La modifica dell’imputazione dopo le repliche è valida se il GUP non dichiara formalmente chiusa la discussione

Incorre in errore il Giudice dell’udienza preliminare il quale asserisca che la discussione va considerata chiusa subito dopo l’esercizio del diritto di replica in quanto esisterebbe continuità tra il predetto esercizio e la decisione. In realtà tale continuità non può significare procedere senza una formale dichiarazione di chiusura e quando questa non sia formalmente intervenuta non può sostenersi che se ne siano determinati gli effetti.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 41409 del 7 ottobre 2013. Il caso. Il G.U.P. presso il Tribunale di Rovigo pronunciava sentenza di non luogo a procedere nei confronti di un medico, accusato del delitto di omicidio colposo per avere lo stesso, in cooperazione colposa con altri medici, cagionato la morte di una paziente, eseguendo sulla medesima un intervento dall’esito infausto di ricanalizzazione colo-rettale in assenza del prescritto consenso. In particolare, il Giudice riteneva che, nonostante l’acclarata illegittimità dell’attività medico-chirurgica svolta senza il previo consenso informato della persona sottoposta alla stessa, non potesse rinvenirsi nei confronti dell’imputato alcun profilo di colpa, non dovendosi considerare il mancato ottenimento del consenso del paziente quale violazione di una regola cautelare. Non evidenziandosi, altresì, alcun elemento per poter contestare all’imputato i diversi delitti di omicidio doloso o preterintenzionale, il G.U.P. perveniva alla pronuncia di proscioglimento. Avverso tale provvedimento presentava ricorso in Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo. Il P.M. eccepiva nella propria impugnazione la violazione da parte del Giudice dell’art. 423 c.p.p., per aver il medesimo considerato e dichiarato con ordinanza tardiva la modifica dell’imputazione, proposta dalla pubblica accusa successivamente alle conclusioni rassegnate dalle parti e ad una replica svolta dalla difesa della parte civile in merito all’originaria contestazione. Secondo il Procuratore della Repubblica tale giudizio di tardività del G.U.P. doveva considerarsi illegittimo in quanto l’art. 423 c.p.p., nel conferire al P.M. il potere dovere di modificare l’imputazione se nel corso dell’udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell’imputazione o risulta un fatto nuovo”, non individua nella discussione il limite temporale per l’esercizio di tale facoltà. In secondo luogo, secondo il rappresentante dell’accusa, il Giudice avrebbe dovuto in ogni caso imporre al P.M. di adeguare l’imputazione al diverso fatto emerso durante l’udienza. Replicava la difesa dell’imputato, la quale chiedeva il rigetto del ricorso sulla base della circostanza per cui il P.M. aveva già proceduto a modificare una prima volta l’imputazione a carico del medico, ascrivendo al medesimo la mancata prospettazione alla paziente degli elevati rischi connessi all’intervento de quo , avendo riguardo alle condizioni cliniche della stessa. In seguito, nella successiva udienza, si era svolta la discussione sulla nuova imputazione, con annesse repliche della parte civile dopo tale discussione il P.M. aveva nuovamente modificato l’imputazione, contestando all’imputato l’esecuzione dell’intervento in assenza di indicazioni specifiche. La discussione, pertanto, era da considerarsi avvenuta e conclusa evenienza che, in base ad una lettura sistematica degli artt. 423 e 421 c.p.p., rappresenta il termine ultimo per procedere alla modifica dell’imputazione. Inoltre, rispetto alla seconda doglianza proposta con il ricorso, la difesa del medico evidenziava come avrebbe dovuto considerarsi abnorme un provvedimento del G.U.P. di restituzione degli atti al P.M., non potendosi riscontrare in capo al giudice alcun obbligo di imporre alla pubblica accusa di adeguare la propria contestazione al diverso fatto emerso in udienza, se non tramite l’esercizio del potere di cui all’art. 421 bis c.p.p La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Rovigo per l’ulteriore corso del procedimento. Discussione chiusa? Solo se il giudice lo dice espressamente. La IV sezione penale della Corte di Cassazione conviene con il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo sulle valutazioni da questi espresse nel proprio ricorso. Ciò soprattutto in merito all’illegittimità dell’ordinanza pronunciata in udienza, con la quale il G.U.P. aveva dichiarato tardiva la seconda modifica dell’imputazione proposta dalla pubblica accusa. Il Supremo Collegio, in seguito ad una veloce ricapitolazione delle fasi salienti dell’udienza preliminare incriminata”, cassa la valutazione effettuata dal G.U.P., in particolare per quanto riguarda l’asserita individuazione nella conclusione della discussione precisamente nell’esercizio del diritto di replica delle parti del termine finale per procedere alla modifica dell’imputazione. Secondo il Giudice di legittimità una decisione fondata sul predetto principio costituisce un errore e tale lo definisce in sentenza . Infatti, dall’analisi delle disposizioni del codice di procedura penale, l’elemento determinante che emerge rispetto alla questione in discussione è quello per cui il passaggio dalla fase lato sensu di discussione caratterizzata dall’interlocuzione tra il giudice e le parti e tra le parti stesse a quella di decisione caratterizzata dall’attività solitaria” del giudice è scandito dalla formale ed esplicita dichiarazione di chiusura della discussione stessa. Ciò si rinviene dalla lettura del comma 1 dell’art. 424 c.p.p., il quale prescrive al giudice di procedere alla deliberazione subito dopo la dichiarazione di chiusura della discussione. E’ tale esplicita dichiarazione che segna, ad avviso della IV sezione penale, il punto di non ritorno” dell’udienza preliminare. Al contrario, non può considerarsi condivisibile la valutazione effettuata dal G.U.P., il quale ha individuato tra l’esercizio del diritto di replica e la decisione una sorta di continuità, essendo invece necessaria un’esplicita cesura tra la fase di discussione e la fase decisionale. Nella vicenda in oggetto tale cesura non si era ancora verificata al momento della seconda richiesta di modifica dell’imputazione. A sostegno del suo iter argomentativo la Suprema Corte porta la propria giurisprudenza, secondo la quale l’imputazione, durante l’udienza preliminare, mantiene un carattere di fluidità, cristallizzandosi solo al termine dell’udienza stessa. Termine a cui non si era giunti nel caso in esame. Quale ulteriore dimostrazione della bontà del proprio ragionamento la IV sezione utilizza la giurisprudenza di legittimità in tema di nuove contestazioni ex art. 516 e ss. c.p.p Detto filone interpretativo individua, in ragione della identità di ratio tra questa disciplina e quella di cui agli artt. 421 e ss. c.p.p., nella dichiarazione di chiusura del dibattimento il termine ultimo per procedere a quanto previsto nelle predette disposizioni codicistiche. Pertanto, l’ordinanza di tardività della modifica dell’imputazione pronunciata dal G.U.P. deve considerarsi nulla. Tale nullità, essendo riconducibile al novero delle nullità riguardanti l’iniziativa del P.M. art. 178, lett. c, c.p.p. , deve considerarsi assoluta, con la conseguenza dell’estensione dei suoi effetti alla successiva sentenza. Ad abundantiam , il Supremo Collegio rammenta, inoltre, che nei procedimenti per reati colposi l’aggiunta di un profilo di colpa specifica al precedente profilo di colpa generica non può valere come diversità del fatto contestato, non ravvisandosi in una simile evenienza e in caso di mancata contestazione il difetto di correlazione tra imputazione e sentenza sanzionato dall’art. 522 c.p.p. In ragione di quanto sin qui evidenziato, la Corte di Cassazione non ha potuto esimersi dall’annullare senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 settembre - 7 ottobre 2013, n. 41409 Presidente Sirena – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Rovigo ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di D.P.M. in ordine al reato di omicidio colposo in danno di D.M. , commesso nell'esercizio dell'attività medica in cooperazione colposa con C.S. e S.A. , anch'essi medici in servizio presso la Casa di Cura Madonna della salute” di omissis . Il giudice territoriale ha ricordato che al D.P. era stato contestato unicamente di aver eseguito l'intervento di ricanalizzazione colo-rettale sulla D. in assenza di consenso della medesima. Ritenuto che l'assenza di consenso incide sulla legittimità dell'attività medico-chirurgica ma non implica che la medesima sia di per sé inosservante di regolare cautelare, ed escluso che nella fattispecie emergessero elementi per ipotizzare a carico del D.P. il reato di omicidio doloso o preterintenzionale, siccome pacifico che l'intervento avesse avuto finalità terapeutiche, il Giudice dell'udienza preliminare ha concluso per l'insussistenza del fatto ascritto all'imputato. Avverso tale decisione ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo, deducendo violazione di legge, in relazione all'art. 423 cod. proc. pen Il ricorrente premette che in sede di udienza preliminare, subito dopo la conclusione dell'intervento della parte civile e senza che il Giudice avesse dichiarata chiusa la discussione, il p.m. aveva provveduto a modificare l'originaria imputazione. Il Giudice non aveva autorizzato la modifica della contestazione giudicandola tardiva, in quanto già avvenuta la chiusura della discussione. Ad avviso dell'esponente l'art. 423 cod. pen., nel consentire la modifica dell'imputazione se nel corso dell'udienza” il fatto risulta diverso o risulta un fatto nuovo, non individua la discussione come limite temporale dell'attività del p.m Pertanto il diniego di autorizzazione del Giudice è stato pronunciato in violazione di legge peraltro il decidente avrebbe dovuto in ogni caso imporre al p.m. di adeguare l'imputazione al fatto diverso emerso nell'udienza. 2. Con memoria depositata il 19.7.2013 la difesa dell'imputato ha chiesto il rigetto del ricorso rappresentando che dopo che all'udienza del 13.11.2012 il p.m. aveva modificato l'originaria imputazione elevata nei confronti del D.P. , al quale era stato contestato di non aver adeguatamente prospettato alla paziente gli elevati rischi connessi alle sue condizioni cliniche generali e al quadro di comorbilità, all'udienza del 20.11.2012, dopo che sulla base della nuova imputazione le parti aveva discusso la causa ed anzi erano state anche invitate dal giudice ad effettuare eventuali repliche - invito raccolto dalla sola parte civile - il p.m. aveva proceduto ad una ulteriore modifica dell'imputazione, ascrivendo al D.P. di aver eseguito l'intervento in assenza di indicazioni specifiche. Ad avviso della difesa dell'imputato una lettura sistematica dell'art. 423 cod. proc. pen. conduce a ritenere che termine ultimo per la modifica dell'imputazione sia la chiusura della discussione, ai sensi dell'art. 421 cod. proc. pen Quanto all'ulteriore aspetto emergente dal ricorso, la difesa dell'imputato rileva che il Giudice dell'udienza preliminare non ha l'obbligo di imporre al p.m. di adeguare la contestazione al fatto diverso emerso nel'udienza, almeno se non ha esercitato il potere interlocutorio nel corso della stessa presupposto che se assente rende abnorme l'eventuale provvedimento di restituzione agli atti del p.m Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati. 4.1. Appare opportuno premettere la compiuta esposizione delle salienti scansioni processuali, ricostruite da questa Corte attraverso l'accesso agli atti, legittimo in ragione della natura delle censure mosse dal ricorrente. L'imputazione per la quale il p.m. aveva richiesto il rinvio a giudizio del D.P. ascriveva a questi, oltre a negligenza, imprudenza e imperizia, di aver eseguito l'intervento di ricanalizzazione colica, nonostante lo stesso presentasse un elevato rischio anestesiologico a fronte della comorbilità e delle condizioni cliniche generali della paziente . All'udienza dinanzi al Giudice dell'udienza preliminare del 13.11.2012 il p.m. modificava la descrizione del profilo di colpa specifica, contestando al D.P. di aver eseguito il menzionato intervento in assenza di controindicazioni assolute ma comunque senza che alla paziente fossero adeguatamente prospettati gli elevati rischi connessi alle sue condizioni cliniche generali e al quanto di comorbilità . Quindi il p.m. e la parte civile rassegnavano le rispettive conclusioni. Infine, all'udienza del 20.11.2012, prendevano la parola i difensori degli imputati e chiedevano che fosse pronunciata sentenza di non luogo a procedere. Successivamente la difesa di parte civile svolgeva una replica. A questo punto il p.m. chiedeva di modificare l'imputazione. Il giudice dapprima disponeva un breve rinvio e alla ripresa dell'udienza circa un quarto d'ora più tardi il p.m. reiterava la richiesta di procedere alla modifica della contestazione. Il verbale da atto che la difesa della parte civile dichiarava di non avere osservazioni da svolgere le difese degli imputati, per contro, rilevavano da un canto che non erano emersi elementi che giustificassero la modifica della contestazione e dall'altro che questa risultava tardiva. Dopo di che il Giudice pronunciava ordinanza con la quale riteneva tardiva la modifica dell'imputazione perché giunta dopo la chiusura della discussione caratterizzato dall'esercizio del diritto di replica e sussistendo continuità tra il termine dell'ultima discussione e la decisione del Giudice all'esito dell'eventuale camera di consiglio per questi motivi rigettava” la prospettata modifica dell'imputazione. Orbene, da quanto appena esposto risulta in primo luogo evidente che al momento in cui il p.m. ebbe a chiedere di modificare l'imputazione non era stata ancora pronunciata la dichiarazione di chiusura della discussione. Che una tale ordinanza debba essere necessariamente adottata è del tutto incontroverso, stante il chiaro disposto dell'art. 424, co. 1 cod. proc. pen., a mente del quale Subito dopo che è stata dichiarata chiusa la discussione, il giudice procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio . . Si tratta, invero, di un passaggio essenziale dello svolgimento procedimentale, perché segna il limite estremo oltre il quale le parti non possono più esercitare i diritti e le facoltà loro attribuite dalla legge processuale con riferimento all'udienza preliminare. Si pensi, per tutte, alla richiesta di rito abbreviato sulla relazione tra tale richiesta e la dichiarazione di chiusura della discussione si veda Sez. 1, n. 12887 del 19/02/2009 - dep. 24/03/2009, Confi, comp. in proc. Iervasi, Rv. 243041 . È pertanto incorso in errore il Giudice dell'udienza preliminare quando ha asserito che la discussione era chiusa perché esisterebbe continuità tra esercizio del diritto di replica e decisione. In realtà tale continuità non può significare procedere senza una formale dichiarazione di chiusura e quando questa non sia formalmente intervenuta non può sostenersi che se ne siano determinati gli effetti. Guardando al tema da una diversa prospettiva - quella, per intenderci, scelta dalla difesa dell'imputato - deve essere rilevato come la previsione dell'eventualità della modifica dell'imputazione se nel corso dell'udienza il fatto è diverso” non consente alcuna anticipazione del dies ad quem rispetto al momento terminale dell'udienza il quale, a tutto concedere, deve essere individuato nel momento in cui il giudice dichiara chiusa la discussione, segnando con ciò la fine della fase procedimentale caratterizzata dalla interlocuzione con e tra le parti e l'inizio di quella solitaria” della decisione. In tal senso milita anche il precedente in argomento Cass. Sez. 6, n. 33819 del 04/07/2001 - dep. 17/09/2001, P.M. in proc. Barale ed altri, Rv. 220731 , citato dalla difesa dell'imputato a sostegno della propria tesi. La lettura della motivazione della decisione chiarisce però che il pensiero della Corte non riesce ad emergere in forma compiuta dalla massima. È opportuno riportare il passo motivazionale di maggiore pertinenza il Pubblico Ministero conserva nel corso dell'intero svolgimento dell'udienza preliminare . il potere di precisare e di mettere a punto il capo di imputazione originario anche di fronte alle contestazioni della difesa, a condizione, naturalmente, di non modificarne il contenuto sostanziale. Per la verità, l'imputazione a carico dell'imputato, quella in base alla quale potrà essere giudicato, o meno, nella fase dibattimentale, viene determinata in via tendenzialmente definitiva soltanto al termine dell'udienza preliminare, quando le parti, compreso lo stesso P.M., adottano le loro conclusioni da sottoporre al GIP, come espressamente previsto dal terzo comma dell'art. 421, e per il caso di attività di integrazione probatoria del giudice dal terzo comma dell'art. 422 c.p.p. . . Prima di questo momento di precisazione delle conclusioni nel corso dell'udienza preliminare l'imputazione rimane in qualche misura fluida e può essere modificata, e messa a punto opportunamente, dal P.M. nel corso dell'intera udienza preliminare, ed anche in relazione alle richieste ed alle difese delle altre parti . Il richiamo alla rilevanza delle richieste delle difese ai fini della precisazione dell'imputazione è incompatibile con una posizione che vorrebbe veder preclusa al p.m. la possibilità di intervenire sulla contestazione per adeguarla alle emergenze processuali dopo che questi abbia rassegnato le conclusioni. Una volta di più emerge che è la chiusura della intera discussione a segnare la deadline , oltre la quale le parti esauriscono il proprio ruolo e trova spazio la solitudine del decidente. Lo asserisce a chiare lettere anche la giurisprudenza in esame le conclusioni di una delle parti, in questo caso quelle della difesa, non possono essere esaminate separatamente dalle altre, in questo caso quelle dell'accusa le une e le altre debbono essere fissate formalmente durante l'udienza preliminare, e solo dopo il GIP potrà adottare la propria decisione . Per completezza va anche ricordato che il verbale dell'udienza del 20.11.2012 colloca l'intervento del p.m. dopo l'esercizio del diritto di replica della difesa della p.c. e che quell'intervento non è né preceduto né seguito dalla registrazione della volontà delle difese degli imputati in ordine alla facoltà di replica, certamente da loro esercitabile dopo tutte le altre parti. Anche la disciplina prevista per il dibattimento conforta l'interpretazione qui formulata. In relazione al termine ultimo entro il quale è possibile procedere alle contestazioni previste dagli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. la giurisprudenza di legittimità afferma che esso va identificato nella chiusura del dibattimento In tema di nuove contestazioni di circostanze aggravanti emerse nel corso dell'udienza, deve ritenersi che il termine ultimo entro il quale esse possono essere effettuate debba farsi coincidere con la chiusura del dibattimento e che, dunque, possa anche essere, a tale scopo, interrotta la discussione finale, ferma restando la concedibilità, all'imputato, dei termini a difesa Sez. 5, n. 10394 del 17/06/1999 - dep. 01/09/1999, Secci V, Rv. 214300 Cass. 28 maggio 1993, Festini, Cass. Pen. 1995, 308 . In conclusione, l'ordinanza impugnata è nulla per violazione degli artt. 423 e 424 cod. proc. pen. Si tratta di una nullità che va ricondotta al novero delle nullità concernenti l'iniziativa del p.m. e quindi a quelle previste dall'art. 178 lett. c cod. proc. pen. Tale nullità ha quindi natura assoluta ed insanabile e si estende alla sentenza pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare. 4.2. Peraltro, va anche rammentato che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice ex multis, Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009 - dep. 05/08/2009, Raso, Rv. 245313 . Il provvedimento impugnato appare quindi erroneo anche per aver assunto a presupposto l'esistenza di una contestazione suppletiva che, al di là della nomenclatura prescelta dal p.m., non era ravvisabile. Per completezza va anche rilevato che l'assunto del ricorrente, secondo il quale il giudice dell'udienza preliminare avrebbe dovuto imporre al p.m. di modificare la contestazione per adeguarla al fatto”, non trova fondamento normativo. Questa Corte ha più volte rammentato che il Giudice può dare al fatto oggetto dell'imputazione una diversa qualificazione giuridica ma non può modificarlo Sez. 6, n. 28481 del 17/04/2012 - dep. 16/07/2012, P.M. in proc. C. e altri, Rv. 253695 , perché tale modifica rimane prerogativa esclusiva del titolare dell'azione penale. In conclusione, va disposto l'annullamento del provvedimento impugnato annullamento che deve essere pronunciato senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Rovigo per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Rovigo per l'ulteriore corso.