L’attenuante dello spaccio di lieve entità è invocabile se …

In tema di reato di spaccio di sostanze stupefacenti, l’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990 e successive modifiche ed integrazioni ben può ricorrere in caso di reiterazione nel tempo delle attività di spaccio, e/o di possesso di un non indifferente numero di dosi, e/o nel caso in cui lo spaccio sia posto in essere grazie alla organizzazione di più persone e che possa essere definito professionale”.

E’ perciò erroneo valutare genericamente il carattere organizzato dello spaccio quale causa di esclusione dell’attenuante. In ogni caso, l’ipotesi attenuata va distinta anche in ragione del possibile guadagno ricavabile dalla vendita, il che varia a seconda del valore della sostanza stupefacente posta in commercio. Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41090, depositata il 4 ottobre 2013. Il principio di offensività La pronuncia in esame consente di richiamare, oltre il tema dell’attenuante di lieve entità, anche quello relativo alla concreta offensività della condotta di coltivazione di piante stupefacenti. In merito al principio di offensività del reato in generale, occorre rammentare che esso riveste un duplice ruolo da un lato, vincola il giudice a condannare solo se sussiste l’idoneità in concreto a ledere o mettere in pericolo beni giuridici. A ciò si è obiettato il rischio che il giudice si pronunci in base a valutazioni extra-legali, in contrasto con il principio di riserva di legge art. 25, comma 2, Cost. art. 1 c.p. . Non va dunque dimenticato che l’accertamento in concreto dell’offesa al bene giuridico non può che sfociare nell’indagine relativa alla corrispondenza del fatto storico all’ipotesi tipica di reato. Dall’altro lato, tale principio vincola il legislatore a costruire le fattispecie di reato come lesione o messa in pericolo di uno o più beni giuridici. Anche a tale osservazione si è controbattuto sostenendo che più il bene giuridico da tutelare è ad ampio spettro, più è difficile rispettare il principio di offensività ciò avviene in particolare per i reati economici, ambientali e – come nella sentenza in commento – per quelli in materia di stupefacenti Pertanto, se la fattispecie delineata dal legislatore non esprime un reale contenuto offensivo, essa si presta al sindacato di costituzionalità. ed i reati in materia di stupefacenti . Con specifico riguardo alla materia della coltivazione di piante stupefacenti, già la Corte costituzionale, con sentenza n. 360/1995, si è pronunciata in relazione alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 73, comma primo, D.P.R. 309/1990, definendolo quale reato di pericolo presunto, compatibile con il principio di offensività, poiché in esso non è irragionevole la prognosi di attentato alla salute pubblica quest’ultimo inteso quale bene giuridico protetto dalla norma penale . Occorre però verificare l’offensività specifica della singola condotta in concreto accertata. Se questa manca come nel caso di coltivazione di un’unica pianta, priva di un principio attivo sufficiente , si versa infatti in un’ipotesi di reato impossibile art. 49, comma 2, c.p. . Nello stesso senso si è pronunciata la giurisprudenza di merito cfr. App. Trento, n. 230/2006 , secondo cui la coltivazione di piante stupefacenti è penalmente irrilevante, se ha dimensioni talmente ridotte da essere inidonea a mettere in pericolo la salute pubblica. Anche le Sezioni Unite della Cassazione Penale n. 28605/2008 si sono pronunciate rispetto alla domanda se la coltivazione di piante stupefacenti sia penalmente rilevante anche quando è fatta per uso personale. In base all’orientamento prevalente della giurisprudenza antecedente alla predetta sentenza delle Sezioni Unite, in siffatti casi la rilevanza penale sussiste, in quanto la potenzialità drogante ricavabile dalla coltivazione non è determinabile ex ante . Tuttavia, occorrerebbe sempre verificare l’offensività specifica della singola condotta in concreto accertata. Se questa non sussiste come nel caso di sostanza ricavabile inidonea a mettere a repentaglio la salute e l’ordine pubblico , il giudice di merito può escludere l’offensività in concreto, e ritenere la condotta non punibile. In base all’orientamento minoritario della giurisprudenza antecedente la richiamata sentenza delle Sezioni Unite, la coltivazione domestica per uso personale diversa cioè da quella in senso tecnico-agrario ed imprenditoriale rientrerebbe nell’art. 75, co. 1, D.P.R. 309/1990, in base ad una interpretazione estensiva dello stesso in tali casi, si verserebbe perciò in una ipotesi di illecito amministrativo. La soluzione del contrasto offerta dalle Sezioni Unite poggia sui seguenti principi. In primo luogo, la coltivazione di piante stupefacenti sottintende una valutazione di pericolo del pericolo. La coltivazione ha sempre rilevanza penale, in quanto è inserita sub art. 73, e non sub art. 75 inoltre, la potenzialità drogante ricavabile dalla coltivazione non è determinabile ex ante , a differenza di quanto accade in caso di detenzione. Ne consegue che la coltivazione è esclusa dal regime dell’uso personale, in quanto manca il nesso di immediatezza con tale uso. La distinzione fra coltivazione domestica e tecnico-agraria è arbitraria, in quanto non prevista dalla legge, ed anzi vietata in generale ex art. 26, D.P.R. n. 309/1990. In ogni caso, la coltivazione è più pericolosa della detenzione, in quanto con essa aumenta, in ogni caso, la circolazione di sostanze stupefacenti fra il pubblico.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 luglio – 4 ottobre 2013, n. 41090 Presidente Agrò – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto 1. A.F. propone ricorso a mezzo del proprio difensore avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 4 luglio 2012 che ne confermava la condanna emessa in sede di giudizio abbreviato dal gip del Tribunale di Cosenza per la detenzione a fine di spaccio di circa 50 g di hashish nonché per la coltivazione di cinque piante di canapa indiana, rilevando la carenza di motivazione della predetta sentenza, in particolare quanto alla assenza di adeguata giustificazione per il diniego della attenuante di cui al 5^ quinto comma dell'art. 73 d.p.r. 309/90, nonché la assenza di prova della destinazione della sostanza ad uso di terzi. Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato nei limiti di cui appresso. 3. Va innanzitutto brevemente osservato che il tema della assenza di prova della destinazione della sostanza alla cessione a terzi, che il ricorrente pone sotto il profilo della presunta carenza motivazionale della sentenza impugnata, è chiaramente infondato avendo i giudici di merito adeguatamente dato conto dei vari indici in grado di dimostrare che la droga detenuta era destinata alla vendita né, peraltro, il ricorrente ha sviluppato argomenti puntuali per ritenere il vizio logico di tale motivazione, non restando quindi profili valutabili dal giudice di legittimità che non può ripetere valutazioni fattuali di esclusiva competenza del giudice di merito. 4. È invece fondata l'altra questione posta dal ricorso poiché effettivamente la sentenza impugnata non è motivata adeguatamente in ordine alle ragioni per escludere la sussistenza dell'attenuante di cui all'articolo 73 5^ comma d.p.r. 309. 90, oggetto di specifica richiesta della difesa. 5. La Corte di Appello, nel confermare la decisione di primo grado, ha ritenuto determinante per escludere il caso di lieve entità la notevole quantità di dosi tale da soddisfare un ampio numero di consumatori all'interno del relativo mercato illecito, con discendente pericolo concreto di ampia diffusione di quello stupefacente sul territorio e la intraneità ad ambienti delinquenziali professionalmente dediti all'approvvigionamento di stupefacenti , quest'ultima dimostrata, secondo la Corte di merito, dallo stesso ricorrente con la sua scelta di tacere sul modo di approvvigionarsi dello stupefacente. 6. Secondo il provvedimento impugnato, quindi, l'ipotesi attenuata di cui all'art. 73 5^ comma l.cit. non ricorre laddove vi sia detenzione di droga ad uso di cessione a terzi in quantità utile a ricavare un rilevante numero di dosi ed il reo abbia collegamenti con ambienti criminali operanti professionalmente nel settore della droga. 7. Per valutare l'adeguatezza di tale motivazione è necessario innanzitutto determinare l'ambito di applicazione della attenuante in questione, sia individuando parametri di quantità della droga che per valutare se l'ipotesi attenuata vada sempre esclusa laddove il fatto per il quale si procede si collochi nell'ambito di una attività criminale organizzata se così fosse, effettivamente, per escludere l'attenuante, sarebbe sufficiente il pur generico richiamo di un tale collegamento delinquenziale come si legge nella sentenza impugnata. 8. Il tema della lieve entità risulta più volte affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte che ne ha valutato la caratteristica di aggravante oggettiva, riferibile alle modalità dell'azione e non alla condotta del singolo, ritenendo quindi che l'ipotesi attenuata non ricorra laddove sia superato anche uno solo dei parametri della norma che, si ricorda, sono mezzi, modalità circostanze dell'azione qualità e quantità delle sostanze . 9. Il carattere oggettivo dell'attenuante per tutte Cass. VI, 27 settembre 2011 PG c/ Ambroselli comporta quindi che lieve debba essere il fatto e non la condotta del singolo quindi non può applicarsi in ragione delle condizioni soggettive o di un minore apporto del singolo nel reato in concorso. 10. Va quindi definito - nei limiti in cui possa darsi una indicazione generale rispetto ad una disposizione che non indica parametri ben predeterminati e rigidi - quale sia la possibile entità del fatto di droga attenuato e se il reato possa ritenersi lieve anche laddove la condotta oggetto del giudizio non sia isolata ma si ponga nel contesto di una attività a carattere continuativo e professionale , come affermato nel provvedimento impugnato. 11. Si ritiene innanzitutto utile richiamare una non recente sentenza che, nel l'affronta re il tema dei limiti della ipotesi attenuata, osservava come la lettura della disposizione in questione, nell'ambito del complessivo sistema penale, evidenziasse che, per la pena edittale prevista, il fatto disciplinato quale lieve non possa, nella lettura letterale e sistematica, consistere in una condotta assolutamente minima quanto alla droga trattata ed alla occasionalità della condotta Sez. VI — Ud. 17 maggio 1994 dep. 14 giugno 1994 — Pres. Di Gennaro — Rel. Felicetti — P.M. Tranfo conci, diff. — Vizza Il dato sistematico impone di tener conto innanzitutto che l'ipotesi lieve di spaccio è punita, per le droghe pesanti, con la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da 5 a 50 milioni di lire e, per le droghe leggere, della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da due a venti milioni di lire con pene cioè che, per i massimi previsti, in relazione a quelli contemplati generalmente nel nostro sistema penale, rendono necessaria un'interpretazione non restrittiva del carattere lieve del fatto . Ne deriva che il fatto di lieve entità rispetto a fattispecie altrimenti punibili con pene che possono andare da otto a venti anni di reclusione e da cinquanta a cinquecento milioni di multa, deve essere individuato con criteri interpretativi che consentano di rapportare in modo razionale la pena al fatto, tenendo conto di quel criterio di ragionevolezza che s'impone tanto al legislatore quanto all'interprete, imponendo l'art. 3 Cost., in materia penale, la proporzione fra la quantità e la qualità della pena e l'offensività del fatto. Pertanto il giudice di merito, nel valutare fattispecie di spaccio di sostanze stupefacenti, non può negare la sussistenza dell'ipotesi lieve di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990 senza tener conto, oltre che della quantità e qualità delle sostanze, anche dei mezzi, delle modalità e delle circostanze dell'azione e non può comunque negarla ove il reato, nella sua componente oggettiva e soggettiva, non assuma una consistenza tale da rendere proporzionata al fatto — secondo il sopra indicato criterio di ragionevolezza - la pena minima altrimenti applicabile ai sensi dell'art. 73 commi 1 e 4 a seconda del tipo di droga ”. 12. Tali osservazioni, che non trovano particolare diversità nell'attuale misura delle sanzioni sono state aggravate ulteriormente per le droghe leggere , parificate a tutte le altre, ed invece mitigate leggermente per le droghe pesanti , sono tuttora valide la stessa entità delle pene per l'ipotesi lieve , nonché la forbice tra minimo e massimo, che pur resta notevole, fanno già escludere che si possa limitare il caso lieve al fatto assolutamente minimo, limitato alla ipotesi di detenzione e cessione di pochissime dosi, ritenendolo del tutto marginale rispetto alle comuni ipotesi di apprezzabile attività di spaccio. 13. E la conferma di quale debba essere l'interpretazione corretta dell'art. 73 5 comma l. cit. è data dall'interpretazione, assolutamente letterale, della disposizione in tema di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga art. 74 D.p.r. 309.90 . 14. Il 6^ comma di tale articolo esclude che l'ambito di applicabilità della predetta attenuante sia quello minimalista di detenzione di pochissima droga e comunque di condotta occasionale o sostanzialmente episodica e non consente di ritenere ostativa all'attenuante il mero dato della professionalità dell'attività di spaccio Cass. VI, 29/05/2008, PM c/o Lataj . 15. Difatti secondo tale disposizione, l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è configurabile anche quando i reati fine siano tutti rientranti nella ipotesi attenuata Se l'associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell'articolo 73, si applicano il primo e il secondo comma dell'articolo 416 del codice penale . Per tale ipotesi di associazione minore , coerentemente, la norma prevede sanzioni più moderate. 16. Rammentato, quindi, che la caratteristica di qualsiasi ipotesi di associazione per delinquere, ivi compresa quella ex art. 74 l. cit., è l'accordo per la commissione di una serie indeterminata di reati - evidentemente da commettere in un arco di tempo non predeterminato - la conseguenza logica è che l'ipotesi attenuata sia configurabile certamente anche quando i reati fine siano 1 compiuti da più persone e 2 tali condotte facciano parte di un programma indeterminato di reiterazione di analoghi reati. Ovvero il reato di spaccio di droga di lieve entità è configurabile anche in casi in cui, indiscutibilmente, tale condotta si inserisca nello svolgimento di attività criminale organizzata e professionale . 17. Va anche rammentato che il fenomeno tipico dello spaccio valutato dal legislatore è quello dello svolgimento al fine del diretto profitto economico. Perciò l'esercizio professionale è proprio il caso ordinario di attività associativa compresa quella del 6^ comma dell'art. 74 l. cit. , restando solo marginali e del resto difficili da ipotizzare i casi di associazioni non funzionali al procacciamento di reddito per i soggetti che vi partecipino. 18. Inoltre, nell'ambito dei reati fine della associazione finalizzata a reati fine attenuati, non può non rientrare anche l'attività di contemporanea detenzione, a seguito di approvvigionamento della merce da vendere, di una più apprezzabile scorta della droga necessaria per la distribuzione ulteriore ai consumatori finali. Pertanto è la stessa norma di cui all'articolo 74 6^ comma l. cit. che dimostra come, tra i fatti che rientrano nella ipotesi attenuata dell'articolo 73 5^ comma l. cit., vi sia anche il possesso di una quantità di droga corrispondente ad un numero tutt'altro che minimo di dosi. 19. Una interpretazione che escludesse la possibilità di ricomprendere nella ipotesi attenuata anche un discreto quantitativo di droga finirebbe per affermare la sostanziale auto-abrogazione del citato comma sesto dell'art. 74 l. cit. che non risulterebbe di fatto quasi mai applicabile laddove dovesse escludersi ogni possibilità di ritenere ipotesi attenuata l'accumulo di una quantità di droga funzionale ad una pluralità di vendite al dettaglio. 20. In conclusione, la disposizione in tema di reato associativo dimostra che l'ipotesi attenuata di cui all'art. 73 l. cit. ben può ricorrere in caso di reiterazione nel tempo delle attività di spaccio e/o di possesso di un non indifferente numero di dosi e/o nel caso in cui lo spaccio sia posto in essere grazie alla organizzazione di più persone e che possa essere definito professionale . 21. Così dimostrato che la soglia dell'ipotesi attenuata non vada confinata nel predetto ambito minimalista , resta il problema della corretta individuazione di tale soglia in conseguenza dell'uso, nella legge droga, di concetti assai generali per distinguere le varie ipotesi. 22. Si tratta, peraltro, di un problema comune ad altre disposizioni della stessa legge si rammenta che, per definire l' ingente quantitativo di droga per il quale l'art. 80 l. cit. prevede un forte aumento di pena, si è reso necessario il recente intervento delle Sezioni Unite di questa Corte che hanno dovuto individuare un più preciso parametro numerico. 23. Invero una ragionevole lettura della norma, anche alla luce della disciplina dell'art. 74 6^ comma l. cit., dimostra che la legge non ha inteso individuare con l'art. 73 5^ comma l. cit. un fatto caratterizzato da specifici e rigidi parametri quantitativi, come dimostra anche la circostanza che, pur se il d.p.r. 309/90 prevede, ad altro fine, la individuazione di specifici parametri quantitativi per le varie droghe, non li ha utilizzati per distinguere l'ipotesi lieve, come sarebbe stato ragionevole se si fosse trattato di una mera questione di quantità. 24. La norma ha invece inteso disciplinare diversamente i tipici fenomeni criminali che ricorrono nell'ambito dei reati di droga. 25. Va difatti considerato che l'attenuante in questione è collocata in una normativa che interviene a reprimere fenomeni criminali diffusi e noti nel più ampio genere delle condotte di traffico di droga, la norma, con la diversa disciplina del fatto di lieve entità , intende differenziare il ben chiaro fenomeno del piccolo spaccio . Ovvero, distingue la attività di spaccio di stupefacenti caratterizzata dalla limitata quantità di droga oggetto delle singole operazioni di vendita in favore del consumatore finale, non superiore tutt'al più a poche dosi, e dal limitato numero di operazioni di vendita nel dato intervallo di tempo. 26. Il piccolo spaccio è caratterizzato quindi da una complessiva minore portata delle attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro, e guadagni limitati è una condotta che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che comunque non sia superiore, a seconda del valore delle sostanze, a dosi conteggiate a decine . Sotto quest'ultimo profilo, su cui si tornerà, deve essere valorizzato il valore economico di mercato nero della sostanza se parametro di individuazione del piccolo spaccio è anche la sua redditività, è evidente che il venditore di sostanze di minore valore quali i derivati della cannabis debba commerciare un maggior numero di dosi rispetto al venditore di sostanze di maggiore valore. Pur a fronte della apparente diversità quantitativa delle due ipotesi concrete ipotizzabili, il fenomeno resta di piccolo spaccio . 27. Queste conclusioni trovano corrispondenza letterale nella disposizione in esame, una volta chiarito che questa ben si applica anche ad attività organizzate. 28. L'articolo 73 comma 5^ l. cit., prevede infatti un esame complesso della fattispecie per apprezzarne la levità e, del resto, congiunge la valutazione della quantità della sostanza a quella della sua qualità . Come già ampiamente ritenuto da questa Corte, quindi, anche lo scostamento da uno solo dei vari parametri comporta che si è di fuori dal fenomeno criminale del piccolo spaccio 29. È pacifico, infatti, che, in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione mezzi, modalità e circostanze della stessa , sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell'attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità. E in un tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sé sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio Sez. 4, n. 22643 del 21/05/2008 - dep. 05/06/2008, Frazzitta, Rv. 240854 Sostanzialmente nello stesso senso, tra le varie, Sez. 6, n. 39931 del 16/10/2008 - dep. 24/10/2008, Zagnoli, Rv. 242247, Sez. 1, n. 4875 del 19/12/2012 - dep. 31/01/2013, Abate e altri, Rv. 254194 . 30. Perciò, anche laddove si individui una quantità minima di droga ma tale singola attività risulti connessa ad una attività di traffico di maggiore rilievo, non si potrà applicare la sanzione minore prevista per il piccolo spaccio in tal caso soccorrono i criteri legali diversi dalla quantità , ovvero i mezzi e dalla modalità dell'azione. 31. Allo stesso modo, non potrà ritenersi rientrare nell'ipotesi attenuata una detenzione di droga in quantità superiore ad una soglia ragionevole, anche laddove non siano evidenziate particolari mezzi e modalità dell'azione, è la stessa quantità che, da sola, non consente di ipotizzare che il detentore svolga attività di piccolo spaccio. 32. Dovendosi individuare non una quantità bensì gli indici di un'attività limitata entro il piccolo spaccio, l'attenuante non potrà essere limitata all'equivalente di poche o pochissime dosi, dovendovi rientrare, come detto, anche il possesso di una provvista finalizzata ad una piccola ma comunque proficua attività di vendita di droga al dettaglio. 33. In conclusione, per quanto qui di interesse concreto, si ribadisce innanzitutto come sia erroneo valutare genericamente il carattere organizzato dello spaccio quale caso di esclusione dell'attenuante. 34. Dovrà invece se gli elementi acquisiti facciano ritenere che si sia in presenza di una attività di piccolo spaccio a tale fine è necessario anche tenere conto del possibile guadagno, distinguendo l’ipotesi attenuata anche in ragione del valore della sostanza in vendita. Ad esempio, il possesso di 50 o 100 dosi di marijuana, tenuto conto dello scarso valore economico e del minore guadagno garantito, laddove appaia tutta la sostanza detenuta per la vendita, fa ritenere che si sia nell'ambito del piccolo spaccio. Diversamente, 100 dosi di cocaina, di ben maggior valore di mercato, e che l'accusato sia in grado di vendere al dettaglio in breve tempo, indicano una attività che non rientra certamente nel piccolo spaccio. 35. Ma la stessa quantità citata di marijuana, laddove non corrisponda invece alla piena individuazione della provvista complessiva ma ne rappresenti una piccola frazione, sulla scorta della valutazione degli altri parametri dell'art. 73 5^ comma dpr 309.90, ben può dimostrare se vi è prova in tale senso di mezzi e modalità l'ipotesi ordinaria. 36. Queste ultime affermazioni sono le concrete premesse per definire il caso in esame. La sentenza impugnata motiva il diniego della attenuante, a fronte dell'unica circostanza oggettiva della quantità di stupefacente in sequestro, senza alcun serio approfondimento del tema della sussistenza di una ipotesi di piccolo spaccio con conseguente applicabilità della attenuante richiesta. 37. Peraltro le argomentazioni dei giudici di merito in ordine alla quantità della droga sono generiche laddove, a fronte di un quantitativo oggettivamente non elevato, se ne afferma la idoneità a rifornire un ampio numero di consumatori senza valutare se tale ampio numero non sia comunque compatibile con l’ambito di attività che la predetta attenuante riserva al fenomeno del piccolo spaccio . 38. Quanto alla affermazione generica dell'inserimento nella vicenda nell'ambito di rapporti con altri contesti criminali dediti al rifornimento di stupefacente, manca anche qualsiasi approfondimento per poter ritenere che tale situazione sia indice di un più rilevante traffico di droga. Peraltro anche il soggetto responsabile di una ipotesi attenuata, ancor di più laddove operi in forma associata, deve comunque rapportarsi all'ambiente criminale in grado di rifornirlo. 39. Inoltre, poiché il ricorrente è stato condannato anche per il possesso di piante di canapa indiana, elemento fattuale quest'ultimo che introduce la ragionevole possibilità di produzione in proprio della sostanza da vendere, la sentenza, che ritiene certo il rapporto con terzi fornitori di droga, non giustifica perché vada esclusa tale autonoma produzione. 40. Pertanto si impone l'annullamento con rinvio perché venga valutato, sulla scorta dei fatti accertati, se ricorra, alla stregua dei principi sopra esposti, l'attenuante richiesta dalla difesa. 43. Va anche rilevata la necessità che il giudice di rinvio, nell'individuare le possibili prove del rapporto con ambienti criminali tale da rendere la vicenda sintomatica di un più grande traffico di droga, escluda il rilievo dato nella sentenza impugnata al silenzio dell'imputato. 44. La Corte di Appello, nel confermare la decisione di primo grado, ha ritenuto significativo il silenzio serbato dall'imputato sulle modalità di acquisizione dello stupefacente in quanto sintomo di intraneità ad ambienti delinquenziali professionalmente dediti all'approvvigionamento di stupefacenti . 45. La sentenza impugnata commette un duplice errore nel ritenere che la prova dei contatti criminali sia stata offerta dallo stesso ricorrente con il suo tacere sul modo di approvvigionarsi dello stupefacente. 46. Innanzitutto, non ricorrono i limitati casi in cui questa Corte riconosce significatività al silenzio dell'imputato si vedano, tra le altre, Cass. I, sent. 2653 del 23.1.12, Cass. II, sent. 22651 del 14.6.10 Cass. V, sent. 12182 del 6.4.06 nel caso di specie la Corte di Appello ha fatto esattamente ciò che è stato vietato dal nostro ordinamento processuale ha ritenuto che la omertà , ovvero il rifiuto di indicare le proprie fonti di approvvigionamento, sia utilizzabile quale prova diretta dei rapporti con ambienti di crimine organizzato. Un secondo errore è la scarsa logicità di tale affermazione se è vero che un soggetto legato a grandi trafficanti possa, per spirito omertoso, tacere sui rapporti con gli stessi, non è però affatto vero l'inverso, ovvero che colui che tali legami non li abbia intenda sempre indicare chi siano i suoi, ancorché occasionali, fornitori. 47. Pertanto, se del caso, il giudice di rinvio dovrà indicare diverse prove dei collegamenti con ambienti delinquenziali, laddove ritenga tali collegamenti esistenti e significativi per escludere l’attenuante richiesta. 48. In tali sensi la sentenza deve essere annullata e rinviata per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicabilità dell'attenuante di cui al 5^ comma dell'art. 73 dpr 309.90 e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro. Rigetta nel resto.