‘Portaborse’: epiteto non offensivo. Ma non può essere indicato come unico ‘merito’ per la nomina...

Confermata la condanna per un giornalista, che aveva realizzato un ‘pezzo’ che poneva in dubbio la legittimità delle nomine dirigenziali effettuate dalla Regione. Nodo centrale, secondo il giornalista, il fatto che i nuovi dirigenti fossero tutti stati ‘portaborse’. Ma tale visione è offensiva, perché non approfondita e non verificata, pur se fondata sugli atti ufficiali della pubblica amministrazione.

Probabilmente non è un’esperienza professionale da citare nel proprio curriculum vitae, ma neanche può essere considerata elemento di disdoro. Perché l’attività di ‘portaborse’, oggi più che in passato – almeno in Italia –, è assai diffusa. Ma indicare quella ‘occupazione’ come unico merito per la nomina a dirigente regionale è, nonostante tutto, da valutare come offesa in piena regola. Cassazione, sentenza n. 44243, Quinta sezione Penale, depositata oggi Spesa pubblica . A finire sul banco degli imputati è un giornalista. A essere passato ai ‘raggi X’ è un suo ‘pezzo’, pubblicato da un quotidiano, relativo alla nomina di una dirigente della Regione Calabria , e poggiato, in sostanza, sulla ipotesi che ci si trovi di fronte a uno spreco di denaro pubblico , argomento, questo, sempre attuale. Ma il giornalista compie un passo falso egli sostiene, alla luce degli atti ufficiali della Regione Calabria , che la persona nominata dirigente non ne avesse i requisiti , eccezion fatta per le funzioni di ‘portaborse’ . Consequenziale è la condanna per il delitto di diffamazione la pena di 20 giorni di reclusione , decisa in primo grado, viene ‘commutata’, in secondo grado, in multa di 768 euro , ma, a corredo, resta il risarcimento dei danni a favore della donna. Veritas . Ebbene, la pronunzia di condanna viene confermata anche in Cassazione, nonostante le rimostranze del giornalista, il quale sottolinea il fatto di aver semplicemente pubblicare notizie contenuti in atti ufficiali della Regione Calabria . Ciò significa, secondo l’uomo, aver esercitato in pieno il diritto di cronaca , poggiandosi su una sequela di atti amministrativi e affrontando una materia di oggettivo interesse per la collettività , ossia l’illegittima promozione di personale da parte della Regione Calabria, da sempre in profonda decozione, che, a conti fatti , promozione che a conti fatti non era necessaria, in quanto non vi era la capienza né la copertura finanziaria . Peraltro, aggiunge ancora il giornalista, la vicenda è stata raccontata senza alcuna considerazione personale , in maniera assolutamente imparziale , e, per giunta, ricorrendo anche alla forma dubitativa sulla sussistenza di possibili ipotesi di reato . Ma le obiezioni dell’uomo, come detto, trovano nella Cassazione un muro di gomma. Certo, viene riconosciuto dai giudici, è evidente la perdita di intrinseca carica offensiva dell’espressione ‘portaborse’ nel linguaggio comune , eppure è evidente l’errore compiuto dal giornalista, il quale si è limitato a prendere atto dei provvedimenti della pubblica amministrazione e a segnalare ai lettori che le persone nominate, avendo fatto da ‘portaborse’ a qualcuno in epoca più o meno recente, erano forse state designate per quella ragione, non perché vi avessero titolo . Come si può, allora, si domandano retoricamente i giudici, sostenere l’esercizio del diritto di cronaca ? Sarebbe stato necessario, piuttosto, effettuare un uso legittimo delle fonti , provvedendo a controllare il fatto narrato e a verificarne la veridicità. Anche perché, concludono i giudici, i cittadini hanno sì diritto a vedere affrontati argomenti di pubblico interesse , ma con riferimento a fatti veri . E rispetto a questa ottica anche il ricorso ad espressioni insinuanti è da censurare, perché fanno sorgere nel lettore un atteggiarsi della mente favorevole a ritenere l’effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati , anche se dubbi, incerti, o, addirittura, falsi.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 gennaio – 30 ottobre 2013, n. 44243 Presidente Zecca – Relatore Micheli Ritenuto di fatto Il difensore di A.M. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, con la quale risulta essere stata parzialmente riformata la sentenza emessa il 22/05/2009 dal Tribunale di Cosenza in primo grado il M., accusato di avere diffamato E.A. in un articolo pubblicato sul giornale Il quotidiano nel dicembre 2005, era stato condannato alla pena di giorni 20 di reclusione, oltre al risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa, costituitasi parte civile la riforma disposta dalla Corte territoriale riguardava soltanto la sanzione, che veniva convertita in € 768,00 di multa, con il contestuale beneficio della sospensione condizionale. Nell'articolo in questione, secondo l'ipotesi accusatoria, era stata stigmatizzata la nomina della persona offesa a dirigente presso la Regione Calabria, nomina che veniva presentata come ottenuta malgrado la A. - che aveva svolto funzioni di portaborse ed era peraltro in stato di avanzata gravidanza - non ne avesse i requisiti la Corte di appello, pur convenendo con la difesa dell'imputato circa la perdita di intrinseca carica offensiva dell'espressione portaborse nel linguaggio comune, osservava che restava comunque ferma la falsità della notizia circa il superamento del concorso da dirigente da parte di soggetti non muniti dei necessari requisiti. Detta notizia, ad avviso dei giudici di merito, risultava idonea a ledere la reputazione della A. anche se riportata in termini dubitativi. Il M., che nulla aveva addotto circa l'attività di controllo della veridicità delle informazioni cui aveva attinto, non poteva peraltro invocare l'esimente del diritto di cronaca, neppure in forma putativa. Con l'odierno ricorso la difesa lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 51 e 595 cod. pen., insistendo nella tesi della ravvisabilità della scriminante dell'esercizio dei diritto di cronaca giornalistica dal momento che il M. si era limitato a pubblicare giudizi o notizie contenuti in atti ufficiali della Regione Calabria, e dunque non di propria provenienza . Secondo la tesi difensiva, ad un giornalista non potrebbe mai richiedersi di verificare la rispondenza alla realtà di ogni notizia cui abbia avuto accesso, soprattutto se derivante da una sequela di atti amministrativi, limitandosi altrimenti la libertà di stampa in materie di oggettivo interesse per la collettività come, nella specie, sul temi del possibile spreco di denaro pubblico . In concreto, il Mollo aveva scritto l'articolo in relazione ad un evento certamente di pubblico interesse quale può essere l'illegittima promozione di personale da parte della Regione Calabria, da sempre in profonda decozione, che a conti fatti non era necessaria in quanto non vi era la capienza né la copertura finanziaria , senza apporvi alcuna considerazione personale . li giornalista, avendo assunto una posizione imparziale, esercitava correttamente il diritto di cronaca, ricorrendo anche alla forma, dubitativa sulla sussistenza di possibili ipotesi di reato, e senza mai dire che la A. od altri fossero responsabili di aver commesso illeciti di sorta. Da ultimo, il difensore segnala che nella sentenza impugnata non vi è alcuna motivazione in ordine alla determinazione dei quantum della pena inflitta. Considerato di fatto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. 1.1 Le sentenze di merito hanno adeguatamente spiegato che la A. indipendentemente dall'avere espletato o meno in passato mansioni di portaborse , disponeva dei requisiti di legge per ottenere la nomina di cui si dava contezza nell'articolo di stampa ed hanno altrettanto chiaramente evidenziato che sul possesso da parte sua di detti requisiti non vi era stata alcuna verifica dell'articolista. Questi, in definitiva, si era limitato a prendere atto dei provvedimenti intervenuti nel quali, ovviamente, non poteva che darsi per presupposta la regolarità formale di dette nomine ed a segnalare ai lettori che le persone nominate, avendo fatto da portaborse a qualcuno in epoca più o meno recente, erano forse state designate per quella ragione, non perché vi avessero titolo. Come recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa stessa Sezione, va rilevato che secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, l'esercizio legittimo dei diritto di cronaca e di critica, anche sotto il profilo putativo, non può essere disgiunto dall'uso legittimo delle fonti e l'uso può essere definito legittimo non solo quando la fonte sia lecita, ma anche quando il giornalista abbia offerto la prova dei suo impegno nel controllare il fatto narrato [ ]. Né sussiste l'esimente sotto il profilo putativo, allorché sia addotta l'impossibilità di realizzare questo controllo, a causa dell'inaccessibilità delle fonti di verifica [ ] questa inaccessibilità, lungi dal comportare l'esonero dall'obbligo di controllo, implica la non pubblicabilità della notizia incontrollabile. Il giornalista che intenda comunque pubblicare una notizia non certa, accetta il rischio che essa non corrisponda al vero e che l'antigiuridicità della condotta diffamatoria rimanga senza giustificazione [ ]. Va ribadito che l'informazione ha acquistato - ai sensi dell'art. 21 Cost. - rilevanza di esimente, in tema di lesione della reputazione di un cittadino, in base al presupposto riconoscimento del prevalere di un altro diritto il diritto della collettività ad essere informata su determinati fatti, siano o meno lesivi del credito sociale di chi li abbia commessi. Va da sé che l'interesse pubblico a conoscere ha come esclusiva area operativa quella dei fatti veri. I cittadini non hanno interesse a conoscere fatti falsi. Con il narrare e comunque diffondere fatti non veri, non solo si lede un diritto fondamentale del singolo, ma si lede il diritto della collettività a un'informazione rispondente al vero. La verità dei fatti, oltre che costituire il contenuto dell'obbligo inderogabile cui è tenuto il giornalista, costituisce un connotato radicato nel concetto di cronaca e critica Cass., Sez. V, n. 42020 dell'08/05/2012, Mauro, Rv 254169 . 1.2 Quanto alla valenza scriminante del ricorso alla forma dubitativa, la Corte di appello di Catanzaro ha parimenti richiamato i principi affermati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, giacché anche espressioni insinuanti ad ambigue possono assumere rilievo penale quando, per il modo con cui sono poste all'attenzione del lettore, fanno sorgere in quest'ultimo un atteggiarsi della mente favorevole a ritenere l'effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati . 1.3 Del tutto generica è infine la doglianza concernente l'entità dei trattamento sanzionatorio da un lato, va ricordato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità dei giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di Cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena v., fra le altre, Cass., Sez. III, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia in secondo luogo, deve rilevarsi che la Corte di appello si è limitata a disporre la conversione della pena detentiva inflitta nella sanzione pecuniaria di genere corrispondente. 2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei M. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. L'imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, da liquidarsi nei termini di cui al 'dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di Cassazione, liquidate in € 2.500,00 oltre accessori come per legge.