Il fatto non costituisce reato? Niente condanna alle spese per il danneggiato

Con la formula di assoluzione il fatto non costituisce reato , la parte civile non può essere condannata alla rifusione delle spese processuali affrontate dall’imputato.

Lo ha sottolineato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43361/2013, depositata il 23 ottobre scorso. Il caso. Con una lettera inviata ai condomini, un uomo offendeva la reputazione del precedente amministratore del condominio stesso – un donna – tacciandola di pressapochismo , scarsa professionalità e accusandola di aver preso una parcella con l’inganno. La condotta, tuttavia, a parere dei giudici di merito, non costituisce reato. Condanna alla rifusione delle spese. La parte civile, condannata dai giudici di appello alla rifusione delle spese processuali all’imputato - nonostante nessuna domanda in tal senso fosse stata proposta dal difensore dell’imputato - presenta ricorso per cassazione. La S.C. osserva che la parte civile aveva proposto autonoma querela alla competente Autorità Giudiziaria che, valutata l’attendibilità, aveva emesso decreto di citazione in giudizio. Risulta, pertanto, inapplicabile l’art. 38 d.lgs. n. 274/2000, in quanto relativa all’impugnazione proposta dal ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell’imputato ricorso immediato . Non compresa l’ipotesi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Inapplicabile, inoltre, alla fattispecie, anche l’art. 542 c.p.p. condanna del querelante alle spese e ai danni visto che tale norma non comprende l’ipotesi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, quando si tratti di reato perseguibile a querela. E poi, conclude la Cassazione, la condanna al pagamento delle spese - nelle previste formule il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso - richiede un preventivo accertamento dell’elemento della colpa a carico del querelante temerario .

Corte di Cassazione, sez, V Penale, sentenza 16 luglio – 23 ottobre 2013, n. 43361 Presidente Savani – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Gi.En Ra. era chiamato a rispondere, innanzi al Giudice di pace di Mestre, del reato di cui all'art. 595 cod. pen. perché inviando la missiva omissis in atti ai condomini del condominio omissis e quindi comunicando con più persone, offendeva la reputazione del precedente amministratore del predetto condominio, L R. , tacciandola di pressappochismo , scarsa professionalità e accusandola di aver preso una parcella con l'inganno . Con la sentenza del 06/10/2009 il giudicante assolveva l'imputato dal reato a lui ascritto, con formula perché il fatto non costituisce reato. Pronunciando sull'appello proposto dalla parte civile, il Tribunale di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava il gravame, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese processuali all'imputato, ai sensi degli artt. 38 d.lvo n. 274/2000 e 530 cod. proc. pen 2. Avverso l'anzidetta pronuncia il difensore della parte civile avv. Ernesto La Massa, ha proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente eccepisce nullità della sentenza per violazione di legge in riferimento agli artt. 546-542-541 del codice di rito e 38 d.lvo. n. 274/2000. Si duole, in particolare, che il giudice di merito abbia condannato la parte civile al pagamento delle spese processuali sostenute dall'imputato, sebbene nessuna domanda in tal senso fosse stata proposta né nel primo né nel secondo grado dal difensore della Ra. . Deduce, inoltre, che nella fattispecie non poteva trovare applicazione la norma di cui al menzionato art. 38 della legge istitutiva del giudice di pace, in quanto si trattava di disposizione relativa all'impugnazione proposta dal ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato c.d. ricorso immediato , come era reso palese dal richiamo della detta norma al precedente art. 21. Nel caso di specie, invece, la parte civile aveva intrapreso il diverso iter procedi menta le della proposizione di autonoma querela alla competente Autorità Giudiziaria, che valutata l'attendibilità, aveva emesso decreto di citazione a giudizio. Inapplicabile era anche la norma dell'art. 542 del codice di rito che non comprendeva l'ipotesi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, quando si tratti di reato perseguibile a querela. Peraltro, nessuna motivazione era stata resa sul punto dal giudice di appello, tanto più che la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali nelle previste formule il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso richiedeva un preventivo accertamento dell'elemento della colpa a carico del querelante c.d. temerario. Lo stesso art. 542 rinviava all'art. 427 dello stesso codice di rito che, al comma secondo, prevedeva la possibilità di condanna della parte civile alle spese sostenute dell'imputato purché ne fosse stata fatta domanda richiesta che invece, nel caso di specie, non era stata mai formulata. Inoltre, l'art. 541 prevedeva espressa richiesta dell'imputato di condanna della parte civile alla rifusione delle spese processuali. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. mancata valutazione di prova contraria dedotta nell'atto di appello ed illogicità manifesta della motivazione. Sostiene che un adeguato apprezzamento delle risultanze di causa avrebbe dovuto indurre a riconoscere il travalicamento dei limiti propri del diritto di critica. 2. La prima ragione di censura è certamente fondata, essendo affatto ingiustificata ed illegittima la condanna della parte civile al pagamento delle spese processuali in favore dell'imputato, in mancanza dei presupposti di legge, per le ragioni puntualmente indicate dall'odierna ricorrente. In particolare, non risulta che una domanda specifica in tal senso sia stata mai formulata dall'imputato ed è indubbio che, ai sensi dell'art. 542 cod. proc. pen., la condanna della parte civile al pagamento delle spese ed risarcimento del danno in favore dell'imputato postula l'assoluzione con formula perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, ma anche non quella perché il fatto non costituisce reato, come nel caso di specie cfr. Sez. 5, Sentenza n. 31728 del 16/06/2004, Rv. 229332 . La seconda censura è, invece, priva di fondamento, in quanto la pronuncia assolutoria é sorretta da motivazione congrua e corretta, siccome immune da vizi o di incongruenze di sorta. 3. Per quanto precede, in parziale accoglimento del ricorso, l'impugnata sentenza deve essere annullata in parte qua, con conseguente eliminazione della parte relativa per il resto, il ricorso deve essere, invece, rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza limitatamente alla condanna della parte civile al pagamento delle spese processuali all'imputato, condanna che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.