Qual è il discrimine tra omicidio volontario e aborto illegale?

La vita autonoma del feto inizia con la rottura del sacco che contiene il liquido amniotico e si raggiunge nel momento iniziale del travaglio, allorché il feto non è ancora autosufficiente.

E’ questo il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 43565/2013, depositata il 24 ottobre scorso. Il caso. Il GIP presso il Tribunale di Viterbo accoglieva la richiesta di misura cautelare nei confronti di A.E.A. poiché gravemente indiziata del reato di cui all’art. 411 c.p., ovvero soppressione di cadavere, ma respingeva la medesima richiesta del PM relativamente all’ipotizzato delitto di concorso in omicidio aggravato per A.E.A. e R.G In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, solo parzialmente accolta dal GIP, l’indagato R.G., infermiere presso la AUSL di Viterbo, falsificando la prescrizione medica del farmaco Cyotec, avrebbe procurato il detto medicinale alla coindagata A.E.A. la quale, incinta, ingerendo tale farmaco avrebbe accelerato il parto, anticipandolo al settimo mese di gravidanza e, dolosamente, avrebbe – in concorso con il R.G. – cagionato la morte della neonata, subito dopo il parto, non prestando alla stessa le necessarie cure dovute alla nascita prematura. Avverso la decisione del GIP, il PM proponeva appello ex art. 310 c.p.p., ma il Tribunale di Roma rigettava l’atto di gravame, confermando l’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari che avrebbe, correttamente, ritenuto la insussistenza della gravità indiziaria necessaria per l’applicazione della misura cautelare richiesta sulla scorta della mancanza di elementi da cui ricavare che la bambina fosse nata viva e non fosse, invece, deceduta subito prima del parto. Il Procuratore della Repubblica di Viterbo ricorreva per Cassazione, deducendo due motivi con il primo lamentava l’erronea applicazione della legge penale, argomentando che la vita autonoma del feto inizia con la rottura del sacco che contiene il liquido amniotico e si raggiunge nel momento iniziale del travaglio, allorché il feto non è ancora autosufficiente, donde la morte intervenuta nella fase intra-peri-partum , come rilevato dal proprio consulente, era coerente con la prospettazione accusatoria afferente il delitto di omicidio volontario. Con il secondo motivo lamentava, invece, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove da un lato il Tribunale, condividendo le conclusioni del consulente, affermava che la morte della neonata avvenne nella fase intra partum a causa di asfissia, cioè nella fase di transizione che va dal momento del distacco del feto dall’utero materno a quello in cui il neonato acquista vita autonoma mentre, contestualmente, dall’altro negava la vitalità della vittima nel momento in cui fu realizzata l’ipotizzata condotta omicidiaria. Omicidio o aborto illegale? Preliminarmente, i Supremi Giudici hanno rigettato il primo motivo di ricorso sulla scorta della inequivocabile considerazione che la pretesa violazione di legge postula una ricostruzione del fatto, a livello indiziario, opposta rispetto a quella sostenuta dal Tribunale nella sua ordinanza. Altrimenti detto, i Giudici della cautela – nel rigettare l’appello del PM e nel confermare l’ordinanza del GIP – hanno posto a fondamento del loro ragionamento logico-giuridico la insufficienza del compendio indiziario agli atti relativamente al momento di verificazione della morte e, conseguentemente, al nesso causale tra l’evento mortale e la condotta degli indagati. Conseguentemente il Tribunale, avendo fondato la propria decisione alla luce del predetto l’ iter motivazionale, non ha concretizzato alcun errore giuridico per avere escluso – quantomeno sulla scorta degli elementi indiziari presenti in atti – la configurazione dell’omicidio volontario, ed avere prospettato la ricorrenza del meno grave reato di aborto illegale ex art. 19 l. 22/5/1978 n. 194. Una motivazione contraddittoria. I Supremi Giudici, nell’accogliere il secondo motivo di ricorso, hanno chiarito come la effettiva presenza, nel corpo motivazionale dell’ordinanza impugnata, di due argomentazioni nettamente contrapposte va necessariamente ad inficiare il provvedimento de quo . In effetti, per come correttamente rilevato dal ricorrente, il Tribunale dapprima riporta e condivide le conclusioni del consulente tecnico del PM, sulla cui scorta la morte del feto è individuabile nelle ultime fasi del parto o, addirittura, immediatamente dopo l’espulsione, con ciò, quindi, attribuendo vitalità allo stesso, conformemente alla prospettazione accusatoria successivamente, nella stessa ordinanza, i Giudici della cautela – motivando il rigetto dell’appello del PM – sostengono, al contrario, che il feto fosse già morto prima del parto, quindi confutando la prospettazione accusatoria. Donde, si appalesa quale necessario un annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, al fine di consentire al Tribunale di pervenire ad una decisione che sia priva di elementi di contraddizione in effetti, laddove si ritenga condivisibile la conclusione del consulente, conseguentemente dovrà accogliersi la tesi della pubblica accusa, afferente la integrazione del delitto di omicidio volontario, essendo la neonata morta quale diretta conseguenza delle condotte poste in essere dai due indagati.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 – 24 ottobre 2013, n. 43565 Presidente Giordano – Relatore Mazzei Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza deliberata il 31 maggio 2013 il Tribunale di Roma, costituito ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen., ha respinto l'appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo avverso l'ordinanza in data 7 marzo 2013 del Giudice per le indagini preliminari della stessa sede, il quale aveva rigettato la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di R.G. e A.E.A. con riguardo al delitto di concorso in omicidio aggravato della figlia neonata dell'A. , ferma la custodia cautelare di quest'ultima per il diverso delitto di soppressione di cadavere, di cui all'art. 411 cod. pen., poiché gravemente indiziata di aver gettato la neonata in un cassonetto. Secondo l'ipotesi accusatoria, il R. , infermiere presso l'AUSL di Viterbo presidio ospedaliero , tramite falsificazione di prescrizione medica del farmaco Cytotec, allestita con la firma apparente del dott. Q. , aveva procurato all'A. il detto medicinale, che, ingerito dalla stessa, ne aveva accelerato il parto al settimo mese di gravidanza e, insieme, avevano cagionato la morte della neonata, subito dopo il parto, avvenuta per sofferenza fetale/neonatale su base ipoannossica, in attuazione del comune piano di sopprimere la neonata, bisognosa di assistenza e cure per il parto prematuro provocato, facendole mancare ogni soccorso con la circostanza aggravante dei motivi abietti e futili consistiti nell'esigenza della A. di continuare la propria attività di dama di compagnia così testualmente l'imputazione provvisoria presso il Night Club Star Night , altrimenti ostacolata dalla necessità di accudire la nascitura. Ad avviso del Tribunale, correttamente il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto l'inesistenza di gravi indizi di colpevolezza dell'omicidio volontario per mancanza di elementi probatori sulla circostanza che la bambina fosse nata viva e non fosse, invece, deceduta prima del parto. Il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero, prof. B.M. , non aveva infatti riscontrato segni polmonari di avvenuta respirazione della neonata negatività della docimasia idrostatica e la stessa A. aveva dichiarato di non aver udito piangere la bambina né di averla vista respirare al momento dell'espulsione, sicché non poteva escludersi, secondo il Tribunale, che la piccola fosse nata già morta. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo, il quale deduce due motivi. 2.1. Il primo motivo articola l'erronea applicazione della legge penale. L'ordinanza impugnata, pur richiamando le cause della morte indicate dal consulente del pubblico ministero, il quale sostiene, testualmente, che è realistico ritenere che si versi nell'ambito di una morte intra-peri-partum , intervenuta cioè nelle ultime fasi del parto o immediatamente dopo , deduce erroneamente che non vi sarebbe certezza che la neonata fosse nata viva e fosse stata volontariamente soppressa dagli indagati. Secondo il ricorrente, che richiama la giurisprudenza di questa Corte al riguardo, la vita autonoma del feto inizia con la rottura del sacco che contiene il liquido amniotico e si raggiunge nel momento iniziale del travaglio, allorché il feto non è ancora autosufficiente. La morte intervenuta, secondo il consulente, nella fase intra-peri-partum era, dunque, coerente con l'ipotesi accusatoria di omicidio volontario riconducibile all'accordo criminoso tra l'A. ed il R. per accelerare farmacologicamente il parto, determinare la nascita di un feto in sofferenza, e non impedirne la morte facendogli mancare le cure e l'assistenza necessarie alla sopravvivenza. L'assenza di segni polmonari di avvenuta respirazione, rilevata dal consulente, non contrasterebbe col fatto che la morte si era verificata nella fase del parto lo stesso consulente, infatti, aveva indicato i segni di vita del feto per la riscontrata presenza, sulla vittima, di una circoscritta area di imbibizione ed ematosa del tegumento cranico in regione parietale sinistra tumore da parto , oltre che di petecchie polmonari e cardiache significative dello stato di vita del bambino . Secondo il pubblico ministero ricorrente, quindi, la corretta applicazione della norma penale avrebbe dovuto muovere dal riconoscimento della vita autonoma del feto nel momento iniziale del travaglio e approdare alla qualificazione dell'attività diretta alla sua soppressione, in assenza dell'elemento specializzante di cui all'art. 578 cod. pen. condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto , come omicidio volontario ai sensi dell'art. 575 cod. pen. con esclusione, altresì, della possibilità di ridurre la condotta del R. a quella di procurato aborto prevista dall'art. 19 della legge n. 194 del 1978, poiché lo stesso non si sarebbe limitato a procurare all'A. il farmaco per accelerare il parto, ma avrebbe partecipato con lei all'intero piano criminoso diretto ad anticipare la fine della gravidanza e a provocare la morte della nascitura, facendole mancare le cure e l'assistenza necessarie. 2.2. Con il secondo motivo il pubblico ministero lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, avendo il Tribunale, da un lato, affermato, seguendo il consulente, che la morte avvenne verosimilmente intra partum a causa di asfissia, ovvero nella fase di transizione che va dal momento in cui inizia il distacco del feto dall'utero materno a quello in cui il neonato acquista vita autonoma, e, dall'altro, negato la vitalità della vittima allorché fu attuata l'ipotizzata condotta omicidiaria. Parimenti illogica e contraddittoria sarebbe la deduzione della non vita della nascitura dalla circostanza che la madre non udì piangere la bambina né la vide respirare al momento dell'espulsione, tenuto conto che, secondo la ricostruzione accusatoria, al feto furono deliberatamente negate, subito dopo il parto, le cure e l'assistenza necessarie per consentirne la sopravvivenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita di essere accolto nei limiti che seguono. 1.1. Il primo motivo è infondato poiché la pretesa violazione di legge postula una ricostruzione del fatto, a livello indiziario, opposta rispetto a quella sostenuta dal Tribunale nell'ordinanza impugnata. Il giudice cautelare, infatti, pone a base delle sue valutazioni il dubbio sulla non vita del feto già nella fase del travaglio del parto, escludendo dunque un evento morte in relazione causale con la condotta degli indagati, che, secondo l'ipotesi accusatoria, si sarebbe articolata in due fasi la prima, attiva, di accelerazione farmacologica del parto e la seconda, omissiva, di non prestate cure alla neonata. Ed è chiaro che, avendo assunto a base del suo ragionamento l'insufficienza indiziaria sul tempo di verificazione della morte e, conseguentemente, sul nesso causale tra esso e la condotta degli indagati, il Tribunale non è incorso in alcun errore giuridico per avere escluso la configurazione del fatto come omicidio volontario e per aver prospettato la ricorrenza del meno grave reato di aborto illegale, di cui all'art. 19 della legge 22/05/1978, n. 194. 1.2. È, invece, fondato il secondo motivo che denuncia la contraddittorietà della motivazione. Essa emerge con evidenza dal testo dell'ordinanza impugnata, la quale, da un lato, riporta le conclusioni del consulente del pubblico ministero, ritenendole attendibili, laddove collocano la morte del feto nelle ultime fasi del parto o immediatamente dopo l'espulsione, accreditandone quindi la vitalità anche per la riscontrata presenza, pur sottolineata dall'esperto e testualmente trascritta nell'ordinanza, di petecchie polmonari e cardiache significative dello stato di vita della bambina e, dall'altro, sostiene invece che il feto fosse già morto prima del parto per mancanza di segni polmonari di avvenuta respirazione e assenza di pianto non avvertito dalla madre, senza valutare la compatibilità di tali elementi con quelli come sopra rilevati dal consulente a favore della vitalità della neonata, seppure non autosufficiente e sofferente per il parto prematuramente indotto. 2. Segue l'annullamento dell'ordinanza impugnata per contraddittorietà e lacuna della motivazione e il rinvio degli atti per nuovo esame al Tribunale di Roma, il quale provvederà uniformandosi a questa sentenza, evitando di ricadere nel rilevato vizio di motivazione. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.