«Vi ammazzo!»: c’è la prospettazione di un male ingiusto

Nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione di un male ingiusto, potenzialmente idoneo ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, da parte dell’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima.

Così, con la sentenza n. 45673, depositata il 14 novembre 2013, la quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione interviene ancora una volta in materia di minaccia ribadendo principi già in passato determinati. L’esimente della provocazione. Nel caso di specie, l’imputato era stato condannato dal giudice di primo grado, con conferma da parte del giudice di appello, alla pena ritenuta di giustizia nonché al risarcimento dei danni derivanti da reato in relazione ai reati di cui agli artt. 612 e 582 c.p. In sede di ricorso per cassazione, l’imputato contesta in primo luogo la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 594 e 612 c.p., perché, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, l’espressione che egli aveva pronunciato nei confronti delle due persone offese – vi ammazzo – non avevano assunto i connotati della minaccia ed era stata utilizzata in un contesto di ingiurie reciproche, in relazione al quale il giudice di primo grado al contrario aveva ritenuto sussistente la causa di giustificazione di cui all’art. 599 c.p., inserendosi all’interno di un’unica frase ingiuriosa. Indeterminato il fine della prevenzione. Inoltre, la difesa del ricorrente contesta la mancata considerazione da parte del giudice d’appello della circostanza che l’espressione in questione non era stata pronunciata allo scopo di restringere la libertà psichica del minacciato, bensì quella di prevenire l’ulteriore protrarsi dell’azione illecita altrui. Come si è visto, la valutazione dei giudici di Piazza Cavour è contraria alle prospettazioni dell’imputato. In particolare – si legge nella sentenza in commento – non appare revocabile in dubbio che l’espressione vi ammazzo , pacificamente rivolta dall’imputato alle persone offese, è dotata di tale potenzialità offensiva, soprattutto in un contesto, come quello in esame, in cui, come correttamente rilevato dal giudice di appello, alla minaccia hanno fatto seguito l’aggressione fisica e le lesioni personali provocate alle vittime, a dimostrazione che le minacce erano concrete e per nulla giustificabili dallo stato di ira. La conseguenza è che ben potendosi configurare nel caso in questione il delitto di minaccia, non è possibile applicare l’esimente, richiamata dal giudice di primo grado, di cui all’art. 599 c.p. applicabile solo in relazioni ai reati di cui agli artt. 594 e 595 c.p. Libertà minacciata. D’altra parte, osservano i giudici della Cassazione, risulta del tutto generica anche la seconda questione rappresentata dall’imputato in relazione alla funzione preventiva della sua condotta. Infatti, se non integra il delitto di minaccia la condotta di colui che tenga un comportamento pure apparentemente integrante tale fattispecie, non già al fine di restringere la libertà psichica del minacciato, bensì al fine di prevenire un’azione illecita, nel caso in esame l’imputato si limita ad affermare una generica azione di prevenzione nei confronti di un’azione illecita altrui senza spiegare in alcun modo in cosa consistesse tale azione illecita e – diremmo noi – soprattutto le ragioni per cui la minaccia rivolta alle persone offese fosse finalizzata a prevenire la condotta illecita presunta. Del pari, nessun rilievo viene dato dagli Ermellini alla contestazione dell’imputato circa le presunte incongruenze esistenti tra le dichiarazioni delle persone offese, nonché tra tali dichiarazioni e le altre prove acquisite, denunciate con i motivi di appello. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 giugno – 14 novembre 2013, n. 45673 Presidente Ferrua - Relatore Guardiano Fatto e diritto I Con sentenza pronunciata in data 8.6.2012 il tribunale di Treviso, in composizione monocratica, in qualità di giudice di appello, confermava la sentenza con cui il giudice di pace di Treviso, in data 18.2.2011, aveva condannato Z.G. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in relazione al reati di cui agli artt. 612 e 582, c.p., ascrittigli ai capi B e C dell'imputazione, commessi in danno delle parti civili costituite S.B. e M.D. . 2. Avverso tale decisione, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, l'imputato, articolando quattro motivi di impugnazione. 3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 594 e 612, c.p., perché nel caso in esame, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, l'espressione vi ammazzo , proferita dall'imputato all'indirizzo delle persone offese, lungi da assumere i connotati della minaccia, è stata utilizzata in un contesto di ingiurie reciproche, in relazione al quale il giudice di pace aveva ritenuto sussistente la causa di giustificazione di cui all'art. 599, c.p., inserendosi all'interno di una unica frase ingiuriosa. Il tribunale, inoltre, non ha considerato che l'espressione in questione non era stata pronunciata allo scopo di restringere la libertà psichica del minacciato, bensì quella di prevenire l'ulteriore protrarsi dell'azione illecita altrui. 4 Il motivo di ricorso ora esposto deve ritenersi infondato. Nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione di un male ingiusto, potenzialmente idoneo ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, da parte dell'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima cfr. Cass., sez. V, 26/10/2012, n. 3811, M.A. Cass., sez. V, 12/04/2012, n. 30306 e non appare revocabile in dubbio che l'espressione vi ammazzo , pacificamente rivolta dall'imputato alle persone offese, è dotata di tale potenzialità offensiva, soprattutto se collocata in un contesto, come quello in esame, in cui, come correttamente rilevato dal giudice dell'appello, alla minaccia hanno fatto seguito l'aggressione fisica e le lesioni personali provocate alle vittime, a dimostrazione che le minacce erano concrete e per nulla giustificabili dallo stato d'ira cfr. pp.1-2 dell'impugnata sentenza . Ne consegue che, essendo configurabile il delitto di cui all'art. 612, c.p., non può trovare applicazione l'esimente di cui all'art. 599 c.p., applicabile solo in relazione ai reati ex artt. 594 e 595, c.p. Assolutamente generica, si appalesa, poi, la seconda questione prospettata dall'imputato. Se, infatti, non integra il delitto di minaccia la condotta di colui che tenga un comportamento pure apparentemente integrante la fattispecie in esame, non già al fine di restringere la libertà psichica del minacciato, bensì al fine di prevenirne un'azione illecita, cfr. Cass., sez. V, 05/10/2012, n. 760, T.M. , è pur vero che nel caso in esame il ricorrente si limita ad affermare apoditticamente che la minaccia era finalizzata a prevenire l'ulteriore protrarsi di una azione illecita da parte dei nonni materni , senza spiegare in cosa consistesse tale azione illecita e le ragioni per cui la minaccia rivolta alle persone offese fosse finalizzata a prevenire la condotta illecita dei nonni materni. 5. Con il secondo motivo di ricorso, l'imputato lamenta il vizio di motivazione in relazione all'art. 582, c.p., per avere il giudice di secondo grado omesso di valutare adeguatamente e specificamente le discrasie e le incongruenze esistenti tra le dichiarazioni delle persone offese, nonché tra tali dichiarazioni e le altre prove, documentali e dichiarative, acquisite, denunciate con i motivi di appello. La motivazione del tribunale, secondo il ricorrente, è, inoltre, contraddittoria, perché, pur fondando la sua decisione sulle dichiarazioni delle persone offese, riconosce la sussistenza delle incongruenze evidenziate nell'atto di appello, senza dare conto dei motivi per cui tali incongruenze siano inidonee ad incidere sulla credibilità oggettiva e soggettiva delle menzionate dichiarazioni. 6. Si tratta di un motivo inammissibile, innanzitutto per genericità in ordine alla indicazione delle discrasie ed incongruenze delle risultanze processuali, che vengono semplicemente affermate dal ricorrente, ma non esplicitate. Peraltro, sul punto il tribunale ha evidenziato, da un lato come le incongruenze denunciate in sede di appello hanno un rilievo del tutto marginale, riferendosi a particolari della vicenda che non possono influire in alcun modo sulla configurabilità dei reati contestati all'imputato , dall'altro come le dichiarazioni delle persone offese fossero riscontrate dalla testimonianza del vicino di casa e dagli esiti della documentazione medica, attestante le lesioni da esse patite, nonché da quanto percepito dagli appartenenti alle forze dell'ordine intervenuti sul posto quando il litigio era ancora in atto cfr. p. 2 . Nessuna contraddizione, pertanto, è ravvisabile nel percorso motivazionale seguito dal giudice di secondo grado, che si è attenuto ai principi affermati in sede di legittimità in ordine al valore probatorio delle dichiarazioni delle persone offese, costituite parti civili cfr Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M., rv. 253214 , operando una valutazione delle prove, che, essendo sorretta da una motivazione non lacunosa o manifestamente illogica, non può formare oggetto di censura in questa sede di legittimità cfr. ex plurimis, Cass., sez. III, 03/11/2011, n. 160 . 7. Con il terzo motivo di ricorso l'imputato lamenta la mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata concessione del riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62, n. 1 e n. 2, c.p 8. Inammissibile appare anche questo motivo di ricorso, in quanto l'omessa pronuncia sul punto da parte del tribunale si giustifica in considerazione della genericità, e, quindi, della palese inammissibilità del relativo motivo di appello, con cui la difesa dell'imputato si limitava a chiedere l'applicazione delle suddette circostanze attenuanti, senza indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto su cui tale richiesta si fondava, in evidente violazione dell'art. 581, lett. c , c.p.p. cfr. Cass., sez. II, 23/02/2011, n. 11730, M. e altro . 9. Con il quarto motivo di ricorso, l'imputato lamenta la mancanza di motivazione dell'impugnata sentenza sul capo relativo alle statuizioni civili, con particolare riferimento alla richiesta di riduzione della provvisionale liquidata in favore delle costituite parti civili. 10 Inammissibile deve ritenersi anche l'ultimo motivo di ricorso, in quanto, come è noto, la statuizione di assegnazione alla costituita parte civile di una provvisionale da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno non é impugnabile per Cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento cfr., ex plurimis, Cass., sez. VI, 05/04/2011, n. 35592, E.N. 11. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell'interesse dello Z. va, dunque, rigettato, con condanna di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.