Guida spericolata dell’agente di polizia tributaria, che taglia la strada ad un automobilista: è reato

L’imputato ha tenuto uno scorretto comportamento di utente della strada, ottenendo il voluto risultato di spaventare il privato cittadino.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40346/13, depositata lo scorso 30 settembre. Il caso. Un inseguimento tra due auto, quasi da film. Una macchina che taglia la strada all’altra, ponendosi dinanzi a questa, in modo da ostacolargli il percorso, fino a costringere il conducente ad arrestare la marcia. Autore della ‘guida spericolata’ è un agente di polizia tributaria, che viene condannato alla pena di 3 mesi di reclusione per il reato di violenza privata. L’imputato, nel ricorso per cassazione, rileva che la natura di reato di evento come la violenza privata art. 610 c.p. rende necessario che l’evento sia oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente, tanto da qualificare l’elemento psicologico come dolo intenzionale . L’imputato ha mostrato il proprio tesserino, ma la parte offesa ha opposto resistenza. E poi – sempre secondo il ricorrente – egli aveva agito adempiendo i doveri impostigli dalla legge artt. 55, 57 e 326 c.p.p. , in quanto prestava servizio permanente nella sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica e, essendo stato spettatore della consumazione del reato di ingiuria in suo danno, aveva l’obbligo di svolgere accertamenti necessari all’identificazione dell’autore . Nessun esercizio di pubblica funzione. Tuttavia, gli Ermellini si allineano alla decisione dei colleghi di merito, secondo cui l’imputato ha tenuto uno scorretto comportamento di utente della strada, avendo ostruito la viabilità della strada percorsa dalla persona offesa. Tale condotta – concludono i giudici di Cassazione – ha connotati privati ed estranei a qualsiasi pubblica funzione e a qualsiasi esigenza di tutela dell’onore e del prestigio delle nazionali istituzioni , ottenendo il risultato, chiaramente voluto , di spaventare il privato cittadino.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 giugno - 30 settembre 2013, n. 40346 Presidente Zecca – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 15.1.2013, la corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza 5.11.09, emessa ex art. 442 cpp, dal tribunale di Cagliari, con la quale R.D. , agente di polizia tributaria, era stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di 3 mesi di reclusione, perché ritenuto colpevole del reato di violenza privata,in danno di L.R. per aver più volte inseguito, con la propria Volkswagen Golf, l'auto Volkswagen Polo condotta dal L. , per avergli tagliato la strada, ponendosi dinanzi al suo veicolo Polo, in modo da ostacolargli il percorso, fino costringerlo ad arrestare la marcia. Nell'interesse del R. è stato presentato ricorso per violazione di legge e vizio di motivazione contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, gli elementi acquisiti consentono di evidenziare che L. non ha mai perduto la capacità di determinarsi nella guida del veicolo e che si è fermato per una sua autonoma scelta e che quindi l'imputato non perpetrò alcuna forma di violenza. Quanto al piano soggettivo, il ricorrente ritiene condivisibile l'orientamento interpretativo che individua l'elemento psicologico nel dolo specifico comunque, anche aderendo all'orientamento meno garantista del dolo generico, va considerato che la natura di reato di evento di cui all'art. 610 c.p., rende necessario che l'evento sia oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell'agente, tanto da qualificare l'elemento psicologico come dolo intenzionale. Va inoltre riconosciuta la causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. e comunque di aver agito adempiendo i doveri impostigli dagli artt. 55, 57, 326 cpp. Il R. prestava servizio permanente nella sezione di polizia giudiziaria della procura della Repubblica presso il tribunale di Cagliari e, essendo stato spettatore della consumazione del reato di ingiuria in suo danno, aveva l'obbligo, ex art. 57 co. 2 lett. b cpp, di svolgere gli accertamenti necessari all'identificazione dell'autore. Ha quindi mostrato il proprio tesserino di riconoscimento e il L. , sfuggendo al controllo, ha commesso il reato di resistenza. Il suo intervento è stato animato non da un interesse privato, ma dall'interesse pubblico di evitare che il L. potesse arrecare danni ad altri utenti della strada. Pertanto è da escludere che sia stato commesso dal R. un abuso di ufficio, sia pure assorbito in quello di violenza privata, in considerazione della coincidenza dell'interesse pubblico e dell'interesse privato a tutela dei quali il R. ha agito. I motivi del ricorso sono manifestamente infondati, in quanto propongono, in chiave critica, valutazioni fattuali, sprovviste, come già rilevato dal giudice di appello, di specifici e persuasivi addentellati storici, nonché prive di qualsiasi coerenza logica e fondatezza tecnica, idonee a soverchiante e a infrangere la lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni della sentenza impugnata. Con esse, in realtà, il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente, il sostanziale riesame nel merito. Questa pretesa è tanto più inammissibile nel caso in esame la struttura razionale della motivazione - facendo proprie le analisi fattuali e le valutazioni logico - giuridiche della sentenza di primo grado - ha determinato un organico e inscindibile accertamento giudiziale, avente una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa, che è saldamente ancorata agli inequivoci risultati dell'istruttoria dibattimentale, alla luce dei quali è emerso che a. all'origine del comportamento delittuoso del R. è stato storicamente posto dai giudici di merito un suo scorretto comportamento di utente della strada, avendo egli ostruito, con un'irregolare posizione della propria auto in sosta, la viabilità della strada percorsa dal L. , alla guida di altro veicolo b. questi connotati privati ed estranei a qualsiasi pubblica funzione e a qualsiasi esigenza di tutela dell'onore e del prestigio delle nazionali istituzioni, hanno avuto conferma nel successivo comportamento del L. e del R. alla reazione critica per la condotta di privato automobilista, espressa dalla persona offesa, è seguita un'azione del R. di diretta autotutela della propria personalità di privato cittadino, che, intendeva però avvalersi - al di fuori di regole giuridiche e di civile convivenza - di azioni violente, supportate - a fini di intimidazione e di impunità - dalla sua qualità di titolare di pubbliche funzioni c. questo illecito ed ingiustificato esercizio di violenza ha ottenuto il complessivo risultato chiaramente voluto di spaventare il privato cittadino, di ostacolare la marcia dell'auto da lui guidata, fino al suo arresto coatto d. condotta, elemento psicologico ed evento sono stati correttamente inquadrati nell'ipotesi criminosa della violenza privata - che ha assorbito la residuale ipotesi di abuso d'ufficio - sulla base di un razionale - e quindi insindacabile - valutazione delle risultanze probatorie, condivisa da un compatto orientamento interpretativo della norma ex art. 610 c.p., secondo cui, in tema di violenza privata, il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà. Nel caso in esame, il R. ha mantenuto un comportamento ostruttivo capace di determinare la costrizione psicologica della persona offesa, incidendo sulla sua libera e pacifica circolazione stradale e imponendogli un non programmato e voluto arresto del veicolo sez. 5, n. 603 del 18.11.2011, rv 251668 id, n. 40963 del 18.10.05, rv 232459 . La chiara e puntuale coerenza argomentativa della sentenza e la manifesta infondatezza dei motivi del ricorso comportano la declaratoria di inammissibilità del gravame, con condanna del R. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.