Il reato di dichiarazione infedele si consuma al momento della presentazione

Il reato di dichiarazione infedele è di natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale pertanto, non assume alcuna rilevanza l'eventuale dichiarazione integrativa.

Questo è quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 40618 del 1° ottobre 2013. Il caso. Il legale rappresentante di una S.r.l. veniva ritenuto colpevole del delitto di dichiarazione infedele in relazione alla dichiarazione sui redditi e sull’IVA. L’uomo ricorreva in Cassazione avverso tale decisione assumendo che per determinare il reddito d’impresa non erano stati considerati i costi, calcolando i quali la soglia di punibilità non sarebbe stata superata, e che la dichiarazione infedele era stata, in un momento successivo, corretta” con una dichiarazione integrativa. Il reato si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale. Secondo la Suprema Corte, risulta evidente come al fine del calcolo dell’IVA dovuta non rilevano i costi sostenuti nell’attività di impresa. Non solo, nel caso di specie, dal computo tra Iva dovuta e Iva deducibile non risultava superata la soglia di punibilità di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 74/2000. Inoltre, per quanto riguarda l’imposta diretta, la deduzione del ricorrente secondo cui la S.r.l. avrebbe sopportato dei costi di impresa era generica e priva di riscontro nella sentenza impugnata. Pertanto, la prima censura riferita all’IVA è manifestamente infondata, mentre, riferita alle imposte dirette costituisce censura di fatto, non sindacabile in sede di legittimità. Infatti, il reato è di natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale relativa ad una delle imposte indicate nell’art. 4, D.Lgs. n. 74/2000, pertanto, non assume alcuna rilevanza la successiva integrazione effettuata. fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 luglio - 1° ottobre 2013, numero 40618 Presidente Mannino – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30 settembre 2011 il tribunale di Udine dichiarava F.M. , nella sua qualità di legale rappresentante della RoyalItaly srl, colpevole del delitto di dichiarazione infedele in relazione alla dichiarazione relativa all'imposta sui redditi e all'Iva per l'anno 2004 art. 4 del D.Lgs. numero 74 del 2000?, e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione infliggendo al medesimo le pene accessorie stabilite per legge. Riconosceva all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione capo c dell'originaria imputazione . Lo assolveva dei reati a lui ascritti nell'originaria imputazione di cui ai capi a e b della rubrica con la formula perché il fatto non sussiste. Era emerso che la società Royal Italy srl rilasciava in favore della società Fabbro Teresa Srl nel corso del 2004 nove fatture d'imponibile pari a Euro 3.242.148,20 per l'imposta sul valore aggiunto relativa di Euro 648,429, ed una nota di accredito, la numero 4 del 2004, di Euro 544,61 per un volume d'affari complessivo nel 2004 di Euro 3.241.604,00. Il 18 ottobre 2005 la RoyalItaly srl presentava la dichiarazione annuale unificata ai fini delle imposte dirette e dell'Iva nella dichiarazione annuale Iva veniva indicato un imponibile di soli Euro 11.456 laddove ai fini dell'imposta sul reddito non venivano indicati ricavi né costi con una perdita d'esercizio di Euro 2330,00. In data 15 giugno 2007 il F. presentava una dichiarazione integrativa con indicazione, ai fini delle imposte dei redditi, dei ricavi relativi alle fatture numero 5, 6, 7, 8, 9 e 10 per l'importo complessivo pari a Euro 3.230.147,00 - ricavi non indicati nella dichiarazione annuale presentata nell'ottobre 2005 - con i costi relativi alle fatture 5,6,7,8 e 10 rappresentati dalle prestazioni rese dalla Tangsham per l'importo di Euro 3.230.147. Venivano contestati al F. , nella sua qualità di legale rappresentante della Royal Italy srl, i reati di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta mediante l'uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti capi a e b dell'originaria imputazione dai quali l'imputato veniva assolto per l'assenza di riscontri veniva altresì contestato al F. il delitto di dichiarazione infedele di cui al capo c per il quale veniva condannato. 2. Avverso il capo di condanna proponeva tempestivo appello l'imputato a mezzo del difensore di fiducia osservando che il reddito d'impresa da tassare andava determinato sottraendo dai ricavi i relativi costi e che nella specie con le fatture attive la Royal riaddebitava alla Fabbro Teresa per lo più i costi fatturatile dalla Tangshan di tal che il reddito tassabile era di soli Euro 12.001.20 e l'Ires dovuta di Euro 3960. Rilevava poi in ordine all'omesso versamento dell'Iva relativa al 2004 che il primo giudice aveva ritenuto integrato il reato e provato il fine di evadere le imposte ancorché il F. avesse provveduto a presentare dichiarazione integrativa il 15 giugno 2007, dichiarazione integrativa che era stata ritenuta irrilevante dal tribunale di Udine. Rileva la difesa che il processo verbale di constatazione redatto il 30 ottobre 2007 a seguito di attività di verifica iniziata il 4 giugno 2007 riguardava la Fabbro Teresa S.r.l. e non la Royal Italy srl cosicché sull'efficacia scriminante della dichiarazione integrativa non poteva influire l'articolo 13 del decreto legislativo 472/1997 laddove dispone che il ravvedimento non è possibile dopo l'inizio delle operazioni di accertamento. Nella memoria difensiva prodotta ex articolo 121 c.p.p. rilevava che nei confronti del F. nell'ambito di altro procedimento penale avanti il tribunale di Udine era stato contestato il reato di cui all'articolo 10 ter del decreto legislativo 74 del 2000 per avere, sempre nella sua qualità di legale rappresentante della Royal, omesso di provvedere al versamento dell'imposta sul valore aggiunto per un importo pari a Euro 652.000,54 dovuta in base alla dichiarazione integrativa presentata il 15 giugno 2007. Osservava che il processo si era concluso con il proscioglimento del F. dal reato ascrittogli perché il fatto non era previsto dalla legge come reato. Rilevava che la condanna per il delitto di infedele dichiarazione Iva per l'anno 2004 pronunciata con la sentenza impugnata aveva avuto ad oggetto gli stessi fatti già valutati nel procedimento concluso con l'assoluzione del F. e che la sentenza numero 478 del 2009 presupponeva la rilevanza della dichiarazione integrativa del 15 giugno 2007 al fine di individuare i contenuti della dichiarazione annuale dell'anno 2004 da assumere ai fini della valutazione penale. Dal che la richiesta di assoluzione del F. dal delitto di cui al capo e ai sensi dell'articolo 649 comma secondo C.P.P Con sentenza del 16 ottobre 2012 la Corte d'appello di Venezia respingeva l'appello. 3. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con quattro motivi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente, nei suoi quattro motivi, inammissibile. 2. Tale è il primo motivo con cui il ricorrente deduce che per determinare il reddito d'impresa non sono stati considerati i costi, calcolando i quali non si supera la soglia di punibilità. Si tratta di una censura che riferita all'IVA è manifestamente infondata e riferita alle imposte dirette costituisce una censura in fatto, anch'essa manifestamente inammissibile nel giudizio di legittimità. La Corte d'appello ha considerato come dagli atti del processo risultasse in modo inequivoco - ed in realtà ciò non è contestato neppure nell'odierno ricorso - l'omessa indicazione nella dichiarazione annuale ai fini IVA per l'anno d'imposta 2004 di elementi attivi per Euro 3.242.148,20 pari alle nove fatture d'imponibile indicate in parte narrativa rilasciate in favore della Fabbro Teresa Srl nel corso del 2004 per un'imposta sul valore aggiunto relativa di Euro 648,429. È evidente che al fine del calcolo dell'IVA dovuta non rilevano i costi sostenuti nell'attività d'impresa. Né il ricorrente ha dedotto dal computo tra IVA dovuta ed IVA deducibile non risultava superata la soglia di punibilità di cui all'art. 4 d.lgs. numero 74 del 2000. Quindi l'omessa dichiarazione IVA già integra pienamente la fattispecie delittuosa dell'art. 4 cit. in riferimento alla quale è stata pronunciata la sentenza di condanna. Quanto all'imposta diretta, la deduzione del ricorrente secondo cui la società Royal Italy nel 2004 avrebbe sopportato costi d'impresa per Euro 3.230.147,00 è generica e priva di riscontro nella sentenza impugnata. 3. Inammissibili sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce che la dichiarazione del 2004 infedele è stata corretta con una dichiarazione 2007. Correttamente la Corte d'appello ha considerato che il reato di cui l'imputato è stato ritenuto responsabile è di natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale relativa ad una delle imposte indicate nell'art. 4 del D.lgs. 74 del 2000 sicché alcun rilevanza assume, ai fini della integrazione del reato, la successiva dichiarazione integrativa effettuata anni dopo, in data 15 giugno 2007. 4. Inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la violazione del principio del ne bis in idem. Ha puntualmente osservato la corte d'appello quanto alla sentenza del gip presso il Tribunale di Udine del 5.10.2009, invocata dal ricorrente, che tale pronuncia si riferiva ad una diversa imputazione, quella di cui all'art. 10 ter del d.lvo. 74/2000 per avere omesso, nella sua qualità sopra descritta, di provvedere al versamento dell'IVA per un importo pari ad Euro 652.054, dovuta in base alla dichiarazione integrativa presentata in data 15 giugno 2007. L'imputato è stato assolto perché il fatto ascrittogli non era previsto come reato essendo al momento del fatto la condotta priva di previsione penale sanzionatoria, introdotta solo successivamente dall'art. 35, D.L. 4 luglio 2006, numero 223 . Trattandosi di un'imputazione diversa - omesso versamento dell'imposta dovuta art. 10 ter e non già dichiarazione infedele art. 4 - non risulta, all'evidenza, violato il principio del ne bis in idem . 5. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 numero 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.