Nessuno spazio all’autodifesa tecnica dell’avvocato abilitato

Nemmeno in Cassazione, nonostante l’abilitazione speciale. La CEDU cede di fronte a meno permissive norme nazionali.

Un magistrato amministrativo inoltra un esposto al Consiglio di Stato contro alcuni colleghi colpevoli, a suo dire, di aver giudizialmente negato la condonabilità di un manufatto di proprietà. Avrebbero applicato norme abrogate, con evidenti intenti ritorsivi nei confronti del magistrato. Per i giudici penali è calunnia ex art. 378 c.p. In Cassazione il magistrato contesta la decisione giudiziale di escluderne l’autodifesa tecnica – il provvedimento sarebbe stato nullo ex art. 178, lett. c e 179 c.p.p. - , nonostante la previsione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti umani deponga in senso opposto. Altresì, contesta l’integrazione degli elementi materiali e soggettivi del reato, mancava una volontà denigratoria e l’incompetenza ratione materiae dei giudici era stata tale da imporre una invocazione disciplinare. La Cassazione, Seconda sez. Penale, n. 40715 depositata il 2 ottobre 2013, rigetta con motivare come segue. Solo limitati gli spazi dell’autodifesa tecnica nell’ordinamento nazionale. Nemmeno in Cassazione l’avvocato abilitato può difendersi da solo. L’art. 6 lett. c della CEDU non possiede un valore assoluto ed inderogabile, risulta mediabile dalle disposizioni interne del diritto nazionale, le quali modulano le disposizioni comunitarie con le esigenze di buon funzionamento del sistema amministrativo della giustizia, le quali impongono un’assistenza legale dedicata . Suddette esigenze prevalgono anche in terzo grado di giudizio, nel luogo, ossia, della massima specializzazione giudiziale – per la quale l’esercizio professionale richiede una abilitazione ad hoc -. Dunque, per quelle esigenze, non sussiste nessun diritto assoluto all’autodifesa tecnica, nemmeno presso il giudice delle leggi. La Cassazione scansa di eccezionalità le poche previsioni interne affini all’esercizio dell’autodifesa tecnica. Il ricorso diretto al giudice di pace ex art. 21, d.lgs. n. 274/2000 è giustificato dai fini informalmente conciliatori del procedimento per quei reati contemplati e meno gravi. Oppure la norma che consente al difensore munito dell’abilitazione all’esercizio nelle giurisdizioni superiori di proporre personalmente ricorso per Cassazione avverso la liquidazione insoddisfacente – art. 170, DPR n. 115/2000, come applicato -. Mentre nessun valore innovativo, casomai meramente ricognitivo delle facoltà già riconosciute, possiede l’art. 13, l. n. 247/2012 – nuova legge sull’ordinamento forense – per il quale l’avvocato può esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore e a titolo gratuito. Il giudicato interno si forma implicitamente, al di là di espresse dichiarazioni giudiziali. L’imputato sosteneva che in realtà la Cassazione già in precedenza invocata – quello in oggetto era il secondo ricorso – aveva annullato il decisum della Corte d’appello per una parte più estesa di quella riconosciuta dal giudice del rinvio – non solo l’elemento soggettivo, anche parte della struttura materiale del reato avrebbe dovuto essere rivisitata -. La Cassazione, per ultima, precisa l’estensione del giudicato interno , il quale ex art. 624 c.p. copre la parte non annullata della sentenza impugnata concernente reato e responsabilità, purché questa non sia in rapporto di conn essione essenziale con la parte annullata, ancora sub iudice . Il giudicato già solidificato risulta tuttavia tanto immune alle vicende estintive che nel corso del processo residuo potrebbero involgere la parte della contestazione ancora pendente , tanto alle mere mancanze formali o descrittive dei giudici di Cassazione che hanno disposto il rinvio per solo parte della struttura delle contestazioni – nulla i giudici avevano dichiarato in merito ad un giudicato parziale già maturato in ordine alla struttura materiale del reato -. In tal modo la Cassazione pare sostenere l’idea di una formazione progressiva del giudicato che prescinda da descrizioni giudiziali di valore costitutivo, e che maturi anche in via implicita, per le risultanze giudiziali che lo contengono, al di là delle espresse dichiarazioni. Per l’effetto la Cassazione in oggetto ritiene già formato quel giudicato anche per la struttura materiale del reato, nonostante i forse distratti silenzi giudiziali della prima corte di Cassazione invocata.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 luglio - 2 ottobre 2013, n. 40715 Presidente Petti – Relatore Diotallevi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20.12.2001, il Tribunale di Cagliari dichiarò S.S. responsabile del reato di calunnia continuata per avere, con ricorso al Tar di Cagliari del 21 dicembre 1998, incolpato falsamente del reato di abuso di ufficio Sa.Al. , A.M. , P.R. e S.I.S. e - concesse le attenuanti -_ generiche - lo condannò alla pena di anni 2 di reclusione, pena sospesa e non menzione. L'imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio con una provvisionale ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili Sa.Al.Ma. , A.M. e P.R. . Secondo il Tribunale l'imputato, magistrato del Tar, in servizio presso quello della Sardegna, aveva impugnato presso detto tribunale l'ordinanza con cui in data 2.1.1991 il Sindaco del comune di Quartu Sant'Elena aveva rigettato la richiesta di condono, relativa ad un manufatto edilizio del ricorrente, ritenendo il provvedimento inapplicabile per essere stato l'immobile costruito in fascia di rispetto costiero m. 150 dal mare . Con altro ricorso, lo S. impugnava dinanzi al Tar sia un successivo provvedimento di rigetto della nuova istanza di condono, presentata in data 1.3.1995 in relazione al proprio immobile, sia il provvedimento emesso in data 9.10.1995 dal Sindaco del Comune predetto. Con ordinanza del 9.1.1996 il Tar, composto dal presidente Sa. e dai giudici A. e P. , rigettava la sospensiva proposta e con sentenza del 2.4.1996 respingeva il ricorso, ritenendo che, pur essendo stata abrogata la L.R. n. 17 del 1981 dalla successiva L.R. 22 dicembre 89, n. 45, la L.R. n. 23 del 1985 aveva richiamato espressamente nella citata Legge, art. 28, la fascia di rispetto, prevista dalla norma abrogata, al fine di escludere la condonabilità di opere realizzate in detta zona costiera. Vi era perciò un implicito riferimento al vincolo sostanziale, peraltro, ribadito dalla novella del 1989, che aveva esteso la inedificabilità sul litorale fino a 500 metri dal mare. Con il ricorso del 21 dicembre 1998, lo S. nell'impugnare il silenzio tenuto dal Presidente del Consiglio di Stato sull'atto di messa in mora, con cui egli aveva sollecitato l'avvio di un procedimento disciplinare nei confronti del Sa. , formulava nei confronti dei nominati giudici le accuse - ritenute calunniose - di avere consapevolmente applicato a suo danno una norma abrogata. Il giudice di prime cure riteneva che l'atto avesse l'idoneità di provocare un procedimento penale che il contenuto oggettivamente integrasse una calunnia, in quanto lo S. , dopo aver esposto un contesto di aggressioni alla sua figura di uomo e magistrato da parte dei colleghi ed in particolare del presidente Sa. , attribuiva ai detti incolpati la consapevole violazione di norme di legge, ricondotte ad un preciso intento ritorsivo. Escluso che il comportamento ascritto alle parti offese fosse oggettivamente vero, e che le decisioni fossero maturate in un clima di ostilità, osservava che le considerazioni svolte nel ricorso erano del tutto estranee all'interesse perseguito dallo S. , che era quello di provocare un giudizio sulla legittimità o meno del silenzio serbato dalla amministrazione su una sua istanza. Piuttosto il tenore delle espressioni usate attestava l'esistenza dell'elemento psicologico, poiché tale mezzo giudiziario era stato usato per una finalità diversa, mediante suggestivi argomenti che tendevano a far approfondire accertamenti di tipo penalistico, giustificati dal clima di risentimento creatosi con i suoi colleghi. 2. Avverso tale pronunzia l'imputato propose gravame ma la Corte d'appello di Cagliari, con sentenza del 25.9.2008, confermò la decisione di primo grado, dopo aver respinto le eccezioni procedurali, condividendo la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice. 3. Contro tale sentenza l'imputato proponeva ricorso per cassazione deducendo a violazione e falsa applicazione dell'art. 6 Cedu in tema di autodifesa e in relazione agli artt. 3, 21, 24, 32 Cost. e difetto di motivazione sul punto nel provvedimento impugnato, che erroneamente gli aveva negato tale diritto, prevalente secondo una lettura del trattato e della pronuncia della Corte costituzionale del 2009 n. 421, sulla difesa tecnica tanto più che era munito della necessaria competenza tecnica e delle relative abilitazioni professionali eccepiva la illegittimità dell'art. 97 cod. procomma pen., per violazione degli stessi ed anche per violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo che il legislatore avrebbe violato la delega di cui alla L. n. 81 del 1987 b segnalava gli errori in cui a suo avviso era incorsa la Corte d'appello nella esposizione del fatto ascrittogli, ponendo in comparazione i passi del provvedimento con gli atti richiamati e sottolineando mancanze o omissioni con cui sono stati riportati i dati esposti nella pronuncia di primo grado lamentava che non si era tenuto conto della memoria depositata in data 24.9.2009 e del documento allegato, attestante la riforma della sentenza n. 701/96 c reiterava le eccezioni procedurali proposte con l'appello e denunciava sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione che vi era incompetenza territoriale ex art. 11 c.p.p., applicabile a tutte le magistrature, che il decreto di rinvio a giudizio era nullo, privo di elementi essenziali, aggiunti successivamente al rinvio pronunciato in sede di udienza preliminare, come il dispositivo letto in udienza, non contenente i dati previsti dall'art. 546 cod. procomma pen d affermava la non idoneità del ricorso al Tar a costituire denuncia ex art. 368 cod. pen., non essendovi stata alcuna accusa del delitto di cui all'art. 323 cod. pen. avrebbe esposto, a sostegno della richiesta di avvio di procedimento disciplinare in danno del Sa. , che questi si era reso responsabile di tre violazioni di legge, e che la Corte aveva identificato il vizio di sviamento con la falsa incolpazione, con la conseguenza che in generale si potrebbe affermare che ogni lamentata violazione o falsa applicazione di legge integrerebbe, se infondata, il delitto in esame e deduceva la mancanza dell'elemento oggettivo della calunnia, in quanto egli non aveva, in nessuna parte dello scritto, addebitato alle parti offese la volontà di danneggiarlo, ma solo fatto loro carico della consapevolezza di aver applicato una norma abrogata peraltro, la sentenza del 1997 era stata riformata, sicché implicitamente era stata riconosciuta la verità della violazione di legge, ascritta ai suoi colleghi con il ricorso il dato, inopinatamente, era stato ritenuto irrilevante dalla Corte distrettuale, laddove, invece, aveva efficacia dirimente. f tale fatto, inoltre, influiva sull'elemento soggettivo del reato, erroneamente individuato, senza tener conto che il ricorso avverso il silenzio sulla diffida a provvedere era utile per il trasferimento di ufficio, che l'invio dello stesso alle autorità giudiziarie penali non equivaleva a denuncia e che non vi erano scopi sottesi nel ricorso g lamentava la omessa pronuncia sulle difese e memorie presentate in proprio h eccepiva la nullità della sentenza di appello per carenza di legittimazione dei giudici che l'avevano pronunciata, in quanto essi, siccome ricusati, avevano l'obbligo di astenersi. 4. Con sentenza n. 21360 del 12.5.2011 dep. 27.5.2011, la Corte suprema di cassazione, Sezione 6^ penale, rigettati tutti gli altri motivi di ricorso, annullò con rinvio la sentenza di appello limitatamente all'individuazione del dolo del delitto di calunnia. Rilevava la Corte Suprema di cassazione che si doveva considerare rinunciata, e comunque priva di interesse, la doglianza concernente il diritto all'autodifesa, poiché il ricorrente aveva esplicitamente ribadito di essere assistito dal solo difensore di fiducia, comparso, che aveva rassegnato le conclusioni nel suo interesse. Peraltro, in analogo procedimento che riguarda il ricorrente, era stato affermato che la normativa interna che esclude la difesa personale della parte nel processo penale e nei procedimenti incidentali che accedono allo stesso non si pone in contrasto con l'art. 6 paragrafo terzo, lett. c della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che prevede la possibilità di autodifesa, in quanto il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7786 del 29/01/2008 quindi, in ogni caso, la doglianza era infondata. Osservava, che comunque il motivo veniva enunciato con riferimento alla mancata disamina da parte della Corte di appello della memoria in autodifesa, e, quindi, riguardava un vizio che non era pertinente al vulnus difensivo, ma al difetto di adeguata motivazione denunciabile sub lettera e dell'art. 606 cod. procomma pen Quanto alla applicabilità dell'art. 11 c.p.p., rilevava essere pacifico che le norme sulla speciale competenza territoriale per i procedimenti nei quali un magistrato è imputato, persona offesa o danneggiato dal reato si applicano esclusivamente ai magistrati ordinari e non anche a quelli amministrativi Sez. 6, Sentenza n. 2874 del 10/06/2002 da ultimo . Sul punto, peraltro, il motivo era ripetitivo di quello formulato innanzi ai giudici di merito, cui è stata data risposta, ampia e giuridicamente corretta, ed in concreto non introduce argomenti, né tanto meno li sviluppa, si da determinare un diverso orientamento. Riteneva generiche le ulteriori questioni procedurali, elencate che non integravano alcuna delle nullità insanabili di cui all'art. 179 cod. procomma pen., né in quelle indicate dal l'art. 181 cod. procomma pen. segnalava che il ricorso non specificava, dal profilo dell'interesse che deve sostenere, pena la inammissibilità, ogni censura, quale vizio si fosse verificato e come lo stesso avesse inciso sulla posizione processuale. Quanto al motivo con cui si deduceva che i giudici della Corte d'appello non avrebbero potuto definire il procedimento contro il ricorrente perché ricusati, rilevava che tale motivo non era documentato e in ogni caso che la decisione emessa in violazione del divieto di partecipazione al giudizio del giudice ricusato, sino a che l'istanza di ricusazione non sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, è nulla solo nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione sia accolta, mentre conserva piena validità tutte le volte che la ricusazione sia dichiarata inammissibile o sia rigettata cfr. Cass. 18.1.2000, Anello . Quindi per far valere il denunciato difetto, il ricorrente avrebbe dovuto - e non lo aveva fatto - provare l'esito positivo della sua istanza. Le doglianze pertinenti non già a vizi procedurali, ma a vizi della motivazione, venivano esaminate congiuntamente alle censure espresse con i motivi inerenti al giudizio di colpevolezza. Ribadiva in diritto la idoneità in astratto dell'esposto inviato dallo S. al Tar in data 21.12.98 a costituire un atto di denuncia, rilevante per la calunnia, in quanto, ai fini della configurabilità del delitto di calunnia non occorre una denuncia in senso formale, essendo sufficiente che taluno, rivolgendosi in qualsiasi forma all'autorità giudiziaria ovvero ad altra autorità avente l'obbligo di riferire alla prima, esponga fatti concretanti gli estremi di un reato, addebitandoli a carico di persona di cui conosce l'innocenza. Cass. 6, Sentenza n. 44594 del 08/10/2008 ex plurimis . Nel caso trattato, come messo in rilievo dal giudice di merito, il fatto che l'esposto fosse stato indirizzato ad una autorità che aveva l'obbligo di procedere alle necessarie segnalazioni, nel caso in cui i fatti fossero anche penalmente rilevanti, era stato correttamente valutato. In relazione all'elemento soggettivo del reato rilevava che, nel caso esaminato, l'imputato, nel redigere l'atto con cui sollecitava sostanzialmente la verifica ai fini disciplinari del comportamento dei componenti il collegio che aveva deliberato la sentenza che lo riguardava, aveva opposto che la sua tesi difensiva, in ordine alla non applicabilità della norma regionale perché abrogata, era fondata e che i magistrati del Tar erano consapevoli di tale abrogazione, avvenuta oltre sei anni prima. La constatazione, assolutamente veritiera, viene dal giudice di appello ritenuta non significativa, tuttavia, ai fini dell'esclusione del dolo di calunnia, per due ordini di motivi in primo luogo perché la invocata pronuncia del giudice amministrativo, favorevole allo S. , non poteva essere conosciuta in quanto irritualmente prodotta in secondo luogo perché la esposizione, nell'atto calunnioso, di ulteriori elementi rendevano la denunciata violazione di legge vera o falsa che fosse finalizzata a procurare all'imputato un danno ingiusto. Riteneva tale passaggio argomentativo basato su un doppio errore, idoneo ad inficiare la decisione risulta, infatti, dalla documentazione prodotta in appello che appunto il Consiglio di Stato con provvedimento n. 5651 del 2003, aveva annullato la precedente sentenza del Tar, proprio per la avvenuta abrogazione della norma che consentiva le demolizioni degli edifici, insistenti nella fascia di rispetto, e che la interpretazione proposta nella sentenza di prime cure non era pertinente in quanto la nuova normativa non riguardava il caso di costruzioni ad essa precedenti. La Corte distrettuale aveva ignorato tale pronuncia, perché il documento non sarebbe stato introdotto previa rituale rinnovazione del dibattimento. Peraltro la sentenza era stata allegata agli atti del dibattimento, in modo rituale. Invero, la acquisizione di prove documentali non è subordinata alla necessità di una ordinanza ex art. 603 cod. procomma pen., purché sia stata assicurato alla parti il contraddittorio, nella specie innegabile, attesa la avvenuta produzione in pubblica udienza. Riteneva che la Corte d'appello avrebbe dovuto confrontarsi con la decisione dell'organo di secondo grado della giustizia amministrativa, e non limitarsi ad osservazioni ipotetiche, giacché la bontà della tesi difensiva dello S. aveva una influenza decisiva sulla lettura del suo atteggiamento psicologico la consapevolezza della esattezza della tesi giuridiche da lui sostenute, le plurime violazioni di legge ed erronee valutazioni di merito in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado ne potevano colorare l'intento di denunciare energicamente la illegittimità della pronuncia e di stigmatizzare - secondo il suo punto di vista - l'estrema superficialità del giudice in relazione a tale altrettanto plausibile lettura della proposizione consapevolmente applicando una norma abrogata la corte di merito avrebbe dovuto spiegare, e non lo ha fatto, se le rimanenti enunciazioni del ricorso costituissero tuttavia una maliziosa indicazione di un deliberato diverso malevolo atteggiamento tenuto dai colleghi nei suoi confronti, preordinato sin dall'inizio a suo danno o viceversa rappresentassero una elencazione di fatti rilevanti ai fini del sollecitato procedimento disciplinare, prefigurabile, a dire dello S. , per la leggerezza usata nella interpretazione nella norma e per le successive manchevolezze comportamentali rilevate a carico dei suoi colleghi. Metteva in evidenza che la pronuncia non spiegava se in effetti gli elementi circostanziali messi in evidenza per ravvisare la tendenziosità dell'esposto, ossia i plurimi conflitti con il presidente ed il colleghi del Tar, fossero fatti veri ed accaduti o frutto di una percezione soggettiva della S. non ragionevole, e se essi sussistessero, anche prima, della emissione dei provvedimenti giudiziari assunti nei suoi confronti. Tale accertamento, invece, come è intuitivo aveva una sua valenza nella rappresentazione soggettiva dell'agente, e a seconda della ricostruzione poteva spostare in un senso o nell'altro il giudizio sulla consapevolezza. Riteneva l'esistenza di un doppio errore di valutazione, l'uno in rito, circa la esaminabilità del documento, l'altro di merito, circa la oggettiva verità del fatto denunciato, come tale idoneo ad incidere sulla configurabilità dell'elemento soggettivo della calunnia, che imponeva l'annullamento con rinvio per un nuovo esame. 5. Con sentenza in data 23.4.2012 la Corte d'appello di Cagliari, quale giudice di rinvio, in riforma dell'impugnata sentenza, assolveva S.S. perché il fatto non costituisce reato. Il giudice di rinvio evidenziava che il suo giudizio, in forza della sentenza di annullamento con rinvio, era circoscritto all'esistenza dell'elemento soggettivo del reato. Rilevava che la tesi interpretativa del Tar Sardegna, benché non condivisa dal Consiglio di Stato, era stata sostenuta più volte dallo stesso Tar e da alcuni giudici penali, sicché non poteva essere considerata come espressione di ignoranza, superficialità o pregiudizio o malanimo nei confronti del ricorrente. Rilevava ancora che il ricorrente non si era limitato a censura tale interpretazione, ma aveva attribuito agli incolpati di aver falsamente e consapevolmente applicato una norma abrogata. Concludeva peraltro per l'inesistenza del dolo ritenendo che l'imputato avesse mosso l'accusa nei confronti delle persone da lui incolpate nella soggettiva, anche se oggettivamente infondata, convinzione della loro malafede . 6. Ricorre per cassazione l'imputato, dopo aver premesso di essere difeso da se stesso ai sensi dell'art. 6 CEDU e dell'art. 14 del Patto di New York e quale avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, deducendo a violazione di legge e vizio di motivazione in quanto erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che il Tar avesse motivatamente affermato la ricorrenza di un fenomeno di continuità normativa in un caso di successione di leggi b violazione di legge e vizio di motivazione anche in relazione al mancato esame delle difese dell'imputato segnatamente la memoria difensiva 12.3.2012 capo B e sottocapo B/A , laddove segnalava che la Corte suprema di cassazione, nella sentenza di annullamento con rinvio, aveva rilevato che l'imputato aveva detto la verità, sicché avrebbe in buona sostanza riconosciuto l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato, sicché l'indagine sull'elemento soggettivo del reato non avrebbe potuto essere disposta mai l'imputato aveva affermato che i suoi ex colleghi avrebbero applicato una norma abrogata per danneggiarlo l'annullamento con rinvio ai fini di un nuovo esame dell'elemento soggettivo del reato era contrario sia al diritto nazionale che a quello comunitario il giudice di rinvio avrebbe dovuto applicare l'art. 129 cod. procomma pen. in ogni caso, ove avesse ritenuto che la Corte di cassazione non avesse pronunziato in violazione di legge, avrebbe dovuto disapplicare le norme interne in quanto contrarie al diritto comunitario o come si chiede anche in questa sede sospendere il procedimento ai sensi dell'art. 234 del Trattato C.E. e rimettere gli atti alla Corte di Giustizia perché si pronunzi sul punto c violazione di legge e vizio di motivazione anche sotto il profilo del mancato esame delle difese dell'imputato, dell'immutazione del fatto e della violazione del giudicato del Consiglio di Stato nell'atto di appello, contrariamente a quanto affermato dal giudice di rinvio al punto 1/4 non vi era stata richiesta di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, ma perché il fatto non sussiste sarebbero errate le considerazioni svolte al paragrafo 2, in particolare S. non avrebbe qualificato la decisione dei colleghi del Tar una stravagante interpretazione della normativa regionale , ma come applicazione di una norma abrogata le argomentazioni della Corte d'appello non avrebbero riscontro nella realtà e sarebbero un maldestro tentativo di giustificare l'anomala tesi sostenuta dal Tar quanto al paragrafo 3 non è vero che S. avesse denunciato le decisioni come il frutto di molteplici, consapevoli ed intenzionali violazioni di legge con riferimento al solo Sa. , nel ricorso 21.12.1998 S. aveva affermato che costui avesse tentato di superare l'obiezione della abrogazione affermando falsamente e consapevolmente in sentenza che il vincolo di cui si discuteva, benché abrogato, non era venuto meno . l'avverbio falsamente non è contenuto nell'imputazione, sicché la Corte d'appello non poteva introdurlo le ulteriori considerazioni della sentenza impugnata sarebbero congetture ed illazioni non sarebbe vero che la Corte di cassazione, nella sentenza di annullamento con rinvio, avesse limitato i confini del giudizio di rinvio al solo apprezzamento dell'elemento soggettivo del reato in realtà i paragrafi 17 e 18 della sentenza di annullamento con rinvio si riconosce la oggettiva verità del fatto denunziato, anche se poi, sbagliando, ha rinviato per un nuovo esame del solo elemento soggettivo del reato anche al paragrafo 4 della sentenza impugnata vi sono illazioni circa l'animosità dell'imputato verso Sa. e gli altri due ex colleghi e si trascura la verità del fatto esposto al paragrafo 5 il giudice di rinvio ha ricordato principi corretti, ma ne avrebbe fatto un uso improprio al paragrafo 6 la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare che, alla luce della pronunzia del Consiglio di Stato, la tesi sostenuta da S. era oggettivamente corretta l'imputato si era limitato a richiedere l'avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di Sa. la diffida del 30.9.1998 ed il ricorso del 21.12.1998 riguardava il silenzio serbato dal Presidente del Consiglio di Stato, titolare dell'azione disciplinare, non potevano essere censurati dal giudice di rinvio sarebbe mera illazione che il ricorrente si fosse convinto che le decisioni a lui sfavorevoli fossero state adottate allo scopo di nuocergli o avesse avuto l'impressione di essere perseguitato sarebbero ingiustificati i giudizi sull'anomalia di comportamento del ricorrente, supponendo una particolare struttura mentale di S. la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto del complessivo contenuto del ricorso 21.12.1998 e delle difese formulate con la memoria 12.3.2012, ignorate in violazione dell'art. 178 cod. procomma pen., esponendo infine considerazioni sulle determinazioni del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, richiamando il contenuto della diffida a suo tempo inviata e ribadendo la tesi esposta. d Conclusivamente chiede che questa Corte annulli senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Considerato in diritto 1. Preliminarmente la Corte ritiene opportuno, all'interno della motivazione, ripercorrere le ragioni che hanno portato al rigetto, con l'ordinanza pronunciata in udienza, della richiesta del ricorrente di esercitare il ritenuto diritto all'autodifesa anche con riferimento alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, e, tra le fonti del diritto interno, in particolare con riferimento alla nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, prevista dall'art. 13 della legge n. 31 dicembre 2012, n. 247. 2. Secondo la Corte deve ritenersi infondata la tesi del ricorrente secondo la quale egli sarebbe legittimato a difendersi da solo in virtù della Convenzione Europea dei diritti del'Uomo e del Patto sui diritti civili e politici, tanto più che egli è iscritto all'albo dei patrocinanti innanzi alla Corti superiori. Risulta essere un principio consolidato in giurisprudenza, e già ribadito, anche in relazione ad altri procedimenti riguardanti il ricorrente, che la normativa interna, la quale esclude la difesa personale della parte nel processo penale e nei procedimenti incidentali che accedono allo stesso, non si pone in contrasto con l'art. 6 paragrafo terzo lett. c della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che prevede la possibilità di autodifesa è stato infatti ritenuto dalla CEDU sul tema della difesa personale della parte nel processo penale o in procedimenti incidentali che accedono allo stesso, che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7786 del 29/01/2008 dep. 20/02/2008 Rv. 239237. Conf. sent. nn. 7787, 7788, 7789 del 2008, non massimate . Tali conclusioni si basano sul consolidato orientamento della Corte costituzionale che, fin dalla sentenza n. 188 del 1980, ha osservato che alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, il cui art. 6, n. 3, lett. c prevede la possibilità di autodifesa esclusiva, non può attribuirsi il significato proposto dal ricorrente in tale occasione il giudice delle leggi ha osservato che la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali ricomma 722/60 e che nei giudizi dinanzi ai Tribunali Superiori nulla si oppone ad una diversa disciplina purché emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia ricomma 727/60 e, 722/60 . Peraltro vi è da aggiungere, sotto altro profilo, che è stata ritenuta manifestamente infondata l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 41, comma primo, cod. procomma pen., per asserita violazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 111 Cost., nella parte in cui consente al giudice collegiale competente di dichiarare inammissibile la richiesta di ricusazione senza previa fissazione dell'udienza camerale, poiché, quanto all'art. 6 CEDU, ne è esclusa l'applicabilità ai procedimenti o subprocedimenti incidentali e, quanto all'art. Ili Cost., rientra nell'insindacabile discrezionalità del legislatore la scelta di graduare forme e livelli differenti di contraddittorio, sia esso meramente cartolare o partecipato, atteso che resta sempre garantito il diritto di difesa Sez. 2, n. 8808 del 18/02/2010 - dep. 04/03/2010, Di Ilio, Rv. 246455 , anche perché il ricorso può validamente essere proposto anche dall'imputato, ai sensi dell'art. 613 cod. procomma pen 3. Proprio dunque in relazione al sistema vigente, e con ulteriore riferimento alla CEDU, è stato ritenuto nullo, ex art. 178, comma primo, lett. c e 179, cod. procomma pen., il provvedimento con cui sia stato nominato il giudice del riesame in sede di rinvio nomini difensore d'ufficio - stante l'omesso avviso al difensore di fiducia - la stessa parte, avvocato abilitato all'esercizio avanti le giurisdizioni superiori, in quanto nel processo penale l'autodifesa non è consentita nel processo penale l'obbligo della difesa tecnica, sancito dagli artt. 96 e 97 cod. procomma pen., esclude che le parti, anche se abilitate all'esercizio della funzione di avvocato, possano essere difese da se stesse, secondo quanto già affermato dal Giudice delle leggi cfr. C. Cost. Ord. 16.12.2006 n. 8/07 e ribadito da questa Corte Cass. Sez. Un. Civ. 2006 n. 139 . Non è, possibile dunque attribuire rilevanza al richiamo dell'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo cioè alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute , ai fini dell'adeguamento del diritto interno, poiché esso è riferito soltanto alle norme internazionali di natura consuetudinaria e non a quelle di natura pattizia v. C. Cost. Ord. 421/97 e Sent. 188/80 e Cass., sez. II, 17 maggio 2013, Caldarelli, e Sez. 5, n. 17400 del 02/04/2008 - dep. 28/04/2008, Greco, Rv. 240424 . 4. Sempre con riferimento alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, deve sottolinearsi che la stessa ha puntualizzato che l'art. 6, paragrafo 3 e, cit. - pur riconoscendo a ogni imputato il diritto di difendersi personalmente o di fruire dell'assistenza di un difensore di sua scelta - tuttavia non ne ha precisato le condizioni di esercizio, lasciando agli Stati contraenti la scelta di mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, in modo che si concili con i requisiti di un equo processo v. C.E.D.U. Sez. III, sent. 27 aprile 2006 sul ricorso n. 30961/03, Sannino/Italia . D'altra parte anche la previsione, contenuta nella disciplina che ha introdotto la competenza penale del giudice di pace, in base alla quale l'offeso può presentare un ricorso diretto al giudice di pace, depositandolo nella segreteria del Pubblico Ministero, che provvede alla formalizzazione dell'addebito, in ordine al quale il giudice di pace, se non ritiene il ricorso infondato o inammissibile, dispone la convocazione delle parti innanzi a sé, trova giustificazione nel fatto che il processo penale innanzi al giudice di pace è caratterizzato dalla particolare attenzione a favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra imputato e persona offesa. 5. Pertanto ritiene la Corte che, all'interno del nostro sistema, il legislatore ha predisposto un modello di esercizio del diritto di difesa differenziato per le varie fasi o tipologie dei processi che tale differenziazione, che, ad esempio, comprende tra gli altri il procedimento di prevenzione per l'applicazione delle misure personali o reali , segue tuttavia una linea logico-sistematica che regge al vaglio della compatibilità con il dettato costituzionale e con i principi affermati dalla C.E.D.U. con la conseguenza che, correttamente, è stato ritenuto dai giudici di merito di non esservi stata nel caso di specie alcuna lesione del diritto di difesa v. anche Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006 - dep. 22/09/2006, Passamani . 6. Sulla base di queste premesse deve essere ritenuto principio che conferma la regola generale la disciplina prevista in tema di patrocinio a spese dello Stato, dove il difensore, purché iscritto nell'albo speciale dei patrocinanti davanti alle magistrature superiori, è stato considerato legittimato a proporre personalmente il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di liquidazione delle sue competenze professionali maturate in sede penale, emesso in sede di opposizione, proprio perché la regola generale della rappresentanza tecnica nel processo penale art. 613 cod. procomma pen. è, in questo caso, eccezionalmente derogata a favore dell'avvocato cassazionista, in virtù del rinvio formale che l'art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002 opera, in tema di liquidazione di compensi professionali, alla speciale procedura prevista per gli onorari di avvocato dall'art. 29 L. n. 794 del 1942, come modificato dal recente d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, e, indirettamente, alle disposizioni degli artt. 86 e 365 cod. procomma civ Conf. S.U. n. 6817, 30 gennaio 2007, Mulas, non massimata Sez. U, n. 6816 del 30/01/2007 - dep. 16/02/2007, Inzerillo ed altro, Rv. 235344 . 7. Tali conclusioni vanno riaffermate anche con riferimento alla nuova disciplina introdotta dalla Legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense , prevista dall'art. 13, in cui la possibilità del diritto di difendersi da solo è significativamente prevista da una disposizione titolata Incarico e compenso che, per il suo carattere generale, come evidenzia il suo inserimento nel Titolo I, Disposizioni generali, artt. 1 - 14, non può che rimandare al quadro normativo che specificamente deve essere applicato in materia per ogni singola controversia. La previsione di cui al comma 1 dell'art. 13 della legge citata, secondo la quale L'avvocato può esercitare l'incarico professionale anche a proprio favore. L'incarico può essere svolto a titolo gratuito , non può che avere, dunque, un valore ricognitivo, rispetto alla disciplina esistente, in relazione alla possibilità di autodifesa e al quadro analiticamente previsto dalle norme di procedura civile e procedura penale specificamente previste e sopra ricordate. 8. Queste conclusioni trovano più in generale il loro fondamento nella considerazione che l'attività forense, in quanto diretta alla difesa dei diritti, è componente indefettibile dello Stato di diritto, presidio dei diritti dei cittadini e garanzia della loro tutela, strumento di accesso alla giustizia da parte di tutti i soggetti, a qualunque categoria sociale essi appartengano, attraverso la previsione del difensore di ufficio e dell'istituto del gratuito patrocinio. L'attuale disciplina del sistema dell'autodifesa nel processo penale dunque si giustifica anche perché le norme che vietano il suo espletamento tutelano un interesse pubblico, in cui, tra l'altro, è coinvolto un diritto fondamentale, quale quello della libertà personale la difesa dell'imputato non può dunque assolutamente mancare è una figura, oltre che una attività e un diritto, garantita e protetta dalla Costituzione. Infatti, in quest'ottica, la professione forense assolve ad una funzione sociale ed occasionalmente partecipa di pubblici poteri, come si evince dalla previsione costituzionale di cui agli artt. 24 e 13 della Carta fondamentale, circostanza che, a parere della Corte, legittima la decisione assunta nel quadro normativo così come ricostruito, in base al quale la facoltà di autodifesa dell'avvocato non può essere ammessa al di fuori del processo civile, come sopra precisato. 9. Ciò premesso il primo, secondo e terzo motivo di ricorso sono infondati e proposti al di fuori dei casi consentiti. Il secondo motivo di ricorso è inoltre generico, e dunque ai limiti dell'inammissibilità, laddove chiede la disapplicazione della normativa nazionale per contrasto con quella comunitaria e la sospensione del procedimento per sottoporre la pregiudiziale interpretazione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, dal momento che non è precisata la disposizione del diritto comunitario che si assume contrastante con il diritto nazionale o della quale è necessario richiedere l'interpretazione. I motivi di ricorso si fondano sull'assunto o comunque presuppongono che la Corte Suprema di cassazione, Sezione 6^ penale, con la sentenza di annullamento con rinvio, abbia escluso la sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto di calunnia e che erroneamente abbia poi annullato con rinvio per un nuovo esame in relazione all'elemento soggettivo del reato. Tale tesi è infondata. La sentenza di annullamento con rinvio recita ai punti da 11 a 14 quanto segue 11. In primo luogo, è da ribadire in punto di diritto, con ciò condividendosi l'orientamento espresso con uniformità dalla giurisprudenza di questa corte, richiamato dalla pronunce di merito in esame, la idoneità in astratto dell'esposto inviato dallo S. al Tar in data 21.12.98 a costituire un atto di denuncia, rilevante per la calunnia. 12. Ai fini della configurabilità del delitto di calunnia non occorre una denuncia in senso formale, essendo sufficiente che taluno, rivolgendosi in qualsiasi forma all'autorità giudiziaria ovvero ad altra autorità avente l'obbligo di riferire alla prima, esponga fatti concretanti gli estremi di un reato, addebitandoli a carico di persona di cui conosce l'innocenza. Sez. 6, Sentenza n. 44594 del 08/10/2008 fra le molte . 13. Nella fattispecie, come messo in rilievo dal giudice di merito, il fatto che l'esposto fosse stato indirizzato ad una autorità che aveva l'obbligo di procedere alle necessarie segnalazioni, nel caso in cui i fatti fossero anche penalmente rilevanti. 14. In secondo luogo, passando all'esame del nucleo centrale delle doglianze, è altrettanto noto che la fattispecie incriminatrice individua l'oggetto della falsa incolpazione nel reato, cioè nell'illecito penale, comprensivo di tutti gli elementi costitutivi e, dunque, non solo del fatto materiale, ma anche dell'elemento soggettivo trattasi di elemento normativo della fattispecie medesima ”. Inoltre al punto 18 la sentenza di annullamento con rinvio così prosegue 18. Viceversa, la corte avrebbe dovuto confrontarsi con la decisione dell'organo di secondo grado della giustizia amministrativa, e non limitarsi ad osservazioni ipotetiche, giacché la bontà della tesi difensiva dello S. aveva una influenza decisiva sulla lettura del suo atteggiamento psicologico la consapevolezza della esattezza della tesi giuridiche da lui sostenute, le plurime violazioni di legge ed erronee valutazioni di merito in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado ne potevano colorare l'intento di denunciare energicamente la illegittimità della pronuncia e di stigmatizzare - secondo il suo punto di vista - l'estrema superficialità del giudice in relazione a tale altrettanto plausibile lettura della proposizione consapevolmente applicando una norma abrogata la corte di merito avrebbe dovuto spiegare, e non lo ha fatto, se le rimanenti enunciazioni del ricorso costituissero tuttavia una maliziosa indicazione di un deliberato diverso malevolo atteggiamento tenuto dai colleghi nei suoi confronti, preordinato sin dall'inizio a suo danno o viceversa rappresentassero una elencazione di fatti rilevanti ai fini del sollecitato procedimento disciplinare, prefigurabile, a dire dello S. , per la leggerezza usata nella interpretazione nella norma e per le successive manchevolezze comportamentali rilevate a carico dei suoi colleghi. E va ancora messo in evidenza che la pronuncia non spiega se in effetti gli elementi circostanziali messi in evidenza per ravvisare la tendenziosità dell'esposto, ossia i plurimi conflitti con il presidente ed il colleghi del Tar, fossero fatti veri ed accaduti o frutto di una percezione soggettiva della S. non ragionevole, e se essi sussistessero, anche prima, della emissione dei provvedimenti giudiziari assunti in suo dello S. . Tale accertamento, invece, come è intuitivo aveva una sua valenza nella rappresentazione soggettiva dell'agente, e a seconda della ricostruzione poteva spostare in un senso o nell'altro il giudizio sulla consapevolezza” . La Corte suprema di cassazione, Sezione 6^ penale ha perciò inteso effettivamente annullare la sentenza di appello con rinvio limitatamente al solo elemento soggettivo del reato, ritenendo integrato l'elemento oggettivo nella accusa di aver consapevolmente applicato una norma abrogata. Del resto ciò è ben chiaro al ricorrente, tanto che nel proporre un diverso significato della sentenza di annullamento con rinvio basata sul richiamo alle argomentazioni di cui ai punti 17 e 18 della sentenza stessa, afferma che la Corte di cassazione si sarebbe sbagliata, trascurando che, quand'anche così fosse, l'errore sarebbe coperto da giudicato. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito che, in tema di annullamento parziale della sentenza impugnata da parte della cassazione, il principio della formazione progressiva del giudicato - desumibile da una corretta interpretazione del disposto dell'art. 545 comma primo cod. procomma pen. del 1930 e parallelamente dell'art. 624, comma primo, nuovo cod. procomma pen. - che ne importa la configurabilità in ordine alle parti non annullate della sentenza concernenti l'esistenza del reato e la responsabilità dell'imputato e non in rapporto di connessione essenziale con quelle annullate, legittima la conclusione che esclude la operatività delle cause di estinzione del reato, relativamente alle parti della decisione sulle quali si è formato il giudicato, non potendo l'art. 152 cod. procomma pen. del 1930 e l'art. 129 nuovo cod. procomma pen. , che pur prevede l'efficacia di dette cause in ogni stato e grado del procedimento, superare la barriera del giudicato , essendosi per quelle parti della sentenza che tale autorità hanno acquistato, ormai concluso, in maniera definitiva, il loro iter processuale. Cass. Sez. U, Sentenza n. 4460 del 19/01/1994 Ud. dep. 19/04/1994 Rv. 196886 . Pertanto, in virtù del principio del giudicato progressivo art. 624 cod. procomma pen. le parti della decisione non oggetto di annullamento e non in connessione essenziale con quelle per cui è stato disposto il nuovo giudizio, acquistano, in quanto definitive, autorità di cosa giudicata, ed è irrilevante l'assenza, nel dispositivo della sentenza di annullamento del dato meramente formale della declaratoria dell'intervenuto passaggio in giudicato della parte non annullata nonché la temporanea ineseguibilità della decisione o l'eventuale ritardo nella sua esecuzione. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6287 del 15/12/1999 dep. 20/09/2000 Rv. 217857 . 10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Ai sensi dell'articolo 616 cod. procomma pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.