La violenza manutentiva esclude la punibilità solo se si riferisce ad un bene di cui si ha l’esclusivo possesso

La violenza manutentiva non comporta la punibilità per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 392 c.p. solo qualora sia esercitata per proteggere beni di cui si abbia l’esclusivo possesso.

Lo ha ribadito, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40944/13, depositata il 3 ottobre scorso. Il caso. Nei fatti è accaduto che gli imputati, proprietari esclusivi di un casolare confinante con un terreno in comproprietà con le parti civili, avevano sostituito la porta di accesso al terreno al fine di impedire che i denuncianti potessero introdursi nell’edificio suddetto. Il tutto era stato fatto in ragione di pregressi contenziosi giudiziari di natura civile tra le parti, contenziosi che peraltro erano terminati con l’integrazione nel possesso del casolare a favore proprio gli accusati. Secondo la difesa i fatti contestati non erano rilevanti penalmente, in quanto la violenza sulla cosa era stata fatta per mantenere il possesso del bene esclusivo casolare e pertanto doveva escludersi la punibilità. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto le lagnanze del ricorrente, evidenziando come nel caso di specie non potesse trovare applicazione la scriminante invocata dagli accusati. Comportamento violento Per comprendere appieno la decisione concretamente adottata dalla Suprema Corte, conviene ricordare come nell’interpretazione dell’art. 392 c.p. la Corte di Cassazione abbia affermato che non commette il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni chi, usando violenza sulle cose, tutela il suo attuale possesso da altri turbato o si reintegra nel possesso medesimo nella flagranza o quasi flagranza del sofferto spoglio Cass. Pen. n. 1358/1997 e si sia inoltre aggiunto che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l'autoreintegrazione nel possesso opera come causa speciale di giustificazione quando l'imputato si sia trovato nella necessità impellente di ripristinare il possesso perduto, al fine di evitare il consolidamento della nuova situazione possessoria, solo se risulti accertato ch'egli abbia voluto reagire a un'azione di spoglio attuale nel momento della sua azione violenta e che la lite giudiziaria sia intervenuta solo successivamente Cass. Pen. n. 6487/1998 . ma per mantenere il possesso del bene. Da queste premesse si è quindi chiarito che non integra l'elemento oggettivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta di colui che con un comportamento violento mantiene il possesso attuale del bene violenza manutentiva oppure lo recupera nell'immediatezza dello spoglio subito violenza reintegrativa , atteso che tali comportamenti sono legittimi, in quanto tendono a conservare l'ordine giuridico preesistente Cass. Pen. n. 20277/2001 . Se, dunque, la violenza sulle cose viene applicata seguendo lo schema del diritto di difesa, non può esservi alcuna punizione. Se non che il tutto si complica quando a mezzo di detta violenza si impedisce non solo la commissione di un atto illecito, ma anche l’esercizio di un legittimo diritto altrui. In tal caso, la difesa del possesso, concettualmente ipotizzabile solo su beni di cui si abbia l’esclusivo possesso, non può giustificare la lesione del godimento del possesso altrui su beni diversi da quelli che si vorrebbero difendere. Si spiega così perché la Cassazione abbia evidenziato che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l'arbitrarietà non può ritenersi sussistente qualora ricorra la difesa in continenti del possesso o la autoreintegrazione di esso nell'immediatezza di uno spoglio violento da parte di altri, purché non si tratti di ipotesi di compossesso Cass. Pen. n. 49760/2012 . Se, dunque, vi è un compossesso di un bene, il possesso comune non può essere impedito anche se ciò è fatto per tutelare un possesso esclusivo ricadente su altro bene. Così impostata la questione giuridica, si comprende perché la Cassazione nel caso di specie abbia respinto il ricorso. Se, infatti, era indubbia la finalità per la quale il tutto era stato fatto tutelare l’attuale possesso del caseggiato , le modalità di azione, tuttavia, non erano tali da giustificare quel che in effetti è stato fatto, poiché col cambio della serratura si era comunque impedito alle parti civili di accedere anche al terreno di cui quest’ultime erano pacificamente comproprietari e compossessori. Da qui la conclusione della Suprema corte. Conclusioni. A margine della sentenza in commento, si può constatare la correttezza del ragionamento della Corte di legittimità. Non si può, infatti, ammettere che la tutela del possesso, attuata con violenza sulle cose e senza ricorso giudiziario, possa essere tale da poter legittimare un indebito e permanente spoglio del possesso altrui su beni che non sono oggetto di protezione. Vi è solo da osservare come per un fatto tutto sommato banale, le parti coinvolte abbiano speso diversi anni sia in sede civile che in quella penale per far valere le proprie ragioni. Se ed in che termini questa decisione possa portare ad un auspicabile componimento effettivo della lite, non è dato sapere. Si sa solo che una delle parti civili nel mentre è deceduta e che almeno per lei ogni pensiero sul come recuperare la ‘roba’ si sia ormai definitivamente spento.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 luglio – 3 ottobre 2013, n. 40944 Presidente Di Virginio – Relatore Raddusa Ritenuto in fatto 1. L.C. e C.R.F. , tratti a giudizio innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore con l'imputazione di cui agli artt. 110, 392 e 393 cp perché, al fine di esercitare un preteso diritto esclusivo di proprietà, sostituivano la porta di accesso al relitto di un terreno, impendendone l'ingresso ai comproprietari, C.F. e B.A. , minacciando di denunziarli qualora avessero tentato di introdursi nuovamente nel relitto, venivano ritenuti responsabili dei fatti loro ascritti limitatamente all'ipotesi di cui combinato disposto di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 393 cp, con condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili. 2. Interposto appello la Corte ha ritenuto sussistente la sola ipotesi di cui all'art. 392 cp originariamente contestata in concorso con il 393 cp, rideterminando la pena irrogata, nel caso comminata in una multa. 3. Propongono ricorso per Cassazione i due imputati per il tramite del difensore fiduciario ed adducono quattro motivi. 3.1 Con i primi due motivi si lamenta violazione di legge avuto riguardo all'art. 392 cp e vizio di motivazione, illogica e contraddittoria, perché i giudici del merito non avrebbero considerato che nella specie si verteva in ipotesi di possesso esclusivo del bene il cui ingresso sarebbe stato impedito dalla condotta contestata, motivata dunque in ragione di esigenze manutentive correlate all'atteggiamento delle costituite parti civili, volto a ledere tale situazione di possesso, siccome cristallizzato peraltro dalla decisione del Tribunale civile in ordine alla reintegra inutilmente intentata dalle stesse parte civili. Sul piano soggettivo, cui si ancora il difetto di motivazione addotto con la seconda doglianza, si evidenzia inoltre che mancava la volontà di impedire ai comproprietari l'ingresso al relitto del terreno. 3.2 Con il terzo motivo viene addotto vizio di motivazione, contraddittoria e illogica, in punto all'attendibilità della testimonianza della persona offesa. La Corte avrebbe ritenuto non attendibili le valutazioni delle persone offesa in ordine alla ipotesi della minaccia funzionale alla applicazione nella specie del comma 1 dell'art. 393, nel caso escluso dal Giudice distrettuale. Così facendo avrebbe indebitamente frazionato la valutazione dell'attendibilità della persona offesa in presenza di un narrato inequivocabilmente unitario per la riferibilità delle condotte, violenza sulle cose e sulle persone, ad un unico episodio in un medesimo contesto, tale da determinare una necessaria interferenza fattuale e logica delle diverse parti del narrato, incompatibile con tale valutazione frazionata. 4. Con i motivi quarto e quinto si deducono più violazioni di legge in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 178 lettera C, 74, 76, 78, 80 81 cpp in ragione alla mancata esclusione della parte civile dal grado di appello in ragione della intervenuto decesso di C.F. senza che gli eredi del de cuius abbiano manifestato l'intenzione di proseguire oltre l'azione civile in sede penale. Considerato in diritto 5. Il ricorso va rigettato per la infondatezza dei relativi motivi. 5. Il primo motivo riposa su un presupposto in fatto quello del possesso esclusivo del terreno il cui accesso sarebbe stato precluso alle persone offese dalla condotta dei ricorrenti che non trova conforto nella ricostruzione della vicenda in processo per come emergente dalla sentenza impugnata. 5.1 Le emergenze processuali, sulle quali riposa pacificamente la motivazione resa dalla Corte distrettuale fotografano una situazione in fatto in forza alla quale, all'epoca della vicenda in esame, erano in comproprietà degli odierni ricorrenti nonché delle parti civile costituite un casolare ed il terreno immediatamente circostante. Al terreno poteva accedersi o dal casolare o in alternativa, autonomamente, da una porta basculante posta sul muro di cinta del terreno stesso. È, inoltre, pacifico che la nuova serratura apposta dai ricorrenti, attività concretante la condotta contestata, venne collocata su tale porta basculante, esterna al casolare. 5.2 Tanto rassegnato, la sentenza impugnata, altrettanto pacificamente, ascrive il possesso esclusivo dei beni in comproprietà agli odierni ricorrenti limitatamente al solo casolare e non anche al terreno il cui accesso venne pretermesso dalla condotta in contestazione. Né, peraltro, il ricorso contiene l'indicazione di elementi probatori pretermessi o male interpretati dai Giudici del merito o, ancora, l'esplicitazione di momenti di contraddizione interna, ricavabili dal tenore della decisione gravata, utili a censurarne sotto tale versante la conclusione assunta. 5.3 Ne viene l'infondatezza dell'assunto sotteso al primo motivo. Il possesso esclusivo utile a giustificare l'ipotesi della violenza manutentiva, destinata, secondo il costante orientamento di questa Corte, ad escludere il giudizio di responsabilità ascritto ai ricorrenti trova conforto con riferimento ad un bene, il casolare, diverso da quello sul quale ebbe a cadere la condotta contestata, id est il terreno. In ordine a tale ultimo cespite, piuttosto, viene dato per scontato il compossesso tra tutti i comproprietari situazione di fatto e diritto, questa, che rende penalmente sanzionato, sotto l'egida normativa correttamente indicata con la sentenza di appello, lo spossessamelo operato dagli odierni ricorrenti con la sostituzione della serratura alla porta di ingresso al terreno cfr in termini da ultimo, cassazione penale, Sez. 6, Ordinanza n. 49760 del 27/11/2012 Rv. 254185 . 6. I motivi indicati sub 2 e 3 del ricorso, pur se relativi a due diverse doglianze connotate da un diverso contenuto oggettivo, trovano una risposta comune, di segno negativo rispetto alle prospettive difensive, nel medesimo dato percepibile dalla disamina della decisione impugnata nonché nella stessa impostazione sottesa al ricorso. Come confermato dalla difesa cfr pag 3 ultimo capoverso del gravame in linea con quanto affermato dai ricorrenti nel corso del processo, è pacifico che alla sostituzione della detta serratura ebbero a provvedere i coniugi L. e C. per impedire ai comproprietari l'accesso al terreno una volta definito il giudizio cautelare meglio indicato in sentenza che, per quanto si legge nella decisione impugnata, aveva ad oggetto la reintegrazione nel possesso del caseggiato. Questo dato di fatto, per come ovvio, incide sulle ragioni di lagnanza compendiate con i motivi due e tre del ricorso. 6.1 Per un verso, infatti, tale presupposto in fatto da evidente ed esplicita contezza della sussistenza dell'elemento soggettivo sotteso alla fattispecie contestata la sostituzione della serratura venne effettuata con il precipuo intento di impedire l'accesso al terreno dei comproprietari in ragione dell'esercizio di un preteso diritto ciò in linea con il dolo tipico dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni il quale richiede, oltre il dolo generico, quello specifico, rappresentato, per l'appunto, dall'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità. 6.2 Per altro verso, in ragione di quanto sopra, perde assolutamente di rilievo il tema legato alla valutazione frazionata dell'attendibilità delle persone offese introdotte con il terzo motivo di ricorso. Nel motivare della Corte distrettuale sul punto, infatti, viene dato specifico ed assorbente rilievo non tanto alle dichiarazioni delle persone offese quanto a quelle, certamente autosufficienti al fine, rese in processo dagli stessi ricorrenti. 7. Gli ultimi due motivi di ricorso, infine, tralasciano integralmente un dato che ne assorbe evidentemente, ed in termini negativi, il relativo rilievo giuridico. L'azione civile venne esercitata nel processo penale che occupa da entrambe i comproprietari. Coerentemente dunque, deceduto uno dei due, la stessa è proseguita senza soluzioni di continuità in ragione della persistente presenza in processo dell'altro comproprietario. 8. Alla reiezione del ricorso fa seguito la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.