Investe e uccide un anziano che attraversa la strada, e poi non si ferma a soccorrerlo: duplice reato

Perché possa configurarsi il reato di omissione di soccorso stradale le modalità del sinistro devono poter fare sorgere il dubbio che vi sia un danno effettivo alla persona e tale danno deve essere percepibile dall’utente della strada.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 41375 del 7 ottobre 2013. Il caso. Un povero anziano vittima di un sinistro stradale mentre attraversava a piedi una strada è il soggetto su cui ricadeva la condotta delittuosa dell’investitore, condannato per omicidio colposo e per omissione di soccorso. La dinamica del sinistro veniva ricostruita dai giudici di merito che si erano avvalsi anche di un perito tecnico. Si affermava che il pedone ucciso aveva impegnato la carreggiata iniziando l’attraversamento per raggiungere l’opposto lato quando sopraggiungeva l’imputato a bordo del motociclo e travolgeva l’anziano il quale, per le ferite riportate, decedeva. I dati tecnici rilevati sulla sede stradale – tracce di frenata di oltre otto metri, tracce di trascinamento del motociclo dopo l’impatto, punto d’urto sulla corsia di sinistra – facevano ritenere che l’investimento avveniva quando l’anziano era già in stato avanzato di attraversamento della strada nel momento in cui il motociclo, pur tentando di scansarlo, non era riuscito ad evitare di impattare contro la vittima. Poiché l’investitore non era presente sul posto teatro del sinistro al momento dell’arrivo della Polizia, si procedeva anche per il reato previsto dall’art. 189 Codice della Strada. Dichiarazioni spontanee recepite dal perito. Uno degli argomenti difensivi portati in seno alle censure mosse alla sentenza d’appello riposava sull’asserzione secondo cui il perito nominato dal giudice avrebbe recepito integralmente le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato nell’immediatezza del fatto. Tali dichiarazioni, avendo solo valenza indiziaria, secondo la difesa, non erano state riscontrate da altri elementi oggettivi, ma – per il tramite della perizia d’ufficio – avevano trovato illegittimo ingresso nel dibattimento, violando i principi che regolano la formazione e l’utilizzazione della prova. Ricostruzione oggettiva a fondamento della decisione. La doglianza sollevata è però giudicata dalla Suprema Corte come infondata, atteso che il giudice di primo grado – come è stato precisato dalla Corte d’appello – aveva fondato la propria pronuncia sulla ricostruzione oggettiva della dinamica del sinistro, avvalendosi dei rilievi degli operanti di PG e delle altre risultanze istruttorie e non sulle dichiarazioni spontanee dell’indagato confluite nella perizia d’ufficio. Reati previsti dal Codice della Strada. Le specifiche contestazioni relative alla condotta tenuta dall’utente della strada nel caso in esame trovano il loro modello normativo nel Codice della Strada, e in particolare nell’art. 189 che prevede due differenti ipotesi l’omesso arresto in caso di incidente con danno fisico alle persone coinvolte e l’omesso soccorso in caso di incidente con ferimento di persone. Mentre la prima fattispecie impone solo di fermarsi, la seconda prescrive altresì di prestare assistenza. Fuga dopo un sinistro con danno alle persone Il reato è omissivo di pericolo e si perfeziona istantaneamente quando il conducente del veicolo coinvolto si allontana dal luogo, quindi violando il precetto di legge che gli impone di fermarsi. Indipendentemente dalla causazione effettiva di lesioni alla persona, l’investitore deve fermarsi proprio per verificare le condizioni, per consentire l’identificazione del responsabile e la ricostruzione dei fatti. Istantanea è la violazione del precetto – e quindi l’integrazione del reato – nel momento in cui il veicolo non viene arrestato. omissione di assistenza. Lo stato di bisogno effettivo della persona investita è invece elemento da valutare per il reato di omissione di assistenza. L’obbligo di assistenza è subordinato al concreto stato di bisogno della vittima dell’incidente. Tale elemento è carente nell’ipotesi in cui altri vi abbia provveduto oppure quando non vi siano lesioni, tutte circostanze che però rilevano al momento dell’incidente, non potendo andare esente da responsabilità penale l’investitore che non le abbia obiettivamente valutate in tale frangente, ma che le abbia solo successivamente riscontrate. Come si atteggia il dolo. Entrambe le ipotesi speciali erano contestate nel caso al vaglio della Cassazione che approfitta per porre l’accento sull’elemento soggettivo richiesto che è comune alle due fattispecie ed è il dolo. Per l’ipotesi del mancato arresto, il dolo guarda alla riconoscibilità e alla percezione concreta, da parte del responsabile, di un sinistro corredato da un evento lesivo in capo ad una persona da valutare secondo le condizioni oggettive e il grado di diligenza richiesta all’utente della strada. Nel reato di omessa assistenza il dolo deve abbracciare qualcosa di più cioè la consapevolezza che le condizioni della vittima siano tali da necessitare il soccorso dell’autore del sinistro. Gravi il sinistro e le lesioni. Nel caso in esame la gravità del sinistro e delle lesioni riportate dalla vittima erano tali da non lasciare spiragli di dubbio circa le conseguenze dell’urto, motivo per cui l’utente della strada direttamente coinvolto avrebbe dovuto fermarsi e prestare soccorso, anziché allontanarsi dai luoghi. L’interesse – tardivo e mediato da altri soggetti – è irrilevante quanto alla consumazione del reato di cui all’art. 189 C.d.S. Quantum della pena. Proprio la gravità denunciata deponeva anche a sostegno nella determinazione della misura della pena applicata per i reati contestati. L’entità della pena aveva infatti meritato motivo di censura, ravvisato – a torto – nella mancata applicazione del minimo edittale asseritamente non motivata. Calibrare la pena all’interno della forbice edittale astrattamente prevista è infatti potere discrezionale del giudice di merito che, quando valuti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. anche globalmente, non può essere smentito dal giudice di legittimità se adeguatamente motivato .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 febbraio - 7 ottobre 2013, numero 41375 Presidente Marzano – Relatore Savino Considerato in fatto P.G. ha proposto, per il tramite del difensore, ricorso per Cassazione avverso la sentenza in data 29.5.012 emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria a conferma della sentenza in data 18.3.08 con la quale il Tribunale di Reggio Calabria dichiarava la penale responsabilità di P.G. per i reati di cui A art. 589 co 2 c.p. perché, alla guida del motociclo Yamaha, nel percorrere la strada provinciale numero con direzione di marcia omissis , per colpa consistita 1 nel non aver consentito al pedone L.F.S. , che aveva iniziato l'attraversamento impegnando la carreggiata, di raggiungere il lato opposto di marcia in condizioni di sicurezza, in violazione dell'art. 191 co 2 c.d.s. 2 nel non aver tenuto una velocità prudenziale tale da consentire di arrestare il proprio mezzo nel proprio campo di visibilità, e moderata in una tratto di strada fiancheggiato da edifici, in violazione dell'art. 141 co. 3 c.d.s., investendo L.F.S. che stava effettuando l'attraversamento, ne cagionava il decesso B art. 189 nuovo c.d.s. perché, dopo aver provocato con la sua condotta l'incidente stradale di cui al capo A , nel quale riportava lesioni il pedone L.F.S. , non ottemperava all'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza occorrente alla persona ferita. In omissis . L'imputato veniva condannato, unificati i reati dal vincolo della continuazione, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, pena sospesa, con la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per il periodo di mesi sei. Veniva condannato inoltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede. Come risulta dalla ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito, l'imputato, nel percorrere, alla guida della motocicletta Yamha, la strada provinciale numero 184 con direzione di marcia omissis , investiva il pedone L.F.S. che stava attraversando la carreggiata da destra verso sinistra. Sulla sede stradale venivano rilevate dalla PG operante tracce di frenata di circa m. 8,40, nonché tracce di trascinamento del motociclo sull'asfalto dopo l'impatto e la caduta. Il punto d'urto veniva localizzato quasi nella corsia di sinistra ciò faceva ritenere che l'investimento fosse avvenuto allorché il pedone aveva già da tempo intrapreso l'attraversamento e si trovava al centro della strada quando era stato urtato dalla moto, che aveva cercato di scansarlo, spostandosi sulla sinistra, come dimostrato dalle tracce di frenata orientate verso la mezzeria di sinistra, senza tuttavia riuscire ad evitare l'investimento. Al momento dell'arrivo della Polizia il conducente del veicolo investitore non era sul posto, ragione per la quale veniva contestato il reato di cui all'art. 189 c.d.s Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso per Cassazione il P. per il tramite del difensore, per i seguenti motivi 1 - ai sensi dell'art. 606 lett. b e c , la difesa censura il criterio di ingresso nel dibattimento del materiale probatorio su cui è stata fondata l'affermazione di responsabilità dell'imputato da parte del primo giudice. Come già dedotto in appello, il costrutto accusatorio, secondo la difesa, trae origine unicamente dalle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato nell'immediatezza del fatto, integralmente recepite dal perito nominato dal primo giudice, dichiarazioni aventi valenza solo indiziaria e non di piena prova, non essendo riscontrate da elementi oggettivi queste sono state utilizzate dal perito di ufficio per l'espletamento della relazione peritale, consentendo al predetto di formulare un giudizio di responsabilità a carico del P. . In tal modo tali dichiarazioni, attraverso il loro recepimento nella perizia di ufficio, hanno trovato ingresso nella fase dibattimentale in evidente violazione dei principi che regolano la formazione e l'utilizzazione della prova. 2 - illogicità della sentenza impugnata. La dinamica descritta evidenzia come il motociclista, percorso il tratto ad una velocità ben inferiore a quella consentita, avendo avuto improvvisa contezza della presenza del pedone, abbia modificato la traiettoria aumentando la velocità per poi frenare allo scopo di evitare l'impatto col pedone. Se questa è la ricostruzione delle modalità del sinistro, come recepita nelle sentenze di merito, rileva la difesa che nessuna colpa può essere ascritta al motociclista, il quale, appena accortosi dell'attraversamento del pedone, ha effettuato una manovra di emergenza volta ad evitare l'investimento. Inoltre la sentenza di appello ha ignorato specifici rilievi mossi dalla difesa, che avrebbero potuto determinare una diversa valutazione in ordine alla asserita responsabilità in capo all'imputato in particolare non ha espresso alcuna valutazione in ordine al concorso di colpa del pedone investito, pur riconosciuto dal perito di ufficio, in relazione al quale erano state mosse specifiche doglianze nell'atto di appello. 3 - Carenza ed illogicità della motivazione anche con riguardo al reato di cui al capo B , atteso che non è stata effettuata alcuna disamina circa la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, che la difesa, con specifico motivo di appello, ha assunto essere carente. 4 - assenza di motivazione in ordine alla mancata applicazione del minimo edittale, negato sulla base di un generico riferimento alla condotta tenuta dal prevenuto. Considerato in diritto Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché basato su censure manifestamente infondate, e tendenti sostanzialmente a sollecitare una rivalutazione delle risultanze processuali, una diversa lettura degli elementi di fatto, non consentita al giudice di legittimità. Si ricorda in proposito che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell'espressa previsione dell'art. 606 co. 1 lett E cpp, al solo accertamento della congruità e coerenza dell'apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria di cui al richiamato art. 606 co. 1 lett. E. La denunzia del vizio di motivazione non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica - in relazione ad un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio - le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta esclusivamente individuare le fonti del proprio convincimento, di esaminare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare la prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. Cass. S.U. numero 12 31.5.00, numero 47289 24.9.03, Cass. S.U. numero 12 del 31.5.00, S.U. numero 47289 del 24.9.03, sez. III numero 40542 del 12.10.07, sez IV numero 4842 del 2.12.03 . Con riguardo alla specifica materia della circolazione stradale, nella giurisprudenza di legittimità è stato altresì enunciato, e più volte ribadito, il principio secondo cui la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia -valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente - è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione v. in tal senso, Sez. 4, N. 87/90, imp. Bianchesi, RV. 182960 . Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sinteticamente riportati nella parte relativa allo svolgimento del processo , e da intendersi qui integralmente richiamati - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'incidente stradale oggetto del processo. Va sottolineato che la Corte distrettuale ha proceduto ad una puntuale disamina di tutte le acquisizioni probatorie, sottoponendo ad attento vaglio critico le argomentazioni dedotte dall'appellante, ed è quindi pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado all'esito di un percorso motivazionale completo e rigorosamente ancorato alle risultanze processuali. In particolare, ritiene questo Collegio che è infondata la doglianza relativa all'illegittima acquisizione nel processo, attraverso la consulenza di ufficio, delle dichiarazione spontanee rese dall'imputato nell'immediatezza del fatto, in quanto, come hanno chiarito i giudici di appello, il primo giudice non ha posto a fondamento della decisione tali dichiarazioni, ma la ricostruzione oggettiva della dinamica dell'incidente peraltro non contestata dall'imputato , desunta dai rilievi della PG, intervenuta sul luogo del sinistro e dalle altre risultanze istruttorie. Quanto agli addebiti di colpa specifica mossi all'imputato per il reato di omicidio colposo capo A , la sentenza impugnata correttamente, e con congrue argomentazioni, pone in evidenza la condotta imprudente del P. , il quale, alla guida del suo motociclo, avendo necessariamente avvistato la presenza sulla sede stradale del pedone, nella fase ormai avanzata dell'attraversamento, anziché moderare la velocità fino ad arrestare il motociclo, tentava di superarlo a sinistra, così incrociando la traiettoria della vittima che, per l'età avanzata, aveva un'andatura più lenta, di talché il motociclista non riusciva a schivarlo quanto alla presenza di edifici, costituenti, secondo la tesi difensiva, un ostacolo alla visuale, correttamente la corte territoriale ha osservato come, quand'anche vi fosse stata una situazione di scarsa visibilità, di tale evenienza avrebbe dovuto farsi carico l'imputato, che avrebbe dovuto tenere una condotta ancora più prudente, anche in considerazione del prevedibile attraversamento di pedoni. Per quel che concerne la censura sulla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di omesso arresto e di omesso soccorso di cui all'art. 189 c.d.s., occorre ricordare che l'art. 189 c.d.s., nel disciplinare la condotta che deve tenere l'utente della strada a seguito di incidente stradale ricollegabile al suo comportamento, prevede, ai commi VI e VII, due distinte ipotesi di reato, ovvero l'ipotesi di incidente con danno fisico alle persone coinvolte comma VI per la quale sancisce l'obbligo di fermarsi e l'ipotesi di incidente con ferimento di persone, per la quale sancisce l'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza comma VII . La violazione dell'obbligo di fermarsi dopo un incidente e quella dell'obbligo di prestare assistenza alla persona ferita integrano due distinte ipotesi di reato, lesive di distinti beni giuridici, che danno luogo, in caso di infrazione di entrambi gli obblighi, ad un concorso materiale di reati Cass. Penumero Sez. IV 12.3.01, numero 10006, Pennacchio, Sez. IV, 6.6.72 numero 919 Frattini . Il reato di fuga in caso di incidente con danno alle persone, di cui al comma VI dell'art. 189 c.d.s. è un reato omissivo di pericolo e si perfeziona istantaneamente nel momento in cui il conducente del veicolo investitore viola l'obbligo di fermarsi, ponendo in essere, con il semplice allontanamento, una condotta contraria al precetto di legge. Invece, per la sussistenza del reato di omissione di assistenza, di cui al comma VII dello stesso articolo, è necessaria l'effettività dello stato di bisogno dell'investito, che viene meno, oltre che, naturalmente, nel caso di assenza di lesioni, allorché altri vi abbiano già provveduto e non risulti necessario, né efficace, alcun altro intervento, circostanze, queste, che non possono essere ritenute sussistenti con una valutazione ex post, ai fini dell'esonero della responsabilità, ma devono essere ritenute dall'investitore in base ad una obiettiva valutazione da compiersi al momento dell'incidente Cass. Penumero Sez. IV, 9.8.02, numero 29706 . In definitiva, mentre nel caso di incidente da cui derivi un coinvolgimento di persone, è fatto obbligo al presunto responsabile di fermarsi, indipendentemente dall'effettiva causazione di lesioni all'investito, e proprio al fine di verificarne le condizioni, oltreché di consentire l'identificazione del responsabile e la ricostruzione della dinamica, di talché il reato si perfeziona istantaneamente per il solo fatto della mancata osservanza dell'obbligo dell'arresto del veicolo, nel caso di incidente con ferimento di persone, all'obbligo di fermarsi, già coevo alla fattispecie dell'art. 189 comma VI c.d.s., si aggiunge quello di prestare assistenza, ma, diversamente dal primo, l'effettività dell'obbligo di prestare assistenza è subordinata ad un concreto stato di bisogno della vittima dell'incidente, da valutarsi nei termini come sopra illustrati. Tornando al caso in esame, va detto che all'imputato sono state contestate in fatto entrambe le ipotesi di cui ai comma VI e VI dell'art. 189 c.d.s Quanto alla prima ipotesi, se è vero che il reato di cui al comma VI si consuma con il mancato arresto del responsabile, è anche vero che per la sua configurabilità, sotto il profilo della sussistenza dell'elemento psicologico, è necessario che l'incidente appaia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi anche se non sia necessario un effettivo e riscontrato verificarsi di tali eventi , e che l'effettiva produzione di conseguenze dannose sia percepibile da parte del presunto responsabile, in base alle condizioni oggettive e al grado di diligenza richiesta all'utente della strada. E difatti il dolo richiesto al fine della configurabilità del reato in questione è dato dalla volontarietà dell'omissione effettuata con la consapevolezza che la vittima dell'incidente abbia bisogno dell'assistenza del responsabile. Tale consapevolezza presuppone che le condizioni fisiche della vittima siano percepibili da parte dell'autore dell'incidente e che questi si sia reso immediatamente conto di dette condizioni, tali da necessitare il suo soccorso. In definitiva, ai fini della configurabilità di tale reato, occorre che le modalità dell'incidente siano tali da poter ingenerare il dubbio legittimo che sia derivato un danno effettivo alla persona, e che esso sia percepibile da parte del responsabile ovvero che egli sia nelle condizioni di rendersene conto Cass. Pen sez. IV, 28.1.03 numero 3982, 9.8.02 numero 29706 . Premesso tale inquadramento della materia, ed applicando i principi testé illustrati al caso in esame, si deve pervenire alla conclusione che ricorrono gli elementi costitutivi del reato di cui al comma VI art. 189 c.d.s. contestato. Come è emerso dalle sentenze di merito, in conseguenza dell'investimento, il pedone ha riportato gravi lesioni che ne hanno determinato il decesso. Dunque la gravità del sinistro e le condizioni della vittima erano circostanze tali da consentire una chiara percezione delle lesioni riportate in conseguenza di esso, ragione per la quale l'imputato avrebbe dovuto fermarsi e prestare soccorso, mentre è circostanza pacifica e non contestata che, al momento dell'arrivo dei Carabinieri, il P. si era allontanato, a nulla rilevando la circostanza dell'invio sul luogo del sinistro del suocero, dal medesimo incaricato di informarsi sulle condizioni della vittima. Quanto alle altre deduzioni difensive, che la difesa assume non essere state considerate dai giudici di seconde cure, si rileva che, secondo costante orientamento di questa Corte, il sindacato di legittimità deve essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento Cassazione Sezioni Unite numero 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794 . Quanto infine all'ultimo motivo di ricorso concernente la mancata applicazione della pena nel minimo edittale, si ricorda che le statuizioni in ordine all'entità della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione. Si è inoltre sostenuto che, proprio perché la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125, comma terzo, cod.penumero anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. penumero , anche adoperando espressioni come pena congrua , pena equa , congruo aumento , ovvero richiamandosi alla gravità del reato o alla personalità del reo. Cass. Sez. III, Sentenza del 29/05/2007 RV 237402, Sez. 4, Sentenza numero 41702 del 20/09/2004 Rv. 230278 . Ciò premesso si rileva che la scelta dei giudici di seconde cure di non applicare la pena nel minimo edittale è sostenuta da corrette e congrue argomentazioni, immuni da censure di legittimità, laddove fanno riferimento, quali criteri direttivi ex art. 133 c.p., alla gravità del fatto nonché alla condotta dell'imputato che ha causato l'investimento del pedone e a quella tenuta successivamente, allorché il medesimo si è allontanato dal luogo del sinistro, omettendo di prestare assistenza alla vittima. Per tutte le considerazioni suesposte, il ricorso è inammissibile. Segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si determina come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.