La «generalizzazione pregiudicante» rende il giudice imparziale?

Non ricorrono gli estremi della ricusazione per indebito convincimento manifestato prima che sia pronunciata la sentenza ove il giudice abbia espresso le proprie valutazioni in altro procedimento avente ad oggetto fatti e imputati diversi da quello in corso.

Lo ha stabilito la Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 44396, depositata il 31 ottobre 2013. Bancarotta impropria e il ruolo degli operatori bancari . Nel caso di specie gli imputati in un procedimento per bancarotta impropria hanno proposto rituale istanza di ricusazione nei confronti di uno dei membri del collegio giudicante. Secondo i ricusanti il giudice in questione - essendosi già pronunciato sulla responsabilità penale di altri imputati in procedimenti connessi a quello per il quale si procedeva - avrebbe indebitamente manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione ai sensi dell'art. 37, lett. b , c.p.p In dettaglio, all'adita Corte d'appello è stato sottolineato il peso della valutazione espressa dal giudice ricusato, nella parte in cui questi ebbe a sostenere che gli operatori bancari - quali erano tutti gli imputati - posseggono gli strumenti culturali per valutare anche da soli il grado di affidabilità di un bilancio , facendo discendere, da siffatta premessa, la ricorrenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto. La Corte territoriale ha, tuttavia, escluso la paventata parzialità del giudicante, ritenendo che le valutazioni da questi espresse fossero in sé inidonee a sottrarlo del sindacato in quanto facenti riferimento, sebbene allo stesso titolo di reato, a fatti e soggetti del tutto differenti rispetto a quelli concernenti il processo in corso. La generalizzazione pregiudicante . Gli imputati si sono rivolti ai giudici della Corte di Cassazione per ottenere un ribaltamento del verdetto reso dalla Corte d'appello in particolare, i ricorrenti hanno insistito nel sostenere la valenza di generalizzazione pregiudicante dell'opinione espressa dal giudice ricusato, all'uopo richiamando l'interpretazione dell'art. 37, comma 1, c.p.p. offerta dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 283/2000, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma citata nella parte in cui essa non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. Secondo la tesi dei ricorrenti il principio consacrato con la sentenza della Consulta sarebbe passibile di interpretazione estensiva, ben potendo far ricadere nel suo ambito applicativo anche i casi in cui il giudice abbia già manifestato la sua opinione in procedimenti che riguardano fatti e imputati diversi. I confini della ricusazione . I giudici di legittimità, nell'optare per il rigetto del ricorso, hanno fatto chiarezza sui confini applicativi della ricusazione principiando dalla natura eccezionale delle cause che legittimano la proposizione della relativa istanza. Gli ermellini hanno osservato come differentemente dall'istituto dell'incompatibilità - le cui cause sono espressamente tipizzate dal legislatore - gli istituti dell'astensione e della ricusazione sono caratterizzate dal riferirsi a situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità della funzione giudicante che normalmente preesistono al procedimento, ovvero si collocano al di fuori di esso . Per questo motivo è necessario che un'eventuale interpretazione estensiva sia effettivamente motivata dall'esigenza di ovviare ad analoghi effetti pregiudicanti per la neutralità del giudice, pena – altrimenti argomentando - l'ingessamento della stessa attività giusdicente. A conforto di quanto sopra la Suprema Corte ha richiamato gli altri presupposti della funzione pregiudicante in primo luogo essa deve consistere in una valutazione di merito è poi necessario che faccia riferimento ai fatti oggetto dell'imputazione da ultimo, dev'essere riferita al medesimo imputato. Tanto è bastato alla Corte capitolina per escludere gli estremi della ricusazione nel caso di specie, posto che la pretesa causa di pregiudizio non rientrava tra quelle annoverate all'art. 37 c.p.p. né poteva sussumersi nell'interpretazione costituzionalmente orientata che ha interessato il medesimo addentellato normativo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 luglio - 31 ottobre 2013, n. 44396 Presidente Bruno – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 11 gennaio 2013, la Corte di appello di Bologna dichiarava inammissibili le dichiarazioni di ricusazione presentate nell'interesse di C P. , O.S. , P B. , S C. , C.R. , Morgan Stanley Bank International Ltd. Milan Branch e Morgan Stanley & amp Co. International Plc, nei confronti del Dr. M.E. , Presidente del collegio giudicante del Tribunale di Parma, in relazione al procomma 715/2009 Dibatt. Trib. Parma, per manifesta infondatezza. 1.1 La Corte territoriale premetteva che il procedimento penale cui si riferiscono le ricusazioni ha per oggetto accuse di bancarotta impropria connessa allo stato di insolvenza delle società Parmalat s.p.a., Parmalat Finanziaria s.p.a., Parmalat Fnance Corporation BV. il Dr. E M. era stato ricusato all'esito dell'acquisizione di una sentenza - la n. 878/2011 - emessa nel procedimento 1040/2007 e coestesa dal Dott. M. perché, nel processo contro A.M. , G. ed altri c.d. processo Capitalia , il collegio giudicante avrebbe espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto contestato gli attuali imputati. Secondo i ricusanti, proseguiva la Corte territoriale, sussisterebbe la causa di ricusazione di cui all'art. 37 c.p.p., lettera b , nella lettura conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità operata con la sentenza n. 283 del 2000, poiché in entrambi i processi gli imputati sono chiamati a rispondere di concorso in bancarotta commessa da amministratori e dirigenti di società del gruppo Parmalat, sul presupposto di aver agito, quali operatori bancari, dipendenti di istituti di credito e finanziari con i quali il gruppo Parmalat aveva intrattenuto rapporti. Vi è poi una omologa contestazione di concorso in operazioni dolose, rilevanti ai sensi dell'articolo 223, comma 2, n. 2 della legge fallimentare, per effetto delle quali si aggravava il dissesto delle società. L'istanza di ricusazione approfondisce il profilo dell'elemento soggettivo del reato, segnalando come nei procedimenti riguardanti le banche e convergenti sul default del gruppo Parmalat, pur in presenza di fatti diversi, il dato centrale è rappresentato dalla consapevolezza della situazione reale in cui il gruppo versava in capo a chi erogava credito o comunque organizzava le emissioni obbligazionarie. Perciò il percorso logico/argomentativo dell'estensore della sentenza è stato tale da comportare una valutazione di merito anticipata anche nel processo contro P.C. ed altri. Dopo aver ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, le norme sulla ricusazione, derogando al principio del giudice naturale, non ammettono interpretazione estensiva o analogica, la Corte osservava che il giudizio in corso di trattazione riguardava fatti e condotte diversi e autonomi rispetto a quelli esaminati nei procedimenti richiamati, avvenuti in tempi diversi e riguardanti altri soggetti pertanto dichiarava inammissibile la dichiarazione di ricusazione. 3 Contro il provvedimento della Corte d'appello di Bologna ricorrono per Cassazione C P. , S O. , B.P. , S C. , R C. , Morgan Stanley Bank International Ltd. Milan Branch e Morgan Stanley & amp Co. International Plc, con unico atto a firma dei rispettivi difensori, affidato a tre motivi. 3.1 Con il primo motivo i ricorrenti deducono nullità dell'ordinanza per carenza di motivazione, a norma degli articoli 606, lettera C, e 125 cod. procomma pen Secondo i ricorrenti la Corte di appello ha omesso di confrontarsi con le argomentazioni difensive e, soprattutto, con le esplicite indicazioni fornite dalla Corte costituzionale della sentenza n. 283 del 2000, con riferimento all'art. 37, comma 1, cod. procomma pen In particolare si osserva che le affermazioni contenute nella sentenza Capitalia alle pagine 396, 403 e soprattutto 421 di quest'ultima è riportato un ampio passaggio, già ripreso alle pagine 18 e 19 della dichiarazione di ricusazione esprime una generalizzazione pregiudicante, poiché si afferma che una categoria di soggetti gli operatori esperti, quali sono quelli degli istituti bancari posseggono gli strumenti culturali per valutare anche da soli il grado di affidabilità di un bilancio e dunque rispetto a tale categoria di soggetti viene affermato l'elemento soggettivo dei reati. Analoga affermazione è contenuta in una sentenza di applicazione della pena pronunciata dal Gip di Parma nei confronti dei concorrenti con gli odierni imputati in relazione al capo B dell'imputazione. A giudizio dei ricorrenti l'ordinanza impugnata, che affronta i temi proposti esclusivamente in cinque righe alle pagine 9 e 10, non coglie la censura e dunque risulta evidente la mancanza di motivazione dell'impugnata ordinanza sul tema oggetto della dichiarazione di ricusazione. Infatti, alla luce della motivazione della sentenza della Consulta già richiamata, la quale rimette all'elaborazione giurisprudenziale la definizione dei vari casi di applicazione della nuova causa di ricusazione, il mero richiamo alla circostanza che il processo di cui si tratta non ha ad oggetto gli stessi fatti e gli stessi soggetti è del tutto inadeguato, poiché sulla base della affermazione della Corte costituzionale il giudice di merito deve travalicare gli estremi dell'addizione, prevenendo ulteriori questioni di costituzionalità in materia. 3.2 Con il secondo motivo i ricorrenti deducono manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui, sulla scia del parere della Procura generale, si nega la natura indebita delle valutazioni espresse nella sentenza Capitalia dal Dott. M. parimenti illogica è considerata la considerazione, impropriamente attribuita ai ricusanti, secondo cui il giudice avrebbe operato una anticipazione di giudizio con la conduzione dell'istruzione probatoria. Entrambi gli argomenti sono del tutto estranei al motivo di ricusazione, che invece fa riferimento ad una quasi perfetta coincidenza tra gli elementi portati a supporto del giudizio, espresso in termini generali e logici, formulato nella sentenza Capitalia a proposito dell'elemento soggettivo degli appartenenti al genus degli operatori bancari qualificati e quanto ricostruito dal principale teste d'accusa nel processo in corso. Altro vizio logico viene indicato nell'aver considerato la sentenza della Corte costituzionale n. 283 del 2000 quale una pronuncia meramente interpretativa, laddove invece essa è da qualificare come decisione manipolativa di tipo additivo, la quale vincola il giudice di merito anche nella sua parte motivazionale, ed in particolare laddove rinvia all'elaborazione giurisprudenziale per la definizione dei vari casi di applicazione della causa di ricusazione. 3.3 Con il terzo motivo i ricorrenti chiedono, in subordine rispetto ai motivi di annullamento, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per l'illegittimità dell'art. 37 cod. procomma pen., in relazione agli articoli 27 e 11 Costituzione, nella parte in cui la disposizione non prevede come causa di ricusazione la generalizzazione pregiudicante, ossia l'avere il giudice espresso, in altro procedimento, ancorché non riguardante lo stesso fatto ed il medesimo imputato, un convincimento di carattere generale, tale da produrre in concreto un effetto pregiudicante per la sua imparzialità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato. 2. Preliminarmente va ricordato che le previsioni delle ipotesi di ricusazione si configurano come norme eccezionali, sia perché determinano limiti all'esercizio del potere giurisdizionale e, più in particolare, della capacità del giudice, sia perché consentono una ingerenza delle parti in materia di ordinamento giudiziario attinente al rapporto di diritto pubblico tra Stato e giudice e, quindi, ordinariamente sottratta alla disponibilità delle parti e dello stesso giudice con la conseguenza che i casi regolati, le formalità e i termini di proposizione dell'istanza di ricusazione hanno carattere di tassatività non solo nel senso che non possono essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che la loro interpretazione deve essere soltanto letterale con esclusione di ogni interpretazione estensiva cfr., ex plurimis, Cass., sez. 1^, 24 settembre 2000, n. 42633, Sciuto . Va, inoltre, rilevato che l'art. 37 c.p.p., nell'indicare i casi di ricusazione, richiama, tra le altre, le ipotesi previste dal precedente art. 36 c.p.p., che impongono l'obbligo dell'astensione, ma esclude quella della lettera b , stesso articolo, non consentendo così la presentazione di una dichiarazione di ricusazione per gravi ragioni di convenienza . 3. Fatta questa premessa, appare evidente l'infondatezza del primo motivo. I ricorrenti lamentano omessa motivazione dell'ordinanza della Corte territoriale, poiché non sarebbe stato in alcun modo affrontato - se non in un fugace richiamo di cinque righe - il tema proposto circa il carattere pregiudicante dell'affermazione di carattere generale fatta in altro procedimento, pur se non riguardante lo stesso fatto ed il medesimo imputato, un convincimento, che però in concreto pregiudichi l'imparzialità del giudicante. 3.1 In tale sintetico passaggio della decisione, per la verità, la Corte territoriale sottolinea come il fatto non sia lo stesso anche se omologo, per il tratto che riguarda la enucleazione del crack Parmalat - bancarotte per distrazione, falsi in bilancio e molto altro - e delle sue cause e totalmente diversi - quindi non i medesimi - gli imputati . In tal modo viene esclusa l'applicabilità della causa di ricusazione indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza 283 del 2000, con la quale era dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. A giudizio del ricorrente la Corte territoriale non avrebbe colto il vero significato di quella decisione, laddove rinvia all'elaborazione giurisprudenziale - così come è avvenuto per le cause di astensione e di ricusazione già previste nel codice - la definizione dei vari casi di applicazione di questa causa di ricusazione. L'assunto non è condivisibile, poiché nello sviluppo motivazionale l'ordinanza impugnata richiama una serie di massime di questa Corte, la maggior parte delle quali successive alla decisione della Consulta, nelle quali viene esclusa la sussistenza delle condizioni per la ricusazione anche in casi di identità soggettiva e di reati formalmente connessi a quello pregiudicante, proprio allo scopo di verificare la concreta applicazione del principio operata dal giudice della nomofilachia. Così, solo per limitarsi ad alcuni esempi, è richiamata una decisione della Prima sezione Sez. 1, n. 21064 del 12/05/2010, Abbruzzese, Rv. 247578 nella quale si esclude la ricusabilità del magistrato componente della Corte di assise davanti alla quale è incardinato un procedimento penale per reati di omicidio commessi al fine di agevolare un'associazione di tipo mafioso, e quindi aggravati ai sensi dell'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, che abbia già concorso alla pronuncia di condanna dello stesso imputato per il reato associativo, sulla base delle dichiarazioni dei medesimi collaboratori di giustizia da escutere nel nuovo dibattimento altra decisione richiamata Sez. 1, n. 22794 del 13/05/2009, Bontempo Scavo, Rv. 244381 attiene al caso del giudice che nei confronti del soggetto imputato di un fatto aggravato dall'essere stato commesso per agevolare un'associazione mafiosa abbia in precedenza pronunciato condanna per altri fatti, commessi in tempi diversi ma pure aggravati dell'essere stati posti in essere per agevolare la medesima associazione mafiosa un terzo esempio Sez. 2, n. 2819 del 20/11/2008 - dep. 21/01/2009, Marabiti, Rv. 242652 , solo per completare la citazione esemplificativa, riguarda la ricusazione proposta nei confronti del giudice dell'udienza preliminare sul rilievo di una sua presunta incompatibilità, determinata dall'avere egli già trattato in precedenza altro procedimento nei confronti di coimputati per fatti basati su identici elementi di prova per i quali si proceda contro l'imputato ricusante. 3.2 Attraverso tale tecnica argomentativa, dunque, è stato compiutamente assolto l'obbligo motivazionale nel provvedimento impugnato. 4. Anche il secondo motivo, attinente vizio motivazionale sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà, è infondato. 4.1 Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia insistito sul carattere non indebito del pronunciamento del Dott. M. ed abbia escluso che la conduzione dell'istruttoria abbia determinato una anticipazione di giudizio, poiché tali argomenti sono del tutto estranei all'unico motivo di ricusazione, riguardante solo l'affermazione di carattere generale riguardante gli operatori bancari in tal modo avrebbe dimostrato di non aver colto il significato degli argomenti posti a base della dichiarazione di ricusazione. Va innanzi tutto osservato che tale motivo, laddove non chiarisce in cosa consisterebbe tale contraddittorietà o manifesta illogicità, deve ritenersi al limite dell'inammissibilità per genericità, poiché una argomentazione che si ritiene non strettamente rilevante e che non si traduca in un vizio di ultra-petizione contra reum non comporta di per sé motivazione illogica o contraddittoria, ma può costituire al più una spia dell'omessa motivazione, comunque già esclusa con riferimento al primo motivo. In ogni caso deve qui osservarsi che le considerazioni censurate, riprese dal parere della Procura Generale, non comportano alcuna contraddizione o illogicità manifesta, poiché rispondono alla tecnica motivazionale scelta dalla Corte, pienamente legittima, di escludere la sussistenza della causa di ricusazione per gradi, esaminando la fattispecie alla luce dell'art. 37, comma 1, lettera B cod. procomma pen., norma per la verità indicata espressamente ed a stretto rigore, impropriamente proprio dai ricorrenti pagina 15 della dichiarazione di ricusazione come oggetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale, ancorché in realtà la decisione della Corte costituzionale abbia riguardato più genericamente il primo comma dell'art. 37 e non solo la lettera B. Del resto la stessa Consulta, nella decisione più volte richiamata, indica l e due cause di ricusazione e di astensione disciplinate dagli artt. 37, comma 1, lettera b , e 36, comma 1, lettera c , cod. procomma pen. , come quelle che all'apparenza presentano maggiori affinità con le fattispecie dedotte in giudizio . 5. Va a questo punto esaminata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 37 cod. procomma pen., proposta con il terzo motivo in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento dei primi due. I ricorrenti eccepiscono l'illegittimità della norma del codice di rito, per contrasto con gli articoli 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede tra le cause di ricusazione, l'avere il giudice espresso, in altro procedimento, ancorché non riguardante lo stesso fatto ed il medesimo imputato, un convincimento di carattere generale, tale da produrre in concreto un effetto pregiudicante per la sua imparzialità. In realtà il motivo riprende il ragionamento seguito negli altri due, censurando la lettura che la Corte territoriale fa della sentenza 283 del 2000 della Corte costituzionale, sulla base del dispositivo della decisione, che limita la nuova ipotesi di ricusazione alle ipotesi in cui la decisione pregiudicante e quella pregiudicata riguardino lo stesso imputato e lo stesso fatto e suggerendo una interpretazione estensiva della causa di ricusazione, tale da ricomprendere anche l'ipotesi della c.d. generalizzazione pregiudicante . Solo in via residuale si sollecita la Corte a sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla materia, invocando le argomentazioni della sentenza 283 del 2000 della Consulta ed indicando come parametri costituzionali rispetto ai quali ritiene confliggente la norma del codice di rito gli articoli 24 e 111, comma 2, della Costituzione. 5.1 Posta in questi termini la questione di illegittimità costituzionale va dichiarata manifestamente infondata. In primo luogo, la causa di ricusazione di cui si lamenta la mancata previsione sarebbe in evidente contrasto con i richiamati principi costituzionali, in quanto caratterizzata da estrema indeterminatezza. I ricorrenti vorrebbero, infatti, che anche una semplice affermazione in termini generali e logici riguardante l'elemento soggettivo degli appartenenti al genus degli operatori bancari qualificati, anche in presenza di soggetti diversi, possa integrare l'attività pregiudicante necessaria per proporre una dichiarazione di ricusazione e può qui ripetersi quanto già osservato dalla Corte regolatrice in proposito dei casi di incompatibilità e cioè che sarebbe impossibile pretendere dal legislatore uno sforzo di astrazione e di tipicizzazione idoneo a individuare a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo esercitato funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di incompatibilità nel successivo procedimento penale sentenza n. 308 del 1997 . E ancora, che ove tale onere venisse imposto al legislatore, l'intera materia delle incompatibilità, dispersa in una casistica senza fine, diverrebbe refrattaria a qualsiasi tentativo di amministrazione mediante atti di organizzazione preventiva sentenza n. 307 del 1997 . Né a sostegno della tesi prospettata dai ricorrenti può essere evocata la sentenza n. 283 del 2000. La Corte costituzionale, nel ricostruire i complessi rapporti tra gli istituti dell'astensione/ricusazione da un lato e della incompatibilità, dall'altro, ha affermato che la disciplina in materia deve essere comunque idonea ad evitare che il giudice chiamato a svolgere funzioni di giudizio possa essere, o anche solo apparire, condizionato da precedenti valutazioni espresse sulla medesima res judicanda , tali da esporto alla forza della prevenzione derivante dalle attività giudiziarie precedentemente svolte e che la scelta del legislatore di qualificare una situazione come causa di incompatibilità, ovvero di astensione e di ricusazione, discende dalla possibilità o dalla impossibilità di valutarne preventivamente e in astratto l'effetto pregiudicante per l'imparzialità del giudice penale cfr., in particolare, sentenza n. 308 del 1997 . Infatti, le situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità del giudice riconducibili all'istituto dell'incompatibilità operano all'interno del medesimo procedimento in cui interviene la funzione pregiudicata e si riferiscono ad atti o funzioni che hanno di per sé effetto pregiudicante, sono astrattamente tipicizzate dal legislatore, perché sono prevedibili e quindi prevenibili viceversa, gli istituti della astensione/ricusazione sono caratterizzati dal riferirsi a situazioni pregiudizievoli per l'imparzialità della funzione giudicante che normalmente preesistono al procedimento, ovvero si collocano comunque al di fuori di esso. Anche l'ipotesi di ricusazione descritta dall'art. 37 c.p.p., comma 1, lettera b , non si sottrae a questo criterio di massima il giudice che nell'esercizio delle funzioni ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione opera - per usare le espressioni della prevalente giurisprudenza di legittimità - fuori della sede processuale e dei compiti che gli sono propri. All'esame della Corte costituzionale, nell'occasione di cui alla citata sentenza, erano state rimesse questioni nelle quali, da un lato, i giudici ricusati avevano in precedenza espresso, nell'ambito di un diverso procedimento relativo all'applicazione di una misura di prevenzione, valutazioni e giudizi di merito sulla posizione dei destinatari delle misure, in relazione ai medesimi fatti loro attribuiti nel giudico penale, ovvero avevano accertato, nell'ambito del procedimento di prevenzione, l'esistenza dell'associazione di stampo mafioso e la partecipazione ad essa dei medesimi soggetti poi sottoposti a giudizio penale per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. dall'altro, avevano esercitato funzioni giudicanti in altro procedimento penale per il reato di tentato omicidio aggravato dal fine di agevolare l'attività dell'associazione di cui all'art. 416 bis c.p., conclusosi con la condanna della persona ora imputata del delitto di partecipazione a quella medesima associazione di stampo mafioso la cui esistenza era stata già valutata sub specie di circostanza aggravante. A fronte di tali situazioni, ritenute sicuramente pregiudicanti, ma non riconducibili alla disciplina codicistica, la Corte ha esteso l'area di applicazione degli istituti dell'astensione e della ricusazione a situazioni non espressamente previste dal codice di rito, ma tuttavia capaci di esprimere analoghi effetti pregiudicanti per rimparzialità/'neutralità del giudice, con una disposizione di chiusura del sistema delle incompatibilità e dell'astensione/ricusazione . La Corte regolatrice, ha così dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 37 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. Specificando in motivazione che, al riguardo, non è sufficiente, ai fini della individuazione dell'attività pregiudicante, che il giudice abbia in precedenza avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente e occasionalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sottoposta al suo giudizio . . E ancora che la funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario, perché si verifichi un pregiudizio per l'imparzialità, che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione Finale della causa . Appare evidente, allora, che la funzione pregiudicante deve consistere in una valutazione di merito, deve riguardare i fatti oggetto dell'imputazione e deve riguardare lo stesso imputato infatti questa è stata la concreta applicazione che ha fatto la giurisprudenza di questa Corte, nelle decisioni che, come si è già visto, la Corte territoriale ha esemplificativamente richiamato. 6. Deve quindi concludersi che le espressioni evocate dai ricusanti non integrano la causa di ricusazione di cui all'art. 37 c.p.p., comma 1, lettera b , neppure nella formulazione risultante a seguito dell'intervento additivo della Corte costituzionale la pretesa causa di pregiudizio - nella specie - esula da quelle tassativamente previste dall'ordinamento, non avendo il giudice ricusato espresso il proprio giudizio contenutistico di merito in una precedente decisione sullo stesso fatto-reato, relativamente al medesimo imputato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.