Esce per andare a parlare con il magistrato di sorveglianza: ecco perché non vi è reato …

Non è configurabile il reato di evasione per il cautelato che si è recato presso l’Autorità di p.s. al fine di ottenere un colloquio con il magistrato di sorveglianza per sollecitare la cessazione della misura cautelare.

È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 43791, depositata il 25 ottobre 2013. Il caso. La Corte di Appello, in ordine al reato di evasione, aveva riconosciuto la circostanza attenuante ex art. 385, comma 4, c.p. quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita , riducendo la pena inflitta come da dispositivo e confermando il reato. Contro tale sentenza, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla valutazione dell’elemento psicologico del reato, attesa la peculiarità della condotta da lui posta in essere, concretatasi nell’essersi portato presso l’Autorità di p.s. al fine di ottenere un colloquio con il magistrato di sorveglianza per sollecitare la cessazione della misura cautelare presso il Centro Terapeutico ove era ristretto. Per la Suprema Corte il ricorso è fondato. Oggetto della tutela penale è il rispetto dovuto all’autorità delle decisioni giudiziarie. Innanzitutto, gli Ermellini hanno affermato che deve ritenersi violato l’art. 385 c.p. ogni qual volta il cautelato sfugga ai controlli di polizia, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. Non vi è stata sottrazione allo stato di restrizione. Secondo Piazza Cavour, nel caso di specie, una volta accertato che l’imputato si era recato all’Autorità di p.s. per motivi attinenti al suo stato di detenzione domiciliare, deve escludersi che in tale condotta possa ravvisarsi l’elemento oggettivo del reato, dal momento che il ricorrente, rivolgendosi alla stessa autorità tenuta alla sua vigilanza, non si è sottratto allo stato di restrizione, cui era sottoposto . Pertanto, il Collegio ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 - 25 ottobre 2013, n. 43791 Presidente Garribba – Relatore Gramendola Fatto e diritto S.C. ricorre per cassazione contro la sentenza in data 2/4/2012, con la quale la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale in sede in ordine al reato di cui all'art. 385 cp., riconosciuta la circostanza attenuante ex art. 385/4 cp., riduceva la pena inflitta come da dispositivo, confermando nel reato. Nell'unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento il difensore denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla valutazione dell'elemento psicologico del reato, attesa la peculiarità della condotta posta in essere dall'imputato, concretatasi, nell'essersi portato presso l'Autorità di p.s. al fine di ottenere un colloquio con il magistrato di sorveglianza per sollecitare la cessazione della misura cautelare presso il Centro Terapeutico, ove era ristretto. Il ricorso è fondato. Ed invero oggetto della tutela penale nel reato di evasione è il rispetto dovuto all'autorità delle decisioni giudiziarie sul presupposto di un legittimo stato di arresto o di detenzione del soggetto attivo, sicché deve ritenersi violata la norma incriminatrice ogni qual volta il cautelato sfugga ai controlli di polizia, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. Nel caso in esame, una volta accertato che l'imputato si era recato alla Autorità di p.s. per motivi attinenti al suo stato di detenzione domiciliare, deve escludersi che in tale condotta possa ravvisarsi l'elemento oggettivo del reato, dal momento che il S. rivolgendosi alla stessa autorità, tenuta alla sua vigilanza, non si è sottratto allo stato di restrizione, cui era sottoposto. L'impugnata sentenza va pertanto annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.