Ricavi ufficiali bassi, ricavi ‘in nero’ alti: rilevato il negozio. Ma è un bluff della venditrice...

Nessun dubbio sulla condotta tenuta dalla venditrice dell’attività commerciale, che, per convincere gli acquirenti, prospetta ricavi maggiori di quelli che emergono dalle scritture contabili si può, a ragion veduta, parlare di truffa. Assolutamente inaccettabile il richiamo a una presunta cattiva gestione del negozio da parte della nuova proprietaria.

Categoria ‘specchietto per le allodole’. Così si può inquadrare il ricavo potenziale dell’attività commerciale, delineato dalla proprietaria e finalizzato, è evidente, a convincere gli acquirenti in maniera definitiva. Ma quando, all’atto pratico, i ricavi effettivi risultano molto più bassi, allora è lecito parlare di truffa. Cassazione, sent. n. 43422/2013, Seconda Sezione Penale, depositata oggi Partenza lenta. Eppure, per i giudici della Corte d’Appello, la condotta tenuta dalla proprietaria del negozio, indossando i panni della venditrice, non è sanzionabile. Soprattutto perché ella nel corso delle trattative per la vendita dell’esercizio commerciale, avrebbe prospettato agli acquirenti ricavi fino a 75mila euro, non risultanti dalle scritture contabili, perché parte del ricavato non sarebbe stato registrato anche al fine di recuperare perdite dovute in passato ad errori del commercialista . Quindi, il dato prospettato sarebbe reale, seppur non ufficiale. Ma, come lamentato dagli acquirenti, l’esercizio commerciale ha avuto un andamento sospetto, con ricavi di gran lunga inferiori a caratterizzare una partenza lenta. Per i giudici di secondo grado, però, non si può comunque valutare come menzognera la condotta della venditrice. Anche perché gli acquirenti si sono ‘limitati’ a prendere in esame i risultati delle prime settimane di lavoro, dopo il trasferimento dell’azienda . Eppoi, evidenziano i giudici, è sospetta la intempestività degli acquirenti nello svolgere lagnanze circa l’andamento dell’esercizio commerciale non bisogna dimenticare, difatti, che la prima missiva di contestazione è arrivata due mesi dopo il trasferimento dell’azienda . Truffa. Però il quadro tracciato dai giudici di secondo grado viene ritenuto eccessivo così si spiega la decisione della Corte di Cassazione di accogliere il ricorso proposto dalla nuova proprietaria del negozio. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, sarebbe stato necessario prendere in considerazione, in termini oggettivi, le cause dell’andamento negativo dell’esercizio commerciale, verificando, in particolare, se i prospettati ricavi 75mila euro fossero reali , se cioè fosse tale la loro consistenza prima della cessione dell’azienda , senza azzardare, come fatto invece in Appello, considerazioni sulle possibili cause di una non corretta gestione dell’esercizio commerciale . E comunque, chiariscono i giudici, prospettare, in sede di vendita di un esercizio commerciale, utili maggiori di quelli risultanti dalle scritture contabili, per non essere stati i maggiori utili volontariamente contabilizzati, né altrimenti provati può far considerare acclarato il delitto di truffa . ‘Sigillati’, quindi, gli effetti penali , restano da approfondire, ora, quelli civili .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 luglio – 24 ottobre 2013, n. 43422 Presidente Esposito – Relatore De Crescienzo Ritenuto in diritto Il ricorso è fondato e va accolto. La decisione impugnata presenta una motivazione contraddittoria e come tale meritevole di censura. La Corte d’Appello afferma infatti che la B., nel corso delle trattative per la vendita dell’esercizio commerciale, avrebbe prospettato agli acquirenti M. e G. ricavi fino ad € 75.000,00, peraltro non risultanti dalle scritture contabili, perchè parte del ricavato non sarebbe stato registrato anche al fine di recuperare perdite dovute in passato ad errori commessi dal Commercialista. La stessa Corte d’Appello sul punto che appare essenziale nella ricostruzione della vicenda indica tre fonti di prova M., G. e R. cugina della G. . Dalla lettura della decisione impugnata si evince che la condotta tenuta dalla B. nel corso delle trattative di vendita dell’esercizio commerciale, risulta essere pienamente provata, posto che il giudice del merito non ha formulato considerazioni che possano far dubitare dell’attendibilità e della sincerità dei testimoni. Dallo stesso testimoniale e dalle dichiarazioni di un ulteriore testimone D.M., emerge inoltre che alle odierne parti offese vennero rammostrate le scritture contabili dalle quali risultano introiti inferiori a quelli dichiarati dalla B. Da ultimo, siccome non sono state formulate confutazioni in ordine alla attendibilità delle prove raccolte, emerge che successivamente alla cessione, l’esercizio commerciale condotto dalla G. ha avuto un andamento con ricavi di gran lunga inferiori a quelli fino a quel momento contabilizzati. La Corte d’Appello nella propria decisione afferma ancora che 1 dalla contabilità non emerge il dato dei ricavi contabilizzato, con la conseguenza che non sarebbe possibile effettuare un confronto tra i ricavi registrati e quelli prospettati 2 in atti non sussiste la prova della natura menzognera delle dichiarazioni della venditrice in merito a possibili detti ricavi, poichè si tratta di fatto semplicemente dedotto dagli acquirenti dai risultati delle prime settimane di lavoro dopo il trasferimento della azienda 3 vi è il ragionevole sospetto che l’intempestività degli acquirenti nello svolgere lagnanze circa l’andamento dell’esercizio commerciale la prima missiva di contestazione sarebbe stata scritta circa due mesi dopo il trasferimento della azienda sarebbe riconducibile ad una volontà di non assolvere al pagamento delle cambiali sottoscritte e consegnate alla parte venditrice. L’affermazione sub 1 , sul piano logico formale, non svuota di contenuto quanto affermato dai testimoni, poichè rimane comunque dimostrato che la venditrice ha prospettato una redditività economico/commerciale non aderente alla contabilità, giustificando la divergenza con affermazioni che non risultano avere avuto riscontro. Di qui si deve concludere che la trattativa intercorsa fra le parti è stata inquinata dalla prospettazione di una circostanza non vera. L’affermazione sub 2 è contraddittoria, posto che proprio l’andamento reale dell’esercizio commerciale denota la mancanza di corrispondenza tra quanto prospettato, in termini di redditività dell’esercizio commerciale, in sede di trattativa dalla venditrice e quanto invece riscontrato dall’acquirente. Di qui la Corte, sul piano logico, avrebbe dovuto prendere in considerazione, in termini oggettivi le cause dell’andamento negativo dell’esercizio commerciale, verificando in particolare se i prospettati ricavi 75.000,00 € fossero reali, nel senso che tale fosse la loro consistenza prima della cessione dell’azienda, senza abbandonarsi a considerazioni generiche in ordine alle possibili e non verificate cause di una non corretta gestione dell’esercizio commerciale. La terza considerazione formulata nella sentenza, non costituisce una prova della insussistenza del fatto, come ritenuto dal giudicante, ma mera congettura, che avrebbe richiesto ed imposto un ben diverso e più approfondito accertamento, qualora fosse stata dotata di un benchè minimo dato idoneo a comprovarla. Alla contraddittorietà ed illogicità della motivazione nella valutazione del dato probatorio emergente dalla lettura della motivazione, si accompagna inoltre l’erronea applicazione dell’art. 640 c.p. infatti, il prospettare, in sede di vendita di un esercizio commerciale, la ritraibilità di utili maggiori di quelli risultanti dalle scritture contabili, per non essere stati i maggiori utili volontariamente contabilizzati, nè altrimenti provati, integra gli artifici e i raggiri propri del delitto di truffa. Tale condotta è da ritenersi penalmente rilevante, perchè idonea ad indurre il contraente ad acquistare l’esercizio commerciale, in condizione di errore su uno degli elementi essenziali del negozi o giuridico. Per le suddette ragioni il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere annullata limitatamente ai soli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Fermi restando gli effetti penali, annulla la sentenza impugnata e rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.