Le tensioni esasperate tra ex rendono poco chiaro il quadro probatorio

La donna viene assolta dall’accusa di calunnia nei confronti dell’ex convivente, perché gli elementi acquisiti agli atti non sono idonei a sostenere l’accusa in dibattimento.

La fattispecie. I rapporti fra ex non sono sempre idilliaci, anzi. Proprio la vicenda affrontata dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43977/2013 del 28 ottobre, nasce da un rapporto di coppia ormai incrinato. Dopo che era stato dichiarato il non luogo a procedere nei confronti della donna, in ordine al reato di calunnia, ascrittole per aver falsamente accusato il suo ex convivente di averla percossa ed ingiuriata, veniva proposto ricorso per cassazione dalla parte civile. Il rapporto tra i due era carico di tensione. La Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ritiene giustificate le conclusioni del GUP anche in punto di non determinatezza e risolvente effetto nell’approfondimento di una vicenda che, attese le tensioni talora esasperate tra le parti, ben difficilmente potrebbe comportare una linearità di sviluppo probatorio atto a supportare soluzioni diverse da quelle che, peraltro, già il giudice di pace aveva opportunamente assunto nei confronti dell’uomo con espresso richiamo all’art. 530, comma 2, c.p.p. sentenza di assoluzione .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1 – 28 ottobre 2013, n. 43977 Presidente Milo – Relatore Serpico Ritenuto in fatto e considerato in diritto Avverso la sentenza del GUP presso il Tribunale di Lagonegro in data 14-02-013 che aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti di F.M. in ordine al reato di calunnia ascrittole, per aver falsamente accusato l'ex convivente G.V. di averla percossa ed ingiuria ritenendo non idonei a sostenere l'accusa in dibattimento gli elementi acquisiti agli atti in punto di reale dinamica dei rispettivi comportamenti in occasione di un litigio avvenuto tra i due, la costituita parte civile in persona del predetto G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, a motivi del gravame, cui sono seguiti motivi nuovi sostanzialmente analoghi a quelli principali, attraverso il proprio difensore, sostanzialmente ed in sintesi Contraddittorietà processuale della motivazione con travisamento delle risultanze processuali ed illogicità della motivazione, avendo erroneamente il GIP decidente ricostruito la vicenda in termini incompatibili con le univoche risultanze offerte dalla prova specifica, attraverso l'esame dei testi escussi e segnatamente di tali P. e D.L. già in sede di giudizio innanzi al giudice di pace ed avendo del tutto trascurato il negativo esito della certificazione medica escludente qualsivoglia traccia di lesioni sulla donna. Tali elementi, secondo una ricostruzione in punto di mero fatto operata dalla difesa in termini di sviluppo dell'intera vicenda tra la coppia dimostrerebbe, in uno alla insussistenza della denunciata aggressione da parte dell'uomo in danno della querelante, la conseguente calunniosità dell'accusa, senza che il GIP avesse precisato le ragioni per le quali eventuali indagini di approfondimento dello sviluppo da tale vicenda non avessero potuto contribuite a fare chiarezza circa la corretta attribuzione delle rispettive responsabilità tra i contendenti, fermo restando che l'uomo era stato assolto dal giudice di pace dall'accusa di lesioni e percosse in danno dell'ex convivente, sia pure ex art. 530 co. 2^ e non co. 1^ cpp, come invece avrebbe dovuto correttamente fare. Il ricorso va dichiarato inammissibile, risolvendosi in una prolissa quanto ingiustificata ripetitività dell'asserita ricostruzione in fatto della vicenda tra la coppia protagonista dell'incriminato diverbio, senza che utili elementi di novità, rispetto al ricorso principale, siano stati offerti con gli altrettanto prolissi e ripetitivi argomenti di cui ai motivi nuovi, se non in tema di credibilità dell'accusa della F. , e, quindi, della fondatezza del delitto di calunnia verso l'ex compagno, tema di già ripetutamente enunciato con il ricorso principale. Ciò posto, occorre innanzitutto ribadire il principio di diritto secondo cui a norma del co. 3 dell’art. 425 cpp, utilmente la relativa pronuncia viene assunta allorché, come nella specie, gli elementi acquisiti sono insufficienti o comunque contraddittori e non idonei per sostenere l'accusa in dibattimento. Ed è proprio alla luce di tale tracciato normativo che contro siffatta sentenza la persona offesa può proporre ricorso per cassazione solo nella ipotesi di nullità di cui al co. 7^ dell’art. 419 cpp, attinenti violazioni in rito del tutto insussistenti nel caso in esame e la persona offesa costituita parte civile può proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 v. art. 428 co. 2, c.p.p. . Sotto altri profili, tanto più ove si accompagnino ad argomentazioni censorie di mero fatto con ripetitività spesso gratuita ed ingiustificata, come nel gravame in esame, che quest'ultimo è improponibile innanzi al giudice di legittimità, ostandovi anche l'assenza di effetti preclusivi e pregiudiziali vincolanti per l'eventuale azione civile cfr. in termini Cass. pen. Sez. III, 4-5-2000 n. 5196, PC in proc. Marra . L'attenta ricostruzione della vicenda operata nella decisione impugnata cfr. foll. 2 - 3 , giustifica la conclusione del GUP anche in punto di non determinatezza e risolvente effetto nell'approfondimento di una vicenda che, attese le tensioni talora esasperate tra le parti, ben difficilmente potrebbe comportare una linearità di sviluppo probatorio atto a supportare soluzioni diverse da quelle che, peraltro, già il giudice di pace aveva opportunamente assunto nei confronti del G. con espresso richiamo all'art. 530 co. 2, cpp. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma equitativamente determinata in Euro MILLE/00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro MILLE/00 in favore della cassa delle ammende.