Finanziamento soci e rimborsi … e la società va in cortocircuito!

É manifestamente erronea la valutazione del Giudice che ritenga che i versamenti in conto finanziamento soci accrescano le garanzie dei creditori, in quanto è evidente che essi comportano l’insorgere di un debito della società nei confronti del socio, che aggrava e non attenua la preesistente situazione di dissesto.

La conseguenza necessitata è che la restituzione, anche parziale del finanziamento soci, in presenza dello stato di insolvenza, viola la par condicio creditorum ed è penalmente rilevante. Questo il principio affermato dalla Sezione III Penale della Cassazione nella sentenza n. 45314 dell’11 novembre 2013. Cassazione solo giudice di legittimità? Qualora taluno nutrisse ancora la ferma convinzione che la Cassazione sia solo giudice di legittimità e dunque, in quanto tale, le sia preclusa ogni valutazione degli elementi di fatto, legga le quattordici pagine della sentenza che si annota e forse qualche dubbio insorgerà. Nel caso in esame, infatti, la Suprema Corte viene chiamata ad intervenire su una sentenza di non luogo a procedere del GUP di Milano che, in effetti, con evidente leggerezza, aveva prosciolto gli imputati da una congerie di imputazioni, anche estremamente eterogenee fra di loro, che andavano dalla truffa alla bancarotta per distrazione, sino alla violenza sessuale. In accoglimento dei ricorsi proposti sia dalle parti civili costituite che dalla Procura, la Cassazione, compiendo in effetti una disamina completa delle risultanze fattuali, invero erroneamente valutate dal GUP, non può che annullare senza rinvio la impugnata sentenza, disponendo la restituzione degli atti al Tribunale di Milano per l’ulteriore corso. Non solo attraverso le doglianze di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di truffa, ma anche attraverso la lamentata violazione delle norme astratte in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione e preferenziale, i ricorrenti hanno gioco facile nel dimostrare la fragilità dell’apparato motivazionale della sentenza di non luogo a procedere del GUP di Milano, costringendo tuttavia la Corte a muoversi pressoché esclusivamente con motivazione in punto di fatto, onde porre rimedio alle, a volte macroscopiche, manchevolezze della sentenza impugnata. Finanziamento soci e restituzione. Nel coacervo di ricostruzioni in fatto che la Suprema Corte è chiamata a ripercorrere, ha indubbio rilievo ed interesse la questione relativa a significativi finanziamenti soci ricevuti da una società ormai decotta da parte di uno dei soci, che solo in piccola parte, prima del fallimento della società, erano stati rimborsati al socio medesimo. Nel caso di specie l’imputato, nel corso dell’anno 2008, aveva effettuato un finanziamento complessivo di quasi 700.000,00 euro alla società, che poi, in assenza di delibera assembleare, era stato restituito per l’importo limitato di 90.000,00 euro prima del fallimento della società. Il GUP aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere ritenendo non sostenibile l’accusa in dibattimento, in base alla considerazione che i finanziamenti operati dal socio avessero rafforzato la garanzia patrimoniale per i creditori. Indubbiamente suggestionato dalla entità del finanziamento a fronte della modestia dell’importo rimborsato, era sfuggita al GUP la valenza di tale ultima operazione, che, come evidenzia il PM nel proprio ricorso, anche laddove non diminuisca la garanzia patrimoniale esistente, lede comunque il bene giuridico tutelato. La decisione degli Ermellini. In ossequio ad una giurisprudenza assolutamente consolidata la Suprema Corte non ha né difficoltà né esitazioni nell’argomentare che la condotta di restituzione del finanziamento, in presenza di una conclamata situazione di insolvenza della società, non può certo ritenersi non adeguatamente valorizzabile in sede dibattimentale sì da escludere la utilità di un giudizio attraverso il quale accertare la penale responsabilità dell’imputato. La pronuncia che si annota interviene, infatti, non su una sentenza di assoluzione, ma su una sentenza di non luogo a procedere resa all’esito dell’udienza preliminare, per cui il parametro di valutazione – come si precisa anche nella sentenza de qua – non deve essere quello della innocenza dell’imputato, bensì quello della insostenibilità dell’accusa in dibattimento, sicché la eventuale incompletezza e insufficienza degli elementi acquisiti devono avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente superabili, per giustificare il proscioglimento. Sulla base di tale premessa, la Corte osserva come i finanziamenti soci, contrariamente a quanto asserito dal GUP, non accrescono le garanzie per i creditori, bensì al contrario, comportando l’insorgere di ulteriori debiti della società verso i soci, vanno ad aggravare anziché attenuare la preesistente situazione di dissesto. Tanto è sufficiente alla Suprema Corte per annullare senza rinvio la impugnata sentenza. Le questioni rimaste sul campo. Restano irrisolte siccome non affrontate, ma ciò anche perché non oggetto di specifiche doglianze, le innumerevoli questioni che potrebbero porsi in diritto in relazione a similari fattispecie. Prima fra tutte l’annosa questione se il rimborso di finanziamento soci integri ipotesi di bancarotta fraudolenta o preferenziale e se, come di recente si è affermato, a tale fine assuma o meno rilievo il fatto che il socio abbia anche la veste di amministratore della società e, dunque, proceda ad un auto-rimborso. Tutto ciò senza considerare la questione, appena accennata nella sentenza che si annota, che, preliminarmente, ci si dovrebbe interrogare sulla natura e sul titolo del patrimonio apportato dal socio alla società e che viene rimborsato prima del fallimento, dovendosi evidentemente trarre diverse considerazioni allorché si tratti di conferimenti di capitale, ovvero di finanziamenti in conto capitale, di prestiti infruttiferi dei soci e così via e, dunque, in ragione della natura o meno di capitale di rischio del conferimento in senso lato operato dal socio. Così come, sotto il profilo soggettivo, resta aperta al vaglio del dibattimento la verifica della consapevolezza della insolvenza irreversibile della società in capo al socio che nel medesimo anno versa – è vero come mero prestito, ma pur sempre versa – la somma assolutamente rilevante di quasi 700.000,00 euro, per poi procedere al rimborso di soli 90.000,00 euro prima del fallimento. Questione alla luce della quale, prescrizione o amnistia permettendo, sarà interessante seguire l’esito di questa vicenda processuale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 luglio - 11 novembre 2013, n. 45314 Presidente Teresi – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 29 giugno 2012, il GUP del Tribunale di Milano ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di S.R. , per inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, in relazione ai reati 1 di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, primo comma, n. 1 , 223, primo comma, 219, legge fallimentare, perché, in concorso con G.P. nei cui confronti si è proceduto separatamente , agendo in qualità di amministratore della Circle Club Group s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 30 luglio 2009, distraeva, distruggeva e dissipava il patrimonio della società con le seguente condotte tra agosto e dicembre 2008 prelevava dalle casse sociali Euro 90.000,00 circa a titolo di rimborso finanziamento soci, senza alcuna preventiva delibera assembleare e nonostante la società fosse già in perdita concedeva alla società LG Auto 10 autovetture di lusso, facenti parte del parco auto della fallita, per un canone pari a Euro 19.700,00 mensili, compenso di gran lunga inferiore ai valori medi del mercato del noleggio automobili elencate nell'imputazione distraeva a favore di P & amp G Consulting s.a.s. di Guarnieri Paolo & amp C. le somme di Euro 69.000,00 27.600,00 ancora 27.600,00 in vari momenti dell'anno 2007 con l'aggravante di avere commesso più fatti di bancarotta 2 di cui agli artt. 110, 640, 61 n. 7 , cod. pen., perché, in concorso con G.P. nei cui confronti si è proceduto separatamente , al fine di procurarsi un ingiusto profitto, agendo nella qualità di amministratore della Circle Club Group s.r.l., con artifici e raggiri consistiti nel costruire artatamente la falsa apparenza di solidità finanziaria e commerciale della predetta società mediante false appostazioni contabili che dissimulavano passività patrimoniali e in particolare, mediante l'imputazione a un unico esercizio di ricavi pari a Euro 930.000,00 derivanti dalla vendita di servizi di competenza pluriennale, mediante l'emissione di fatture attive per operazioni inesistenti per noleggio di aerei ed elicotteri di cui la società non ebbe mai l'effettiva disponibilità , mediante alterazione di fatture al fine di ottenere un indebito risparmio d'imposta, mediante l'esibizione di previsioni di operatività non rispondenti al vero in quanto fondate su dati di bilancio falsi, tacendo l'esistenza di numerosi canoni insoluti, inducevano in errore T.M. e L.R. , determinandoli all'acquisto del complessivo 73% del capitale della società a un prezzo pari a Euro 1.600.000,00, parte del quale corrisposto al momento della stipula del preliminare di vendita delle quote societarie, nonché L. all'emissione di assegni a garanzia del prezzo di cessione con l'aggravante di aver cagionato un danno di rilevante entità. Con la stessa sentenza si è dichiarato non luogo a procedere nei confronti di V.R. in quanto l'azione penale non doveva essere iniziata per tardività della querela, in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 609 bis, 61, n. 11 , cod. pen. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, costringeva R.T. a subire atti sessuali e, in particolare, nella cucina aziendale, dopo aver scambiato con lei alcune parole, con gesto repentino, le afferrava la testa con entrambe le mani e la baciava sulle orecchie, e, introducendosi nel suo ufficio e, dopo un breve colloquio, con gesto repentino, le afferrava il capo e la baciava sulla bocca, con l'aggravante di avere abusato di relazioni d'ufficio, essendo entrambi dipendenti della società di cui al precedente capo 1 contestato a S. nel OMISSIS . Nei procedimento erano costituite parti civili Circle Club Group s.r.l., società amministrata dall'imputato S. , fallita nel XXXX, L.R. , in proprio e quale rappresentante di Circle Club Group Holding SA, R.T. . 2. - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile R.T. , rilevando di avere proposto querela con atto del 30 luglio 2009 riferito a due episodi verificatisi nel febbraio del 2009. La ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 609 septies cod. pen., il quale stabilisce che i delitti previsti dagli articoli 609 bis e seguenti sono punibili a querela della persona offesa e che il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi termine pienamente rispettato nel caso di specie. 3. - La sentenza è stata impugnata anche dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 3.1. - Si rileva, in primo luogo, la violazione dell'articolo 609 septies cod. pen., perché il GUP non avrebbe considerato che il termine per proporre querela per i reati sessuali è di 6 mesi e che la querela era, dunque, tempestiva. 3.2. - Con un secondo motivo di doglianza, si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 219, terzo comma, legge fallimentare, con riferimento al capo 1 dell'imputazione. Rileva il ricorrente che il delitto di bancarotta preferenziale, a differenza della bancarotta fraudolenta disciplinata dal primo comma dell'art. 216 della legge fallimentare, si caratterizza non quale generale aggressione alle ragioni dei creditori, bensì in quanto condotta con la quale il debitore viola il principio della par condicio creditorum con la conseguenza che non rileva l'ammontare del prelievo effettuato, bensì il fatto se lo stesso abbia o no avvantaggiato un creditore in danno degli altri come avvenuto nel caso di specie, in cui l'imputato S. , avvalendosi della sua posizione privilegiata, aveva potuto prelevare dalle casse sociali somme di denaro per soddisfare il proprio credito a danno della massa dei creditori. 3.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si rileva la violazione dell'art. 216, primo e terzo comma, legge fallimentare, con riferimento all'erogazione di compensi alla P & amp G Consulting, società estera riconducibile all'amministratore G.P. . Non si sarebbe considerato, in particolare, che si trattava di somme corrisposte nell'anno 2007, epoca in cui la società era già in perdita, a soddisfazione di crediti dell'amministratore nei confronti della società, configurandosi, così, un'ipotesi di bancarotta preferenziale. 3.4. - Si denunciano, in quarto luogo, la mancanza, la contraddittorietà, la manifesta illogicità della motivazione quanto alla truffa ordita ai danni di L.R. e della società da questo rappresentata Circle Club Group Holding SA , al fine di indurre entrambi all'acquisto del 73% del capitale della Circle Club Group s.r.l., società dell'imputato S. , poi dichiarata fallita. Il pubblico ministero contesta, in particolare, che gli elementi portati dall'accusa siano inidonei a realizzare quella falsa rappresentazione che avrebbe indotto alla conclusione del contratto. Non si sarebbe considerato, in particolare, che le false fatture erano dettagliatamente indicate in atti, come risultava dall'omessa apposizione dei risconti a rettifica dei ricavi pluriennali derivanti dalla vendita delle tessere ai clienti. Vi sarebbe, inoltre, un'erronea interpretazione della clausola del contratto stipulato dai clienti contemplata dall'articolo 3 delle condizioni generali e relativa alla durata annuale delle tessere di abbonamento. Il GUP ritiene che, avendo la stesse durata annuale e non potendo essere utilizzate negli anni successivi, ancorché i relativi punti non fossero stati esauriti dal cliente, si dovevano necessariamente imputare tutti i ricavi all'anno d'incasso degli stessi. Ad avviso del ricorrente, tale ragionamento confonde l'anno di durata della tessera con l'anno di esercizio contabile, a cui vanno invece riferiti i fatti gestionali della società in altri termini, mentre l'esercizio contabile ha sempre la stessa cadenza temporale, l'anno di durata della tessera può collocarsi a cavallo di due esercizi, con la conseguenza che va imputata all'esercizio di riferimento solo la quota dei ricavi di competenza, mediante un'operazione di risconto ossia di sottrazione di ricavi di competenza dall'esercizio successivo. 4. - La sentenza è stata impugnata, con ricorso per cassazione, anche dalla parte civile L.R. , in proprio e in qualità di amministratore della Circle Club Group Holding SA. 4.1. - Con un primo motivo di doglianza, si denunciano la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione quanto al criterio impiegato in punto di esclusione della sussistenza degli artifici e raggiri costituiti da false appostazioni contabili e di bilancio. Non si sarebbe considerato, in particolare, che le tessere a punti che consentivano l'accesso all'uso di beni di lusso da parte dei soci potevano avere validità pluriennale e che, anche quando avevano invece validità annuale, la loro durata decorreva dalla sottoscrizione e non dall'inizio dell'anno solare con la conseguenza che non sarebbe stato possibile imputare ad un unico esercizio ricavi che costituivano corrispettivi dei servizi erogati da parte della società in più esercizi finanziari, come previsto anche dall'art. 2424 bis cod. civ La società dell'imputato non avrebbe potuto, dunque, imputare i ricavi per intero agli anni in cui le tessere erano vendute, perché avrebbe dovuto procedere al risconto degli stessi per la parte non di competenza dell'anno in corso, corrispondente a servizi non usufruiti. Né sarebbe condivisibile l'ulteriore considerazione del GUP secondo cui le censurate modalità di redazione dei bilanci sarebbero state note alla parte civile e tanto emergerebbe dal fatto che - allorquando costui, a cavallo tra il 2007 e il 2008, in qualità di semplice cliente della Circle Club Group s.r.l., ebbe a sottoscrivere a nome della propria società una tessera biennale - avrebbe chiesto al coimputato G. che il costo della tessera venisse interamente imputato per competenza all'anno 2007, indicando lui stesso proprio quella modalità di redazione del bilancio denunciata come il principale artificio causa di danno. Secondo la prospettazione della parte civile ricorrente, in realtà la competenza all'anno 2007 della quale L. era consapevole riguardava solo la datazione di una specifica fattura e non il criterio con cui la società fornitrice gestiva le registrazioni contabili dei ricavi. 4.2. - Si denunciano, in secondo luogo, la carenza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'esclusione della sussistenza di altri artifici o raggiri. Quanto all'artificio costituito dall'emissione di fatture attive per operazioni inesistenti noleggio di aerei ed elicotteri di cui Circle Club Group s.r.l. non ebbe mai la disponibilità artatamente registrate nella contabilità sociale nel dicembre 2008, quando erano ancora amministratori i coimputati incostanza delle trattative per la vendita della maggioranza delle quote, il giudice ha assunto immotivatamente - secondo la parte civile ricorrente - che si tratti di una contestazione generica, perché non ha considerato che in atti sono presenti tutte le fatture in contestazione e che la circostanza viene ricostruita dal curatore fallimentare nella sua relazione, nonché ampiamente e analiticamente confermata da una serie di sommarie informazioni testimoniali. Quanto all'artificio costituito dall'alterazione di fatture di noleggio di auto, tale circostanza avrebbe dovuto essere presa in considerazione, perché determinava anche un'artificiosa alterazione dei dati del fatturato ed emergeva dagli atti di causa in modo chiaro. 4.3. - Con memoria depositata in prossimità dell'udienza in camera di consiglio di fronte a questa Corte, la difesa di L. insiste in quanto già evidenziato nel ricorso circa la corretta applicazione delle regole di imputazione dei ricavi delle tessere a punti da parte dell'imputato. 5. - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, anche la parte civile Fallimento Circle Club Group s.r.l Con unico motivo di doglianza, si rilevano la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione relativamente all'insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di bancarotta, nonostante dagli atti processuali fosse emersa la sussistenza dello stato di insolvenza all'atto del prelievo di Euro 90.000,00 da parte dello S. nel corso del 2008 quale rimborso finanziamento soci. La difesa ricorda che il curatore fallimentare aveva riferito nella sua relazione che, nell'esercizio 2008, S. aveva effettuato versamenti in conto finanziamento soci per complessivi Euro 689.600,00 e operato prelievi per Euro 90.000 circa, senza alcuna preventiva delibera assembleare e nonostante la società fosse già in perdita. In particolare il GUP avrebbe errato nel ritenere che i versamenti in conto finanziamento soci effettuato dallo S. accrescessero le garanzie per i creditori, mentre comportavano l'insorgere di un debito della società nei confronti del socio, che gravava e non attenuava la preesistente situazione di dissesto. 6. - In prossimità dell'udienza in camera di consiglio di fronte a questa Corte, l'imputato S.R. ha depositato, tramite il difensore, memoria con la quale chiede che i ricorsi siano dichiarati inammissibili, essendo diretti ad ottenere in sede di legittimità una rivalutazione delle risultanze processuali. 6.1. - Con un primo motivo di doglianza, riferito ricorso del pubblico ministero, la difesa rileva che non è stato impugnato il proscioglimento in ordine alla presunta distrazione di cui al capo 1 dell'imputazione, relativo al parco auto della società fallita con la conseguenza che tale proscioglimento dovrebbe ritenersi irrevocabile. 6.2. - Con un secondo motivo di doglianza si evidenzia l'inammissibilità del ricorso del pubblico ministero quanto alla bancarotta - sia essa per distrazione o preferenziale - rappresentata dal prelievo di circa Euro 90.000,00 effettuato dall'imputato a fronte di conferimenti per cifre considerevoli. Secondo la difesa dell'imputato, quest'ultimo non poteva prefigurarsi di porre in pericolo le ragioni dei creditori, proprio perché nel medesimo lasso temporale aveva continuato ad effettuare cospicui versamenti che realizzavano l'effetto di accrescere la garanzia patrimoniale. A ciò dovrebbe aggiungersi - sostiene la difesa - che nello stesso anno l'imputato aveva rinunciato al credito maturato a seguito dei finanziamenti continuamente immessi nella società. 6.3. - Inammissibili sono, secondo la difesa, le considerazioni svolte dal pubblico ministero circa le somme versate a favore della società P & amp G Consultingdel coimputato G.P. , e relative alla truffa ai danni di L. . Su tale ultimo rilievo, la difesa evidenzia che il pubblico ministero non avrebbe indicato quali elementi consentivano di superare la valutazione prognostica del giudice, in ordine all'assunta artificiosità delle fatture sommariamente menzionate nel capo d'imputazione, né avrebbe indicato su quali basi le tessere di abbonamento potessero considerarsi pluriennali e quali principi contabili sosterrebbero l'applicabilità dei risconti a tale fattispecie. Con particolare riferimento ai risconti, la difesa evidenzia che essi costituiscono una finzione giuridico-contabile, di per sé inidonea a determinare un dissesto societario e totalmente ininfluente sul convincimento dell'acquirente di una società. Sul punto, del resto, l'art. 2424 bis cod. civ. puntualizza che sono iscrivibili come risconti passivi del bilancio soltanto le quote dei proventi, comuni a due o più esercizi, l'entità dei quali vari in ragione del tempo con la conseguenza che nel caso di specie la disciplina dei risconti non sarebbe applicabile, perché i corrispettivi incassati dalla società non erano legati al decorso del tempo, ma semplicemente alla concessione al possessore di una tessera della possibilità di usufruire di un determinato servizio entro una data-limite. 6.4. - La difesa dell'imputato evidenzia, in quarto luogo, che con il ricorso della curatela Fallimento Circle Club Group s.r.l. non si è impugnato il proscioglimento circa l'accusa di distrazione del parco auto né si è impugnato il proscioglimento inerente ai versamenti effettuati nel 2007 a favore della P & amp G Consulting, società del coimputato G. . Il ricorso della curatela del fallimento sarebbe, dunque, limitato al capo 1 dell'imputazione, concernente il prelevamento di Euro 90.000,00 su tale profilo, la difesa richiama quanto già riportato al punto 6.2. 6.5. - Inammissibile sarebbe, infine, il ricorso di L. , in proprio e quale legale rappresentante della Circle Club Group Holding SA. Rileva la difesa che detta società è stata condannata con sentenza del Tribunale di Milano 19 maggio 2012, n. 5810, irrevocabile, a versare a S. il prezzo insoluto dell'acquisto di quote per oltre Euro 950.000,00. La difesa dell'imputato S. rileva, inoltre, che il bilancio del 2008 era stato approvato da vari soggetti fra cui L. stesso e la compravendita delle quote oggetto dell'accusa era stata ultimata il 19 dicembre 2008, con la conseguenza che non poteva imputarsi a S. l'omessa iscrizione di risconti passivi a rettifica dei proventi derivanti dalla vendita delle tessere. A ciò deve aggiungersi - prosegue la difesa - che, nei mesi successivi alla fuoriuscita di S. dalla società, gli amministratori, tra cui L. , non pagavano più gli oneri fissi di loro competenza, disperdevano il parco auto, disperdevano la clientela, rifiutavano una proposta di acquisto con contestuale finanziamento pronta cassa di Euro 300.000,00 guidando così alla l'azienda al fallimento. Il ricorrente L. avrebbe, poi, volutamente travisato il contenuto della sua e-mail nella quale invitava ad iscrivere alla competenza del 2007 una somma che avrebbe dovuto essere pagata nel gennaio 2008, sostenendo che tale e-mail fosse finalizzata esclusivamente a far retrodatare la fattura, quando, invece - secondo la prospettazione della difesa dell'imputato - faceva riferimento proprio alla competenza, cioè al criterio di imputazione bilancio. La difesa dell'imputato ricostruisce poi la cronologia degli eventi, evidenziando che le trattative si erano svolte, in realtà, mesi prima rispetto al periodo di novembre-dicembre 2008, nel quale erano state emesse le fatture asseritamente false con la conseguenza che l'emissione di tali fatture non avrebbe potuto trarre in inganno la parte civile L. . Considerato in diritto 7. - I ricorsi sono fondati. 7.1. - Il primo motivo di ricorso del pubblico ministero, comune alla parte civile R. - con cui si denuncia l'erronea applicazione dell'art. 609 septies cod. pen. da parte del GUP, perché questo avrebbe considerato tardiva la querela presentata nel luglio 2009 in relazione a fatti di violenza sessuale commessi nel omissis - è fondato. Da quanto riportato nell'imputazione e ritenuto nella sentenza impugnata risulta, infatti, che i fatti di violenza sessuale attribuiti a V.R. sarebbero stati commessi nel omissis , a fronte di una querela proposta il 30 luglio 2009. La querela è stata, dunque, proposta nel pieno rispetto del termine di sei mesi applicabile, ai sensi dell'articolo 609 septies, secondo comma, per il delitto previsto dall'art. 609 bis cod. pen. termine che sarebbe scaduto solo il 1 agosto successivo. 7.2. - Quanto agli altri motivi di ricorso, deve premettersi che, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il Gup, quale parametro di valutazione, non deve utilizzare quello dell'innocenza dell'imputato, ma quello dell'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio, con la conseguenza che l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi acquisiti ai sensi dell'art. 425 cod. proc. pen. debbono avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili ex plurimis, sez. 6, 27 novembre 2012, n. 5049, rv. 254241 sez. 6, 17 luglio 2012, n. 33921, rv. 253127 . Tale principio non è stato correttamente applicato nel caso di specie, perché - come si vedrà - il giudice dell'udienza preliminare non ha tenuto conto del complesso degli elementi di indagine acquisiti, travisando la portata di alcuni dati decisivi e, più in generale, operando un'interpretazione parcellizzata del quadro probatorio e fornendo una motivazione manifestamente infondata o carente su aspetti di rilievo. 7.2.1. - Il pubblico ministero ricorrente, con il secondo motivo di doglianza, lamenta l'erronea applicazione dell'art. 219, terzo comma, legge fallimentare, con riferimento al capo 1 dell'imputazione. Osserva, in particolare, che il delitto di bancarotta preferenziale, a differenza della bancarotta fraudolenta disciplinata dal primo comma dell'art. 216 della legge fallimentare, si caratterizza non quale generale aggressione alle ragioni dei creditori, bensì in quanto condotta con la quale il debitore viola il principio della par condicio creditorum con la conseguenza che non rileva l'ammontare del prelievo effettuato, bensì il fatto se lo stesso abbia o no avvantaggiato un creditore in danno degli altri, come avvenuto nel caso di specie. Un'analoga doglianza è stata proposta dalla parte civile Fallimento Circle Club Group s.r.l Le doglianze sono fondate. Il comportamento tenuto dall'imputato - indipendentemente dalla sua qualificazione come bancarotta per distrazione o bancarotta preferenziale - non può essere ritenuto, come fa il GUP, penalmente non rilevante. Lo stesso giudice non trae, infatti, una corretta conseguenza dal fatto che dagli atti processuali era emersa la sussistenza dello stato di insolvenza al momento del prelievo di Euro 90.000,00 da parte dello S. nel corso del 2008 quale rimborso finanziamento soci. Trascura altresì di valutare compiutamente quanto riferito dal curatore fallimentare nella sua relazione, e cioè che, nell'esercizio 2008, S. aveva effettuato versamenti in conto finanziamento soci per complessivi Euro 689.600,00 e operato prelievi per Euro 90.000 circa, senza alcuna preventiva delibera assembleare e nonostante che la società fosse già in perdita. La manifesta erroneità della valutazione del Gup consiste, in particolare, nel ritenere che i versamenti in conto finanziamento soci effettuati dallo S. accrescessero le garanzie per i creditori, mentre è evidente che essi comportavano l'insorgere di un debito della società nei confronti del socio, che aggravava e non attenuava la preesistente situazione di dissesto. Né a tale conclusione può opporsi - come fa la difesa dell'imputato - che quest'ultimo non poteva prefigurarsi di porre in pericolo le ragioni dei creditori e che comunque egli nello stesso anno aveva rinunciato al credito maturato a seguito dei finanziamenti continuamente immessi nella società. È infatti agevole osservare sul punto che la circostanza dell'avvenuta rinuncia al credito, oltre che genericamente asserita dalla difesa, conferma, da un lato, il fatto che il finanziamento aveva generato in capo all'imputato un credito nei confronti della società e, dall'altro, se per ipotesi confermata, rende, se possibile, ancor più illecito il prelievo di Euro 90.000,00 posto in essere, perché lo priva anche in astratto della causa, costituita dall'adempimento dell'obbligazione restitutoria da parte della società nei confronti del socio finanziatore. Si tratta in conclusione, con tutta evidenza, di profili che richiedono un'ulteriore approfondimento in sede dibattimentale. 7.2.2. - Fondato è anche il terzo motivo di impugnazione proposto dal pubblico ministero, con cui si rileva la violazione dell'art. 216, primo e terzo comma, legge fallimentare, con riferimento all'erogazione di compensi alla P & amp G Consulting, società estera riconducibile all'amministratore G.P. . Come correttamente evidenziato dal ricorrente, il giudice ha infatti omesso di considerare che si trattava di somme corrisposte nell'anno 2007, epoca in cui la società era già in perdita, a soddisfazione di crediti dell'amministratore nei confronti della società, configurandosi, così, un'ipotesi di bancarotta preferenziale. Lo stesso giudice ha altresì omesso di valutare compiutamente il profilo soggettivo, relativo al fatto che le prestazioni per pretese consulenze erano state erogate da una società riconducibile ad un amministratore della società dell'imputato e il dato oggettivo della mancanza di prova concreta del fatto che tali consulenze siano state effettivamente prestate. Né si può ritenere sufficiente a tal fine - come fa invece il Gup - il fatto che i pagamenti risultassero da regolari contratti deliberati dall'assemblea dei soci, trattandosi, all'evidenza, di una circostanza riferita al solo momento genetico dell'obbligazione circostanza che nulla prova circa l'effettiva erogazione delle prestazioni in questione, presupposto necessario per il pagamento dei corrispettivi delle stesse. 7.2.3. - Con il quarto motivo di impugnazione, il pubblico ministero denuncia la mancanza, la contraddittorietà, la manifesta illogicità della motivazione quanto alla truffa ordita ai danni di L.R. e della società da questo rappresentata Circle Club Group Holding SA , al fine di indurre entrambi all'acquisto del 73% del capitale della Circle Club Group s.r.l. Il pubblico ministero lamenta che il giudice non ha considerato che le false fatture erano dettagliatamente indicate in atti, come risultava dall'omessa apposizione dei risconti a rettifica dei ricavi pluriennali derivanti dalla vendita delle tessere ai clienti. Vi sarebbe, inoltre, un'erronea interpretazione della clausola del contratto stipulato dai clienti contemplata dall'articolo 3 delle condizioni generali e relativa alla durata annuale delle tessere di abbonamento secondo il ricorrente, il GUP ritiene erroneamente che, avendo la stesse durata annuale e non potendo essere utilizzate negli anni successivi, ancorché i relativi punti non fossero stati esauriti dal cliente, si dovevano necessariamente imputare tutti i ricavi all'anno d'incasso degli stessi. Analoga censura è stata proposta anche dalla parte civile L.R. , ricorrente in proprio e in qualità di amministratore della Circle Club Group Holding SA sub 4.1. . I motivi sono fondati. Nella sentenza impugnata non si tiene, infatti, conto della circostanza che l'anno di durata delle tessere che decorreva dalla loro emissione non era necessariamente coincidente con l'anno di esercizio contabile, a cui andavano invece riferiti i fatti gestionali della società. In altri termini - come correttamente evidenziato dai ricorrenti - mentre l'esercizio contabile ha sempre la stessa cadenza temporale, l'anno di durata della tessera può collocarsi a cavallo di due esercizi, con la conseguenza che va imputata all'esercizio di riferimento solo la quota dei ricavi di competenza, mediante un'operazione di risconto ossia di sottrazione di ricavi di competenza dall'esercizio successivo. Il giudice dell'udienza preliminare non ha, inoltre, tenuto conto in modo adeguato delle dichiarazioni testimoniali richiamate alle pagine 10 e 11 della sentenza, perché ha preteso di fare derivare dalle stesse una circostanza che da esse non risulta chiaramente desumibile, quale la validità annuale e non pluriennale delle tessere. Dalla lettura delle dichiarazioni testimoniali riportata in sentenza emerge, anzi, la conferma del fatto che la durata delle tessere non coincideva con l'anno solare e che, dunque, i clienti pagavano in un anno il corrispettivo di prestazioni che materialmente ricevevano l'anno successivo. Evidente risulta la conseguenza di tale meccanismo, per cui all'anno precedente vengono imputati tutti i ricavi, facendo risultare una situazione economica non di crisi e nell'anno successivo vengono effettuate tutte le spese per la prestazione di servizi i cui corrispettivi sono già stati imputati all'anno precedente, giungendosi così, in maniera solo apparentemente repentina e inspiegabile, allo stato di decozione della società. Né può obiettarsi che L. conosceva direttamente questo modo di procedere, come risulterebbe da una e-mail da lui stesso scritta dagli amministratori della società relativa alla imputazione del costo di una tessera della quale era titolare all'esercizio precedente. Tale circostanza è, infatti, di per sé indice della volontà dello stesso di L. di retrodatare detto costo, ma non implica che egli sapesse che gli imputati erano soliti operare in questo modo con riferimento a tutte le tessere. Non inficia tale conclusione il rilievo mosso dalla difesa dell'imputato, secondo cui, l'art. 2424 bis cod. civ. non è applicabile al caso di specie perché prevede che sono iscrivibili come risconti passivi del bilancio soltanto le quote dei proventi, comuni a due o più esercizi, l'entità dei quali vari in ragione del tempo. Deve infatti rilevarsi che, dall'iter logico seguito nella sentenza impugnata, non emerge che il giudice abbia inteso escludere nel caso di specie l'applicabilità dei criteri di imputazione previsti l'art. 2424 bis cod. civ., restando impregiudicata allo stato degli atti la sussistenza dei presupposti di una tale applicazione. Tanto che lo stesso giudice si è concentrato sulla contestazione della validità pluriennale delle tessere e dell'automatica validità in più anni dei punti non utilizzati, circostanze logicamente successive alla questione dei criteri di imputazione in astratto applicabili. 7.2.4. - Il motivo della parte civile di L. riportato sub 4.2. - che si sovrappone, almeno parzialmente, ad analoghe censure proposte dal pubblico ministero - è anch'esso fondato. Come lamentato dal ricorrente, sussiste, infatti, una carenza di motivazione in relazione all'esclusione della sussistenza di altri artifici o raggiri. Quanto all'artificio costituito dall'emissione di fatture attive per operazioni inesistenti noleggio di aerei ed elicotteri di cui Circle Club Group s.r.l. non ebbe mai la disponibilità artatamente registrate nella contabilità sociale nel dicembre 2008, quando erano ancora amministratori i coimputati in costanza delle trattative per la vendita della maggioranza delle quote, il giudice afferma, senza fornire adeguata motivazione, che si tratta di una contestazione generica. Manca, in particolare, nella sentenza censurata un'analitica disamina delle fatture in contestazione e della ricostruzione operata dal curatore fallimentare nella sua relazione, nonché delle sommarie informazioni testimoniali raccolte sul punto. Analoghe considerazioni valgono quanto alle fatture di noleggio auto, rispetto alle quali la sentenza non approfondisce a sufficienza la sussistenza di eventuali profili di raggiro. Tali evidenti lacune non sono colmate neanche parzialmente dalle considerazioni svolte dalla difesa dell'imputato e sopra riportate sub 6.5. circa l'insussistenza degli artifici o raggiri che costituiscono il presupposto necessario del reato di truffa. La difesa muove, infatti, rilievi che sono certamente meritevoli di essere presi in considerazione in sede dibattimentale, ma che non sono tali da rendere insanabilmente contraddittorio il quadro probatorio già in sede di udienza preliminare. E, in particolare a il rilievo difensivo secondo cui la Circle Club Group Holding SA. è stata condannata con sentenza del Tribunale di Milano 19 maggio 2012, n. 5810, irrevocabile, a versare a S. il prezzo insoluto dell'acquisto di quote per oltre Euro 950.000,00 merita ulteriore approfondimento, attraverso la puntuale analisi della motivazione di tale sentenza b la circostanza che il bilancio del 2008 era stato approvato da vari soggetti fra cui L. stesso e la compravendita delle quote oggetto dell'accusa era stata ultimata il 19 dicembre 2008 richiede anch'essa una verifica in sede dibattimentale c il ruolo di L. nell'ambito della società nel periodo precedente alle trattative relative all'acquisto del 73% del capitale sociale non risulta sufficientemente chiarito nella sentenza impugnata, che non contiene riferimenti sufficientemente puntuali alle scansioni temporali di tali trattative. 7.3. - Irrilevante è l'eccezione mossa dal difesa dell'imputato S. sub 6.4. secondo cui, con il ricorso della curatela Fallimento Circle Club Group s.r.l. non si è impugnato il proscioglimento inerente ai versamenti effettuati nel 2007 a favore della P & amp G Consulting, società del coimputato G. . Tale profilo è stato, infatti, oggetto di impugnazione da parte del pubblico ministero come si è visto sub 7.2.2. . Quanto, infine, al rilievo mosso dalla difesa dell'imputato S. sub 6.1. e 6.4. secondo cui non è stato impugnato il proscioglimento in ordine alla presunta distrazione di cui al capo 1 dell'imputazione, relativo al parco auto della società fallita, deve osservarsi che tale mancata impugnazione riguarda non un capo dell'imputazione in quanto tale, ma semplicemente una delle modalità della condotta di bancarotta contestata con la conseguenza che non può condividersi la ricostruzione difensiva secondo cui su tale profilo vi sarebbe un proscioglimento ormai irrevocabile. Del resto, l'enunciazione del fatto, comprensiva delle modalità della condotta, delle circostanze e l'indicazione dei relativi articoli di legge competono in ultima analisi, ai sensi dell'art. 429, comma 1, lettera c , al Gup, in sede di emanazione del decreto che dispone il giudizio e in tale sede potranno essere formulate le necessarie precisazioni. 8. - La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Milano. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano.