Locazione di appartamento a delle clandestine: è il profitto ingiusto a configurare il reato

Ai fini della configurazione del reato, non conta se le conduttrici hanno subito un danno o meno, ciò che conta è il profitto ingiusto del proprietario dell’appartamento.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 41437/13 della Corte di Cassazione, depositata il 7 ottobre. La fattispecie. Aveva dato in locazione il proprio appartamento a 4 prostitute brasiliane clandestine, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla loro condizione di clandestinità, e per questo veniva condannato, in concorso con un'altra persona, per il delitto di cui all’art. 12, comma 5 bis , d.lgs. n. 286/1998 disposizioni contro le immigrazioni clandestine . Canone di locazione esorbitante. I giudici di merito, in particolare, ritenevano esorbitante il canone di locazione richiesto, pari a 9mila euro l’anno, innalzato poi a 12mila. Errata, secondo i giudici di Cassazione, la doglianza dell’imputato ricorrente, secondo cui la Corte di appello avrebbe dovuto verificare se a ciascuna delle clandestine erano state imposte condizioni particolarmente onerose. Gli stessi Ermellini, infatti, hanno precisato che l’ingiusto profitto, oggetto del dolo specifico della condotta, può essere desunto da condizioni contrattuali comunque gravose rispetto ai valori di mercato . Inoltre, l’imputato conosceva lo stato di clandestinità delle conduttrici. Il dolo specifico – viene precisato – riguarda il profitto ingiusto del proprietario dell’appartamento e non il danno subito da ciascuna delle conduttrici.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 luglio – 7 ottobre 2013, n. 41437 Presidente Bardovagni – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 10/4/2012, confermava la sentenza del G.I.P. del Tribunale di Milano di condanna di U.D. e P.M. . P. , unico ricorrente, era stato condannato per il delitto di cui all'art. 110 cod. pen. e 12 comma 5 bis D. L.vo 286 del 1998 si trattava, secondo l'imputazione, di proprietario di un appartamento locato a quattro prostitute brasiliane clandestine, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla loro condizione di clandestinità. In conseguenza della condanna, il giudice di primo grado aveva disposto la confisca dell'appartamento di proprietà dell'imputato. Secondo la Corte territoriale, il profitto del delitto era pacifico e si evinceva dalle stesse ammissioni dell'imputato il canone originariamente pattuito di Euro 9.000 all'anno era esorbitante per quell'appartamento, tenuto conto che esso era situato in una strada periferica e consisteva in un sottoscala nel seminterrato, con la camera da letto posta in un piccolo soppalco per di più esso era stato innalzato ad Euro 12.000 annuali. La Corte riteneva priva di senso la considerazione secondo cui l'affitto dovesse essere diviso per quattro in rapporto alle quattro prostitute che lo abitavano , atteso che il profitto era quello dell'imputato. 2. Ricorre per cassazione P.M. , deducendo, come motivo unico, il difetto assoluto di motivazione e, comunque la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Nell'atto di appello l'imputato aveva evidenziato che il canone di locazione non era esorbitante, dovendo essere distribuito per il numero delle straniere, la cui condizione irregolare sarebbe stata asseritamente sfruttata dall'imputato né l'ingiusto profitto poteva essere quello discendente dalla mancata registrazione del contratto. Il canone di locazione era stato pattuito in Euro 800,00 al mese e solo due mesi prima dell'arresto era stato portato ad Euro 1.000,00 al mese. La sentenza d'appello era totalmente priva di motivazione quanto al dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice e del tutto disancorata dal capo di imputazione la Corte territoriale, infatti, avrebbe dovuto verificare se a ciascuna delle cittadine straniere fossero state imposte condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dal rapporto sinallagmatico. Il ricorrente conclude per l'annullamento della sentenza impugnata. 3. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria sottolineando che il delitto contestato richiede il dolo specifico costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità del cittadino straniero e lamentando che la Corte territoriale avesse omesso qualsiasi indagine in ordine alle condizioni e alle clausole del contratto di locazione. La documentazione prodotta dalla difesa dimostrava che, in precedenza, P. aveva locato il medesimo appartamento a condizioni simili a quelle poi praticate nel caso oggetto del giudizio che, quindi, corrispondevano a quelle di mercato. Il ricorrente insiste per l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. L'art. 12 comma 5 bis d.l.vo 286 del 1998 punisce chi, a titolo oneroso, al fine di trarre un ingiusto profitto, da alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo del permesso di soggiorno. L'ingiusto profitto, oggetto del dolo specifico della condotta, può essere desunto da condizioni contrattuali comunque gravose rispetto ai valori di mercato Sez. 1, n. 46914 del 10/11/2009 - dep. 09/12/2009, Borgogno, Rv. 245686 ciò in quanto l'ingiusto profitto si realizza allorché l'equilibrio delle prestazioni sia fortemente alterato in favore del titolare dell'immobile, con sfruttamento della precaria condizione dello straniero irregolare Sez. 1, n. 19171 del 07/04/2009 - dep. 07/05/2009, P.M. in proc. Gattuso, Rv. 243378 . L'impostazione proposta dal ricorrente nell'atto di appello, secondo cui la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se a ciascuna delle cittadine brasiliane fossero state imposte condizioni particolarmente onerose, è errata il dolo specifico riguarda il profitto ingiusto del proprietario dell'appartamento e non il danno - o, comunque l'onere supplementare - subito da ciascuna delle conduttrici. Il ricorrente presuppone - ma non dimostra affatto - che fosse possibile affittare nell'appartamento singoli posti-letto al contrario, il canone di locazione cui la Corte territoriale fa esattamente riferimento è quello relativo all'appartamento nel suo complesso e, del resto - come la sentenza di primo grado spiegava ampiamente - il canone era stato concordato con riferimento all'appartamento, e non al numero di clandestine che vi abitavano. Ciò premesso, la Corte motiva adeguatamente e logicamente sulla sussistenza del dolo specifico del reato contestato, sottolineando, in particolare, che l'entità del canone fosse palesemente eccessiva rispetto alle dimensioni e alla tipologia dell'appartamento e alla zona di Milano dove è situato si deve anche ricordare che non è in discussione la conoscenza dello stato di clandestinità delle conduttrici, confessata dall'imputato. Rispetto a tale valutazione, il ricorrente contrappone un precedente contratto di locazione concernente lo stesso appartamento, contratto che prevedeva un canone leggermente inferiore a quello inizialmente pattuito oggetto del presente processo ma non tiene presente due circostanze valorizzate dai due giudici di merito la mancata registrazione dell'ultimo contratto - che permetteva di incassare interamente il canone, senza pagare le imposte dirette e indirette - e soprattutto il rapido tre mesi dopo l'inizio della locazione aumento del canone mensile da Euro 800,00 a Euro 1.000,00 quindi in misura assai rilevante , reso evidentemente possibile dalla posizione di debolezza delle conduttrici che, per la loro condizione di clandestinità e la mancanza di un atto scritto, non avevano alcun potere contrattuale rispetto al proprietario dell'appartamento. La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, non è affatto manifestamente illogica o assente, essendo strettamente legata alla condotta del ricorrente - non oggetto di contestazione - che, proprio in ragione della clandestinità delle conduttrici, era già riuscito ad ottenere da esse il pagamento di somme nette superiori a quelle di mercato nonché un aumento consistente del canone che sarebbe stato impossibile sia per la rapidità, sia per l'importo in un regime ordinario di locazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.