Chiede ad un minorenne di fare ‘recupero crediti’, ma è quest’ultimo a fare i conti con la giustizia

Secondo la Cassazione, che ha rinviato alla Corte di merito per nuovo esame, il minorenne avrebbe dovuto rendersi conto dell’illiceità della sua condotta.

Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 41009/13 della Corte di Cassazione, depositata il 4 ottobre. La fattispecie. Un minorenne era stato colto dai carabinieri, appostatisi sul luogo dei fatti, nel commettere una estorsione dopo aver ricevuto un apposito mandato da terzi. Condannato in primo grado, viene assolto in appello perché la fattispecie, secondo i giudici territoriali, avrebbe potuto integrare, al massimo, il reato di esercizio arbitrario delle ragioni, tuttavia improcedibile per assenza di querela della parte offesa. Ad interrogarsi sul reato configuratosi nel caso in esame è il pubblico ministero, che presenta ricorso per cassazione. Incaricato di riscuotere denaro. I Giudici di Cassazione, dal canto loro, ritengono la decisione impugnata non conforme ai canoni della logica. In particolare, l’illogicità emerge dalla semplice lettura della sentenza impugnata , in cui vengono valorizzate, ai fini dell’assoluzione, le dichiarazioni dell’imputato, pur avendo questi riferito nell’interrogatorio di aver ricevuto un incarico di riscossione di denaro dall’ex datore di lavoro della parte offesa, la quale gli avrebbe detto che aveva dei conti in sospeso con la stessa parte offesa per l’attività di lavoro prestata. Il minorenne avrebbe dovuto rendersi conto del disvalore della propria condotta estorsiva. E poi, anche se trattasi di imputato minorenne, egli avrebbe dovuto allarmarsi per l’attribuzione stessa dell’incarico di riscossione per la richiesta di un pagamento giusto e dovuto. A pronunciarsi sulla penale responsabilità dell’imputato dovrà provvedere la Corte di appello, sezione per i minorenni, a cui la Cassazione ha rinviato la causa.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 1 – 4 ottobre 2013, n. 41009 Presidente Petti – Relatore Di Marzio Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza emessa il 21 agosto 2010 dal GUP del Tribunale per i Minorenni di Catania, ha assolto l'imputato dal reato di estorsione, a lui ha ascritto, perché il fatto non costituisce reato. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica di Catania contestando violazione di legge, ma lamentando in effetti vizi di motivazione, con riguardo al giudizio della Corte di appello sulla assenza di penale responsabilità dell'imputato per il delitto di estorsione. Si lamenta in particolare che, pur essendo stato colto l'odierno imputato, dai carabinieri appostatisi sul luogo dei fatti, nel commettere una estorsione avendo prospettato ritorsioni nei confronti delle parti offese qualora queste ultime non avessero consegnato la somma di Euro 5000, ed avendo ricevuto la somma di Euro 170 e pur risultando - inoltre - che l'imputato, per questa sua attività di escussione, avesse ricevuto un apposito mandato da terzi, unitamente alla promessa della somma di Euro 1000, la Corte territoriale abbia ritenuto che la fattispecie avrebbe potuto integrare al più il reato di esercizio arbitrario delle ragioni, tuttavia improcedibile nel presente processo mancando querela della persona offesa, ma non il delitto di estorsione. Così ragionando, argomenta il Pubblico ministero, la Corte cade in patenti illogicità, non riuscendo a dare compiuta spiegazione del perché l'odierno imputato, estraneo alla contesa da cui si sarebbe originato il presunto credito di Euro 5000, si sia prestato dietro un compenso significativo, alla accertata attività di esazione, usando minacce nei confronti delle parti offese. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, dimostrandosi la motivazione resa dalla corte di appello non conforme ai canoni della logica. Dalla ricostruzione dei fatti svolta nella sentenza impugnata, e riferita soprattutto alle dichiarazioni rese dalla parte offesa, emerge che la parte offesa aveva avviato un rapporto contrattuale con tale D B. per un servizio di badante che quest'ultima lavorò soltanto per pochi giorni, pur ricevendo degli anticipi sulla retribuzione dovuta che la stessa ebbe a chiedere senza successo un ulteriore prestito alla parte offesa che in seguito, sempre la stessa, si lamentò con la parte offesa di aver subito un danneggiamento alla propria automobile, imputandolo alla parte offesa e chiedendole il risarcimento di Euro 100 che, ricevuta anche detta somma, insistette nelle sue pretese pecuniarie, chiedendo ulteriormente la somma di Euro 5000, e proferendo nell'occasione minacce di morte all'indirizzo dalla parte offesa e dei familiari della stessa che minacce similari furono pronunciate anche da uno dei due giovani che accompagnavano nell'occasione la B. che la parte offesa avvisava a tal punto i carabinieri, i quali si appostavano sul luogo dove era stato convenuto un ulteriore incontro per saldare definitivamente i rapporti fra le parti che a detto incontro si presentarono l'odierno imputato insieme ad un altro giovane che gli stessi, secondo quanto riferito dalla parte offesa, proferirono ulteriori minacce. Precisa ulteriormente la Corte che in occasione dell'interrogatorio di garanzia l'imputato riferiva di aver ricevuto incarico dalla B. di recarsi presso l'abitazione della parte offesa per ottenere il pagamento di somme di denaro dovute per il pregresso rapporto di lavoro che per tale servizio di riscossione gli sarebbe spettata la somma di Euro 1000. Ebbene su questa premessa la Corte di merito, soffermandosi sulla decisiva questione circa la consapevolezza o meno del minore in ordine alla illiceità della richiesta avanzata dalla B. , osserva in primo luogo che tra le parti in conflitto si era effettivamente svolto un rapporto contrattuale e che tale fatto ha potuto ragionevolmente far ritenere all'imputato che la B. potesse essere portatrice di pretese legittime nei confronti della controparte. Puntualizza, in secondo luogo, che l'idea sulla legittimità di tale pretesa sarebbe compatibile con il ricevimento di un incarico per la riscossione del denaro e con la promessa di remunerazione di tale incarico per Euro 1000 a fronte di una complessiva pretesa di Euro 5000. L'illogicità dell'argomentazione dei giudici di appello emerge pertanto chiaramente dalla stessa semplice lettura della sentenza impugnata, in cui si valorizzano ai fini dell'assoluzione le dichiarazioni dell'imputato pur avendo questi, secondo la stessa motivazione impugnata, riferito nell'interrogatorio di aver ricevuto un incarico di riscossione di denaro dalla B. , la quale gli avrebbe detto che aveva dei conti in sospeso con la parte offesa per l'attività di lavoro prestato, e pur non avendo aggiunto nulla sulle proprie convinzioni circa la fondatezza e la giustizia delle pretese avanzate dalla parte offesa, limitandosi invece, in maniera del tutto neutra, a riferire di aver ricevuto l'incarico di riscossione e di essersi per questo recato dalla parte offesa. Ancor più illogicamente la Corte di appello non ritiene significativa - ai fini del giudizio sulla comprensione da parte dell'imputato della illiceità della pretesa della B. - l'attribuzione stessa dell'incarico df riscossione, ossia la scelta di una modalità allarmante per la richiesta di un pagamento giusto e dovuto e nemmeno valorizza la circostanza dell'elevato compenso di Euro 1000, incompatibile con la legalità della richiesta pari alla somma, non molto superiore, di Euro 5000 e invece assolutamente lineare con il carattere di illiceità della stessa, il quale carattere difficilmente sarebbe potuto sfuggire all'odierno imputato. Sostiene invece, apoditticamente, che l'entità del compenso non avrebbe potuto generare allarme nell'imputato, essendo a tal fine necessaria una maturità e una esperienza di vita non ancora possedute dallo stesso. Ma quanto più deve essere sottolineato è che la Corte territoriale non ha tenuto conto della motivazione puntualmente espressa dal Tribunale con riguardo al giudizio sulla sussistenza, in capo all'imputato, del dolo di estorsione convincimento argomentato, oltre che con quanto già osservato circa le modalità dell'azione, con il rilievo che l'imputato dopo aver confessato in sede di udienza di convalida dell'arresto di aver concordato il compenso di Euro 1000 da impiegare nell'acquisto di stupefacenti e di un motorino , in sede di udienza preliminare negò di aver ricevuto la promessa di un compenso, affermando di aver agito al solo scopo di aiutare la propria mandante ad acquisire le somme di denaro con ciò dimostrando di rendersi pienamente conto del disvalore della propria condotta estorsiva. 2. Siccome viziata da illogicità argomentative emergenti dal testo stesso della pronuncia, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla corte di appello di Catania, Sezione minorenni, per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Catania, sezione per i minorenni, per nuovo esame.