Commercialista da un lato e amministratore dall’altro: ... questo è “troppo” per non concorrere nella causazione della bancarotta

Colui che riveste il doppio ruolo di consigliere di amministrazione della società partecipata, beneficiaria di aumento di capitale da parte della società controllante integrante condotta distrattiva in danno dei creditori , e di commercialista di questa ultima concorre, quale extraneus, nel delitto di bancarotta fraudolenta qualora fornisca un efficiente contributo causale alla attività distrattiva, causativa del fallimento.

Questo il principio di diritto estrapolabile dalla sentenza n. 40332 del 30 settembre 2013 della Corte di Cassazione. Tra nuove procedure concorsuali e vecchia bancarotta Le discipline fallimentari civilistiche sono state oggetto di una serie di riforme legislative succedutesi negli ultimi dieci anni. Da tali riforme è emerso uno spirito completamente nuovo che ispira questa normativa. Per la legge del 1942 il fallimento è fatto illecito di cui, comunque, è responsabile l’imprenditore, che è considerato per ciò solo indegno di sopravvivere nel contesto economico sociale. Il patrimonio dell’imprenditore era destinato a soddisfare le pretese dei creditori e mai poteva essere destinato a soddisfare esigenze proprie dell’imprenditore stesso, che aveva una funzione sociale. Le riforme apportate alla legge fallimentare, che introducono altre procedure concorsuali concordato preventivo, art. 67, lett. d , l.f., accordi di ristrutturazione , sono, per contro, ispirate ad un’ottica radicalmente opposta, perché la finalità non è più, come prima, solo quella liquidatoria, ma viene valorizzata l’attenzione alle capacità di ripresa del soggetto-imprenditore, che si è trovato in difficoltà. A fronte di tali riforme, intervenute nelle disciplina civilistica, non si è riscontrata l’attesa ed auspicata revisione dei reati fallimentari, essendosi l’intervento del legislatore limitato, sul punto, alla introduzione degli artt. 217 bis e 236 bis l.f spazio per nuove applicazione giurisprudenziali. Per contro, di fronte all’inerzia del legislatore si è mossa la magistratura e, in prima battuta, le Procure della Repubblica che hanno cominciato ad estendere l’applicazione delle fattispecie di bancarotta a nuove operazioni, soprattutto societarie e fra le stesse, in particolare, gli aumenti di capitale o conferimenti di capitale da una società ad altra partecipata. Nel dettaglio, le Procure hanno iniziato a contestare il concorso degli istituti di credito in fattispecie di bancarotta allorchè si è verificato come le banche – preoccupate dal non portare in sofferenza a bilancio altri crediti – abbiano aggirato l’ostacolo della non sussistenza di requisiti di solidità nella società da finanziare con operazioni strutturate, denominate cavallino” o bridge”, in cui il finanziamento viene erogato ad altra società –preesistente o creata ad hoc – che poi, di fatto, va a finanziare la società in crisi sottoscrivendone l’aumento di capitale. È evidente come in tali fattispecie si tenti di configurare ipotesi di bancarotta semplice in caso di fallimento della società partecipata, e di bancarotta per distrazione in caso di fallimento della società partecipante, con concorso, quale extraneus, dell’istituto di credito. Non solo dunque estensione del novero delle fattispecie concrete solitamente riconducibili alle ipotesi positive di bancarotta, ma anche estensione del novero dei soggetti punibili ed in particolare di extranei punibili ex art. 110 c.p Aumento di capitale della partecipata e concorso del commercialista È in tale contesto che si inserisce la sentenza qui annotata, avente ad oggetto la condanna inflitta in primo grado ad un commercialista, quale concorrente extraneus ex art. 110 c.p. nel delitto di bancarotta. Il ricorrente rivestiva il ruolo di commercialista consulente di una società che aveva sottoscritto un significativo aumento di capitale a favore di altra società partecipata, di cui sempre lo stesso ricorrente era amministratore, ma per tale via si era spogliata di tutto il proprio patrimonio liquido, trovandosi in situazione di insolvenza e conseguente fallimento. L’affermazione della penale responsabilità del ricorrente viene confermata dalla Suprema Corte non potendosi revocare in dubbio, stante il duplice ruolo di commercialista della prima e amministratore della seconda società del ricorrente e l’arco temporale in cui si collocava l’operazione, come vi fosse un contributo causale efficiente e consapevole da parte di costui. Altro richiamo ai principi della nota sentenza sul Ravenna Calcio? Non si può non notare come la sentenza che si annota, seppur in via incidentale, non esiti a precisare che la responsabilità dell’extraneus può essere affermata solo laddove lo stesso fornisca un efficiente contributo causale alla attività distrattiva, causativa del fallimento , con ciò sostenendo che vi deve essere nesso causale tra la condotta distrattiva e la situazione di insolvenza che determina il fallimento. Come noto detto principio è stato affermato nella nota sentenza Cass. Sez. V, 24 settembre 2012, n. 47502, sul caso del Ravenna Calcio, in aperto e consapevole contrasto con l'orientamento ampiamente consolidato della Suprema Corte, che, all'opposto, nega la necessità della prova del nesso causale e del dolo rispetto alla situazione di insolvenza e, dunque, alla dichiarazione del fallimento. Nel dettaglio, la sentenza dell’anno scorso aveva esplicitamente statuito che, nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso, e, pertanto, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente, nonché essere sorretto dall'elemento soggettivo del dolo. Come noto, detta pronuncia, che ha avuto ampio eco per la sua innovatività, è stata smentita ripetutamente e, come la dottrina ha subito segnalato, sin dallo stesso giorno e dalla stessa sezione della Cassazione, ed è, pertanto, allo stato una pronuncia isolata. Merita allora sicuramente menzione la sentenza che sia annota, che, seppur senza approfondire la questione della natura del fallimento all’interno della fattispecie di bancarotta, non esita ad affermare come, al fine della sussistenza della bancarotta per distrazione, occorra una condotta distrattiva che sia causa del fallimento della società, con ciò riprendendo l’assunto del suddetto singolare quanto famoso precedente. Richiamo ai principi di una responsabilità colpevole che sarebbe quanto mai opportuno vedere uniformemente riconosciuto onde fronteggiare la progressiva estensione della applicabilità della fattispecie di bancarotta a nuovi schemi, operata sempre più di frequente dalla giurisprudenza.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 aprile - 30 settembre 2013, n. 40332 Presidente Zecca – Relatore Guardiano Fatto e diritto Con sentenza pronunciata il 14.12.2011, la corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Monza, in sede di giudizio abbreviato, in data 29.1.2004, aveva condannato L.F. , imputato dei delitti di cui agli artt. 110, c.p., 216, 219 e 223, l. fall., in relazione al fallimento della Costruzioni s.r.l. , dichiarato dal tribunale di Monza il 19.7.2000, alle pene, principali ed accessorie, ritenute di giustizia, dichiarava non doversi procedere nei confronti del L. e di altri due coimputati in ordine al delitto di bancarotta preferenziale, di cui al capo b dell'imputazione, perché estinto per prescrizione, rideterminando il trattamento sanzionatorio nei confronti di tutti gli imputati nella misura di anni uno mesi quattro di reclusione, e confermando nel resto l'impugnata sentenza di primo grado. Avverso la sentenza della corte di appello di Milano, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per Cassazione il L. , articolando due motivi di impugnazione. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta i vizi di cui all'art. 606, co. 1, lett. b ed e , e.p.p., in relazione agli artt. 216, co. 1, n. 1 , 219, co. 2, n. 1 e 223, co. 2, r.d. n. 267 del 1942 e 110, c.p Secondo il L. , in particolare, la corte territoriale appiattendosi sulle motivazioni del giudice di primo grado ed omettendo di rispondere alle censure dell'appellante, non ha considerato a che il versamento in favore di T.L.V. s.r.l. non venne deciso con la coscienza e volontà di sottrarre definitivamente il relativo importo alle ragioni creditorie, per cui non possono ritenersi configurabili a carico dell'imputato i reati di cui ai capi a e c dell'imputazione, per difetto di dolo b che, dovendosi qualificare il ricorrente un semplice extraneus , al fine di affermarne la responsabilità penale per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, si sarebbe dovuta dimostrare l'esistenza di un suo contributo causalmente rilevante ai fini del verificarsi dell'evento distrattivo, nel caso in esame del tutto mancante. Con il secondo motivo di ricorso, il L. lamenta il vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. b , c.p.p., in relazione agli artt. 216, co. 3, l. fall., 110, c.p. e 129, co. 2, c.p.p., per avere la corte territoriale erroneamente dichiarato estinto per prescrizione il reato di bancarotta preferenziale di cui al capo b dell'imputazione, laddove il ricorrente avrebbe avuto diritto ad una pronuncia favorevole nel merito. Ciò in quanto l'art. 216, co. 3, l. fall., non prevede la punibilità del creditore favorito che accetti la prestazione dovutagli, posto che quest'ultimo, ai sensi dell'art. 1186 c.c., ha il diritto ed il conseguente potere di pretendere e sollecitare il pagamento del credito scaduto, anche se il debitore versi in stato di insolvenza, ma non l'obbligo di rifiutare l'adempimento, per cui una sua responsabilità penale è ipotizzabile solo nel caso in cui ponga in essere una condotta di istigazione o presti al fallito un contributo idoneo e concreto alla realizzazione dell'offesa tipica, condotte, nel caso in esame, non poste in essere in alcun modo dal L. . Con motivi nuovi, depositati il 5.4.2013, il difensore del ricorrente insiste nella censura relativa alla impossibilità di ritenere il L. concorrente, in qualità di extraneus, nel reato proprio commesso da V.P. , in qualità di amministratore unico della Costruzioni s.r.l. , in quanto, da un lato l'avere condiviso una decisione già assunta dall'amministratore della società fallita non integra alcuna forma di concorso morale nel reato, dall'altro nessun contributo materiale alla realizzazione dell'illecito può essere addebitato al ricorrente nella sua qualità di componente del consiglio di amministrazione della partecipata T.L.V. s.r.l. , in favore della quale, a titolo di aumento di capitale sociale, è confluita la somma oggetto di distrazione, anche perché la ricezione di una somma di denaro giustificata da una causale lecita, deve considerarsi condotta meramente passiva. Tanto premesso, il ricorso del L. non può essere accolto, perché infondati i motivi che ne sono posti a fondamento. Ed invero la corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi, ha ricostruito i fatti per cui è processo a carico del L. , fornendo adeguata e specifica risposta alle doglianze dell'appellante, attraverso una valutazione che, pur utilizzando gli elementi di fatto accertati dal giudice di primo grado, grazie in particolare all'attività del curatore fallimentare, si caratterizza per assoluta autonomia di giudizio. Orbene il punto focale della vicenda di cui si discute è il fallimento della società Costruzioni s.r.l. , di cui era amministratore unico V.P. , dichiarato su iniziativa dell'impresa individuale Edilcos di Armanelli Antonella , titolare di un credito accertato giudizialmente per un importo di L. 170.217.563, che la suddetta società non aveva adempiuto e che alla data del 30.6.2000, era lievitato alla somma di L. 236.893.420. Come accertato dal curatore fallimentare, poco dopo la notifica del precetto da parte della Edilcos , avvenuta il 15.3.2000, la Costruzioni s.r.l. , in data 5.4.2000, aveva versato la somma di L. 230.000.000 in favore della partecipata T.L.V. s.r.l. , i cui amministratori erano V.G. e L.F. , pagamento che era stato formalmente imputato in conto aumento del capitale sociale, medesima causale indicata a giustificazione dell'ulteriore versamento di L. 15.000.000 effettuato dalla società fallita alla sua partecipata in data 2.5.2000. Il 6.4.2000, infine, erano stati pagati ingenti compensi a V.G. e L.F. per un ammontare complessivo di L. 160.576.000, così suddivisi, L. 70.000.000 al V. e 90.576.000 al L. . Nel condividere la decisione assunta dal giudice di primo grado, la corte territoriale, seguendo un percorso argomentativo logicamente coerente, ha evidenziato come le attività innanzi indicate, valutate complessivamente ed alla luce della ravvicinata cadenza temporale in cui si sono susseguite, sono state finalizzate a svuotare la Costruzioni s.r.l. delle risorse finanziarie necessarie per soddisfare le ragioni creditorie della Edilcos , che ne avrebbe determinato il fallimento su istanza del creditore, come effettivamente avvenuto. Ciò, secondo i giudici di merito, è reso palese, da un lato dalla circostanza che, come evidenziato dal curatore fallimentare, non essendo state utilizzate le somme di denaro in precedenza indicate per incrementare il capitale sociale, il cui aumento, dunque, nonostante fosse stato deliberato, non aveva avuto luogo, veniva a mancare il titolo giustificativo per ritenere regolare il trasferimento di fondi, avvenuto invece con finalità distrattiva , la cui entità avrebbe consentito, non a caso, di soddisfare integralmente le pretese dell'unico creditore Edilcos dall'altro dalla compenetrazione di interessi tra gli imputati il L. , infatti, era il commercialista della società fallita, domiciliata presso il suo studio, dove veniva notificato il precetto della Edilcos e, al tempo stesso, componente del consiglio di amministrazione della T.L.V. s.r.l. . A fronte di tale limpido percorso argomentativo, i rilievi difensivi non colgono nel segno. Quanto al primo motivo di ricorso, si osserva che la doglianza sub a , appare inammissibile, non solo perché generica, ma anche perché pretende di dedurre la mancanza dell'elemento soggettivo in capo al L. da una peraltro parziale rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di Cassazione cfr. Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507 Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510 Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508 . Quanto al rilievo sub b , premesso, come da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità, che a configurare la responsabilità dell’ extraneus per concorso nel reato proprio sono sufficienti l'incidenza causale dell'azione dello stesso extraneus e la sua consapevolezza del fatto illecito e della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico cfr. Cass., sez. V, 26/06/1990, Bordoni e altro, nonché, nello stesso senso, con particolare riferimento al consulente contabile dell'imprenditore, Cass., sez. V, 27/06/2012, n. 39387, F. e altro, rv. 254319 , non appare revocabile in dubbio che nel caso in esame la condotta del L. risulti assolutamente idonea a configurare un efficiente contributo causale all'attività distrattiva, causativa del fallimento della società. L'imputato, infatti, come correttamente evidenziato dalla corte territoriale, ha deciso, unitamente al V.P. ed al V.G. , l'ingresso della Costruzioni s.r.l. in T.L.V. s.r.l. , con la conseguente attribuzione a quest'ultima società della somma di £. 245.000.000, nella piena consapevolezza, non solo del ruolo del V.P. , essendo, come si è detto, il L. il commercialista che seguiva la società fallita, ma anche del carattere distrattivo dell'operazione, come si evince da quanto dichiarato dallo stesso imputato nel corso dell'interrogatorio del 20.11.2002, circa la assenza di una necessità immediata che la T.L.V. s.r.l. disponesse delle somme corrispondenti all'aumento del capitale sociale e la circostanza, del pari rilevante, che dalla sua costituzione al fallimento della Costruzioni s.r.l. la suddetta società non aveva svolto alcuna attività. Infondato appare, infine, anche il secondo motivo di ricorso, posto che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, in materia di impugnazioni, dovendo valutarsi l'esistenza di un concreto interesse ad impugnare, difetta tale interesse ove, come nel caso in esame, il gravame tenda ad ottenere una diversa formula assolutoria rispetto alla sentenza impugnata cfr. Cass., sez. III, 06/11/2007, n. 1187, P., rv. 238548 . Tale orientamento giurisprudenziale appare conforme al consolidato principio secondo il quale la valutazione circa la sussistenza dell'interesse ad impugnare di cui all'art. 568, comma 4, c.p.p. va effettuata tenendo conto degli effetti primari e diretti dell’atto da impugnare ed è presente solo se il gravame è idoneo ad eliminare una decisione pregiudizievole, determinando per l'impugnante una situazione pratica più vantaggiosa di quella esistente, che, nel caso in esame, il ricorrente non ha indicato cfr., ex plurimis Cass., sez. III, 4/3/2003, T., rv. 224760 . Peraltro, sulla base delle considerazioni svolte dai giudici di merito, le cui sentenze costituiscono un tutto unitario, essendo fondate su di un apparato argomentativo omogeneo ed uniforme, risulta dimostrato che il L. , abbia consapevolmente agito per porre in essere, in concorso con il V.P. l'ipotesi di bancarotta preferenziale di cui al capo b , per cui, sul punto, le doglianze difensive appaiono anche manifestamente infondate. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell'interesse del L. va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.