La configurazione della condotta di diffusione richiede la sussistenza di un quid pluris rispetto agli elementi integranti la mera detenzione

Ai fini della sussistenza del delitto di distribuzione o divulgazione di materiale pedopornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori degli anni diciotto occorre, sotto il profilo soggettivo, che il materiale sia inserito in un sito accessibile a tutti al di fuori di un canale privilegiato o che sia, comunque, propagato ad un numero indeterminato di destinatari, mentre sotto il profilo oggettivo è necessario che i files di cui si compone il detto materiale vietato siano interamente scaricati e visionabili, nonché lasciati nella cartella dei files destinati alla condivisione.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 44190 del 29 ottobre 2013. Il caso. Il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Roma affermava la penale responsabilità di A.M. per i delitti di cui agli artt. 609 bis, 609 ter, 609 quater, e 600 ter c.p., ritenendolo responsabile di una serie di reati sessuali perpetrati nei riguardi della minore N. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria accolta in toto dal Giudice di prime cure , l’imputato – tramite un social network e sotto falsa identità – avrebbe indotto la minore a spogliarsi nuda via webcam, potendo così provvedere a scattare delle fotografie della stessa. Successivamente, dietro minaccia di mostrare ai genitori di N. le foto che la ritraevano nuda, costringeva la ragazza a spogliarsi nuovamente e, addirittura, a compiere atti di autoerotismo sempre via webcam tutto quanto sopra, ferma restando la ulteriore contestazione afferente la detenzione e la divulgazione del detto materiale pedopornografico. La Corte di Appello di Roma confermava quasi interamente la statuizione di condanna, provvedendo a riformare la stessa con riferimento ad un solo capo di imputazione. Avverso tale decisione A.M. ricorreva per Cassazione, deducendo plurimi motivi di gravame, afferenti sia vizi motivazionali che violazioni di legge. La diffusione del materiale. La Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, assegnataria del ricorso de quo , ha ritenuto meritevoli di accoglimento i soli motivi di gravame riferiti alla dedotta violazione di legge derivante dalla contestazione relativa alla diffusione del materiale pedopornografico. In effetti, i Supremi Giudici hanno chiarito come per ritenere configurata l’ipotesi delittuosa de qua sotto il profilo soggettivo – nei termini di una volontà di diffusione – non è sufficiente, sic et simpliciter , la disponibilità e l’utilizzo di un programma informatico di condivisione nel caso specifico era il c.d. e-mule” . In altri termini, la Corte Regolatrice chiarisce che condicio sine qua non per la possibile configurazione del delitto di cui all’art. 600 ter c.p. è che il materiale vietato sia inserito in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un canale privilegiato o, comunque, che sia inviato ad un numero indeterminato di destinatari. Tutto quanto sopra, fermo restando che ai fini della ulteriore e necessaria integrazione sotto l’aspetto oggettivo, il reato potrà dirsi configurato allorquando i files costitutivi il materiale pedopornografico siano interamente scaricati e visionabili, nonché conservati nella cartella dei files destinati alla condivisione. Orbene, sulla scorta di tali argomentazioni, la Corte di legittimità ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto de quo , ritenendo che la circostanza che sul computer sequestrato all’imputato fossero presenti tracce di files – comunque cancellati – relativi ad immagini pedopornografiche prova sicuramente la detenzione, ma non anche la diffusione né, a tal fine, può considerarsi sufficiente la generica disponibilità, in capo ad A.M., di un programma di condivisione il predetto e-mule . L’onere di allegazione degli atti processuali oggetto di gravame. Con la sentenza de qua , i Supremi Giudici hanno avuto modo di richiamare e precisare ulteriormente un principio di diritto precipuamente afferente i limiti del sindacato di legittimità. In effetti la Corte Suprema ha chiarito come i motivi di doglianza specificamente diretti a sostenere la possibilità di una lettura alternativa del compendio probatorio in atti che si fondino su precisi riferimenti a singoli e determinati atti processuali devono essere compendiati dalla allegazione degli stessi, non essendo sufficiente a richiederne la disamina la semplice riproposizione di singole parti estrapolate dagli stessi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 settembre - 29 ottobre 2013, n. 44190 Presidente Squassoni – Relatore Mulliri Ritenuto in fatto 1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - Il procedimento ha tratto origine dalla segnalazione, pervenuta ai genitori della minore N. dodicenne da parte della madre di una amichetta della figlia, della diffusione, nel quartiere, di volantini raffiguranti, tra l'altro, genitali femminili recanti la scritta questa è la parte intima di N. . La madre della minore aveva parlato con la figlia che, dopo qualche esitazione, piangendo, le aveva confessato che, tramite Messanger , era entrata in contatto con tale Ma. che, nel tempo, era riuscita a carpire la sua fiducia e che, ad un certo punto, aveva cominciato a farle strane richieste da cui erano scaturite delle occasioni nelle quali ella si era spogliata nuda davanti alla webcam . In seguito, il suo interlocutore/interlocutrice aveva iniziato a tempestarla di richieste di mostrarsi nuda e compiere atti di autoerotismo dietro la minaccia di divulgare le immagini tra gli amici ed i parenti della ragazzina. Le indagini, alquanto complesse avevano preso origine dall'esame del pc della ragazzina e degli account omissis , omissis e omissis tutti utilizzati dall'ignoto interlocutore. Si è, così, risaliti ad As.Er. , risultato essere il nonno della minore I.C. una compagnetta di N. e ad An.Ni. , persona residente in omissis . Erano, quindi, state attivate intercettazioni telefoniche sia sull'As. che sull'An. ed, infine, anche sull'utenza in uso a C I. . Inoltre, dalle dichiarazioni della minore N. , era risultato che anche un'altra compagnetta, S. , amica dei cuore di C. era a conoscenza delle molestie da lei subite ed era presente in occasione di alcuni contatti. Eseguite delle perquisizioni presso l'abitazione dell'As. e di An. , a casa di quest'ultimo, è stato sequestrato un p.c. che ha evidenziato la disponibilità, da parte dell'imputato dell'account omissis nonché la prova di contati con N. ed, in particolare di uno nel quale la ragazzina lo invitava a non infastidirla più. Sono stati rinvenuti, altresì, 107 files contenenti adolescenti ed una lunghissima lista di contatti 1253 che, per tipologia e linguaggio, sono stati riferiti dagli inquirenti a ragazze adolescenti. Dalle dichiarazioni della minore, era stato, nel frattempo, acclarato che la prima volta che ella si era spogliata davanti alla webcam era stato sicuramente in epoca antecedente il Ulteriori accertamenti hanno permesso di appurare anche che le due amichette di N. , con le quali la stessa si era confidata perché sopraffatta dall'angoscia per ciò che stava vivendo, da un iniziale atteggiamento di solidarietà e complicità erano passate ad una fase attiva di creazione di ben cinque account simili a quello di omissis che si differenziavano solo per un punto o una barra spaziatrice bassa grazie ai quali avevano iniziato a loro volta a fare all'amichetta richieste a sfondo sessuale dello stesso tipo. Per tali condotte vi è stata trasmissione degli atti al Tribunale per i Minorenni. Il G.u.p. ha, comunque, ritenuto che, a prescindere da quanto ascrivibile alle due amichette, vi fossero elementi di responsabilità anche a carico dell'A. che, quindi, è stato condannato, in primo grado, per la violazione dei reati di cui agli artt. 609 bis ter e quater, nonché 600 ter c.p Con la sentenza di secondo grado, l'imputato è stato assolto dall'accusa sub b concernente la violazione dell'art. 600 ter riferita all'impiego della minore N. per la produzione di materiale pornografico . In sintesi, perciò, l'odierno ricorrente è chiamato a rispondere a di violenza sessuale aggravata per avere costretto - dietro la minaccia di mostrare ai genitori delle immagini che la ritraevano nuda - una minore infraquattordicenne a spogliarsi e compiere atti di autoerotismo dinanzi alla webcam b di detenzione di materiale pedopornografico c di divulgazione del predetto materiale. 2. Motivi del ricorso - Avverso la decisione con cui la Corte d'appello ha ribadito la condanna per tali ultimi reati, l'A. ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo 1 vizio di motivazione in relazione al capo a . Secondo il ricorrente, infatti, gli accertamenti investigativi non permettono di pervenire alle conclusioni rassegnate dalla Corte. In particolare si ricorda che dalle relazioni dei CC. del 14 gennaio e del 15 luglio 2008 risulta che le operazioni tecniche sul p.c. dell'imputato hanno dato esito negativo mentre, da quella del 24.9.08, è emerso un unico collegamento con la minore che, nell'occasione, invitava l'A. a non infastidirla più ”. Non vi è, però, alcun riferimento ad altre conversazioni, trasmissioni o foto di contenuto pedopornografico. Anzi, la conversazione del 4 ottobre 2007, attribuita all'imputato, nella quale viene proferita la frase pensa ai tuoi genitori che ogni giorno vedono una foto di sua figlia nuda non è ascrivibile all'A. ma risulta provenire da utente ignoto. Secondo il ricorrente, gli unici collegamenti registrati in totale 8 vengono da un account OMISSIS di cui non si sa nemmeno se riferibile all'imputato mentre le sole conversazioni nelle quali è interlocutrice la minore N. provengono da un account intestato ad As.Er. , nonno di I.C. . A maggior conferma del fatto che i contatti molesti provenivano da persona vicina alla ragazzina, il ricorrente ricorda l'affermazione di N. secondo cui, inizialmente, l'utente aveva fatto finta di non conoscerla ma poi, pian piano, aveva fatto dei riferimenti tali da farle presumere che andasse a scuola con lei. Il ricorrente, infine, sminuisce il valore accusatorio delle ammissioni dello stesso imputato ricordando che egli non ha mai riconosciuto di avere ricattato o minacciato la ragazzina 2 violazione di legge con riguardo ai capi c e d che non possono concorrere visto che l'art. 600 quater contiene una clausola di sussidiarietà 3 vizio di motivazione in relazione al capo e avendo i giudici ritenuto di ravvisare elementi dimostrativi della volontà consapevole di divulgare o diffondere i files pedopornografici. Richiamando la c.t. effettuata sul p.c. sequestrato all'imputato si ricorda che da essa risulta che i sette video contenuti nella cartella temp non risultavano interamente scaricati né che il loro contenuto fosse stato visionato attraverso un programma di anteprima. Mancavano, pertanto, i parametri attraverso i quali provare una consapevole condotta di divulgazione. Ne consegue che quelle dei giudici sono solo presunzioni generiche e che la motivazione sul punto è apparente 4 mancanza di motivazione sul capo c e, segnatamente sulla prova della detenzione del materiale pedopornografico 5 violazione di legge per omessa dichiarazione di contumacia dell'imputato nel giudizio d'appello ed omessa, consequenziale notifica dell'estratto contumaciale all'A. che aveva un diritto alla personale conoscenza del provvedimento. Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Motivi della decisione - Il ricorso può trovare accoglimento nei limitati termini di seguito precisati, segnatamente, con riguardo al secondo e - parzialmente - al terzo motivo. Le doglianze svolte nei restanti motivi, invece, devono essere respinte perché, come si dirà meglio in prosieguo, si tratta di censure sostanzialmente in fatto e, comunque, infondate. 3.1. Il commento al primo motivo pone subito in evidenza il difetto appena enunciato perché - come si evince dai riassunto di cui sopra - esso si risolve nella evocazione delle emergenze probatorie e nel richiamo ai contenuti delle conversazioni con il chiaro intento di avallare una lettura delle prove sotto una differente angolazione a fini minimizzatori se non proprio tendenti alla esclusione della responsabilità dell'imputato . Esula, però, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali sez. VI, 8.5.09, n. 22445, rv. 244181 . Ed infatti, ciò che si deve controllare nella motivazione di merito non è la possibilità teorica che i medesimi fatti si prestino a differenti letture interpretazioni e/o conclusioni bensì solo se la decisione sia stata aderente alle risultanze processuali e queste ultime siano state commentate in modo logico. Che, nella specie, la risposta - all'esito della suddetta verifica - sia positiva lo si può arguire anche solo riflettendo sulla infondatezza delle considerazioni difensive così come è dato comprendere dalla motivazione impugnata. In altri termini, è un fuor d'opera, da parte del ricorrente, evocare suggestivamente le prime risultanze negative delle investigazioni tecniche sul p.c. dell'imputato visto che la circostanza è pacificamente riportata anche dalla Corte che, tuttavia, ricorda come ciò fosse stato dovuto, inizialmente, al fatto che il p.c. dell'imputato era stato resettato e che, tuttavia, dopo un paziente lavoro di recupero dei dati cancellati, era emerso un quadro del tutto diverso nel quale emergevano i contatti tra detto computer e la R. ” f. 5 . In ogni caso, chiosa la Corte, anche nell'unico collegamento poi emerso - ricordato anche dai ricorrente - si rinviene una frase della ragazzina l'invito a non infastidirla più che, da solo, contiene in sé l'implicita conferma della esistenza di altri precedenti collegamenti che l'avevano, appunto, infastidita . Certamente è privo di incisività anche lo sforzo parcellizzante del ricorrente che, estrapolando una frase ed evidenziando che essa non è ascrivibile necessariamente all'imputato in quanto proveniente da utente ignoto tenta di avallare una esclusione della sua responsabilità quasi che quest'ultima poggiasse solo su questo dettaglio. In realtà, il bagaglio accusatorio è ben più ampio e d adeguatamente evidenziato dalla Corte attraverso la evocazione del fatto che l’account OMISSIS risulta sicuramente attivato molto prima di quello creato dalle due amiche della p.o. e di ciò vi è traccia nello stesso p.c. della minore. È, quindi, anche per tale ragione che è vano il tentativo di sviare l'attenzione dall'imputato evocando il fatto che, secondo N. , il suo interlocutore aveva mostrato di essere al corrente di dettagli personali che la riguardavano visto che, chiaramente, ciò è valido per i contatti che la ragazzina ebbe con le amichette che avevano trasformato la premura in intraprendenza . Dice chiaramente la sentenza che - l'account OMISSIS risulta attivato più di un anno prima dell'attivazione degli account utilizzati dalle amiche della giovane persona offesa e risulta riferibile con certezza all'A. , in virtù delle ampie tracce rinvenute nel suo computer unitamente al contatto riferibile a R.N. ” f. 6 . La Corte ha, anche, affermato che le conversazioni recuperate dai log di messanger sul computer della ragazzina antecedenti l'epoca di attivazione degli altri accounts creati dalle amichette testimoniano senza ombra di dubbio, per il loro tenore, la natura delle pretese dell'interlocutore della ragazzina. In particolare, a f. 7 della sentenza si legge che le conversazioni recuperate dal log di messanger sui p.c. della stessa N. evidenziano il tono intimidatorio della richiesta di registrare dei filmati dall'evidente contenuto pedopornografico e che si chiedono filmati in cui la bambina doveva riprendersi mentre si denudava e si masturbava, con successiva richiesta di invio delle fotografie e dei filmati e con effettiva trasmissione degli stessi, risultante dal log di messanger cfr le conversazioni riportate negli allegati alla nota investigativa del 12.12.07, f. 91 ss, dai quali emergono i disperati tentativi della giovane di sottrarsi alle richiesta ed alle continue minacce dell'A. che, se la giovane non avesse accondisceso ai suoi desideri, egli avrebbe attuato le sue minacce allora io imbusto le foto, che goduria, pensa i tuoi genitori che ogni giorno vedono una foto di sua figlia nuda ”. Peraltro, non si può neppure fare a meno di stigmatizzare la circostanza che il ricorrente, nello svolgere una serie di considerazioni squisitamente fattuali volte a sostenere la possibilità di interpretare diversamente i fatti, fa riferimento ad atti processuali come nei caso dell'incidente probatorio dei quali non fornisce alcuna allegazione ma solo l'indicazione di frasi estrapolate e, come tali, non valutabili neppure da questa S.C. per il loro effettivo significato, nel contesto. Ad ogni buon conto, la completezza del bagaglio accusatorio circa la ricorrenza dell'ipotesi delittuosa sub a - per come ricordato dai giudici di merito - la si rinviene anche avendo presenti le chiare accuse della minore e le stesse parziali ammissioni dell'imputato ff. 6 e 7 io si, ho chattato con questa ragazza ”, ammettendo, altresì, di avere ricevuto almeno un paio di volte ” delle immagini nelle quali la ragazzina si spogliava e compiva atti di autoerotismo pur precisando che si era trattato di comportamenti spontanei della ragazza . 3.2. Come anticipato inizialmente, la censura contenuta nel presente secondo motivo è meritevole di accoglimento perché i giudici, nell'attribuire all'imputato la violazione dell'art. 600 ter, non hanno fatto buon uso dei principi enunciati da questa S.C. in tema di interpretazione di tale norma. Ed infatti, è stato chiaramente affermato sez. III 12.1.10, Giunta, rv. 246596 che, per ascriverne la infrazione, al fine di ritenere il ricorso della volontà di diffusione, non è sufficiente l'utilizzo di un programma di condivisione come E-Mule, ad esempio . Ciò è tanto vero che, anche in precedenza sez. IV, 11.12.02, Cabrini, rv. 224702 , il concetto era stato ribadito indirettamente attraverso il riconoscimento del reato peraltro nella ipotesi sussidiaria dei 4^ comma proprio perché la fattispecie era diversa e riguardava un caso di una specifica cessione di file a destinatario determinato attraverso una c.d. chat line . In altri termini, ai fini della sussistenza del delitto di distribuzione o divulgazione di materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori degli anni diciotto art. 600 ter, 3^ comma, c.p. occorre che il materiale sia inserito in un sito accessibile a tutti al di fuori di un canale privilegiato o sia, comunque, propagato ad un numero indeterminato di destinatari v. anche sez. in, u.2.02, D’Amelio, Rv. 221337 . È stato anche precisato che, per la integrazione dell'elemento oggettivo del reato, occorre che i files di cui si compone il materiale vietato siano interamente scaricati e visionabili nonché lasciati nella cartella dei files destinati alla condivisione sez. III, 7.11.08, rv. 242992 . Ciò posto in via di principio, non si può non constatare che, nel caso in esame, i giudici hanno ravvisato la responsabilità dell'imputato per il delitto sub d argomentando, prevalentemente, sull'elemento psicologico e sulla disponibilità, da parte dell'A. , di sette files riproducesti scene di bambini impegnati anche in rapporti sessuali che, peraltro, erano stati cancellati e, quindi, dice la Corte, erano stati sicuramente detenuti. La qual cosa, però se sul piano logico è ineccepibile per provare la detenzione , non basta, di per sé a dimostrare anche la diffusione né, come anticipato, può valere, allo scopo, il richiamo alla disponibilità, da parte dell'imputato, del noto programma di file-sharing condivisione denominato e-mule . La Corte forse consapevole della inadeguatezza dell'argomento , Si è quindi diffusa nell'illustrazione dell'elemento psichico - rafforzato dal rinvenimento di una lunghissima lista di contatti 1253 che, per tipologia, nickname e linguaggio, sono stati ritenuti riferibili a ragazze adolescenti. Ancorché, in sé e per sé, tali considerazioni abbiano una loro validità logica, è un dato di fatto che la prova dell'elemento oggettivo non può discendere dalla esistenza di un sicuro dolo. Come detto, a monte, ciò che qui difetta è proprio la prova della condotta di diffusione visto e considerato anche che - come anticipato - avrebbe dovuto essere acquisita la prova che i files erano stati interamente scaricati e visionabili. Sul punto, invece, la sentenza nulla dice né avrebbe potuto diversamente dal momento che si sta parlando di semplici tracce di files pedopornografici. 3.3. Per ragioni consequenziale a quanto appena detto trattando del motivo che precede, anche il terzo motivo deve essere accolto. Per l'effetto, la sentenza deve essere annullata, in parte qua, eliminando la pena inflitta con riferimento al solo capo d - pari a mesi due e giorni 20 di reclusione -. Non può invece essere accolta la doglianza volta ad escludere anche il capo e perché, come - come sopra evidenziato - è fuor di dubbio la prova della detenzione del suddetto materiale ed è quindi sicuramente applicabile, quantomeno, l'ipotesi residuale di cui all'art. 600 quater c.p Per l'effetto è senz'altro da respingere anche perché generico ed assertivo a riguardo pure il quarto motivo. 3.4. Il quinto motivo, infine, è addirittura manifestamente infondato. Ed infatti, nel giudizio di appello contro le sentenze pronunciate con rito abbreviato non trova applicazione l'istituto della contumacia dell'imputato sez. 1, 19.6.07, cnaknsi, rv. 236841 sez. IV, 26.1.05, Todeschini, Rv. 230921 . Peraltro, ad abundantiam , si deve anche osservare che l'avvenuta conoscenza della sentenza, da parte dell'imputato la si arguisce dal fatto che il difensore abbia proposto tempestivo ricorso. Alla reiezione, sia pure parziale del ricorso, segue la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel grado che liquida in complessivi Euro 3360 oltre accessori di legge. P.Q.M. Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p. , annulla la sentenza impugnata, senza rinvio, limitatamente al reato di cui al capo d art. 600 ter c.p. perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi due e giorni 20 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna l’imputato alle spese sostenute dalle parti civili nel grado che liquida in complessivi Euro 3.360,00 oltre accessori di legge.