Fax letto dai collaboratori dell’avvocato: il messaggio non è denigratorio, quindi niente reato

È vero che il fax è uno strumento idoneo a realizzare il presupposto oggettivo del reato di diffamazione, in ragione della conoscibilità del suo contenuto da parte di un numero indeterminato di persone, ma è pur vero che esso debba contenere un messaggio denigratorio.

Il caso. Processato e condannato in primo grado alla pena di 200 euro di multa, nonché al risarcimento danni in favore della persona offesa, per il reato di diffamazione art. 595 c.p. , veniva tuttavia assolto in appello. È questa la vicenda giudiziaria affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 43824/2013, depositata lo scorso 25 ottobre. In particolare, l’imputata aveva offeso la reputazione di un avvocato inviando un messaggio fax che veniva letto dai dipendenti dello studio legale del professionista offeso. Le espressioni rivolte all’avvocato contenute nel fax erano che usa illegittimamente o lascia usare a terzi il titolo di Prof. negli atti giudiziari e, nello stesso messaggio, si riferiva che lo stesso sarebbe stato oggetto di esposto all’Ordine degli Avvocati . Vista l’assoluzione in secondo grado perché il fatto non sussiste, la parte civile presenta ricorso per cassazione. Il fax è stato letto dai collaboratori di studio. Il ricorrente contesta la ritenuta insussistenza del reato di diffamazione, per asserito difetto del presupposto della comunicazione con più persone, anche se, in realtà, le modalità di trasmissione rendevano il contenuto del messaggio conoscibile da un numero indeterminato di persone. Il fax non aveva contenuto denigratorio. Gli Ermellini, dal canto loro, ritengono destituita di fondamento la doglianza. Infatti, il fax - pur se strumento idoneo a realizzare il presupposto oggettivo del reato di diffamazione, in ragione della conoscibilità del suo contenuto da parte di un numero indeterminato di persone - non aveva contenuto denigratorio. La comunicazione, in realtà, recava le osservazioni del difensore della controparte nell’ambito di una accesa controversia civile, in ordine al preteso uso indebito che il ricorrente faceva del titolo di professore. Visto il rigetto del ricorso, il ricorrente dovrà pagare le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 giugno – 25 ottobre 2013, n. 43824 Presidente Dubolino – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. R M. era chiamata a rispondere, innanzi al Giudice di pace di Pesaro, del reato di cui all'art. 595 cod. pen. perché offendeva la reputazione di P.M. , inviando un messaggio fax a sua firma presso lo studio legale dell'avv. B.P. , difensore del P. , che veniva letto dai dipendenti del medesimo studio, annunciando l'avvenuta presentazione di una denuncia querela avente ad oggetto l'usurpazione di titoli ed onori da parte di M P. contenente le seguenti espressioni riferite al P. che usa illegittimamente o lascia usare a terzi il titolo di Prof. negli atti giudiziari annunciando, infine, nel predetto messaggio che la presente sarà, altresì, oggetto di esposto all'Ordine degli Avvocati . Con sentenza del 21/10/2009 il Giudice di pace dichiarava l'imputata colpevole del reato a lei ascritto e, per l'effetto, la condannava alla pena di Euro 200 di multa, nonché al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, da liquidarsi in separata sede, oltre consequenziali statuizioni. 2. Pronunciando sull'appello proposto dall'imputata il Tribunale di Pesaro, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava la pronuncia impugnata, assolvendo l'imputata dalla delitto contestato con formula perché il fatto non sussiste. 3. Avverso la pronuncia anzidetta il difensore della parte civile, avv. Roberto Brunelli, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo d'impugnazione il difensore della parte civile deduce violazione l'art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen. per inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 595 cod. pen Con il secondo motivo deduce violazione dello stesso art. 606, comma 1, lett. e per difetto di motivazione con riferimento al contenuto del fax del 16 marzo 2005. Si duole, in particolare, che, nella fattispecie, sia stata esclusa la sussistenza del reato di diffamazione, per asserito difetto del presupposto della comunicazione con più persone, ove invece le modalità di trasmissione rendevano il contenuto del messaggio conoscibile da un numero indeterminato di persone e, oltretutto, nel caso di specie, vi era positivo riscontro che di esso avessero preso cognizione quattro persone tra i collaboratori dello studio legale. Non poteva, del resto, assumere rilievo scriminante la precisazione, in esso contenuta, che la relativa comunicazione avesse carattere riservato nel rapporto con il destinatario, avv. B. , posto che l'avvertenza si riferiva all'ipotesi che, per errore di trasmissione, il messaggio potesse essere pervenuto a persone diverse, tenute a far presente l'errore od a distruggere il messaggio a tutela dei dati personali. Contesta, inoltre, l'assunto del giudice di appello che aveva negato che l'attribuzione al P. della qualità di usurpatore di titoli avesse contenuto denigratorio. 2. La doglianza è destituita di fondamento. Non appare, invero, meritevole di censura la motivazione della sentenza impugnata, che, esprimendo argomentato apprezzamento di merito, ha escluso che il contenuto del fax - pur se strumento idoneo a realizzare il presupposto oggettivo del reato di diffamazione, in ragione della conoscibilità del suo contenuto da parte di un numero indeterminato di persone - avesse nondimeno contenuto denigratorio. In effetti, la comunicazione recava le osservazioni del difensore della controparte del P. , nell'ambito di un'accesa controversia civile, in ordine al preteso uso indebito che quest'ultimo, difeso dall'avv. B. , destinatario del fax, faceva del titolo di professore, sulla base anche di puntuali riferimenti normativi e fattuali, la cui fondatezza non risulta essere stata specificamente contestata dall'interessato, odierno ricorrente. 3. Per quanto precede, il ricorso della parte civile deve essere rigettato con le conseguenziali statuizioni dettate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.