Se c’è volontarietà nella sottrazione a un provvedimento restrittivo è latitanza

Ai fini dell’accertamento della volontarietà della sottrazione a un provvedimento restrittivo della libertà personale, non occorre dimostrare la conoscenza della avvenuta emissione di tale provvedimento, ma è sufficiente che l’interessato si ponga in condizione di irreperibilità, sapendo che quel provvedimento può essere emesso.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 43962, depositata il 28 ottobre 2013. Il caso. La Corte di Appello aveva confermato la sentenza di condanna a carico di un imputato per aver acquistato e comunque ricevuto, in diverse occasioni, cocaina in quantità variabile tra i 10 e i 20 grammi, detenendola illecitamente a fine di spaccio. Contro tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge e reiterando la questione d’illegittimità costituzionale degli artt. 295 c.p.p. verbale di vane ricerche e 296 c.p.p. latitanza . Innanzitutto, gli Ermellini hanno affermato che le questioni di costituzionalità, proposte dal ricorrente in relazione agli artt. 3 e 11 Cost., sollevate sotto il profilo della violazione del giusto processo e della disparità di trattamento tra la condizione del latitante e quella dell’irreperibile per il quale sono previste nuove ricerche, sono manifestamente infondate, trattandosi di situazioni ben diverse. Presupposto psicologico della declaratoria di latitanza. A tal riguardo, Piazza Cavour ha dichiarato che proprio la situazione di volontaria sottrazione della persona da sottoporre a custodia e la permanente possibilità della polizia giudiziaria di ricercare ovunque la persona destinataria della misura cautelare personale rendono la situazione del latitante profondamente diversa da quella dell’irreperibile da ciò, consegue la manifesta infondatezza del sollevato dubbio di costituzionalità. Premesso ciò, il ricorso è stato rigettato per infondatezza, in quanto dagli atti non risulta in alcun modo la possibilità che l’imputato, nel procedimento di primo grado, potesse essere reperibile in un determinato luogo per cui correttamente il giudice aveva ritenuto idonee le ricerche espletate. Perciò, per il Collegio, non sussiste alcun vizio di motivazione nel provvedimento dichiarativo della latitanza adottato nel procedimento di primo grado. Secondo i giudici di legittimità, del tutto infondato è anche il secondo motivo con cui il ricorrente ha denunciato la mancata trattazione, nell’ordinanza dibattimentale emessa dalla Corte di secondo grado, della eccepita nullità del decreto di latitanza emesso nel procedimento di primo grado. Il S.C. ha osservato che ove il giudice del dibattimento decida la questione preliminare insieme al merito, l’imputato non può dolersene, oltretutto perché nessun danno deriva alla sua posizione e perché comunque nel sistema della legge l’ordinanza che risolve questioni preliminari è impugnabile solo con la sentenza che definisce il dibattimento . Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 settembre - 28 ottobre 2013, n. 43962 Presidente Agrò – Relatore Ippolito Ritenuto in fatto 1. Con la decisione indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Genova ha confermato la sentenza emessa il 19 luglio 2009, con cui il locale Tribunale aveva condannato Y H. alla pena tre anni di reclusione e 9.000,00 Euro di multa per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 73 d.P.R. 309/90, con la circostanza attenuante di cui al comma 5 del predetto articolo, perché, in concorso con C.A. separatamente giudicato acquistava e comunque riceveva in diverse occasioni dai connazionali O.M. e E.H.A. separatamente giudicati sostanza stupefacente cocaina in quantità variabile tra i 10 e i 20 grammi, detenendola illecitamente a fine di spaccio. 2. Ricorre per cassazione l'imputato, che deduce a illegittimità della sentenza alla luce della nullità originaria del decreto di latitanza e manifesta illogicità sul punto ex art. 606 lett. e c.p.p. b violazione del combinato disposto di cui agli artt. 491 e 598 c.p.p. c illogicità manifesta della motivazione ex art. 606 c,p,p. in relazione al riconoscimento di penale responsabilità . 3. Il ricorrente reitera, inoltre, la questione d'illegittimità costituzionale a dell'art. 295 comma 1 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 principio di ragionevolezza e 111 principio del giusto processo Cost. nella parte in cui non prevede espressamente le condizioni specifiche e i luoghi in cui devono essere svolte le ricerche al fine della compilazione del relativo verbale, a differenza dei quanto previsto dall'art. 159 c.p.p. b degli artt. 295 e 296 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 principio di ragionevolezza e 111 principio del giusto processo Cost. nella parte in cui non stabiliscono, non prevedono e non garantiscono il diritto dell’imputato già dichiarato latitante di ottenere, pro domo sua , la ripetizione delle ricerche all'inizio di ogni fase del processo penale . Considerato in diritto 1. Le questioni di costituzionalità, proposte dal ricorrente in relazione agli artt. 3 e 111 della Costituzione, sollevate sotto il profilo della violazione del giusto processo e della disparità di trattamento tra la condizione del latitante e quella dell'irreperibile per il quale sono previste nuove ricerche, sono manifestamente infondate, trattandosi di situazione ben diverse. La dichiarazione di irreperibilità, potendo derivare da varie evenienze, anche accidentali e contingenti, che possono risolversi, a seguito di rinnovate specifiche ricerche, con l'individuazione di un domicilio dell'interessato, necessita di essere controllata secondo le cadenze individuate dal legislatore. Lo stato di latitanza, invece, deriva dalla volontaria sottrazione dell'imputato o dell'indagato ad una misura cautelare di custodia personale, per l'esecuzione della quale la polizia giudiziaria, senza essere vincolata ai criteri dettati dall'art. 165 c.p.p., ha piena libertà di ricerca in tutti i luoghi in cui si presume possa trovarsi la persona ricercata, con possibilità giuridica e di fatto di poter continuare la ricerca permanentemente e di porre in esecuzione la misura in qualsiasi momento riesca a individuarlo. Il giudizio sull'idoneità e sulla completezza delle ricerche eseguite - sulla base di una valutazione riferita alla concreta situazione accertata in quel momento rebus sic stantibius senza che possano rilevare ai fini della sua legittimità le eventuali informazioni successivamente pervenute - compete al giudice chiamato a emettere il provvedimento di latitanza, per cui l'operato della polizia giudiziaria è sottoposto a controllo e verifica dell'autorità giudiziaria. Proprio tale situazione di volontaria sottrazione della persona da sottoporre a custodia e la permanente possibilità della polizia giudiziaria di ricerca ovunque la persona destinataria della misura cautelare personale rendono la situazione del latitante profondamente diversa da quella dell'irreperibile. Ne consegue la manifesta infondatezza del sollevato dubbio di costituzionalità. 2. Tanto premesso, il ricorso va rigettato per infondatezza. 2.1. Dagli atti non risulta in alcun modo la possibilità che l'imputato, nel procedimento di primo grado, potesse essere reperibile in OMISSIS per cui correttamente il giudice ritenne idonee le ricerche espletate. È stato peraltro più volte affermato da questa Corte che, ai fini dell'accertamento della volontarietà della sottrazione ad un provvedimento restrittivo della libertà personale, che costituisce il presupposto psicologico della declaratoria di latitanza, non occorre dimostrare la conoscenza della avvenuta emissione di tale provvedimento, ma è sufficiente che l'interessato si ponga in condizioni di irreperibilità, sapendo che quel provvedimento può essere emesso Cass. Sez. 1, n. 48739 del 25/11/2004, Lusha, rv. 2303901 . Non sussiste perciò né la denunciata illegittimità né alcun vizio di motivazione nel provvedimento dichiarativo della latitanza adottato nel procedimento di primo grado. 2.2. Del tutto infondato è anche il secondo motivo, con cui si denuncia la violazione degli artt. 491 e 598 c.p.p. per mancata trattazione, nell'ordinanza dibattimentale emessa dalla Corte d'appello, della eccepita nullità del decreto di latitanza emesso nel procedimento di primo grado. Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, la norma dell'art. 491.5 cod. proc. pen., la quale prescrive che sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza, non è sanzionata da nullità, cosicché ove il giudice del dibattimento decida la questione preliminare insieme al merito, l'imputato non può dolersene, oltre tutto perché nessun danno deriva alla sua posizione e perché comunque nel sistema della legge l'ordinanza che risolve questioni preliminari è impugnabile solo con la sentenza che definisce il dibattimento Cass. Sez. 6, n. 7153 del 25/06/1993, Esposito, Rv. 195035 . 2.3. Inammissibile è il terzo motivo, che si risolve in una censura all'apprezzamento probatorio operato dai giudici del merito, che hanno reso conto - con motivazione giuridicamente corretta ed indenne da vizi logici - delle proprie valutazioni e dei risultati del convincimento raggiunto sulla responsabilità dell'imputato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.