La qualità di proprietario dell’area non basta ad affermare la responsabilità penale

In tema di reati edilizi-urbanistici, e segnatamente di individuazione dei soggetti attivi del reato, la qualità di proprietario dell’area ove vengono compiute opere abusive, pur essendo un indizio grave, non è sufficiente per affermare la responsabilità penale. In ogni caso, il proprietario non patisce un’autonoma forma di responsabilità colposa per omesso impedimento dell’abuso edilizio perpetrato.

Diversamente opinando, nei confronti del proprietario si dovrebbe ritenere configurabile una responsabilità oggettiva per le opere abusive edificate sul suo terreno o sulla sua superficie, in contrasto con il principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost Lo ha stabilito la Terza sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44202, depositata il 29 ottobre 2013. La posizione del proprietario del terreno . Una figura problematica sotto il profilo dell’accertamento della responsabilità penale per i reati edilizi è costituita dal proprietario del terreno o della superficie sul quale l’opera abusiva è realizzata. Tale figura non è infatti elencata all’art. 29, D.P.R. n. 380/2001 cosiddetto Testo Unico dell’Edilizia o TUE fra i soggetti titolari di una posizione di garanzia rispetto alla corretta edificazione dell’opera. Pertanto, la responsabilità del proprietario, in tali casi, non potrà configurarsi qualora egli non abbia impedito la commissione, da parte di soggetti terzi, dei reati di cui all’art. 44 del TUE, non essendo invocabile il disposto dell’art. 40 cpv c.p. non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo . Particolare attenzione merita la fattispecie dell’opera abusivamente realizzata su terreno in comproprietà fra coniugi. In tal caso, se autore del manufatto è uno dei coniugi, non può non tenersi conto della stretta comunanza di interessi con il coniuge non autore, che rendono quest’ultimo naturalmente partecipe di tutte le deliberazioni di rilevanza familiare. Per vincere tale presunzione, l’interessato ha l’onere di provare l’insussistenza di tali presupposti nel caso concreto. In altri termini, occorre accertare di volta in volta l’effettiva rilevanza dell’apporto fornito dal proprietario nella realizzazione dell’opera abusiva, dovendosene escludere la responsabilità tutte le volte in cui non emerga un coinvolgimento del proprietario che sia rimasto estraneo all’abuso, in quanto il destinatario delle sanzioni penali edilizie deve essere il responsabile dell’abuso stesso. Nel caso in cui un immobile venga dato in locazione, responsabile della costruzione abusiva che venga successivamente realizzata è l’inquilino, e non il proprietario su quest’ultimo, infatti, non ricade l’obbligo di impedire l’evento. e gli approdi della giurisprudenza di legittimità. La sentenza in commento, nell’escludere la responsabilità penale del proprietario, richiama i principali arresti giurisprudenziali in materia. In primo luogo, è da escludere una responsabilità oggettiva del proprietario per le opere abusive, per il solo fatto di rivestire siffatta qualità. E’ infatti necessaria pure la sussistenza di indizi idonei a sostenere la compartecipazione anche morale al reato, quali la piena disponibilità della superficie edificata, l’interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l’esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell’immobile secondo le norme civilistiche in tema di accessione, nonché in generale tutte quelle condotte attive od omissive da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa il concorso, anche morale, nella realizzazione del fabbricato. Di contro, la responsabilità del proprietario del manufatto nel quale l’abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti quali la qualità di coniuge del committente, la presentazione di istanze per la realizzazione di opere edilizie di portata di gran lunga minori di quelle realizzate o la presenza, sul luogo in cui l’edificio è ubicato, all’atto dell’accertamento, effettuato mediante sopralluogo da parte della Polizia Giudiziaria o dei competenti Uffici comunali. Il caso. La pronuncia in esame, nell’accogliere integralmente il ricorso predisposto dal difensore dell’imputato, sottolinea che – nel caso di specie – la residenza stabile altrove, il viaggio di nozze per l’intera durata dei lavori abusivi e l’indisponibilità a sostenere notevoli esborsi per la realizzazione dell’opera illegittima costituiscono elementi specifici contrari idonei ad escludere che il proprietario del manufatto abbia concorso nell’illecito penale contestato, anche solo sotto il profilo morale. Pertanto, risulta illogica la motivazione della sentenza di appello impugnata, nella parte in cui ha ritenuto sufficiente la qualità di proprietario per affermare la sussistenza dell’interesse ad adeguare l’appartamento e la consapevolezza della natura dei lavori che venivano eseguiti. In altre parole, non è ammesso trarre una certezza da una premessa la qualità di proprietario intesa irragionevolmente come onnicomprensiva fonte di ogni ulteriore elemento probatorio a discapito dell’imputato, nonché idonea a neutralizzare ogni elemento a suo favore addotto dalla difesa.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 - 29 ottobre 2013, n. 44202 Presidente Fiale – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 4 dicembre 2012 la Corte d'appello di Napoli respingeva l'appello proposto da M.G. avverso sentenza del 1 aprile 2010 con cui il Tribunale di Napoli lo aveva condannato alla pena di giorni sei di arresto ed Euro 2600 di ammenda per avere abusivamente realizzato in zona sismica, in assenza del deposito degli atti e della preventiva autorizzazione normativamente previsti, un manufatto in muratura adibito a cucina sul terrazzo a livello di pertinenza di un manufatto preesistente, fatto accertato il omissis . 2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo illogicità della motivazione perché da per certe le premesse dell'assunto difensivo, ma perviene alla conferma della sentenza di primo grado in maniera apodittica . Vengono dati per certi la prevalente residenza di fatto a , il viaggio di un mese e l'indisponibilità a sostenere esborsi non proporzionati all'età e alla condizione economica dell'appellante, che di quell'appartamento era proprietario e, perciò, persona direttamente interessata ma non viene considerato che la qualità di proprietario dell'area ove vengono compiute opere abusive, pur essendo un indizio grave, non è sufficiente per affermare la responsabilità penale, e che comunque il proprietario non patisce un'autonoma forma di responsabilità colposa per omesso impedimento. La stessa sentenza, poi, ammette che l'imputato di fatto non ha eseguito i lavori, tant'è che sul posto fu trovata la madre, nominata custode . Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. La sentenza d'appello da atto che l'appellante aveva chiesto in primo luogo di essere assolto per non aver commesso il fatto, riproponendo gli elementi difensivi addotti in primo grado il fatto che egli lavorava a e tornava a mediamente una volta al mese, il fatto che era stato in viaggio di nozze per l'intero mese di ottobre, l'affermazione di nulla sapere della modifica di una preesistente veranda in alluminio che sarebbe stata iniziativa del padre il quale gli aveva donato l'appartamento nel luglio 2008 si noti che la corte territoriale da anche atto che un teste, collega dell'imputato, aveva confermato che questi lavora e vive a Roma ed è solito rientrare a Napoli solo una volta al mese , e sostenendo di essersi affidato al padre per l'esecuzione dei lavori che, secondo gli accordi intercorsi, avrebbero dovuto essere di sola manutenzione egli dunque avrebbe appreso della trasformazione al ritorno dal viaggio di nozze aveva altresì rimarcato la sua indisponibilità economica sempre a supporto della sua estraneità. La corte territoriale non ha dunque negato la veridicità della prevalente residenza a , del viaggio di un mese e della impossibilità o grave difficoltà per il M. quanto a sostenere un simile esborso per la sua età e la sua condizione economica. Ha ritenuto però, nel suo ragionamento motivazionale, tutto questo irrilevante a fronte di due dati di quell'appartamento egli era il proprietario e perciò persona direttamente interessata a renderlo idoneo al soddisfacimento delle sue personali esigenze, a maggior ragione in virtù della recente formazione di un suo autonomo nucleo familiare , e, seppure di fatto non ha seguito i lavori, tant'è che sul posto fu trovata la madre, nominata custode, era di certo consapevole della natura degli stessi . Ma è dalla qualità di proprietario dell'imputato, a ben guardare, che la corte desume così ogni altro elemento il suo interesse ad adeguare l'appartamento, anche per le recenti nozze senza peraltro considerare la sua residenza altrove e il fatto che l’”autonomo nucleo familiare non risulta che fosse composto da altri che dalla coppia marito e moglie, e quindi fosse minimo , e la sua consapevolezza della natura dei lavori che venivano eseguiti. Il fatto che il M. non fosse presente mentre i lavori venivano effettuati, secondo la corte, non incide minimamente sulla conoscenza, da parte dell'imputato, che i lavori venivano eseguiti e di quali lavori si trattava, perché tutto ciò, secondo la corte territoriale, è insito nell'interesse del proprietario. L'impostazione del ragionamento è chiaramente apodittica, nel senso che configura una sorta di responsabilità oggettiva del proprietario per le opere abusive, pur riconoscendo la sussistenza di elementi fattuali non insignificanti sulla lontananza abituale del proprietario, oltre che sulle sue risorse economiche. E d'altronde, come rileva il ricorrente, la giurisprudenza di questa Suprema Corte sviluppatasi sugli effetti della qualità di proprietario in tema di reati edilizi non ha configurato una siffatta responsabilità oggettiva pur valorizzando intensamente detta qualità, ne esige la contestualizzazione in ulteriori dati, peraltro anche indiziari da ultimo Cass. sez. III, 30 maggio 2012 n. 25669 chiede per il proprietario che non sia formalmente il committente delle opere abusive, per dedurne la responsabilità in tema di reati edilizi, la sussistenza di indizi per sostenere la compartecipazione anche morale al reato, quali appunto la piena disponibilità della superficie edificata, l'interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l'esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell'immobile secondo le norme civilistiche sull'accessione nonché tutti quei comportamenti positivi o negativi da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato a sua volta Cass. sez. III, 22 novembre 2007 n. 47083 pretende che del proprietario, qualora non sia il titolare del permesso di costruire, il committente o il direttore dei lavori, risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40, comma secondo, c.p., in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato ancora, Cass. sez. III, 12 gennaio 2007 n. 8667 afferma che il proprietario non formalmente committente risponde del reato edilizio ex articolo 44 d.p.r. 380/2001 se, trovandosi a conoscenza dell'assenza del preventivo rilascio del permesso di costruire, abbia fornito un contributo causale che abbia agevolato la edificazione abusiva , occorrendo comunque che il giudice verifichi l'esistenza di comportamenti, che possono assumere sia forma positiva che negativa, dai quali si possa ricavare una compartecipazione anche solo morale al reato e non si discostano da una siffatta impostazione Cass. sez. III, 5 luglio 2006 n. 33487 - per cui la responsabilità del proprietario, non formalmente committente, può dedursi da indizi quali la avvenuta presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria e la successiva domanda di sanatoria delle opere realizzate - e Cass. sez. III, 13 luglio 2005 n. 32856 - per cui la responsabilità del proprietario del manufatto nel quale l'abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti quali la qualità di coniuge del committente, la presentazione di istanze per la realizzazione di opere edilizie di portata di gran lunga minori di quelle realizzate, la presenza in loco all'atto dell'accertamento - . Alla luce della suddetta giurisprudenza, concorde nel ritenere non sufficiente di per sé la qualità di proprietario del bene su cui viene eseguita l'opera abusiva per assumere la responsabilità del relativo reato edilizio, non si può non osservare che, se è indubbiamente significativo essere proprietario, occorre d'altronde riconoscere che la sussistenza dell'interesse all'opera abusiva è insita nella qualità di proprietario, per cui a ben guardare tale dato non aggiunge alcunché a quella che, se discende esclusivamente dalla qualità di proprietario, si converte, in difformità dall'appena evidenziata corretta interpretazione, in una responsabilità oggettiva o comunque in una responsabilità omissiva per difetto di vigilanza. Anche la parentela con chi realizza il lavoro, se il proprietario è stabilmente residente altrove, non può fungere da automatica fonte di responsabilità per il proprietario, occorrendo invece indizi gravi precisi e concordanti di una compartecipazione effettiva all'attività illecita che, come si è visto, sono comunque necessari per inibire una erronea conformazione della responsabilità del proprietario quale responsabilità in re ipsa. Nel caso di specie, allora, sono stati apportati dalla difesa elementi specifici contrari la residenza stabile altrove, in viaggio di nozze per tutta la durata del mese d'ottobre in cui risulta essere stata effettuata l'opera, gli aspetti economici di difficile compatibilità con una simile iniziativa alla prospettazione d'accusa, che rimangono nel ragionamento motivazionale della corte non fronteggiati realmente da indizi gravi, precisi e concordanti nel senso della compartecipazione anche morale dell'imputato, pur assente in loco, all'intervento illecito e non vi è spazio, ovviamente, per una inversione dell'onere probatorio, non dovendo l'imputato dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio di non avere avuto nulla a che fare con l'abuso edilizio. È dunque illogico il percorso motivazionale scelto dalla sentenza impugnata, per avere tratto, in effetti, una certezza da una premessa la qualità di proprietario del M. intesa irragionevolmente come omnicomprensiva fonte d'ogni ulteriore elemento probatorio a discapito dell'imputato nonché idonea a neutralizzare ogni elemento a suo favore addotto dalla difesa. In conclusione, la sentenza, risultando sussistente il vizio motivazionale denunciato nel ricorso, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte territoriale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.