Guida ed uso di sostanze stupefacenti: non basta l’esito della indagine tossicologica

Occorre ai fini del giudizio di responsabilità che sia provata non solo la precedente assunzione di sostanze stupefacenti ma anche che l’agente abbia guidato in stato di alterazione causato da tale assunzione.

La Cassazione, con la sentenza n. 43180/2013 depositata il 22 ottobre, indica le linee da seguire per l’accertamento. Il caso. le massime sopra riportate sono relative ad una pronuncia che ha avuto riguardo ad una caso mediaticamente assai noto. Si tratta dell’omicidio colposo plurimo commesso da conducente di un autoveicolo nel dicembre del 2010 che travolse un gruppo di ciclisti causando la morte di otto di loro e procurando gravi lesioni ad un altro membro del gruppo. Le analisi tossicologiche accertarono che l’uomo aveva assunto sostanze stupefacenti. Le deposizioni raccolte indicarono una condotta di guida particolarmente inusuale connotata da un sorpasso azzardato eseguito a mo di slalom” ed a fortissima velocità in prossimità di una curva. La consulenza tecnica prodotta dalla difesa dell’imputato aveva evidenziato come l’assunzione di sostanze stupefacenti non potesse dirsi effettuata con certezza in periodo anteriore e precedente alla decisione dell’imputato di porsi alla guida e, dunque, mancando nesso di causalità tra la medesima e l’evento, che non potesse applicarsi al reo la circostanza aggravante prevista. La Corte di Cassazione ricostruisce la vicenda con riferimento aproffitandone per delineare definitivamente le caratteristiche che la fattispecie contestata deve possedere ed assumere affinché possa dirsi correttamente integrata. L’assunzione di sostanze stupefacenti. la Corte di Cassazione si interroga in relazione al significato che deve attribuirsi alla norma affinché la condotta incriminata possa dirsi integrata. L’interpretazione fornita, che pare per vero corretta e soddisfacente, è quella che trae origine e forza dallo stesso tenore letterale della norma perché la condotta possa e debba dirsi integrata è necessario che l’autore assuma sostanza stupefacente o psicotropa e che sotto gli effetti della medesima si ponga alla guida del veicolo. Così ricostruita la fattispecie non pare possa dirsi che vi sia spazio per il dubbio ma, nell’applicazione concreta della fattispecie astratta le cose non sempre assumono quesa forma assolutamente semplice e lineare. Occorre in punto precisare che le sostanze stupefacenti e psicotrope di cui la norma si occupa possono essere assunte non solo per finalità meramente ludiche ma, anche, per finalità di carattere terapeutico. In punto mi sono intrattenuto sull’argomento, in compagnia dei professori Travaini e De Micheli con un articolo pubblicato sulla rivista di Medicina Legale che intendeva porre in evidenza i rischi derivanti dall’applicazione di una norma che ha certamente avuto una genesi infelice Vv. Travaini De Micheli – Bossi in Rivista di Medicina Legale anno 2012 fascicolo 2 guida in stato di alterazione dovuto all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope e tutela della salute ovvero , ma al netto delle considerazioni svolte sul punto nell’articolo in questione non può che rilevarsi come le sostanze stupefacenti siano dotate di un tempo di emivita fra loro molto diverso. Detta caratteristica fa si che si possano rilevare tracce dell’assunzione della sostanza stupefacente nell’organismo di taluno senza che detta sostanza sia più in grado di svolgere alcuna funzione in relazione all’apparato sensoriale del soggetto che ne ha fatto uso. Le tracce di sostanza stupefacente hanno influito sull’apparato sensoriale al momento del fatto? In altre parole l’esistenza di tracce di sostanza stupefacente nel organismo dell’autore del reato ex se non significa ne può significare che esse siano o siano state al momento del fatto capaci di intervenire ed influire sull’apparato sensoriale dello stesso e, quindi, divenire atte ad integrare il precetto penale. Ciò significa che la scienza, ovvero la capacità di rilevare tecnicamente la presenza della sostanza stupefacente nel organismo dell’agente non può mai essere considerata prova sufficiente e valida della responsabilità del medesimo in relazione alla commissione della fattispecie descritta nell’articolo 187 del c.d.s. Con buona pace di scorciatoie accusatorie ma mi pare di poter dire di anche molti difensori pigri che equiparavano l’esito dell’esame tossicologico alla impossibilità di dimostrare la non efficacia della sostanza sotto il profilo della capacità di alterazione delle percezioni sensoriali dell’indagato. Assodato e ribadito, che non esiste alcun diretto ed univoco rapporto tra la riscontrata presenza di sostanza stupefacente nel organismo dell’indagato e commissione del fatto reato ex articolo 187 c.d.s., la Corte, con la seconda massima indicata, indica come debba necessariamente essere posto in chiara evidenza, anche sotto il profilo motivazionale, il nesso causale esistente tra l’assunzione della sostanza stupefacente e la commissione del fatto reato. Solo dove esista questo nesso, ovvero l’agente abbia assunto la sostanza e si sia posto alla guida sotto l’influenza della stessa, la norma incriminante potrà dirsi integrata con tutte le conseguenze del caso. Con la terza massima la Corte delinea anche come si possa provare l’esistenza del nesso causale di cui si discute. E qui, si potrebbe dire, casca l’asino. Perché la prova del nesso causale può sostanzialmente essere fornita con ogni mezzo, anche con la testimonianza di chi abbia assistito al fatto. Ed allora può accadere che la prova della commissione del fatto reato venga tratta e si fondi proprio sulle modalità di commissione dello stesso e non già su di una analisi delle condizioni del guidatore. Guidatore che potrebbe del tutto ovviamente essere scosso o sotto choc anche senza aver fatto uso di alcuna sostanza stupefacente e, quindi, però, mostrare condotte che possono venir confuse ed assimilate a quelle tipiche di chi sia in preda agli effetti della sostanza di cui ha fatto uso. Del pari la condotta di guida non può essere indicata come indice univoco dell’esistenza di effetti dovuti alla sostanza stupefacente sull’autista. Molti autisti si credono ahinoi piloti impegnati in autodromi anche senza far uso di alcuna sostanza stupefacente ma fondando la propria convinzione esclusivamente su carenze del proprio apparato cognitivo e decisionale che non assurgono a livello patologico. Ovvero su di una giuridicamente irrilevante scarsa dose di iodio. Se ne deduce che se pur condivisibile, l’insegnamento del Supremo Collegio non regge ad un vaglio critico rispetto ai criteri probatori da adottarsi che finiscono col colorare, quasi a costituire semplice orpello, il dato scientifico rappresentato dalla sostanza stupefacente rilevata nell’organismo dell’autore. Le condotte rilevate dai testimoni dunque divengono e si pongono quale logica conseguenza della rilevazione scientifica e non come sostegno alla stessa in un evidente equivoco epistemico. Equivoco da cui per vero da cui la giurisprudenza non pare riuscire ad individuare soddisfacenti vie d’uscita. Forse perché è indubitabilmente più tranquillizzante, in funzione general preventiva, pensare che il male, soprattutto se inutilmente arrecato, trovi ragione e spiegazione non nell’uomo ma nelle sostanze che l’uomo rendono cattivo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 luglio – 22 ottobre 2013, n. 43180 Presidente Romis – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Poco dopo le ore 20,00 del omissis , E.K.C. , alla guida di un'autovettura Mercedes, mentre transitava lungo la statale XX, in località omissis , invadeva l'opposta corsia di marcia ed investiva un gruppo di ciclisti che la stava percorrendo, causando la morte istantanea di alcuni di essi, segnatamente P.R. , Pu.Vi. , D.L.P. , B.F. , C.G. , P.D. e S.F. , nonché procurando a S.D. lesioni gravi che ne cagionavano la morte qualche ora più tardi ed ancora lesioni gravi a P.G. e D.F. . 2. All'esito di rito abbreviato il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lamezia Terme giudicava l’E.K. colpevole del reato di cui all'art. 589, co. 3, n. 2 e 4 cod. pen. e lo condannava, concesse le attenuanti generiche, equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di anni otto di reclusione, alle connesse pene accessorie, al pagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, con previsione di provvisionali. 3. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catanzaro ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, accogliendo l'appello della parte civili D.G.L.F. , la quale si era doluta che alla condanna generica dell'imputato al risarcimento dei danni da essa patiti non era seguita condanna al pagamento della provvisionale pur richiesta. Pertanto la Corte di Appello condannava l'imputato al pagamento di una provvisionale anche in favore della citata parte civile, confermando ogni altra statuizione della decisione impugnata. 3.1. Secondo la ricostruzione operata nei gradi di merito, l’E.K. , alla guida di un'autovettura Mercedes e sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, aveva provocato il grave sinistro percorrendo ad elevata velocità una curva a sinistra sfociante nel tratto rettilineo che in quel medesimo frangente era percorso nel senso di marcia contrario da un gruppo di ciclisti, che finiva investito dall'automobilista. Nel sinistro avevano trovato la morte cinque ciclisti, mentre altri due avevano riportati lesioni personali. La Corte di Appello respingeva, in particolare, la tesi difensiva secondo la quale la perdita di controllo del autovettura era stata dovuta all'azione di altro mezzo che avrebbe tagliato la strada alla Mercedes comportandone lo scivolamento e l'investimento dei ciclisti. Per il Collegio distrettuale, la tesi era stata prospettata dall'imputato con dichiarazioni imprecise e contraddittorie, peraltro smentite dalle dichiarazioni dei ciclisti superstiti P.G. e D. , i quali avevano escluso che nel momento del sinistro circolasse sul tratto di strada altra autovettura oltre a quella che lo cagionò. In conclusione, il sinistro venne provocato dall'imputato a causa dell'elevata velocità mantenuta, che aveva comportato perdita di aderenza del veicolo e quindi di controllo dello stesso, ed era perciò finito sul gruppo di ciclisti. Quanto alla circostanza aggravante dell'aver commesso il fatto essendo l'imputato sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la Corte di Appello ha ritenuto che l'indagine tossicologica operata dai dottori Bo. e R. desse dimostrazione del fatto che l’E.K. era, al momento del prelievo ematico eseguito alle ore 12,38, sotto l'influenza di sostanza stupefacente derivante dalla cannabis indica le diverse conclusioni del c.t. di parte dr. Ru. non potevano essere condivise perché avrebbero condotto a collocare il momento dell'assunzione della sostanza stupefacente quando l'imputato già si trovava in osservazione presso il Pronto soccorso dell'ospedale di OMISSIS . 4. Avverso tale decisione ricorrono per cassazione nell'interesse dell'imputato i difensori di fiducia avv. Salvatore Staiano e Nicola Veneziano, con due autonomi atti, dal contenuto parzialmente identico. Con il ricorso pervenuto il 27.2.2013 al Tribunale di Lamezia Terme, la difesa lamenta vizio motivazionale in relazione al giudizio della Corte di Appello di sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, co. 3 cod. pen La difesa rileva che la Corte di Appello ha fondato il proprio convincimento sulle risultanze della consulenza tecnica espletata dal dr. c. , che ha accertato la presenza di THC e di THC COOH nell'organismo dell'imputato, concludendo per l'assunzione dello stupefacente da parte di questi uno o due ore prima del sinistro, nonostante il referto redatto in occasione della visita medica eseguita presso il Pronto soccorso al momento dell'accesso dell'imputato indicasse 'sensorio integro, vigile ed orientato, pupille isocoriche ed isocicliche, assenza nistagmo, no nausea, no vomito, no decubito obbligato, rot e rom presenti e pressione arteriosa 130/80 , cavo orale nei limiti , assenza di deficit. Pertanto la decisione non è in linea con la giurisprudenza di legittimità che reputa insufficiente il solo dato tossicologico. Inoltre si rileva che, stando ai parametri offerti dalla consulenza del dr. Ru. , la droga poteva essere stata assunta anche molto tempo prima del sinistro, sicché il conducente al momento del sinistro poteva non essere sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. La Corte di Appello non ha offerto risposta alle puntuali deduzioni dell'appellante, sminuendo immotivamente la consulenza Ru. , attribuendo in modo illogico all'alta velocità di guida valore sintomatico dello stato di alterazione psico-fisica. Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge laddove la Corte di Appello ha mantenuto fermo il trattamento sanzionatorio definito dal giudice di prime cure, in particolare non eliminando l'aumento di pena dovuto all'erroneo riconoscimento della continuazione tra i più illeciti - risultando contestata l'ipotesi di cui all'art. 589, co. 4 cod. pen. - e quindi non applicando soltanto la pena di anni quattro di reclusione, determinata dal primo giudice per il reato ritenuto più grave. Con un terzo motivo, che a differenza dei precedenti è del solo ricorso depositato il 27.2.2013, la difesa censura la motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche, ritenendo che la Corte di Appello sia incorsa in erronea interpretazione di legge, ritenendo ostativa alla richiesta riduzione di pena il divieto di reformatio in peius . Inoltre la misura della pena contrasta con la ratio delle attenuanti generiche e prescinde dalle circostanze dedotte dalla difesa. La Corte di Appello valuta erroneamente i fatti, aumentando indebitamente il grado della colpa anche in ragione della ritenuta sussistenza di una manovra di sorpasso in realtà non eseguita dall'imputato. 5. Con memoria depositata il 28.6.2013 le parti civili costituite contestano la fondatezza dei rilievi operati dal ricorrente, in particolare in merito alla motivazione concernente la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, co. 3 cod. pen., segnalando come il ricorrente non faccia alcun riferimento alla prova generica e alla certificazione del laboratorio di tossicologia di Catanzaro come la ricostruzione patrocinata dall'imputato - esecuzione del prelievo ematico una o due ore dopo il sinistro - non faccia che confermare la guida sotto l'effetto di stupefacente come la Corte di Appello abbia fatto riferimento alla velocità del veicolo non per dedurne lo stato di alterazione psicofisica ma per confermare il complessivo dato testimoniale. Del pari si rileva l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. Si chiede pertanto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del procedimento in favore delle costituite parti civili. Considerato in diritto 6. Il ricorso è infondato e pertanto non merita accoglimento. 7.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte sez. 4, sent. n. 41796 del 11.6.2009, n. 33312 dell'11.8.2008 il reato di cui all'art. 187 del Codice della strada, perché integrato dalla condotta di guida in stato d'alterazione psico-fisica determinato dall'assunzione di sostanze e non già dalla mera condotta di guida tenuta dopo l'assunzione di sostanze stupefacenti, richiede ai fini del giudizio di responsabilità che sia provata non solo la precedente assunzione di sostanze stupefacenti ma anche che l'agente abbia guidato in stato d'alterazione causato da tale assunzione. Ai fini dell'accertamento del reato è dunque necessario sia un accertamento tecnico-biologico, sia che altre circostanze provino la situazione di alterazione psico-fisica. Tale complessità probatoria si impone in quanto le tracce degli stupefacenti permangono nel tempo, sicché l'esame tecnico potrebbe avere un esito positivo in relazione ad un soggetto che ha assunto la sostanza giorni addietro e che, pertanto, non si trova al momento del fatto in stato di alterazione. Circa le modalità attraverso le quali si può pervenire, dalla conoscenza dell'avvenuta assunzione di sostanze stupefacenti, all'accertamento della contestualità tra guida e alterazione psicofisica indotta da quell'assunzione, la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta all'affermazione del principio per il quale, ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti art. 187 del codice della strada , lo stato di alterazione del conducente dell'auto non deve essere necessariamente accertato attraverso l'espletamento di una specifica analisi medica, ben potendo il giudice desumerla dagli accertamenti biologici dimostrativi dell'avvenuta precedente assunzione dello stupefacente, unitamente all'apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato Sez. 4, n. 48004 del 04/11/2009 - dep. 16/12/2009, P.M. in proc. Confortola, Rv. 245798 . Sicché, se da un verso lo stato di alterazione del conducente dell'auto non può essere desunto in via esclusiva da elementi sintomatici esterni, essendo necessario che detto stato di alterazione venga accertato innanzitutto attraverso un esame su campioni di liquidi biologici, trattandosi di un accertamento che richiede conoscenze tecniche specialistiche in relazione alla individuazione ed alla quantificazione delle sostanze Cass., Sez. 4, n. 47903/2004, Rv. 230508 Cass., Sez. 4, n. 20247/2006, Rv. 234464 , dall'altro la contestualità tra condizione di alterazione e guida non richiede necessariamente il convergente esito di una visita medica, ben potendo trarsi la dimostrazione di tale contestualità da altri elementi di prova in tal senso, da ultimo, Sez. 4, n. 6995 del 09/01/2013 - dep. 12/02/2013, Notarianni, Rv. 254402, per la quale lo stato di alterazione del conducente può essere dimostrato attraverso gli accertamenti biologici in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto, senza che sia necessario espletare una analisi su campioni di diversi liquidi fisiologici . Sulla base delle considerazioni che precedono, deve ritenersi pienamente sufficiente, ai fini dell'accertamento della colpevolezza dell'imputato, il dato probatorio dotato di base scientifica costituito dall'indagine tossicologica compiuta sul prelievo ematico e dall'accertamento medico legale del dr. c. in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto, rappresentati dalla allarmante e singolare” condotta di guida descritta dal teste L.C. e rammentata dalla Corte di Appello a pg. 17 , stante il sorpasso azzardato eseguito a mò di slalom, la fortissima velocità, l'esecuzione di altri due sorpassi in prossimità di una curva. Siffatta valutazione non ha ignorato l'obiettività riscontrata alle ore 11,39 del OMISSIS presso il Pronto soccorso lo si ricorda nuovamente sensorio integro, vigile ed orientato, pupille isocoriche ed isocicliche, assenza nistagmo, no nausea, no vomito, no decubito obbligato, rot e rom presenti e pressione arteriosa 130/80 , cavo orale nei limiti , assenza di deficit . Ma con motivazione congrua la Corte di Appello ha ritenuto che tale quadro non fosse incompatibile con la pregressa e recente assunzione di sostanza stupefacente. Né risponde al vero che il Collegio distrettuale ha sminuito immotivatamente il valore dimostrativo dell'accertamento tecnico condotto dal dr. Ru. , risultando affrontata ex professo la portata critica dei rilievi svolti dal consulente di parte pg. 15 e s. e congruamente motivato il giudizio di minore attendibilità rispetto al contributo tecnico reso dal dr. c. . Al riguardo è opportuno rammentare che costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purché la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008 - dep. 04/12/2008, Ghisellini, Rv. 241907 . 7.2. Infondato è anche il secondo motivo. L'intervento operato dalla Corte territoriale si è prodotto sul piano meramente qualificatorio. Il primo giudice ha individuato una pena base ed ha imputato alla continuazione tra reati - tuttavia senza esplicare la ricorrenza dei relativi costituenti - l'aumento apportato a quella. Così facendo è incorso in errore poiché, come puntualmente ricordato dal giudice di secondo grado, l'art. 589, co. 4 cod. pen. prevede un'ipotesi di concorso formale di reati, che non lascia spazio all'istituto della continuazione tra reati. A fronte di ciò la Corte di Appello si è limitata a dare corretta definizione al titolo dell'aumento, sicché non può evocarsi alcuna indebita reformatio in peius . 7.3. In relazione al terzo motivo di ricorso va osservato quanto segue. La Corte territoriale ha in primo luogo preso atto dell'ulteriore errore in cui era incorso il Tribunale, operando il giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante di cui all'art. 589, co. 3 cod. pen., che tuttavia è precluso dalla lettera dell'art. 590bis cod. pen Quindi ha ritenuto che tale giudizio non fosse rivisitabile, stante il divieto di reformatio in peius . In effetti, la principale conseguenza del giudizio di equivalenza operato dal primo giudice è la necessità di individuare la pena da infliggere all'interno della cornice edittale prevista per il reato non circostanziato nella specie quella definita dall'art. 589, co. 1 cod. pen In realtà, la corretta applicazione del combinato disposto agli artt. 589, co. 3 e 590 bis cod. pen. avrebbe condotto ad individuare la pena ai sensi dell'art. 589 co. 3, ad applicare su questa la diminuzione per le concesse e non revocabili attenuanti generiche, quindi ad apportare l'aumento di cui all'art. 589, co. 4 cod. pen La Corte di Appello ha ritenuto di non poter procedere in tal senso perché ciò avrebbe comportato una reformatio in peius non consentita. L'affermazione non è del tutto esatta, perché in ragione di tale divieto il giudice di secondo grado sarebbe stato vincolato alla concessione delle attenuanti generiche ma, venendo a mutare la cornice edittale di riferimento da tre a dieci anni di reclusione , libero di definire la misura della pena base” ed altresì di determinare l'entità della diminuzione da apportare sulla stessa per effetto delle attenuanti generiche, fermo restando che il risultato di questa prima fase della determinazione del trattamento sanzionatorio non poteva essere rappresentato da una pena maggiore di quella di quattro anni di reclusione, da porre infine a base dell'aumento previsto dall'art. 589, co. 4 cod. pen Nel caso in esame, infatti, il principio secondo il quale il divieto di reformatio in peius preclude la modifica delle pene determinate per ciascuna componente determinante per il complessivo computo deve trovare ragionevole applicazione, stante l'errore nella identificazione della cornice edittale entro la quale definire la pena da porre a base delle operazioni di riduzione ex art. 590 bis cod. pen. e successivamente di aumento ex art. 589, co. 4 cod. pen. . Si profila, qui, una fattispecie per la quale sembra valere quanto si è già affermato al riguardo della sottrazione dal reato continuato del reato più grave Sez. 6, n. 31266 del 16/06/2009 - dep. 29/07/2009, Buscemi e altro, Rv. 244793 . Proprio perché la Corte di Appello poteva pervenire per questa via a mantenere ferma la pena inflitta in primo grado, va ritenuto che la violazione di legge nella quale è incorsa non conduce all'annullamento della relativa statuizione in quanto la Corte di Appello ha chiaramente ritenuto che solo per il divieto di reformatio in peius , pur tenendo conto dei più elevati termini edittali dei quali tener conto, la pena inflitta risultava non modificabile, stante l'indubbia gravità dei fatti, il grado della colpa e la personalità dell'imputato, che rendevano equo e proporzionato il trattamento sanzionatorio già definito e quindi – di converso - non rivisitabile il già formulato giudizio di comparazione tra le circostanze, manifestando in tal modo di ritenere che la pena di quattro anni fosse quella da infliggere prima dell'aumento previsto dall'art. 589, co. 4 cod. pen. 7.4. L'ultimo profilo investito dal ricorso, che lamenta l'eccessività della pena, prende le mosse da una ricostruzione alternativa della vicenda rispetto a quella fatta propria dal decidente e da questi esplicata con congrua motivazione. Si allude alla manovra di sorpasso eseguita dall'imputato. Pertanto si tratta di censura inammissibile. 8. Segue, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed altresì alla rifusione alle parti civili delle spese sostenute per questo giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge a favore di T.G.I. , C.S. , Ca.Se. , C.A.R. e C.C. ed in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori come per legge, per le restanti parti civili Pe.Vi. , G.P. , P.A. , Pa.Vi. , F.S. , S.F. , Pu.Da. , Pu.Si. , S.M. , B.R. , P.F. , P.M.D. , C.P. , S.M. , S.G. , S.A. , S.I. , P.M. , Pe.Gr. , B.C. , N.T. , D.G.L.F. , P.S. , P.C. , Pa.Ge. , C.A. , P.P. , di seguito indicati come parti civili nominativamente indicate nelle conclusioni di cui il primo firmatario risulta essere l'avv. Francesco Pagliuso. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Lo condanna inoltre a rimborsare alle parti civili le spese sostenute per questo giudizio che liquida come segue 1 complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge a favore di T.G.I. , C.S. , Ca.Se. , C.A.R. e C.C. 2 complessivi Euro 5.000,00 per le restanti parti civili nominativamente indicate nelle conclusioni di cui il primo firmatario risulta essere l'avv. Francesco Pagliuso, oltre accessori come per legge.