Quando giudice e difensore giocano al gatto e al topo

In caso di variazione, colpevolmente non comunicata, del domicilio professionale del difensore, il giudice deve necessariamente disporre tutte le più opportune ricerche. Altrimenti la notifica è nulla e travolge il processo.

Funzionari ed amministratori di enti locali erano stati conniventi con i dipendenti di una società, poi fallita, che forniva servizi di tesoreria per più comuni. L’appaltata gestione dei conti era stata torbida ed artificiosa – medianti sistemazioni contabili ad hoc non corrispondenti ai reali flussi di cassa -, funzionale alla malversazione dei fondi da parte dei partecipanti al sodalizio criminale, anche mediante il riconoscimento di somme c.d. fuori bilancio. Contestato il peculato ex art. 314 c.p. ai funzionari, la Corte d’appello accerta nei loro confronti la decorrenza dei termini prescrizionali, riconoscendo il risarcimento dei danni al Comune costituito parte civile. Ricorrono gli imputati avverso le suddette statuizioni civili, contestano alcuni vizi processuali e difetti di notifica ai difensori nonché la validità della costituzione di parte civile dell’ente comunale. La Cassazione, Quinta sezione Penale, n. 44247 depositata il 30 ottobre 2013, decide come segue, accogliendo per l’intero il ricorso. Per le notifiche al difensore, la regola impone la consegna materiale e personale dell’atto. Il difensore aveva mutato domicilio professionale senza darne previa comunicazione all’Ordine di appartenenza, la notifica per l’udienza era andata fallita ed i giudici non avevano disposto ricerche più approfondite. Per il difensore si sarebbe trattato di nullità della sentenza che ha deciso ex art. 178, lett. c , c.p.p. La Cassazione chiarisce che la notifica valida non è quella necessariamente disposta presso il domicilio/studio professionale eletto reperito presso elenchi pubblici. In caso di insuccesso, occorrono ricerche specifiche che consentano di rintracciare personalmente il difensore destinatario – o il suo sostituto - ex artt. 157 e 167 c.p.p. Non basta la semplice ricerca cartolare presso l’Ordine professionale di appartenenza. Altrimenti la notifica è nulla , come dichiarato dai giudici nella sentenza in commento. Valga tanto salvi i casi in cui la celerità della procedura penale – ad esempio in ordine all’incidente cautelare o in caso di convalida/fermo – imponga forme più elastiche, consentendo il ricorso alle notificazioni urgenti ex art. 149 c.p.p., soddisfatti i quali adempimenti, la notifica si dà per perfezionata. La negligenza del professionista che non comunica la variazione dello studio professionale non giustifica – e sana ex art. 182 c.p.p. – la mancata notifica. In ogni caso, anche la colpevole o voluta condotta del difensore che non comunica le variazioni domiciliari agli organi procedenti – e nulla fa, mediante comunicazione presso le cancellerie – non consente di ritenere maturata la preclusione alla rilevazione della nullità ex art. 182 c.p.p. La Cassazione fa prevalente il diritto alla difesa e alla partecipazione all’udienza da parte dei legali nominati sulla rilevazione di eventuali strategie dilatorie da parte dei difensori – e dunque sulla celerità del processo -. Al giudice non resta che disinnescare l’incipiente nullità disponendo ulteriori ricerche, ai fini della notifica personale ex art. 157 c.p.p. Quanto sopra anche in caso di mandato congiunto a due difensori. E dunque anche quando la partecipazione all’udienza sia stata inficiata, mediante l’imperfezionata notifica, nei confronti di uno solo dei due difensori nominati. Il ministero del difensore, che il codice tutela nell’interesse dell’indagato/imputato, va pienamente inteso in riferimento al singolo professionista eletto. Inoppugnabile l’ordinanza o la sentenza che esclude la legittimazione della parte civile. Le ordinanze che escludono dal processo la parte civile, privandola del valore di parte processuale, risultano inoppugnabili , neanche con l’impugnativa avverso la sentenza ex art. 586 c.p.p. Valga la medesima preclusione, precisa la Cassazione, anche nel caso in cui la predetta estromissione venga dichiarata con la sentenza che decide – e dunque non allo stato degli atti”, come nel caso dell’emissione di una semplice ordinanza -. La preclusione viene superata in un solo caso, rubricato anche dalla più recente giurisprudenza quando la sentenza che ha disposto l’esclusione della parte civile ha anche deciso in punto di risarcimento del danno . In tal evenienza è ammessa l’impugnabilità della parte civile, per gli effetti processuali che la sentenza penale avrebbe sul versante civilistico. Negli altri casi, quando l’impugnabilità è esclusa, non resta che avanzare autonoma azione civile ex art. 88 c.p.p.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 luglio - 30 ottobre 2013, n. 44247 Presidente Bruno – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 dicembre 2010 la Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma delle pronunzie di primo grado emesse dal Tribunale della stessa città il 25 gennaio e TU febbraio 2008, dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.T. , D.P.V. , G.F. , V.C. , P.A.F. , St.Sa. , A.G. , Vi.Ga. e T.G. per i reati di peculato e falso in atto pubblico loro rispettivamente ascritti per l'intervenuta prescrizione dei medesimi, confermando al contempo le statuizioni civili assunte nei loro confronti dai giudici di prime cure salvo, in accoglimento dell'appello del Comune di Terzigno, condannare l'A. , il Vi. e il P. al risarcimento dei danni nei confronti di tale ente locale. I fatti in contestazione concernevano l'appropriazione da parte dei rappresentanti della Italgest s.p.a. C.U. e C.E. , società cui era stato appaltato il servizio di tesoreria da alcuni comuni del napoletano e successivamente fallita, di ingenti somme di danaro gestite dalla medesima e per i quali erano stati condannati ovvero già prosciolti per l'intervenuta prescrizione anche gli odierni imputati, accusati, nelle rispettive qualità di amministratori, funzionari o revisori dei conti dei suddetti enti locali, di aver omesso i controlli di legge sull'attività della menzionata Italgest ovvero di averli svolti in maniera solo formale attestando falsamente la regolarità del servizio di tesoreria, consentendo in tal modo di non far emergere gli ammanchi di cassa e di agevolare conseguentemente le menzionate malversazioni. In particolare i responsabili della Italgest gestivano la cassa dei diversi comuni che avevano appaltato alla società il servizio di tesoreria attraverso un unico conto corrente operante in stanza di compensazione con la Tesoreria Provinciale di Napoli, presso cui ogni ente locale era intestatario di un conto sul quale erano depositati i propri fondi. Dalla verifica svolta dai consulenti tecnici del pubblico ministero emergeva che i C. avevano governato per lungo tempo in maniera impropria i flussi di cassa di ognuno degli enti locali, poiché la situazione contabile determinata dal complesso delle reversali d'incasso e dei mandati di pagamento di ciascuno era risultata non corrispondere per difetto al volume delle operazioni di cassa effettivamente poste in essere dalla Italgest utilizzando le risorse finanziarie dei medesimi. Ancora emergeva che, al fine di garantire l'apparente adesione della situazione di fatto a quella contabile in occasione delle periodiche verifiche di cassa eseguite dalle amministrazioni comunali, il tesoriere, sfruttando la commistione generata dalla presenza di un unico conto di compensazione, provvedeva a trasferire temporaneamente ed ingiustificatamente le risorse di un comune sul conto di un altro, garantendo così la coerenza formale dei saldi di cassa. Nella prospettazione accusatoria accolta dalla Corte territoriale, tali verifiche che fino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 77/1995 spettavano al sindaco, assistito all'uopo dal segretario e dal ragioniere comunali, e, successivamente, a quest'ultimo ed ai revisori dei conti venivano condotte dagli apparati comunali in maniera volutamente superficiale, al fine di agevolare le condotte criminose dei gestori della Italgest, come provato dal fatto che le stesse si limitavano al confronto tra la contabilità di cassa presentata dal tesoriere e quella dell'ente locale, omettendo di estenderlo ai periodici estratti modelli 56T inviati dalla Banca d'Italia sull'effettiva movimentazione dei conti presenti presso la Tesoreria Provinciale, i quali avrebbero invece consentito di rivelare l'effettiva consistenza di cassa e, conseguentemente, i relativi ammanchi. La prova del coinvolgimento attivo nella consumazione del reato di amministratori e funzionari dei diversi enti locali veniva altresì tratta dai giudici del merito dalle dichiarazioni rese da C.U. nel corso delle indagini preliminari ed utilizzate ai sensi dell'art. 512 c.p.p. in ragione del successivo decesso del medesimo , il quale, nell'ammettere le appropriazioni, rivelava però come le stesse fossero in larga parte funzionali alla remunerazione degli stessi amministratori dei comuni ovvero al pagamento di debiti fuori bilancio. 2. Avverso la sentenza ricorrono tutti gli imputati elencati in epigrafe a mezzo dei rispettivi difensori. 2.1 Il ricorso proposto nell'interesse di S. ragioniere del Comune di XXXXXX , D.P. , V. componenti del Collegio dei Revisori dei Conti del Comune di XXXXXX e G. assessore dello stesso e delegato del sindaco alle verifiche articola quattro motivi. Con il primo si deduce la violazione dell'art. 192 c.p.p., rilevandosi in proposito come la consistenza indiziaria della presunta mancata verifica comparativa della contabilità del tesoriere con i modelli 56T relativi alla movimentazione dei conti dei singoli comuni presso la Tesoreria Provinciale della Banca d'Italia non sarebbe stata valutata dalla Corte territoriale alla luce delle obiezioni difensive sulla parzialità dei dati contenuti nei suddetti modelli e sull'effettività dei controlli eseguiti dagli imputati. Con il secondo i ricorrenti lamentano carenze motivazionali della sentenza in ordine alla ricostruzione dei conti del comune di Pompei, effettuata dai giudici di merito travisando sostanzialmente i dati contabili i quali evidenzierebbero la correttezza del comportamento dell'ufficio di ragioneria e l'ascrivibilità alla sola Italgest degli ammanchi, conseguiti agli indebiti prelevamenti effettuati dal tesoriere presso la Banca d'Italia peraltro non rilevabili dai funzionari comunali per l'insufficienza della documentazione in loro possesso all'atto delle verifiche. Con il terzo motivo viene eccepita l'inosservanza dell'art. 110 c.p., in quanto la Corte territoriale avrebbe apoditticamente attribuito agli imputati una responsabilità concorsuale nel delitto di peculato senza dimostrare la loro consapevolezza di concorrere con altri alla sua consumazione. Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti deducono il travisamento del fatto in merito all'episodio dell'assunzione della figlia dello S. presso la società gestita da uno dei figli del titolare della Italgest, la cui ritenuta rilevanza è viziata dall'errata ricostruzione del periodo in cui la stessa avrebbe prestato la propria opera, invece pacificamente successivo alle dimissioni del padre. Con lo stesso motivo si lamenta altresì la carenza assoluta di motivazione in ordine all'effettivo contributo prestato da ogni singolo imputato alla causazione del danno subito dal comune di Pompei ed altresì in merito all'individuazione del motivo per cui i ricorrenti avrebbero dovuto voler occultare gli indebiti prelievi del tesoriere. Argomenti tutti ripresi poi nella memoria depositata dal difensore dei ricorrenti il 2 ottobre 2012. 3. Con il ricorso presentato nell'interesse del P. già ragioniere capo del comune di XXXXXXXX vengono proposti cinque motivi. 3.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 601 comma 5 c.p.p. per l'omessa notifica ad uno dei due difensori di fiducia dell'imputato dell'avviso di fissazione dell'udienza del giudizio d'appello, rilevando come all'udienza del 27 aprile 2009 la stessa Corte territoriale aveva dato atto del difetto di notifica, dovuto al trasferimento del difensore, disponendone la rinnovazione per l'udienza del 3 giugno 2009, in vista della quale la cancelleria si limitava ad assumere invano informazioni presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati circa il nuovo recapito dell'avv. Arcella, con la conseguenza che la notifica non veniva rinnovata. In tal senso dunque, secondo il ricorrente, la notifica deve ritenersi omessa, atteso che l'attività informativa svolta sarebbe insufficiente ai sensi dell'art. 157 c.p.p. così come richiamato dal successivo art. 167 dello stesso codice. Ne conseguirebbe la nullità del giudizio d'appello per difetto di assistenza dell'imputato, nullità peraltro tempestivamente eccepita all'udienza del 3 giugno 2009 e ribadita con memoria a quella del 12 ottobre 2009, ma irragionevolmente disattesa dalla Corte territoriale. 3.2 Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'art. 578 c.p.p. in relazione alla condanna al risarcimento del danno in favore del Comune di Terzigno. Osserva infatti il ricorrente che il Tribunale, all'esito del giudizio di primo grado, aveva dichiarato inammissibile la costituzione di parte civile del suddetto comune e che dunque la Corte territoriale non aveva il potere di pronunziare condanna ai fini civili nei confronti del P. , atteso che la disposizione menzionata attribuisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla pretesa risarcitoria in caso di declaratoria di estinzione del reato soltanto qualora la sentenza impugnata abbia a sua volta condannato l'imputato alle restituzioni o al risarcimento del danno e non anche quando, come nel caso di specie, nel precedente grado di giudizio la pretese della parte civile siano state disattese. 3.3 Con il terzo motivo il ricorrente eccepisce la violazione dell'art. 568 c.p.p. in merito all'accoglimento dell'appello proposto dal Comune di XXXXXXXX avverso la declaratoria di inammissibilità della sua costituzione di parte civile resa dal Tribunale con la sentenza di primo grado, in quanto tale decisione, ancorché non adottata nei tempi prescritti dall'art. 81 c.p.p., non può qualificarsi abnorme, come invece ritenuto dai giudici d'appello, avendo il giudice di prime cure esercitato il potere di controllo sulla legittimazione della parte civile comunque attribuitogli dalla legge processuale. Poiché il provvedimento con cui quest'ultima viene espunta dal processo non è impugnabile, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l'appello del suddetto comune e conseguentemente avrebbe dovuto astenersi dal decidere sulla pretesa risarcitoria avanzata dal medesimo. 3.4 Con il quarto motivo si deduce l'errata applicazione dell'art. 40 c.p. e correlati vizi motivazionali del provvedimento impugnato, evidenziandosi in proposito come nel ritenere l'imputato responsabile, attribuendo valore causale nella consumazione del reato di peculato alle condotte omissive contestategli, la motivazione della sentenza appare contraddirsi in merito alla sussistenza del necessario dolo concorsuale, laddove riconosce come il P. in realtà nel 1994 avesse rilevato nella relazione al bilancio consuntivo la mancata coincidenza tra il fondo cassa del comune presso la Tesoreria provinciale e quello risultante dalle scritture contabili dell'ente locale e come tale relazione fosse stata successivamente falsificata per non far apparire proprio tale rilievo. Ciò non di meno i giudici napoletani hanno tratto proprio da tale circostanza la prova della consapevolezza del P. delle appropriazioni del tesoriere. E sempre la sentenza ammette come nelle successive verifiche non fossero disponibili i modelli 56T relativi alla movimentazione del conto del comune, senza però spiegare come il P. , in assenza di tali documenti, avrebbe potuto accorgersi in sede di verifica degli ammanchi di cassa e, quindi, senza individuare quale sarebbe stata in concreto l'azione doverosa dolosamente omessa di cui l'imputato dovrebbe rispondere. Ciò infine a tacere del fatto che, una volta accertato l'espediente utilizzato dal tesoriere per far apparire al momento dei controlli l'effettiva corrispondenza tra la valuta disponibile e i saldi contabili, la Corte territoriale non ha spiegato per quale ragione egli avrebbe avuto la necessità che il ragioniere del comune svolgesse tali controlli in maniera compiacente. 3.5 Con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza dell'art. 479 c.p. in relazione all'art. 166 r.d n. 297/1911 e correlati vizi della motivazione della sentenza, evidenziando come, in forza della norma speciale menzionata ancora vigente all'epoca dei fatti il potere/dovere di procedere alle verifiche di tesoreria spettasse al sindaco, solo assistito a tal fine dal ragioniere comunale, il quale dunque non poteva ritenersi investito direttamente della responsabilità delle medesime. Al P. dunque non poteva contestarsi la falsità dei verbali di controllo per la semplice ragione che egli non era giuridicamente il titolare del potere di verifica. Non di meno la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere ideologicamente falsi i suddetti verbali, atteso che, ai sensi del menzionato art. 166, l'oggetto delle verifiche bimestrali riguardava esclusivamente la corrispondenza tra la giacenza di cassa evidenziata dal tesoriere tesoriere e quella contabile risultante dalle scritture dell'amministrazione e che pertanto, in assenza dei modelli 56T ovvero in presenza dei soli saldi del conto del comune presso la Tesoreria provinciale della Banca d'Italia, non era possibile effettuare controlli ulteriori rispetto a quelli certificati dai verbali ritenuti inveritieri. 4. Il ricorso del T. già sindaco del comune di OMISSIS articola tre motivi. 4.1 Con il primo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 578 e 597 c.p.p. in merito alla condanna del T. , in solido con i coimputati, alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Italgest, rilevando come il Tribunale avesse dichiarato prescritti i reati contestati all'imputato seppure erroneamente non essendo all'epoca ancora maturata la causa estintiva e come dunque non si fosse coerentemente pronunziato sulla pretesa risarcitoria avanzata dalla sunnominata Italgest nei confronti dell'imputato. Posto che la sentenza era stata appellata dal solo imputato in relazione alla sua posizione ? , la pronunzia sulle spese di parte civile nei confronti del T. costituirebbe dunque una illegittima reformatio in peius della sentenza di primo grado, peraltro in assenza di condanna del T. al risarcimento del danno in favore della stessa parte civile. 4.2 Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'art. 129 c.p.p. e correlati vizi motivazionali della sentenza impugnata in merito al mancato accoglimento del motivo d'appello sulla inconfigurabilità del concorso del T. ex art. 40 cpv. c.p. nel reato di peculato e sull'illogicità della tesi accusatoria che lo vorrebbe concorrente con la moltitudine di funzionari comunali succedutisi nel corso del suo mandato. 4.3 Con il terzo motivo il ricorrente censura ulteriormente la motivazione della sentenza sotto diversi profili - innanzi tutto la Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi vaglio critico sulle dichiarazioni del C. poste a fondamento della decisione del Tribunale, nonostante l'inattendibilità del dichiarante fosse stata certificata dalla sentenza assolutoria pronunziata dal G.i.p. di Torre Annunziata - acquisita agli atti tanto che i giudici napoletani vi avrebbero attinto per inferirne alcune circostanze fattuali - nel procedimento nato dalle sue dichiarazioni - in secondo luogo la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella misura in cui per un verso ha riconosciuto la confusione e l'incompletezza della contabilità comunale e per l'altro da tale circostanza non ha tratto dubbio alcuno sull'attendibilità della consulenza tecnica svolta su tali dati contabili, peraltro non considerando che le doglianze difensive sul punto riguardavano il fatto che i consulenti del pubblico ministero avessero restituito la suddetta contabilità agli uffici comunali perché provvedessero a completarla - il che di per sé sarebbe un'anomalia in grado di inficiare il risultato della prova tecnica - e che i funzionari i quali provvidero in conseguenza ebbero poi a testimoniare nel corso del dibattimento di primo grado di aver ricostruito in maniera approssimativa i dati contabili per il cattivo stato di conservazione dei registri e dei documenti di appoggio - la Corte napoletana avrebbe poi travisato la lettera - costituente prova a discarico - con cui il sindaco di OMISSIS aveva contestato al tesoriere le irregolarità della sua gestione, erroneamente attribuendola non già al T. - che invece ne era stato l'effettivo autore - bensì al suo successore - ulteriore doglianza riguarda l'omessa valutazione del meccanismo ordito dal C. per far sempre risultare in sede di verifica la corrispondenza tra il suo saldo di cassa e quello contabile calcolato dalla ragioneria comunale e della difficoltà per il T. - docente di educazione fisica - di accorgersi della mera apparenza di tale corrispondenza, tanto più in ragione del fatto che i modelli 56T - contenenti gli estratti conto giornalieri dell'effettiva consistenza del fondo cassa del comune nel proprio conto presso la Tesoreria Provinciale - attraverso i quali le manipolazioni del tesoriere potevano essere svelate venivano trasmessi non al sindaco, ma alla ragioneria - infine il ricorrente lamenta che sarebbe stato travisato o ignorato l'effettivo contenuto della verifica straordinaria del 13 dicembre 1993, la quale, secondo quanto confermato dal consulente di parte e dal ragioniere comunale, costituiva il passaggio di cassa dal T. al suo successore alla data del 30 giugno dello stesso anno e cioè al momento della successione , talché tale verifica non poteva riguardare la gestione del secondo semestre di quell'anno, cui pure si riferisce la contestazione mossa all'imputato, il quale sarebbe intervenuto alla sua esecuzione solo per sottoscrivere il passaggio di consegne con il suo successore, ma senza essere più titolare di alcun potere di controllo sui conti. 5. Con il ricorso presentato nell'interesse dello St. sindaco del Comune di Pompei vengono proposti tre motivi. 5.1 Con il primo il ricorrente deduce l'errata applicazione della legge penale sostanziale e correlati vizi motivazionali della sentenza impugnata. In proposito si lamenta che la Corte territoriale, pur non ricostruendo la responsabilità dell'imputato ai sensi del capoverso dell'art. 40 c.p. come aveva invece fatto il giudice di primo grado , ha configurato il concorso morale dello St. nel reato di peculato commesso dal tesoriere sulla base di argomentazioni generiche e prive di consequenzialità logica, finendo, nel nome di una valutazione complessiva del compendio probatorio, per utilizzare anche elementi palesemente a discarico ed omettendo sostanzialmente di indicare la prova dell'effettiva causalità sul piano concorsuale delle condotte attribuite allo St. , nonché della sussistenza della sua consapevole partecipazione alla consumazione del reato. In tal senso la sentenza, pur dandone atto, non avrebbe valutato alcune circostanze che contraddicono le conclusioni assunte e cioè che l'imputato aveva dimezzato il compenso del C. , che quest'ultimo aveva escluso di aver mai corrisposto denaro allo St. e che il comune di Pompei, durante il suo mandato, non aveva mai pagato debiti fuori bilancio. Non di meno la Corte territoriale avrebbe omesso anche solo di considerare che non appena eletto l'imputato aveva insediato una commissione d'inchiesta sulla corretta gestione del servizio di tesoreria, la quale non ha poi mai segnalato alcuna irregolarità e che tale commissione, su proposta dello stesso St. , ha nominato come consulente un legale esterno all'amministrazione al fine di evitare possibili interferenze con la sua attività da parte dell'apparato comunale. Tutti elementi, secondo il ricorrente, logicamente incompatibili con l'affermata adesione psicologica dello St. alla commissione del reato e che invece rivelano un atteggiamento ostile del medesimo nei confronti della gestione operata dalla Italgest. Né il dolo concorsuale dell'imputato potrebbe farsi discendere, come invece sostenuto dai giudici d'appello, dal mancato raffronto della contabilità del tesoriere con i modelli 56T o dalla durata dell'incarico dello St. . Quanto ai primi il ricorrente sottolinea che essi venivano comunicati - e in ogni caso non al sindaco - con ritardo rispetto all'esecuzione delle verifiche di cassa, tant'è che in occasione della verifica del 20 marzo 1995 l'unica il cui verbale risulti sottoscritto dallo St. il modello in questione venne trasmesso al comune solo il successivo 16 maggio. E sul punto la Corte territoriale avrebbe altresì omesso di valutare la dichiarazione dei consulenti tecnici riportata nella sentenza di primo grado per cui dall'esame dei suddetti modelli nulla avrebbero potuto rilevare gli amministratori dei diversi comuni in ordine alle reali movimentazioni bancarie del tesoriere dichiarazione in palese contraddizione con l'affermazione, peraltro apodittica, contenuta in sentenza per cui i modelli sarebbero stati invece di agevole lettura e funzionali all'intercettazione delle irregolarità commesse dalla Italgest. Quanto invece alla rilevanza attribuita al tempo per cui lo St. ha guidato il comune di Pompei, il ricorso contesta che i giudici d'appello avrebbero travisato i dati processuali, atteso che l'imputato, prima che le modifiche della normativa previgente sollevassero il sindaco dalla responsabilità del controllo sulla consistenza della cassa, aveva ricoperto la carica per meno di due anni e, come accennato, aveva partecipato ad una sola verifica, talché non avrebbe avuto motivo alcuno di procedere ad un riscontro di tutti i modelli 56T pervenuti nel biennio. Infine frutto di travisamento sarebbe altresì l'ulteriore argomento su cui è stata fondata la responsabilità dell'imputato e cioè l'apposizione da parte della ragioneria comunale a margine della verifica del 20 marzo 1995 dell'annotazione somme accantonate e non contabilizzate , giacché, come confermato dal suo autore in dibattimento, il suo significato non era quello di rilevare un ammanco di cassa, bensì di contestare l'abitudine del tesoriere di appostare anche somme relative a pagamenti per cui non era stato ancora emesso il relativo mandato. 5.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ulteriori violazioni della legge sostanziale e vizi motivazionali della sentenza in merito alla ricostruzione della competenza del sindaco in sede di verifica del servizio di tesoreria, evidenziando come la disposizione contenuta nell'art. 166 r.d. n. 297/1911 come già ricordato ancora vigente all'epoca dei fatti in contestazione dovesse essere interpretata alla luce degli artt. 53 e 57 della L. n. 142/1990 e del d.Lgs. n. 29/1993, norme che hanno progressivamente marginalizzato il ruolo istituzionale del primo cittadino nell'esecuzione dei controlli contabili ampliando contestualmente quello degli organi tecnici comunali. Peraltro nemmeno il citato art. 166 da solo considerato avrebbe attribuito al sindaco oneri di controllo eccedenti l'attestazione della presentazione dei conti da parte del tesoriere e del compimento da parte degli uffici comunali delle verifiche sulla corrispondenza tra questi e la contabilità dell'amministrazione, inevitabilmente e per l'appunto di naturale competenza di questi ultimi. In tal senso la Corte territoriale, ignorando l'evoluzione del quadro normativo di riferimento, avrebbe accolto una lettura asistematica ed anacronistica dell'art. 166 menzionato, facendo così erroneamente discendere dalla sottoscrizione del verbale di verifica l'assunzione da parte del sindaco della responsabilità tecnico-giuridica del suo contenuto. 5.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce invece l'inosservanza dell'art. 185 c.p., contestando, in assenza della prova del concorso dell'imputato nei reati attribuitogli, la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti del Comune di Pompei e di Italgest. In proposito il ricorso rileva altresì, quanto al primo, che arbitrariamente i giudici d'appello avrebbero affermato l'irrilevanza del pronunziamento della Corte dei Conti sulla vicenda in oggetto, la quale ha escluso la responsabilità degli amministratori e dei funzionari dell'ente locale per i danni erariali conseguenti agli ammanchi causati da Italgest. Quanto alla seconda sottolinea invece come il patrimonio della fallita si sia invero indebitamente arricchito in ragione degli illeciti prelievi effettuati dai suoi responsabili, talché alcun danno risarcibile sarebbe configurabile. 5.4 La difesa dello St. ha altresì depositato il 5 novembre 2012 motivi aggiunti e memoria attraverso i quali ha provveduto all'allegazione degli atti processuali e dei documenti menzionati nel ricorso e con i quali ha inoltre lamentato - con riferimento al primo motivo di ricorso, ulteriore difetto di motivazione della sentenza in ordine alla qualificazione delle condotte contestate all'imputato, la cui ritenuta valenza concorsuale, posto che si tratterebbe di comportamenti consumati post delictum , avrebbe richiesto espressa dimostrazione di un preventivo accordo tra lo St. e il tesoriere coerente con tali comportamenti invece omessa dalla Corte territoriale - con riferimento al secondo motivo di ricorso, che la sentenza non avrebbe tenuto in conto, nemmeno al fine di confutarla, la consulenza dell'avv. Ab. e la deposizione del medesimo in ordine all'interpretazione evolutiva dell'art. 166 r.d. n. 297/1911. 6. Il ricorso proposto nell'interesse dell'A. sindaco del Comune di XXXXXXXX articola due motivi. 6.1 Con il primo deduce plurime violazioni della legge processuale e correlati vizi della motivazione della sentenza. In tal senso il ricorrente innanzi tutto eccepisce come la Corte territoriale abbia, in palese violazione dell'art. 526 comma 1 bis c.p.p., posto a fondamento del ritenuto coinvolgimento dell'imputato nel reato di peculato anche le dichiarazioni rese dal coimputato P. e dall'imputato in procedimento connesso R. in fase predibattimentale, acquisite ai sensi dell'art. 513 comma 1 c.p.p. e per quanto riguarda quelle del R. invero sine titulo in quanto gli stessi si erano sottratti all'esame dibattimentale, ma non per questo utilizzabili anche nei confronti dell'A. , che a tale acquisizione non aveva prestato il proprio consenso. L'indebita utilizzazione delle menzionate dichiarazioni sarebbe stata peraltro determinante nell'economia della decisione, posto che la prova a carico dell'imputato, secondo la sentenza, si completerebbe attraverso le dichiarazioni del C. e gli esiti delle consulenze tecniche svolte dal pubblico ministero, nonché in forza di ulteriori, quanto imprecisate, risultanze processuali . Ma le prime in realtà - al di là dell'interpretazione distorta che ne hanno fornito i giudici d'appello - pacificamente escludono qualsiasi collusione del tesoriere con il sindaco di XXXXXXXX o qualsivoglia tentativo di corruzione del medesimo e comunque, una volta private dal riscontro delle affermazioni del P. e del R. , non sarebbero più valutabili ai sensi del terzo comma dell'art. 192 c.p.p. Per quanto riguarda le conclusioni dei consulenti tecnici, invece, il ricorrente evidenzia come le stesse non contengano alcuno specifico riferimento alla posizione dell'A. , né la Corte territoriale, al di là di apodittiche affermazioni, ha saputo spiegare perché le stesse smentirebbero le doglianze difensive in merito al raggiungimento della prova del coinvolgimento dell'imputato nel reato. Doglianze che invero la sentenza nemmeno prenderebbe in considerazione, omettendo di confrontarsi soprattutto con quelle prove indicate nei motivi di gravame ed indicative del fatto che i modelli 56T non venissero esaminati dal sindaco, ma dalla ragioneria. 6.2 Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce la carenza assoluta di motivazione della sentenza in merito alla prova del concorso dell'A. nella causazione del danno oggetto delle statuizioni civili, atteso che l'apparato giustificativo sul punto si esaurisce in un generico rinvio agli atti di causa e agli esiti delle consulenze. Difetto motivazionale ancor più evidente con riguardo all'accoglimento della pretesa risarcitoria di Italgest, atteso che questa si sarebbe invero arricchita grazie alle appropriazioni oggetto della contestazione di peculato. Il ricorrente lamenta inoltre la violazione degli artt. 576, 578 e 591 c.p.p., proponendo doglianze in tutto identiche a quelle contenute nel secondo e terzo motivo del ricorso del P. e relative all'inammissibilità dell'appello del Comune di Terzigno ed alla conseguente illegittimità dell'accoglimento della pretesa risarcitoria del medesimo, precisando altresì come si versasse in una situazione di vera e propria carenza di legittimazione della parte civile appellante. 7. Il ricorso presentato nell'interesse del Vi. segretario del Comune di XXXXXXXX , infine, articola a sua volta due motivi. 7.1 Con il primo si deduce la carenza assoluta di motivazione della sentenza sulla posizione dell'imputato, essendosi in tal senso la Corte territoriale limitata a rinviare alle argomentazioni svolte affrontando quella dell'A. con l'unica precisazione che egli avrebbe trattenuto indebitamente i modelli 56T che avrebbe invece dovuto consegnare all'ufficio di ragioneria. In proposito osserva il ricorrente come la condotta imputata al Vi. fosse invero diversa da quella attribuita al menzionato A. , esaurendosi, dopo che nel primo grado di giudizio il Tribunale aveva provveduto a ridurre nei suoi confronti l'originaria contestazione, nel citato illecito trattenimento dei modelli 56T e non anche nell'essere concorso allo svolgimento di verifiche compiacenti, talché il rinvio operato dai giudici d'appello non può ritenersi sufficiente ad assolvere l'onere motivazionale imposto dal tenore dei motivi di gravame, nei quali peraltro si evidenziava come i suddetti modelli riguardavano i primi tre mesi del 1997 e dunque risultavano comunque successivi all'ultima delle appropriazioni relative al comune di Terzigno, con la conseguenza che, a tutto concedere, al V. poteva contestarsi di aver impedito l'accertamento del peculato successivamente alla sua perpetrazione, ma non già di aver offerto un contributo etiologicamente rilevante alla sua consumazione. Peraltro, eccepisce ulteriormente il ricorrente, il rinvio alla motivazione svolta per la posizione dell'A. ha inevitabilmente comportato la trasfigurazione del fatto per cui lo stesso è stato ritenuto responsabile, sebbene ai soli effetti civili, giacché, come detto, tale motivazione supportava la ritenuta condotta omissiva addebitata al sindaco, radicalmente diversa da quella commissiva di cui era imputato il Vi. , con la conseguente violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p 7.2 Con lo stesso motivo il ricorrente eccepisce poi la violazione dell'art. 526 comma 1 bis c.p.p. e correlati difetti motivazionali della sentenza, riproponendo le censure svolte nel primo motivo del ricorso dell'A. redatto dai medesimi difensori , mentre con il secondo riprende le doglianze dedotte nel corrispondente motivo dello stesso ricorso. Considerato in diritto 1. Nell'esame delle numerose questioni proposte con i ricorsi appare necessario dare la precedenza ad alcune delle eccezioni di natura processuale sollevate dai ricorrenti atteso il loro evidente carattere pregiudiziale. 1.1 Con riguardo alla violazione dell'art. 601 comma 5 c.p.p. eccepita con il primo motivo del ricorso del P. , deve innanzi tutto rammentarsi che l'omessa notifica dell'avviso della data fissata per il giudizio d'appello ad uno dei due difensori di fiducia dell'imputato comporta una nullità a regime intermedio che, non attenendo alla fase del giudizio, bensì a quella degli atti preliminari, deve essere eccepita, in analogia a quanto previsto per il procedimento di primo grado dall'art. 180 c.p.p., prima della deliberazione della sentenza Sez. 2, n. 44363 del 26 novembre 2010, D'Aria, Rv. 249184 Sez. Un., n. 22242 del 27 gennaio 2011, Scibe', Rv. 249651 . 1.2 Risulta dagli atti che, nel caso di specie, la Corte territoriale, avendo rilevato l'omessa notifica del rituale avviso ad uno dei due difensori del P. l'avv. Ermanno Pelella a causa del trasferimento del suo studio professionale, tempestivamente eccepito già alla prima udienza del 23 febbraio 2009, abbia disposto il rinvio della successiva udienza del 27 aprile 2009 al 3 giugno, disponendo l'acquisizione di informazioni sul nuovo recapito del legale. La cancelleria si rivolgeva a tal fine all'Ordine degli Avvocati di Napoli per ottenere l'indirizzo del difensore, ma senza successo, giacché agli atti dello stesso risultava ancora il precedente recapito presso cui era stata tentata invano la notifica. A questo punto i giudici d'appello decidevano di procedere oltre, ritenendo in definitiva sufficiente il tentativo di notifica effettuato e non necessario disporre ulteriori ricerche del difensore o reiterare il tentativo di notifica in altri luoghi, nonostante la difesa dell'imputato avesse ribadito l'eccezione sull'omessa notifica ora riproposta con il primo motivo di ricorso. 1.3 La doglianza del ricorrente deve ritenersi fondata. Principio generale in materia di notificazione di atti ed avvisi al difensore è, infatti, che la stessa sia effettuata, ai sensi degli artt. 167 e 157 c.p.p., mediante consegna di copia alla persona e, nei casi di urgenza, ai sensi dell'art. 149 stesso codice. Ed in tal senso è stato ad esempio e per l'appunto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che, prescrivendo l'art. 167 c.p.p. che per le notificazioni a soggetti diversi da quelli indicati negli articoli precedenti si osservino le disposizioni dell'art. 157 stesso codice, le notifiche al difensore dell'imputato non debbano essere obbligatoriamente effettuate presso lo studio del difensore stesso Sez. 4, n. 11792 del 3 novembre 1993, Palladino ed altro, Rv. 196605 . 1.4 Il tentativo di notifica effettuato presso quello che dagli atti risultava il recapito professionale, ancorché integrato dall'assunzione di informazioni presso l'Ordine di appartenenza del difensore, non può pertanto ritenersi abbia assolto l'obbligo informativo imposto dalla legge processuale, giacché era compito del giudice tentare la notifica negli altri luoghi indicati nel primi due commi dell'art. 157, disponendo gli eventuali accertamenti del caso, che certo non possono ritenersi esauriti con l'interpello all'Ordine di cui si è detto. 1.5 È sì vero che è principio consolidato quello per cui, in tema di validità delle notificazioni al difensore, rileva il comportamento negligente del professionista, in quanto egli ha l'obbligo di assicurare con l'ordinaria diligenza, in costanza di mandato difensivo, la ricevibilità delle notifiche a lui dirette, talché l'eventuale nullità conseguente alla loro omissione risulta sanata ai sensi dell'art. 182 comma 1 c.p.p. ex multis Sez. 4, n. 21734 del 11 marzo 2004, Costanzo, Rv. 228581 , ma tale principio è stato costantemente affermato da questa Corte in relazione alle notifiche/ad oggetto gli avvisi attinenti l'incidente cautelare ovvero quelli concernenti l'udienza di convalida dell'arresto o del fermo ed in ragione della ristrettezza e della perentorietà dei relativi termini, stabiliti dal legislatore in ragione della sollecita tutela dello status libertatis Sez. 6, n. 2669 del 8 luglio 1999, Zemazka ABM, Rv. 214531 Sez. 3, n. 21401/06 del 15 febbraio 2005, Serafini, Rv. 231978 Sez. 3, n. 2893/09 del 18 dicembre 2008, Capasso, Rv. 242171 Sez. 5, n. 37283 del 1 luglio 2010, Visone, Rv. 248637 e con riguardo a fattispecie in cui non era in dubbio quale fosse il recapito del difensore, bensì rilevavano gli ostacoli frapposti dallo stesso - volontariamente o per mera negligenza - alla ricezione dell'atto. Non di meno la mancata notifica al recapito del difensore di un avviso, anche se non addebitabile all'ufficio, non integra di per sé una negligenza del difensore, valutabile ai fini della sanatoria della notifica, tanto più laddove la legge processuale disciplini i rimedi per ovviare all'inefficacia del tentativo di notifica basterebbe peraltro, nel caso di specie, evidenziare che la Corte territoriale nemmeno ha accertato da quanto tempo l'avv. Pelella avesse trasferito ad altro indirizzo il suo studio professionale, né se la mancata registrazione del tramutamento presso l'Ordine degli Avvocati di Napoli fosse o meno effettivamente addebitabile ad una sua negligenza . Non è infatti accettabile, razionalmente e legittimamente, un automatico giudizio di equiparazione tra inefficace tentativo di notifica al difensore-suo comportamento negligente - sua delegittimazione ad eccepire l'omessa notifica, in difetto di qualsiasi accertamento da parte del giudice di merito finalizzato alla dimostrazione che la tempestività e la diligenza dell'ufficio procedente siano state vanificate dalla insuperabile prevalenza della negligenza della difesa Sez. 5, n. 40451 del 19 ottobre 2010, D. e altro, Rv. 248644 . 1.6 Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con riguardo alla posizione del P. con rinvio alla Corte di appello di Napoli per la celebrazione di un nuovo giudizio di appello nei suoi confronti atteso che l'imputato è stato condannato anche al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituitesi nei suoi confronti, infatti, nel caso di specie non trova applicazione il principio per cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità nullità di ordine generale, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva Sez. Un., n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244275 . Gli ulteriori motivi del ricorso del P. rimangono dunque assorbiti, pur con le precisazioni che verranno fatte in seguito. 2. Con il secondo motivo dei ricorsi dell'A. e del Vi. è stata eccepita l'inammissibilità dell'appello del Comune di Terzigno e l'illegittimità della conseguente condanna dei suindicati imputati al risarcimento dei danni in favore del medesimo. Eccezione analoga è stata invero sollevata con il secondo e terzo motivo del ricorso del P. , che, come si è detto, rimangono assorbiti dall'accoglimento del primo pregiudiziale motivo avanzato dal ricorrente. Ciò non toglie che il giudice del rinvio dovrà comunque attenersi ai principi di seguito affermati in relazione alla posizione dei menzionati A. e Vi. in quanto refluenti anche su quella dello stesso P. . 2.1 Va ricordato sul punto che il giudice di prime cure aveva dichiarato inammissibile con la sentenza la costituzione del menzionato Comune, in precedenza invece ammessa, rilevandone la carenza di legittimazione ai sensi dell'art. 240 legge fall., in ragione dell'avvenuta costituzione del curatore del fallimento della Italgest, società di cui l'ente locale era creditore per le somme sottratte dai C. . Avverso tale decisione proponeva appello lo stesso comune, in accoglimento del quale la Corte territoriale, per l'appunto, condannava i ricorrenti ai fini civili ritenendo l'esclusione della parte civile operata dal Tribunale per un verso tardiva - giacché disposta oltre i termini di cui all'art. 81 c.p.p. - e per l'altro illegittima, in quanto frutto di un'erronea interpretazione della citata norma della legge fallimentare, in quanto la stessa impedirebbe la costituzione del creditore ove vi sia stata quella della curatela esclusivamente qualora si proceda per il reato di bancarotta fraudolenta. 2.2 In proposito va innanzi tutto ribadito che - come ritenuto nella sentenza impugnata - effettivamente il Tribunale non avrebbe dovuto escludere il Comune di Terzigno a causa dell'intervento nel processo della curatela fallimentare, atteso che il limite in tal senso posto dall'art. 240 legge fall., presuppone che il procedimento abbia ad oggetto reati fallimentari e dunque non opera quando invece si proceda per illeciti penali di diversa natura Sez. 2, n. 14088 del 21 marzo 2007, Tonasso e altro, Rv. 236464 . 2.3 Ciò detto non può ritenersi corretto nemmeno quanto sostenuto dalla Corte territoriale in merito alla presunta tardività del provvedimento di esclusione e dunque, sostanzialmente, alla carenza di potere del Tribunale ad assumere siffatta decisione. Infatti, come già sottolineato da questa Corte, ai sensi dell'art. 81 c.p.p. la parte civile può essere esclusa con ordinanza solo prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ma, giacché il termine ivi previsto non preclude alcuna delle possibili pronunce sull'azione civile, l'inammissibilità della domanda proposta dalla stessa parte può essere dichiarata anche con la sentenza che definisce il giudizio Sez. 5, n. 14575 del 16 marzo 2005, Berretta ed altro, Rv. 231778 Sez. 3, n. 25133 del 15 aprile 2009, Greco, in motivazione e ciò in quanto la stabilità decisoria dell'ordinanza dibattimentale che ammette la parte civile deve ritenersi in ogni caso provvisoria, allo stato degli atti , idonea perciò a giustificare una limitata preclusione endoprocessuale, la cui ratio è esclusivamente quella di garantire, in base ad intuitive esigenze di economia processuale, l'ordinato e progressivo svolgimento del giudizio in presenza di una parte eventuale, senza l'instaurazione di fasi incidentali produttive di stasi nel processo penale. È viceversa consentito, con la sentenza di merito, il controllo da parte del giudice dei presupposti di legittimità formale e sostanziale per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale - sia la legitimatio ad causam , sia la legitimatio ad processum , sia l'osservanza delle formalità e dei termini prescritti dalla legge a pena d'inammissibilità - e per il conseguente riconoscimento del diritto della parte civile al risarcimento del danno così in particolare Sez. 4, n. 6633 del 28 gennaio 2009, Mezzino e altri, in motivazione . Né in tal modo l'esclusione posticipata della parte civile può ritenersi ne pregiudichi i relativi diritti, atteso che alcuna statuizione viene assunta dal giudice sul merito della sua pretesa risarcitoria e la stessa conserva intatta la facoltà di cotivare quest'ultima dinanzi al giudice civile, come stabilito dall'art. 88 c.p.p 2.4 Chiariti i profili illustrati, deve ritenersi che la prima delle doglianze avanzate dai ricorrenti - e cioè quella relativa all'inammissibilità dell'appello del Comune di Terzigno - sia fondata ed assorbente rispetto agli ulteriori profili eccepiti con i menzionati motivi di ricorso. 2.5 Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, l'ordinanza dibattimentale di esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile, non essendone consentita né l'impugnazione immediata ed autonoma, perché non espressamente prevista da alcuna disposizione, né quella differita e conglobata con la sentenza ai sensi dell'art. 586 c.p.p., poiché il soggetto danneggiato, una volta estromesso dal processo, perde la qualità di parte e non è dunque legittimato ad impugnare la sentenza che non contiene alcuna statuizione decisoria che lo riguardi in connessione con il provvedimento dibattimentale di esclusione - il quale dunque chiude definitivamente il rapporto processuale civile davanti al giudice penale esaurendone gli effetti - né l'esclusione pregiudica l'esercizio dell'azione risarcitoria in sede civile, come stabilito dall'art. 88 comma 2 c.p.p. Sez. Un., n. 12 del 19 maggio 1999, Pediconi, Rv. 213858 Sez. 1, n. 4060/08 del 8 novembre 2007, Sommer e altri, Rv. 239188 Sez. 3, n. 14332 del 4 marzo 2010, PC in proc. c/ignoti, Rv. 246609 Sez. 7, n. 10880/13 del 11 ottobre 2012, p.c. in proc. Restivo, Rv. 255150 . 2.6 È sì vero che nel caso di specie l'esclusione della parte civile è stata disposta con la sentenza e non con ordinanza dibattimentale, ma, una volta richiamati i principi sopra illustrati in merito alla persistenza del potere di verifica del giudice sulla sussistenza dei presupposti di ammissibilità della costituzione, non è ragionevole ritenere che solo per questo la stessa acquisti il potere di impugnare, fuori dai casi espressamente previsti dall'art. 576 c.p.p., un provvedimento che, in parte qua, ha il medesimo contenuto e funzione dell'ordinanza avverso la quale non gli è attribuito alcun mezzo di gravame. 2.7 Il Collegio non ignora che esiste nella giurisprudenza della Corte anche un orientamento secondo cui dovrebbe ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione della parte civile avverso il capo della sentenza d'appello con il quale, in accoglimento di specifico gravame proposto dall'imputato, sia stata disposta l'esclusione della medesima dal processo e l'eliminazione delle statuizioni disposte in suo favore con la decisione di primo grado Sez. 1, n. 11925 del 26 febbraio 2003, Addesi, Rv. 223680 Sez. 4, n. 4101/13 del 6 dicembre 2012, P.C. in proc. Picozza e altro, Rv. 255264 . Orientamento secondo il quale, nella fattispecie descritta, non potrebbe trovare, infatti, applicazione il principio della inoppugnabilità delle ordinanze che escludono o ammettono la costituzione di parte civile e, nel caso della esclusione, anche della sentenza emessa all'esito del relativo procedimento, dal momento che detto principio non potrebbe operare se non nel presupposto che l'esclusione sia stata disposta, appunto, con un'ordinanza e non invece con la sentenza, così come necessariamente avviene quando, sulla presenza della parte civile nel processo, ammessa nel giudizio di primo grado conclusosi con la condanna dell'imputato, sia stata da quest'ultimo formulata apposita doglianza al giudice d'appello. Ma tale interpretazione non può essere estesa alla fattispecie in discussione, come invece sostanzialmente suggerito dal PG in sede di discussione, in ragione della radicale differenza della situazione processuale a cui si riferisce. Infatti nel caso in decisione, a causa dell'estromissione dal processo disposta dal Tribunale già nel primo grado di giudizio, il Comune di Terzignano aveva perduto la sua qualità di parte - e, conseguentemente, qualsiasi legittimazione all'impugnazione della sentenza che ha concluso il primo grado di giudizio - senza che venisse decisa la richiesta risarcitoria avanzata nel processo penale, al contrario di quanto avvenuto in quello oggetto delle ricordate pronunzie, dove la parte civile era legittimata all'appello avverso la sentenza di primo grado che invece su tale richiesta si era pronunziata. 2.8 Conclusivamente sul punto deve dunque ritenersi che, come eccepito dai ricorrenti, l'appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva estromesso il Comune di Terzignano fosse inammissibile e che pertanto l'impugnazione non avesse devoluto alla Corte territoriale alcuna cognizione sulla pretesa risarcitoria avanzata nei confronti degli imputati, con la conseguente illegittimità delle statuizioni assunte in proposito dai giudici d'appello. La sentenza oggetto di ricorso deve essere pertanto annullata senza rinvio limitatamente alla condanna generica dell'A. e del Vi. al risarcimento del danno in favore del sunnominato Comune, nonché a quella della rifusione delle spese sostenute dal medesimo nei due gradi del giudizio di merito. 3. Venendo alle altre censure avanzate dai ricorrenti, fondate risultano, nei limiti di seguito esposti, le censure mosse con il primo motivo del ricorso dello St. alla motivazione della sentenza in punto di responsabilità dell'imputato. 3.1 La Corte territoriale ha assunto come prova dell'addomesticamento delle verifiche di tesoreria diparte di tutti gli imputati indistintamente, anche il fatto che essi abbiano dolosamente trascurato di svolgere i controlli sulla corrispondenza tra la contabilità dei rispettivi comuni e quella del tesoriere alla luce delle risultanze dei modelli 56T e cioè dei documenti trasmessi agli enti locali dalla Banca d'Italia e riepilogativi dei saldi del periodo di riferimento delle contabilità speciali dei singoli comuni aperte presso la sezione di tesoreria provinciale dello Stato di Napoli ai sensi dell'art. 1 della L. n. 720/1984. Nella prospettazione accolta dai giudici di merito, è sì vero che tali documenti non avrebbero consentito l'accertamento dell'effettiva movimentazione delle citate contabilità - atteso che all'uopo sarebbe stato necessario disporre altresì dei modelli Tesun il modello sintetico inviato dalla Banca d'Italia al ragioniere comunale e ad oggetto i movimenti giornalieri , nonché dei modelli 62C il modello finalizzato alla compensazione giornaliera delle operazione in dare e in avere compiute dal tesoriere a seguito delle reversali di incasso e dei mandati di pagamento emessi dai comuni - ma ciononostante la loro lettura permetteva di evidenziare come totale contabile non corrispondesse storicamente a quanto realmente in cassa, circostanza che doveva impedire di concludere le verifiche positivamente, come invece avvenuto pp. 29.- 31, 43 e 57 della sentenza . 3.2 I giudici napoletani hanno altresì precisato la rilevanza dei modelli 56T anche a fronte dell'obiezione sollevata dalle difese circa il fatto che gli stessi, di frequente, venivano trasmessi in ritardo, non risultando dunque disponibili all'atto della verifica sul segmento di gestione cui i medesimi si riferivano. Obiezione che la sentenza ha ritenuto non decisiva, osservando come in ogni caso la lettura anche tardiva dei modelli avrebbe normalmente allarmato gli amministratori in ordine alla condotta del tesoriere, provocando un'incisiva reazione in occasione delle successive verifiche. L'assenza di tale reazione nella consapevolezza del contenuto dei modelli ricevuti in precedenza e quindi della reale situazione della cassa dei singoli comuni è dunque per la Corte territoriale prova indiretta della volontà degli imputati di agevolare le condotte criminose consumate dai C. p. 30 della sentenza . 3.3 Il ragionamento seguito dai giudici d'appello è tutt'altro che illogico nel contesto probatorio che caratterizza la posizione di alcuni degli imputati, ma si fonda su premesse che collidono con la particolare vicenda dello St. , così come accertata dalla stessa sentenza. Ed infatti è pacifico che egli sia stato ritenuto responsabile del concorso nel reato di peculato commesso ai danni del Comune di Pompei in ragione della sua esclusiva partecipazione alla verifica del 20 marzo 1995, circostanza che appare palesemente in contraddizione con il significato probatorio attribuito ai modelli 56T dalla Corte territoriale, che pure li ha richiamati a sostegno del giudizio sulla sussistenza in capo all'imputato del dolo del reato contestatogli. E ciò a maggior ragione nel difetto di qualsiasi chiarimento sulla effettiva disponibilità dei suddetti modelli all'atto della verifica peraltro negata dal ricorrente ovvero sull'effettiva consapevolezza da parte dell'imputato del contenuto di quelli in precedenza inviati al Comune di Pompei e sulla divergenza dei dati in essi contenuti rispetto alle risultanze contabili del tesoriere. 3.4 Invero i giudici di prime cure avevano collegato il giudizio di responsabilità dello St. al fatto che egli, dopo aver assunto all'inizio del suo mandato un atteggiamento rigoroso nei confronti della gestione della tesoreria, non avesse poi dato seguito ai sospetti che evidentemente coltivava, limitandosi ad una approvazione fin troppo formale della verifica cui aveva partecipato. Tale linea argomentativa denunziava palesi limiti, atteso l'elevato coefficiente congetturale che la caratterizzava, ed infatti la Corte territoriale l'ha parzialmente sostituita, valorizzando la circostanza che, nella costanza del mandato dello St. , il Comune di Pompei ottenne una anticipazione dal tesoriere per far fronte al pagamento di un debito contratto con la Cassa Depositi e Prestiti non avendo risorse finanziarie sufficienti all'uopo. Ancora i giudici d'appello hanno sottolineato come proprio la verifica del 20 marzo 1995 avesse evidenziato come in realtà il fondo cassa fosse composto da somme accantonate e non ancora contabilizzate sembrerebbe di comprendere perché non ancora intervenuti i relativi mandati di pagamento e da depositi provvisori presso la tesoreria comunale. Ma la sentenza non ha poi spiegato perché tali elementi convergerebbero inequivocabilmente nel comprovare la consapevolezza dell'imputato della falsità degli esiti della verifica. 3.5 E la sentenza impugnata difetta altresì di specifica e doverosa motivazione sulle circostanze indicate dal ricorrente e comprovanti un atteggiamento in qualche modo ostile dell'imputato nei confronti del tesoriere, come del resto rivelato anche da quest'ultimo. È sì vero - come pure ricordato dalla Corte territoriale - che a fronte della prova del dolo del reato è irrilevante la mancanza di quella del movente, ma ciò non toglie che le circostanze menzionate non appaiono neutre proprio ai fini dell'accertamento del dolo, posto che, come detto, oggetto di contestazione è la partecipazione dello St. ad una sola verifica. È possibile che, come apoditticamente affermato in origine dal Tribunale, l'imputato avesse ammorbidito la sua posizione verso la gestione della tesoreria, ma che ciò sia stato dolosamente preordinato a garantire copertura alle malefatte della Italgest, piuttosto che il frutto di un comportamento negligente, è esattamente ciò che i giudici di merito dovevano dimostrare e che invece non hanno fatto il Tribunale limitandosi a trasformare l'ipotesi nella sua stessa prova, la Corte territoriale omettendo di motivare sulle ragioni perché gli elementi fattuali selezionati consentirebbero razionalmente di scartare conclusioni diverse da quelle raggiunte nel contesto probatorio dato e complessivamente considerato. Ma, come eccepito nel primo dei motivi aggiunti dello St. , le due sentenze di merito hanno anche omesso di motivare sulla effettiva iscrivibilità della condotta attribuita all'imputato nel paradigma concorsuale del reato di peculato contestatogli. Infatti se egli, almeno inizialmente, aveva osteggiato il C. , era necessario stabilire in che momento avrebbe poi deciso di aderire al reato, evidentemente prima della sua realizzazione per come ricordato da Sez. 6, n. 10813 del 22 settembre 1994, Di Giovanni, Rv. 199925, pure richiamata nella sentenza impugnata , atteso che la verifica del 20 marzo 1995 è intervenuta invece solo dopo la sottrazione delle somme contestate dalla cassa comunale ed era quindi compito dei giudici dell'appello chiarire come e perché l'eventuale volontarietà di omettere i doverosi controlli fosse dimostrativo dell'originario intento di concorrere con gli altri responsabili. Anche con riguardo alla posizione dello St. la sentenza deve dunque essere annullata con rinvio alla Corte d'appello di Napoli per nuovo esame, rimanendo in tal modo assorbite le ulteriori doglianze avanzate con il suo ricorso, salvo quanto si dirà nel prosieguo con riguardo alle statuizioni civili adottate in favore del fallimento Italgest s.p.a 4. Parimenti fondati sono il primo motivo del ricorso del Vi. , nei limiti in cui lamenta il difetto di motivazione sulla effettiva valenza concorsuale della condotta attribuita all'imputato, nonché le doglianze avanzate con il ricorso dello S. , del V. , del G. e del D.P. in merito al difetto di motivazione della sentenza sul significato delle appostazioni degli accantonamenti non contabilizzati. 4.1 All'esito della sensibile riduzione operata dal giudice di primo grado dell'originaria contestazione mossa nei confronti del Vi. , questi è stato infatti ritenuto responsabile del concorso nel reato di peculato in ragione dell'illecito occultamento dei modelli 56T pervenuti al comune di Terzigno nei primi tre mesi del 1997 e relativi ai saldi della contabilità speciale dell'ente locale fino al dicembre del 1996. In proposito la motivazione della sentenza rinvia sostanzialmente a quanto illustrato in precedenza per la posizione dell'A. . Soluzione con la quale la Corte territoriale non ha certo inteso addebitare all'imputato il medesimo fatto contestato a quest'ultimo in violazione del principio di correlazione - come frettolosamente e infondatamente eccepito dalla difesa - ma che in ogni caso non consente di comprendere per quale motivo il comportamento dell'imputato pacificamente posto in essere dopo la consumazione del peculato possa ritenersi un contributo causalmente rilevante alla commissione del reato o sia indicativo della volontà del Vi. di concorrere nello stesso già prima della sua commissione, replicando in tal modo l'evidente vizio che affliggeva sul punto la pronunzia di primo grado v. p. 70 della sentenza del Tribunale . Infatti le pagine della sentenza dedicate all'A. non chiariscono tale profilo, limitandosi a descrivere le condotte tenute dal Vi. successivamente all'ultima verifica di cassa oggetto di imputazione, senza per l'appunto specificare la loro rilevanza ai fini della configurabilità della fattispecie concorsuale contestata all'imputato. 4.2 Quanto alla posizione degli altri imputati indicati sub 4 deve evidenziarsi che la Corte territoriale p. 57 della sentenza ha in maniera apodittica affermato richiamando in maniera eccessivamente generica le conclusioni dei consulenti dell'accusa che le appostazioni degli accantonamenti non contabilizzati risultavano funzionali all'occultamento degli indebiti prelievi del tesoriere, senza invero spiegare effettivamente le ragioni di tale conclusione e soprattutto quelle per cui necessariamente gli imputati avrebbero dovuto rilevare la circostanza, con la conseguente rilevanza ai fini della configurabilità del dolo concorsuale in capo ai medesimi dell'omesso rilievo. 4.3 L'accoglimento delle illustrate doglianze comporta, nei limiti esposti, l'annullamento della sentenza con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Napoli e l'assorbimento delle ulteriore censure avanzate dai suindicati imputati con i rispettivi ricorsi, salvo quanto subito si dirà, con riguardo a quanto dedotto dal Vi. in merito alle statuizioni civili relative alle pretese avanzate dalla curatela Italgest. 5. Fondata è altresì la specifica doglianza dedicata nel primo motivo del ricorso dell'A. all'interpretazione delle dichiarazioni rese su quest'ultimo da C.U. assunta dalla Corte territoriale. Per stessa ammissione dei giudici d'appello il C. , interrogato sui suoi rapporti con l'imputato aveva sostanzialmente evitato di rispondere invocando il risalente legame personale che lo univa al medesimo. Certamente il dichiarante non ha escluso - come invece fatto ad esempio a proposito dello St. - rapporti illeciti con l'imputato, ma nemmeno li ha esplicitamente ammessi, risultando del tutto arbitrario inferire dalle sue ambigue e generiche parole riportate in sentenza la prova di un accordo con l'imputato ad oggetto la gestione disinvolta del servizio di tesoreria, come invece hanno fatto i giudici d'appello. La manifesta illogicità della motivazione sul punto comporta anche in questo caso il suo annullamento con rinvio alla Corte d'appello di Napoli per nuovo esame della posizione dell'imputato. Rimangono conseguentemente assorbite le ulteriori doglianze sollevate con il suo ricorso salvo sempre quanto si dirà in merito alle statuizioni civili relative a Italgest , ma nel valutare l'eventuale sufficienza degli altri elementi posti a carico dell'A. il giudice di rinvio - qualora ritenga di fondarvi la prova di responsabilità - dovrà altresì verificare l'effettiva utilizzabilità nei suoi confronti invero contestata dal ricorrente ed altresì dal Vi. delle dichiarazioni rese dal P. e dal R. menzionate dalla sentenza impugnata. 6. Fondata è infine la doglianza avanzata con il terzo motivo del ricorso dello St. in merito all'inconfigurabilità del danno lamentato dalla parte civile Italgest e al correlato difetto di motivazione della sentenza impugnata, con la quale è stata confermata la condanna generica degli imputati al suo risarcimento, questione che è stata sollevata anche con il secondo motivo dei ricorsi dell'A. e del Vi. . L'accoglimento della censura dedotta dai suddetti ricorrenti deve peraltro ritenersi giovi, ai sensi dell'art. 587 c.p.p., altresì allo S. , al V. , al G. e al D.P. e comunque il giudice del rinvio è chiamato a tenerne conto anche nel nuovo giudizio d'appello disposto nei confronti del P. . 6.1 In proposito deve rammentarsi che, ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, atteso che la suddetta pronuncia costituisce una mera declaratoria juris da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione Sez. 6, n. 12199 del 11 marzo 2005, Molisso, Rv. 231044 Sez. 6, n. 14377 del 26 febbraio 2009, Giorgio e altri, Rv. 243310 . 6.2 Sebbene entro questi limiti è comunque onere del giudice del merito spiegare le ragioni della prospettabilità in concreto - e non già meramente in astratto come affermato dalla Corte territoriale e come invece sufficiente ai fini della valutazione della legittimazione della parte civile a costituirsi nel processo penale - del danno cui la condanna si riferisce, alla luce dell'ulteriore e consolidato principio per cui l'affermazione della penale responsabilità comporta per l'imputato la responsabilità civile per il danno ex delicto che è conseguenza necessaria dell'evento stesso Sez. 5, n. 43363 del 21 ottobre 2010, Mameli, Rv. 248952 . 6.3 In tal senso allora la laconica motivazione offerta in proposito dalla Corte territoriale a p. 57 della sentenza non può ritenersi sufficiente, atteso che la stessa si risolve nella apodittica imputazione del fallimento di Italgest alle conseguenze del reato, senza chiarire perché le illecite appropriazioni effettuate dai C. non si siano risolte invece in un arricchimento, seppure illecito, per la società. In particolare ciò che non è stato chiarito è se il fallimento sia stato causato dalla perdita degli appalti di tesoreria ovvero se ne sia stata la causa e ciò anche alla luce dell'ambiguo riferimento all'altra voce di danno individuata dai giudici d'appello e cioè la perdita del prestigio della società, la cui genericità, anche nell'ottica della potenziale determinazione di un danno, appare fin troppo marcata. Anche sotto questo profilo la sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio alla Corte d'appello di Napoli per nuovo esame. 7. Il ricorso del T. è invece infondato al limite dell'inammissibilità, salvo per quanto si dirà nel prosieguo. 7.1 In proposito deve ricordarsi che la sentenza di primo grado non conteneva statuizioni civili nei suoi confronti, in quanto il Tribunale aveva prosciolto l'imputato rilevando l'intervenuta estinzione per prescrizione dei reati contestatigli. La Corte territoriale era dunque tenuta nel suo caso ad esaminare i motivi d'appello ai limitati fini segnati dalla regola di giudizio contenuta nell'art. 129 c.p.p., secondo cui - come insegnato dalle Sezioni Unite - il giudice è legittimato a far prevalere l'assoluzione nel merito soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che lo stesso giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi , che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento Sez. Un., n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244274 . 7.2 Alla luce dei richiamati principi il secondo ed il terzo motivo del ricorso risultano dunque e per l'appunto infondati, in quanto evocano difetti della motivazione della sentenza senza precisare la decisività, nell'ottica sopra descritta, delle circostanze oggetto di censura e pervero senza nemmeno tenere conto dell'effettivo tenore della suddetta motivazione, com'è nel caso della lettera ad oggetto i rilievi sulla gestione di tesoreria, che la Corte territoriale non ha negato essere stata sottoscritta dal T. , ma semplicemente ne ha attribuito la redazione non ad una sua spontanea iniziativa, ma all'impegno del nuovo ragioniere comunale. Peraltro il contenuto delle dichiarazioni del C. riportato in sentenza e le considerazioni svolte dalla stessa sull'omessa utilizzazione dei modelli 56T in sede di verifica appaiono elementi logicamente sufficienti a sostenere la valutazione effettuata dai giudici d'appello sul difetto di evidenza dell'innocenza dell'imputato. 7.3 Fondato è invece il primo motivo del ricorso del T. , atteso che erroneamente - e probabilmente per mera svista - gli è stata imposta dalla Corte territoriale la refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Italgest, nonostante egli non sia stato condannato nel primo grado di giudizio al risarcimento del danno in favore di quest'ultima, avendo, come già ricordato, il Tribunale dichiarato l'estinzione per prescrizione dei reati che gli erano stati contestati. La sentenza deve essere dunque annullata senza rinvio limitatamente a tale condanna. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di P.A.F. con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per nuovo giudizio. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di A.G. e Vi.Ga. , limitatamente alle statuizioni civili relative alla parte civile Comune di Terzigno che elimina, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli nel resto per nuovo esame. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di T.G. limitatamente alla condanna del medesimo in solido alla refusione delle spese di grado d’appello della parte civile Italgest s.p.a. che elimina e rigetta nel resto il ricorso dello stesso. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di St.Sa. , S.T. , D.P.V. , G.F. e V.C. con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo esame.