento né dell'una né dell'altra esigenza che giustificava la trattazione semplificata. 12. Tale valutazione trova varie conferme 13. Innanzitutto è palese che non si è in presenza di alcuna delle ragioni di nullità di cui all'articolo 178 cod. proc. pen 13.1. Non ricorre alcuna ipotesi di nullità relativa e, comunque, anche in tal caso soccorrerebbero le regole di cui all'articolo 182 cod. proc. pen. quanto alla necessità di un interesse all'osservanza della disposizione violata . Tale interesse sicuramente manca poiché deve trattarsi di un interesse processuale e non relativo a diversi profili non rilevanti in tale sede processuale. Nel caso della parte pubblica nel presente procedimento, tale interesse non può essere relativo alla ripartizione degli affari all'interno dell'ufficio di Procura trattandosi di questione non di immediato rilievo processuale mentre nessun limite trova il regolare esercizio della funzione processuale della parte pubblica anzi, esaltata dalla oralità del procedimento che è ritenuta nel sistema processuale la forma più favorevole di trattazione per le parti, fermo restante il loro pieno diritto di produrre comunque memorie equivalenti alla requisitoria scritta né la lesione può ritenersi nel fatto che la controparte abbia la possibilità di una più ampia difesa orale. 14. Va poi notato che in varie situazioni simili, in cui il procedimento venga trattato in modo diverso rispetto alla specifica previsione normativa, non è previsto, in evidente applicazione di un principio di economicità dei mezzi processuali, una ripetizione della attività processuali laddove la forma di trattazione sia stata di adeguata tutela del contraddittorio e dei diritti delle parti 14.1. tale è la interpretazione per l’ipotesi in cui si proceda nella forma del rinvio a giudizio a seguito da udienza preliminare anziché nella forma indubbiamente semplificata della citazione diretta a giudizio Non è abnorme il provvedimento del g.i.p. con il quale, derubricata l'imputazione in una fattispecie per la quale l'azione avrebbe dovuto esercitarsi mediante citazione diretta a giudizio, è disposto il rinvio a giudizio in luogo dell'ordinanza di trasmissione degli atti al P.M. ai sensi dell'art. 33 sexies cod. proc. pen. Sez. 6, n. 2534 del 13/11/2003 - dep. 24/01/2004, P.M. in proc. Bukvic, Rv. 228280 . Non è nulla la sentenza pronunciata in procedimento nel quale l'azione penale sia stata esercitata mediante richiesta di rinvio a giudizio, con successiva celebrazione dell'udienza preliminare, in ordine a reato nella specie art. 624-bis c.p. per il quale avrebbe dovuto procedersi con citazione diretta a giudizio. La Corte ha anche escluso che il G.u.p. abbia l'obbligo di disporre la restituzione degli atti al P.M., poiché in tal modo si determinerebbe una indebita regressione del procedimento . Sez. 4, n. 36881 del 22/05/2009 - dep. 22/09/2009, Nasufi, Rv. 244983 . 14.2. Una tale regola di salvezza degli atti compiuti vale non solo laddove la trattazione sia stata effettuata nella forma più garantita della udienza preliminare, ma anche laddove il giudice collegiale abbia trattato processi di competenza del giudice monocratico in tal senso è la interpretazione letterale della disposizione di cui all'articolo 33 octies 2 comma cpp. L'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale, quando consista nell'intervento del giudice collegiale in luogo di quello monocratico cui la legge avrebbe attribuito la cognizione del giudizio, non legittima l'annullamento della sentenza di primo grado, da parte della corte di appello, neppure se sia stata tempestivamente eccepita e se l'eccezione risulti riproposta con i motivi di impugnazione. Anche in questo caso, infatti, opera la regola posta al comma secondo dell'art. 33-octies cod. proc. pen., secondo cui il giudice di appello pronuncia nel merito quand'anche riconosca che il reato avrebbe dovuto essere oggetto di cognizione da parte del giudice monocratico. In motivazione la Corte ha osservato che la legge consente alla parte interessata di far valere l'inosservanza, comunque, attraverso il ricorso immediato per cassazione ex art. 569 cod. proc. pen., cui può conseguire l'annullamento della sentenza del tribunale a mente del comma primo dell'art. 33-octies del codice di rito . Sez. 6, n. 7179 del 28/10/2003 - dep. 19/02/2004, Natale, Rv. 228230 . 14.3. Inoltre, proprio in riferimento all'articolo 611 cod. proc. pen., si è affermato, ancorché in situazione non del tutto simile, che non vi è ragione di rinvio per trattazione in altra forma laddove sia possibile la trattazione immediata nel rispetto dei legittimi interessi delle parti Allorquando in cassazione, adottato erroneamente il rito camerale, venga poi rilevata una differente ragione che giustifichi quella forma di trattazione, il principio di economia processuale consente che si proceda in quella sede, senza che occorra provvedere al rinvio alla pubblica udienza, ai sensi dell'art. 611, secondo comma cod. proc. pen., sempre che sia salvaguardato il contraddittorio tra le parti interessate. Fattispecie nella quale il ricorso suscettibile di trattazione camerale per la sua manifesta infondatezza e non per la specialità del rito era stato proposto dal P.G. e il P.M. presso la S.C. ne aveva richiesto per iscritto il rigetto, sicché l'interesse dell'imputato alla trattazione all'udienza pubblica era limitato all'ipotesi di annullamento . Sez. 5, n. 2046 del 22/09/1995 - dep. 12/10/1995, P.M. in proc. Bistoni, Rv. 202655 . 15. Passando al merito, il ricorso è infondato in quanto il PG impugnante sviluppa i propri argomenti su una inesatta ricostruzione della vicenda processuale 16. Si legge nel ricorso Infatti, non risponde a vero - e in tal senso è erroneo il richiamo operato dalla Corte di Appello alla giurisprudenza di Codesta S.C. in tema di illegittima trasmissione al PM degli atti relativi al teste sospettato di falsità prima della pronunzia della sentenza di merito - che il GUP non abbia consentito il controesame alla difesa e peraltro neanche al PM , laddove il GUP ha solo rimandato l'esame del teste ad altra udienza, sentendo l'esigenza di sentirlo con le garanzie difensive previste dalla legge all'art. 63 c.p.p 17 Nel caso in esame, l'interruzione dell'esame del teste è avvenuta solo a garanzia del medesimo teste per evitare che questi potesse aggravare la propria posizione, avesse modo di consultarsi con un difensore ed esercitare tutti i suoi diritti ivi compresa, in ultimo, la ritrattazione . 18. Si afferma quindi che il giudice ricusato aveva semplicemente disposto un rinvio della audizione del teste sentendo l'esigenza di sentirlo con le garanzie difensive previste dalla legge all'art. 63 c.p.p. . 19. In realtà non è erronea la lettura che ha dato del verbale di udienza la Corte d'Appello, bensì quella dell'ufficio impugnante 20. Si legge nel verbale di udienza che il giudicante interrompeva l'audizione del teste verbalizzando come segue - Va bene. No, no, no, io la devo fermare, Pubblico Ministero, perché da questo momento in poi io la devo informare che lei la testimone ndr potrebbe subire l’incriminazione per falsa testimonianza davanti a un Giudice e quindi è mio dovere interrompere ogni tipo di prosecuzione. A questo punto diamo atto che il Giudice interrompe l'audizione del testimone e, signora, lei può accomodarsi , e, alla richiesta del difensore di rivolgere le proprie domande alla teste, il giudicante rispondeva Non in questo Non più, mi dispiace Avvocato, non più, non posso, non posso, no, no, non posso perché ogni cosa che dice da questo momento in poi, come nelle sceneggiature americane, visto che volete il processo anglosassone, questo è il processo anglosassone, può essere utilizzata contro di lei e un Giudice serio e rispettoso delle norme sa che deve fermarsi qui . 21. Nel corso della medesima udienza, il difensore insisteva nel chiedere di poter effettuare il proprio controesame . Io ritengo che debba tornare in aula il teste precedente per consentirmi di porre delle domande, E chiedo anche di proseguire l'esame del testimone ma il giudicante rigettava la richiesta in termini espliciti, come da ordinanza dettata in udienza Quindi avrà modo sicuramente di manifestare le sue perplessità con altri Giudici, ma non in questo contesto. L'Avvocato fa presente la necessità di riportare in aula il testimone L.R. per continuare l'audizione. Il Giudice, ritenuto che ai sensi dell'articolo 207 del Codice di Procedura Penale il testimone è stato intimato e ammonito per possibile rilievo di falsità, rigetta la richiesta della difesa . La parte essenziale dei motivi di ricorso è, quindi, non specifica rispetto al tenore del provvedimento impugnato. Il provvedimento impugnato, difatti, motivava sul presupposto che la prova fosse stata revocata perché il teste era stato ritenuto, con valutazione ex ante, inattendibile, mentre il ricorso, in ogni sua parte, è fondato sul presupposto che il giudice ricusato avesse solo ammonito il teste e disposto di procedere con le garanzie difensive previste dalla legge all'art. 63 c.p.p. . P.Q.M. Rigetta il ricorso.