Il responsabile del servizio prevenzione può solo segnalare senza intervenire: sussiste comunque la posizione di garanzia

Al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur spettando all’interno della struttura aziendale un ruolo non operativo, ma di consulenza, compete l’obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri.Â

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 42493 del 16 ottobre 2013. Il caso. La Corte d’Appello de L’Aquila, confermando la precedente statuizione del Tribunale, riteneva il legale rappresentante e il direttore responsabile della sicurezza di una società a responsabilità limitata, in concorso tra loro, colpevoli del reato di cui all’art. 590, co. 3 c.p. omicidio colposo con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro , commesso in danno di un dipendente della società stessa. In particolare, agli imputati veniva contestato di aver cagionato l’infortunio occorso alla persona offesa, la quale era rimasta schiacciata da un carroponte mentre lubrificava il portellone di un’autoclave sottostante, non avendo gli stessi, rispettivamente e in ragione delle loro qualità, predisposto gli idonei sistemi di sicurezza atti ad evitare la caduta improvvisa del predetto carroponte e segnalato tale criticità. Tutto ciò in violazione dell’art. 41, D.P.R. n. 547/55, in vigore all’epoca dei fatti. Al fine dell’individuazione dei titolari delle posizioni di garanzia la Corte riteneva irrilevante la delega di funzioni in materia di sicurezza conferita dal legale rappresentante ad un altro soggetto, attesa la mancanza di data certa e dell’accettazione del destinatario. Essa, come supra evidenziato, incardinava, poi, in capo al responsabile della sicurezza l’obbligo giuridico di segnalare le insufficienze dei sistemi di sicurezza, obbligo da costui non rispettato. Inoltre, il Collegio di secondo grado riteneva violate le disposizioni ex D.P.R. 547/55 in quanto i dispositivi di sicurezza presenti sul luogo di lavoro, nella specie un fermo meccanico da azionare manualmente, non erano in grado di impedire eventi lesivi in danno dei lavoratori, non costituendo tali dispositivi una barriera tra il carroponte e l’autoclave sottostante. Veniva altresì disattesa l’eccezione di abnormità del comportamento del dipendente, il quale non aveva azionato il predetto fermo meccanico, dovendosi considerare tale imprudente condotta non imprevedibile, anzi verosimile e probabile. Avverso la sentenza della Corte d’Appello proponevano ricorso in Cassazione entrambi gli imputati. Il legale rappresentante eccepiva, con il primo motivo, la nullità della citazione a giudizio d’appello, essendo la stessa stata notificata al proprio difensore nonostante egli avesse eletto domicilio presso la propria residenza e non avesse modificato tale elezione. Con il secondo motivo il primo imputato denunciava la violazione dell’art. 42, co. 2 c.p., non avendo compiuto i giudici di secondo grado alcuna indagine in merito all’elemento soggettivo della fattispecie delittuosa, essendosi limitati all’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento. Il terzo motivo di ricorso poneva le proprie basi sull’intervenuta entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2008, il quale, rafforzando il principio di autoresponsabilità dei lavoratori, avrebbe comportato la necessità, in ragione del principio del favor rei , di una interpretazione della normativa applicabile al tempo del fatto compatibile con quella, meno rigida, successiva. In sostanza, venendo asseritamente meno, con il D. Lgs. n. 81/2008, un obbligo di vigilanza assoluta in capo al datore di lavoro, la semplice predisposizione dei mezzi di sicurezza avrebbe scagionato” quest’ultimo in caso di condotta colposa del lavoratore. In ogni caso, la difesa del legale rappresentante evidenziava come il dispositivo di sicurezza presente sul luogo di lavoro il fermo meccanico doveva ritenersi rispettoso della normativa di sicurezza all’epoca dei fatti in vigore. Il quarto motivo consisteva nella illogicità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, avendo la Corte territoriale omesso qualsiasi indagine in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo e avendo la stessa confuso questo con l’elemento oggettivo del reato. Per di più, nella sentenza di secondo grado, non sarebbe presente alcuna considerazione in merito alla successione tra vecchia e nuova normativa antinfortunistica, con conseguente mancata valutazione in merito alla disciplina più favorevole al reo. Il responsabile della sicurezza impugnava la sentenza della Corte d’Appello con tre motivi. Il primo si fondava sulla violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., avendo il Collegio di secondo grado, a fronte della contestazione di una condotta commissiva, condannato l’imputato per una condotta omissiva. Con il secondo motivo veniva contestata la ritenuta presenza, in capo al responsabile della sicurezza, di un obbligo giuridico di impedire l’evento. Egli, infatti, era provvisto del solo potere dovere di segnalazione delle criticità in materia di sicurezza del luogo di lavoro, non potendo intervenire per eliminare tali criticità. Tale mancanza del potere di evitare l’evento lesivo avrebbe sottratto la condotta del ricorrente da qualsiasi collegamento causale con l’infortunio del lavoratore. Il terzo motivo denunciava la violazione di legge in merito alla commisurazione della pena. La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi. La nullità della citazione deve essere dannosa”. Rispetto al primo motivo di ricorso del legale rappresentante la Suprema Corte ricorda la propria giurisprudenza in materia di nullità delle notificazioni Cass. n. 19602/2008 , secondo la quale la semplice violazione formale della norma processuale in materia art. 161 c.p.p. , comportante una nullità di ordine generale a regime intermedio, non implica la caducazione dell’atto. Infatti è necessario che detta violazione abbia comportato un concreto pregiudizio al destinatario della notifica pregiudizio consistente, nel caso di specie, nella mancata conoscenza dell’atto e nel mancato esercizio del diritto di difesa. Nella vicenda in oggetto è evidente, secondo la Suprema Corte, che tale vulnus al diritto di difesa dell’imputato non si è verificato, avendo lo stesso partecipato, a mezzo del difensore destinatario della notifica, al processo. Autoresponsabilità del lavoratore non significa irresponsabilità del datore. Dopo aver perentoriamente cassato il secondo motivo di ricorso del legale rappresentante, sostenendo che l’indagine sulla colpevolezza è racchiusa in quella sulla sussistenza della posizione di garanzia, la Suprema Corte rigetta anche la doglianza riguardante l’intervento del D.Lgs. n. 81/2008. Secondo i giudici di Piazza Cavour non corrisponde affatto al giuridicamente corretto l’asserita limitazione di responsabilità del datore di lavoro in conseguenza dell’entrata in vigore della normativa antinfortunistica del 2008. Lungi dal rientrare tale evenienza nel fenomeno di successione nel tempo di leggi penali, essa non ha, con il rafforzamento del principio di autoresponsabilità del lavoratore, assolutamente inteso creare” una situazione di irresponsabilità del datore di lavoro. Al contrario, la sopravvenuta disciplina si pone in una situazione di continuità normativa con quella di cui al D.P.R. n. 547/55, caratterizzandosi la prima per la maggiore minuziosità delle proprie disposizioni. Ne deriva che l’imputato è ancora responsabile dell’evento occorso al proprio dipendente. Stessa sorte segue l’eccezione di congruità del dispositivo di sicurezza predisposto sul luogo di lavoro, il quale, secondo il Supremo Collegio, avrebbe dovuto ovviare anche al comportamento imprudente del lavoratore. Tale imprudenza, lo ricorda la IV sezione penale, non scrimina” la condotta del datore di lavoro, il quale ha l’obbligo di prevenire anche gli errori non abnormi dei propri dipendenti. Parimenti rigettato risulta il quarto motivo di ricorso, in ragione della ritenuta congruenza della motivazione della sentenza impugnata. La segnalazione dei rischi è un obbligo giuridico. In merito al ricorso del responsabile per la sicurezza la Corte di Cassazione rigetta quasi sbrigativamente” il primo motivo di impugnazione, evidenziando come l’imputazione del reato abbia sempre fatto riferimento ad una condotta omissiva dell’imputato. Non vi è stata, pertanto, violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p Avendo riguardo alla seconda, e più importante, doglianza, la IV sezione penale non condivide l’impostazione del ricorrente, secondo cui la semplice funzione di segnalazione dei rischi e delle criticità presenti sul luogo di lavoro non avrebbe comportato l’obbligo giuridico di impedire l’evento a cui l’art. 40 cpv. c.p. subordina la sussistenza della responsabilità penale. In particolare, il Supremo Collegio, ricordando la propria giurisprudenza in materia ex multis , Cass. n. 49821/2012 , sottolinea che, nonostante al responsabile per la sicurezza spetti un mero compito di ausilio e consulenza del datore di lavoro, tale dovere incardina comunque in capo allo stesso una posizione di garanzia rispetto alla tutela della salute dei lavoratori. Tali obblighi, infatti, previsti e disciplinati dall’art. 9, D.Lgs. n. 626/1994, si connotano proprio per la funzione di impedire che i lavoratori incorrano in eventi dannosi per la loro salute e la loro integrità fisica. Ne deriva, secondo la Suprema Corte, che corretta deve ritenersi la statuizione della Corte d’Appello, che ha considerato l’imputato responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore in ragione dell’importante funzione di prevenzione da quello svolta all’interno dell’organizzazione aziendale funzione concretizzantesi nell’obbligo, violato, di segnalare al legale rappresentante della società datrice di lavoro le criticità e i rischi connessi all’attività esercitata dai propri dipendenti. Al medesimo giudizio di infondatezza la Cassazione perviene rispetto all’ultimo motivo di ricorso del responsabile per la sicurezza, non rilevando alcuna incongruità nella pena comminata all’imputato pena consistente nella sola multa contenuta nei limiti edittali previsti all’epoca del fatto , a fronte della previsione legislativa della pena pecuniaria congiunta a quella detentiva. Invitabili, quindi, il rigetto dei ricorsi e la conseguente condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione sottolinea, rinvenendosene purtroppo ancora il bisogno, l’importanza di un rigoroso rispetto della normativa antinfortunistica sul luogo di lavoro. Detta normativa responsabilizza tutte le figure professionali che vengono in contatto con la necessità di sicurezza dei lavoratori, anche quelle come il responsabile della sicurezza stessa fornite di compiti di sola consulenza e segnalazione. Anche tali funzioni, se esercitate correttamente, possono garantire l’incolumità di chi presta la propria opera lavorativa in situazioni di alto rischio, se non di pericolo.

​ Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 maggio - 16 ottobre 2013, n. 42493 Presidente D’Isa – Relatore Esposito Ritenuto in fatto La Corte d'Appello di L'Aquila, con sentenza del 1/7/2011, confermava la sentenza con la quale il giudice di primo grado aveva dichiarato B.P.G. e T.B.P. , rispettivamente nella qualità di legale rappresentante della Rapisarda s.r.l. e di direttore e responsabile della sicurezza della predetta ditta, colpevoli del reato di cui agli artt. 110 e 590 c.p. in danno di C.P. , commesso il omissis . In fatto era accaduto che il C. , lavoratore alle dipendenze della Rapisarda s.r.l., mentre era intento a lubrificare la guarnizione del portellone dell'autoclave, veniva colpito alla testa e alla schiena dal carrello che si era improvvisamente abbassato, rimanendone schiacciato e riportando lesioni personali consistite in contusione rachide lombo sacrale bacino, distorsione rachide cervicale, ginocchio e caviglia sinistri . A entrambi gli imputati era mosso l'addebito di colpa generica e violazione di norme in materia di infortunio sul lavoro, specificamente dell'art. 41 DPR 547/55, in particolare il primo per non aver predisposto adeguato dispositivo di sicurezza idoneo a evitare che il movimento del carro binario potesse determinare lo schiacciamento di persone, il secondo perché nell'esercizio del suo dovere di vigilanza aveva omesso di segnalare al datore di lavoro la carenza di adeguati dispositivi di sicurezza atti a evitare il movimento del carro binario. Entrambi gli imputati erano, altresì, condannati in solido al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. Con la sentenza era assolto dalla medesima imputazione, per non aver commesso il fatto, D.L. , titolare della ditta fornitrice del macchinario. I giudici ravvisavano una posizione di garanzia in capo al B. , datore di lavoro e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza sulle misure e sui presidi di prevenzione antinfortunistica, senza attribuire rilevanza, in mancanza di data certa e di accettazione del destinatario, all'atto con il quale l'amministratore delegato avrebbe conferito delega per la responsabilità di direttore dello stabilimento all'ing. A. . Osservava la Corte che la normativa antinfortunistica era stata violata, dal momento che il macchinario non garantiva efficacemente l'incolumità degli operatori, permettendo loro di trovarsi nella zona operativa senza barriere fisiche o elettroniche di protezione automatica dalla ricaduta del carroponte in posizione orizzontale, rivelandosi a tal fine inadeguato, in ragione della previsione normativa di cui all'art. 41 dpr 547/55, il posizionamento di un fermo meccanico a gancio da azionarsi manualmente dal dipendente. Veniva disatteso, inoltre, l'assunto difensivo secondo cui il comportamento del C. era da ritenere abnorme. Osservava la Corte che, pur se poteva essere reputata poco prudente l'azione del C. , il quale aveva proceduto all'ingrassaggio del forno senza preventivamente azionare il fermo meccanico, tale contegno esulava, tuttavia, dalla nozione di abnormità, costituendo evenienza non imprevedibile, ma verosimile e probabile. Quanto alla posizione del T.B. rilevava che, ancorché costui avesse esclusivamente compiti di segnalazione di situazioni anomale, proprio la violazione di tale dovere concretizzava la responsabilità dello stesso in relazione all'imputazione. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione i predetti imputati. Il B. deduce, con il primo motivo, la nullità della sentenza per inosservanza di norme processuali. Rileva, in particolare, l'omessa notifica del decreto di citazione a giudizio d'appello. Osserva al riguardo che aveva eletto domicilio nella propria residenza, presso la quale erano state regolarmente effettuate tutte le notificazioni precedenti e che tale residenza non era mai stata mutata da parte sua che del decreto di citazione per il giudizio d'appello era stata disposta la notificazione per posta e, non essendo stato reperito il destinatario, né essendo pervenuta per assenza momentanea dello stesso la cartolina di ritorno a prova dell'avvenuta notifica, era stata rinviata l'udienza, disponendo il rinnovo della notifica del decreto di citazione a giudizio all'imputato contumace, con la precisazione che, in caso di relata negativa, l'avviso sarebbe stato notificato ex art. 161 c.p.p. che, nonostante non fosse avvenuta la notifica presso la residenza, l'avviso era stato notificato direttamente al difensore, senza precedente relata negativa. Tanto determinava la nullità della citazione e degli atti conseguenti. Con il secondo motivo il ricorrente deduce inosservanza dell'art. 42 comma 2 C.P Lamenta che i giudici hanno interpretato erroneamente la norma richiamata, poiché l'indagine si è limitata all'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva e l'evento, prescindendo da qualunque verifica della sussistenza della colpevolezza e giungendo a una condanna per responsabilità oggettiva in contrasto con il principio di cui all'art. 27 Cost Con il terzo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 41 DPR 547/55. Rileva che al momento dell'infortunio non era ancora entrato in vigore il sistema della normativa antinfortunistica TU 2008/81 che impone ai lavoratori di attenersi alle disposizioni cautelari e di agire con diligenza prudenza e perizia, in attuazione del principio di autoresponsabilità del lavoratore. In forza di tale norma, sul datore di lavoro non grava più obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, ma, una volta forniti i mezzi di prevenzione, egli non risponderà dell'evento derivante dalla condotta imprevedibilmente colposa del predetto. I giudici, pertanto, avevano errato a non tener conto della nuova normativa, in ossequio al principio del favor rei, anche mediante interpretazione dell'art. 41 DPR 547/55 alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale della norma sviluppatasi a seguito dell'introduzione della nuova disciplina. Osserva che, in ogni caso, l'istruttoria dibattimentale aveva consentito di accertare che la macchina era provvista di un fermo meccanico a gancio e che tale predisposizione doveva essere ritenuta attuativa della normativa all'epoca vigente, mentre si era voluto attribuire all'art. 41 DPR 547/55, in forza del quale i macchinari devono essere provvisti di dispositivi di sicurezza , un significato più ampio di quello letterale. Con il quarto e ultimo motivo il ricorrente deduce illogicità e carenza della motivazione. In particolare rileva che la Corte omette di giustificare perché il dispositivo di sicurezza di cui la macchina era provvista fosse inidoneo omette qualsiasi indagine e motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa evidenzia motivazione illogica per confusione tra elemento oggettivo e soggettivo ove si consideri il rapido cenno contenuto riguardo all'elemento soggettivo nella sentenza del Tribunale incorre in carenza motivazionale in materia di successione di leggi nel tempo, per omissione di qualsiasi valutazione in ordine alla normativa applicabile nel caso di specie dlgs 626/94 e Dlgs 81/08 e la conseguente valutazione circa la disciplina più favorevole al reo. Il T.B. , a sua volta, deduce, con il primo motivo, violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. per difetto di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Rileva che, muovendo dalla contestazione di un'accusa involgente un reato commissivo, la sentenza perviene alla condanna per un reato omissivo, delineando un concorso mediante omissione nel delitto di cui all'art. 590 c.p Con il secondo motivo osserva che non gli era attribuibile una condotta consistente nel non impedire l'evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire. Poiché la sentenza addebita la responsabilità alla imprudente omessa dotazione di sistemi di protezione automatica del macchinario, detta prescrizione non è riconducibile al ricorrente. Destinatario dell'obbligo di fornire macchine e attrezzature in regola con le prescrizioni antinfortunistiche, infatti, deve reputarsi il datore di lavoro, mentre il T.B. non era mai stato destinatario di delega né aveva mai avuto potere decisionale e di intervento sulla dotazione della macchina. Al predetto, di conseguenza, era stato attribuito un indimostrato ruolo di dirigente di fatto. Dagli artt. 31, 32 e 33 Dlgs 81/2008, che disciplinano i compiti del servizio di prevenzione e protezione, emerge, inoltre, che i componenti di detto servizio svolgono il ruolo di semplici ausiliari del datore di lavoro, sprovvisti di effettivo potere decisionale, ai quali sono attribuiti meri compiti di consulenza e programmatici, con la conseguenza che la loro attività non può dar luogo a responsabilità penale. Osserva che presupposto dell'omissione penalmente rilevante è che il garante abbia la possibilità di porre in essere l'azione impeditiva idonea ed egli non aveva questa possibilità. Ne discende che l'evento non è riconducibile al T.B. già sotto il profilo causale. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla statuizione in punto di misura della pena comminata. Le difese del T.B. sono state illustrate mediante memorie. Anche la persona offesa ha presentato memorie difensive. Motivi della decisione Va disatteso, in primo luogo, il primo motivo di ricorso proposto dal B. . Con esso il ricorrente, dolendosi esclusivamente di una violazione formale, invoca la declaratoria di nullità della notificazione effettuata presso il difensore di fiducia piuttosto che al domicilio dichiarato per le notificazioni dall'imputato. Va premesso che la dedotta nullità - conseguente alla esecuzione, a norma dell'art. 157 comma ottavo bis c.p.p., della notificazione presso il difensore di fiducia dell'imputato, ancorché quest'ultimo abbia eletto o dichiarato il proprio domicilio per le notificazioni - si qualifica come nullità di ordine generale e a regime intermedio ed è da ritenere sanata quando risulti provato che non ha impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa Cass. S.U. 19602 del 27/3/2008 . Ciò posta quanto alla natura della nullità e ai presupposti per la sanatoria, va richiamato l'indirizzo delle Sezioni Unite della Corte S.U. 119/2005, Palumbo , in forza del quale nel caso in cui l'imputato voglia far valere una causa di nullità non può limitarsi a denunciare l'inosservanza della norma processuale, ma deve anche rappresentare al giudice di non aver avuto conoscenza dell'atto e deve eventualmente avvalorare l'affermazione con elementi che la rendano credibile e ciò in quanto in un processo basato sull'iniziativa delle parti, è normale che anche l'esercizio dei poteri officiosi del giudice sia mediato dalle attività delle parti, quando dagli atti non risultano elementi necessari per l'esercizio di quei poteri e solo le parti sono in grado di rappresentarli al giudice e di procurarne l'acquisizione si veda anche Cass., sez. 6, n. 34558 del 10/5/2012, secondo cui è inammissibile per difetto di specificità il motivo d'impugnazione con cui si deduca la nullità della notifica ove il ricorrente non indichi il concreto pregiudizio derivato in ordine alla conoscenza dell'atto stesso e all'esercizio del diritto di difesa . Va evidenziato, inoltre, che, pur in presenza di un dovere facente capo al difensore fiduciario di mantenere contatti con il suo assistito, nel caso di specie il ricorrente non ha indicato le ragioni in forza delle quali gli sarebbe stato impedito di ricevere dal difensore notizia della notificazione dell'ordinanza presso lo studio di quest'ultimo, né ha palesato l'intenzione di proporre impugnazione personalmente nell'atto d'impugnazione, redatto dal difensore, inoltre, non è formulata alcuna censura con riferimento al contenuto dell'ordinanza che si assume affetta da nullità, talché manca del tutto l'indicazione del pregiudizio che in concreto la denunciata nullità avrebbe arrecato. Conseguentemente, alla luce dei principi enunciati, il motivo d'impugnazione va rigettato. Allo stesso modo infondato è il secondo motivo di ricorso. L'indagine sulla colpevolezza, infatti, lungi dall'essere omessa, è ben presente e si sostanzia nella individuazione, sufficiente ai fini che interessano, della posizione di garanzia gravante sull'imputato e delle norme antinfortunistiche da lui consapevolmente violate. Il terzo motivo, con il quale si deduce la mancata interpretazione della vicenda in base ai principi ispiratori del nuovo sistema antinfortunistico, va del pari rigettato. Esso si fonda, infatti, su un ragionamento erroneo, in primo luogo perché, trattandosi di vicende attinenti a normativa antinfortunistica di ordine sostanziale, esso non è conforme ai principi che sorreggono la successione delle leggi nel tempo in secondo luogo perché con esso si pretende di trarre dalla nuova disciplina una sorta di esonero del datore di lavoro da qualsiasi responsabilità per violazione di norme antinfortunistiche, in forza di una presunta esasperata affermazione del principio di autoresponsabilità del lavoratore desumibile dalla nuova disciplina. Al contrario, in punto di interpretazione della portata normativa delle nuove norme, va rimarcato che questa Corte ha avuto modo di osservare che il DPR n. 547 del 1955, art. 73, benché abrogato dal D.lgs. n. 81 del 2008, art. 304, trova continuità normativa nelle corrispondenti e ancor più minuziose disposizioni del medesimo decreto artt. 69 e segg. in forza delle prescrizioni di legge Cass. 4, n. 17226 del 2012 . Incongrua, infine, si appalesa la notazione relativa all'adeguatezza del dispositivo di sicurezza di cui la macchina era provvista. Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello in forza del quale i macchinari necessitino di essere conformati in modo tale da inibire in ogni caso al lavoratore l'accessibilità all'interno di essi con la conseguenza che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per il datore di lavoro che si sia reso comunque responsabile di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire anche gli effetti della condotta colposa del lavoratore per la cui tutela è adottata , essendo le norme antinfortunistiche dettate al fine di ottenere la sicurezza delle condizioni di lavoro e di evitare incidenti ai lavoratori in ogni caso, e cioè anche quando essi stessi possano provocare l'evento per imprudenza, disattenzione o assuefazione al pericolo in tal senso Cass., sez 4, da ultimo citata . Allo stesso modo è da rigettare il quarto motivo d'impugnazione avanzato dal B. , con il quale le doglianze, già esaminate sotto il profilo della violazione di legge e disattese, sono riproposte in termini di vizi motivazionali, non ravvisabili in ragione della congrua e adeguata motivazione da parte dei giudici di merito in ordine alle questioni già ampiamente trattate. Passando all'esame dell'impugnazione proposta dal T.B. , con il primo motivo il ricorrente si duole che l'originaria imputazione prevedeva un fatto commissivo, mentre a suo carico è stata riconosciuta responsabilità per concorso in un reato omissivo. La censura è infondata, posto che sin dall'origine l'imputazione muove agli imputati precisi addebiti di colpa fondati su responsabilità di tipo omissivo, tutti convergenti verso la fattispecie di reato di lesioni contestata. Nessuna divergenza tra imputazione e sentenza è, pertanto, configurabile. Erroneo è, altresì, il ragionamento posto a fondamento della seconda doglianza, volto a evidenziare l'estraneità dell'imputato rispetto alla prescrizione di conformità della macchina alla dotazione di protezione antinfortunistica. Al riguardo il ricorrente pone in evidenza il limitato compito gravante sul responsabile della sicurezza, al quale sarebbero attribuite soltanto funzioni di segnalazione di situazioni anomale involgenti fonti di pericolo, ma non funzioni attuative o effettive, come la predisposizione dell'automatismo di protezione. A tal proposito è da rimarcare che al servizio di prevenzione e protezione sono attribuiti - in forza dell'art. 9 D.l.gs. 626/1994, specificamente al punto sub a - funzioni attinenti all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale . Ciò posto, in conformità a un'impostazione sistematica che ha rivisitato il ruolo e le funzioni del responsabile del servizio di prevenzione e protezione Cass. sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012 , va rimarcato che al predetto, pur spettando all'interno della struttura aziendale un ruolo non operativo ma di consulenza, compete l'obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri . Ne consegue che, proprio in ragione delle funzioni attribuite al responsabile del sistema di protezione e prevenzione, come delimitate in relazione alla sua specifica sfera di responsabilità, correttamente è stata ritenuta la sussistenza in capo al T.B. della violazione del dovere di segnalazione della omessa dotazione delle macchine dei prescritti dispositivi antinfortunistici, condotta sulla quale si fonda l'addebito mosso con l'imputazione, in ragione della delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico attribuito al responsabile del servizio di prevenzione e protezione nell'ambito della cooperazione con i diversi soggetti responsabili, ciascuno secondo i propri compiti e le proprie responsabilità. Resta irrilevante, pertanto, la circostanza che il T.B. non sia mai stato destinatario di delega né abbia mai avuto potere decisionale e di intervento sulla dotazione della macchina, perché investito di meri compiti di consulenza e programmatici, né risponde al vero che l'attività del servizio di prevenzione e protezione non può dar luogo a responsabilità penale. Va rigettato, altresì, l'ultimo motivo di ricorso. Correttamente, infatti, i giudici di merito si sono pronunciati per l'inammissibilità del relativo motivo formulato in appello, posto che non sono state indicate nella formulazione del medesimo le ragioni in forza delle quali la pena irrogata fosse da ritenere eccessiva o esorbitante i limiti edittali, posto che il reato è stato sanzionato con la sola pena pecuniaria pur prevedendo la norma alternativamente la pena detentiva , in un importo ricompreso nei limiti edittali di cui all’art. 590 terzo comma C.P.P. nella formulazione vigente all'epoca del fatto. Per tutte le ragioni esposte i ricorsi vanno rigettati. Ne consegue l'obbligo dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.