Il lavoratore adopera imprudentemente un macchinario: il rappresentante e il preposto rispondono di lesioni colpose

La responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate dal proprio dipendente durante il processo di lavorazione è esclusa solo ove la condotta del lavoratore risulti del tutto anomala, in quanto esorbitante dalle sue mansioni, imprevedibile, incompatibile con il sistema abituale di lavoro ovvero in qualche modo abnorme.

Deve considerarsi abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori do ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 33315 del 1° agosto 2013. Il caso. La Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, riteneva il legale rappresentante ed il preposto di una società in nome collettivo colpevoli, rispettivamente, dei delitti di cui agli artt. 113 e 590, comma 3 c.p. e 590, comma 3 c.p., dichiarando, altresì, il non doversi procedere, nei confronti del solo legale rappresentante, per le contravvenzioni di cui agli artt. 4 e 391, D.P.R. n. 547/1955 per intervenuta prescrizione. In particolare, ai due imputati veniva addebitata, a titolo di colpa, la penale responsabilità per le lesioni gravi lacerazione delle falangi di entrambi le mani occorse ad un dipendente della su citata società lesioni che il lavoratore stesso, assunto il giorno precedente all’incidente, si era procurato adoperando una cesoia a ghigliottina per il taglio di lamiere sottili sprovvista di protezione frontale, precedentemente tolta dall’operaio. Il legale rappresentante ed il preposto, secondo la Corte territoriale, sarebbero venuti meno al loro dovere di nominare un responsabile del servizio di prevenzione e protezione antinfortunistica e di effettuare una specifica valutazione dei rischi insiti dal tipo di lavorazioni svolte in azienda, le quali comportavano l’utilizzo di macchinari pericolosi. Per di più, essi non avrebbero controllato che il loro dipendente fosse rispettoso delle norme di sicurezza riguardanti quella particolare tipologia di operazione taglio di lamiere sottili , controllo reso ancor più necessario dall’inesperienza del lavoratore assunto il giorno precedente . Avverso tale pronuncia gli imputati proponevano ricorso in Cassazione fondato su tre motivi. Con il primo venivano contestate la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e c.p.p., per non aver il Collegio di secondo grado accolto il motivo di gravame con cui la difesa degli imputati aveva contestato la responsabilità degli stessi nella causazione dell’evento e la sussistenza del nesso di causalità tra le condotte colpose a loro ascritte e l’evento medesimo. La seconda doglianza si fondava sulla mancanza e sulla manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata vizi riferiti al mancato accoglimento di un altro motivo di gravame consistente nell’asserita erronea qualificazione giuridica del fatto. In particolare, la mancata motivazione sussisterebbe rispetto alla negata esclusione della circostanza aggravante inerente la gravità delle lesioni. La terza contestazione poggiava le proprie basi sull’intervenuta prescrizione dei reati contestati agli imputati. La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello, ritenendo fondato soltanto il terzo motivo di ricorso. Abnormità non significa imprudenza. La Suprema Corte dichiara infondato il primo motivo di ricorso. La terza sezione ritiene, infatti, che le doglianze espresse dalle difese in merito alla insussistenza di responsabilità degli imputati siano prive di pregio. Nel motivo di ricorso si era sostenuto che tra le condotte omissive del legale rappresentante e del preposto alla società de qua e il sinistro occorso al lavoratore non vi sarebbe stato alcun nesso di causalità, dovendosi considerare che la decisione di rimuovere la protezione frontale dalla cesoia a ghigliottina era stata presa dall’operaio di propria iniziativa e durante la pausa pranzo al di fuori, quindi, dell’orario di lavoro . Secondo tale impostazione difensiva, tale condotta si caratterizzerebbe per la sua abnormità rispetto alle mansioni assegnate al dipendente e, a tal proposito, viene richiamato un costante orientamento giurisprudenziale che depone in tal senso. La Corte di legittimità si serve del medesimo orientamento, tuttavia, per contestare le affermazioni della difesa. Infatti, sentenzia il Collegio, un comportamento come quello tenuto dalla vittima dell’infortunio non può affatto considerarsi abnorme rispetto alle proprie mansioni. Perché di abnormità si possa parlare è necessario che la condotta del lavoratore si ponga completamente al di fuori dallo schema disegnato dalle sue mansioni, diventando così assolutamente imprevedibile per il datore di lavoro o per i soggetti preposti , il quale non può in alcun modo esercitare il suo potere di controllo. Tale non può definirsi la rimozione altamente imprudente di una protezione da un macchinario il cui utilizzo era tipico” delle mansioni assegnate alla vittima e priva di rilevanza deve ritenersi la circostanza per cui ciò è avvenuto durante la pausa pranzo, che comunque si svolge nel luogo di lavoro. L’abnormità non può, pertanto, essere confusa con l’imprudenza. La perdita delle falangi non è una lesione lieve”. Parimenti, e in modo perentorio, la Corte di Cassazione rigetta il secondo motivo di ricorso. Precisano i giudici, infatti, che la Corte d’Appello non ha affatto omesso di motivare sul punto concernente la sussistenza dell’aggravante della gravità delle lesioni qualificate come gravissime , essendosi al contrario la stessa soffermata sul dato di fatto per cui, nonostante il sensibile recupero della funzionalità degli arti lesionati in particolare della capacità prensile da parte della vittima, la perdita di buona parte delle prime falangi di entrambe le mani non possa di certo considerarsi una lesione di poco conto considerata anche l’importanza degli arti stessi . Assolutamente legittima appare, pertanto, secondo il Supremo Collegio, la decisione della Corte territoriale di ritenere sussistente l’aggravante in questione. E poi venne la prescrizione. A rendere comunque positivo, per gli imputati, l’esito del giudizio interviene il decorso del tempo. La Terza sezione Penale, infatti, considerati la pena prevista per il reato contestato da uno a tre anni di reclusione, trattandosi di lesioni gravissime , il momento di accertamento del reato stesso settembre 2003 e le varie sospensioni dei termini, non può che dichiarare il reato estinto per prescrizione, maturata nel settembre del 2011. Tuttavia, la Suprema Corte precisa un concetto importante in merito alla declaratoria di estinzione del reato vengono specificate le condizioni che permettono al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 c.p.p Secondo i giudici di legittimità perché si possa procedere alla declaratoria de qua è necessario che gli elementi su cui essa si fonda siano immediatamente percepibili dall’organo giudicante, il quale deve compiere un’operazione che la Corte definisce più simile ad una constatazione” che ad un apprezzamento”. Non deve, quindi, residuare alcun margine per ulteriori accertamenti in merito alla sussistenza delle condizioni per la pronuncia in questione. Nella vicenda oggetto di analisi tale evenienza non viene riscontrata, rinvenendosi, comunque, la necessità di annullare senza rinvio la sentenza impugnata per estinzione dei reati contestati.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 novembre 2012 - 1° agosto 2013, n. 33315 Presidente Mannino – Relatore Savino Ritenuto in fatto F.A. e F.G. venivano rinviati a giudizio rispettivamente per i reati di violazione di norme antinfortunistiche ex art. 4 e 391 e 47 co. 2 DPR 547/55 e lesioni colpose aggravate ex art. 113, 590 co. 3 c.p. il primo e per le sole lesioni il secondo. In data OMISSIS , infatti, P.I. , assunto il giorno precedente dalla ditta Costruzioni Meccaniche Flati Alessandro di Flati A. & amp P. s.n.c. , nell'eseguire da solo il taglio di lamiere sottili con una cesoia a ghigliottina, dopo aver tolto la protezione frontale ai pressori e alla cesoia del macchinario si veniva a trovane con le mani a contatto con i suddetti dispositivi ed azionando con il pedale la cesoia si procurava gravi lesioni alle falangi di entrambe le mani. A seguito di tale episodio aveva inizio un procedimento penale a carico degli odierni imputatati ai quali si contestava di aver, nelle rispettive qualità di preposto e di legale rappresentante della ditta, omesso la nomina di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione antinfortunistica e di non aver provveduto ad effettuare una specifica valutazione dei rischi comportati dalle lavorazioni dell'azienda, lavorazioni caratterizzate dall'impiego di macchinari pericolosi. Inoltre agli stessi si attribuiva l'ulteriore manchevolezza di non aver controllato l'attuazione ed il rispetto da parte dei lavoratori delle necessarie misure di sicurezza durante lo svolgimento delle lavorazioni con macchinari pericolosi controllo, questo, necessario specie con riguardo a persone appena assunte come il P. . All'esito del giudizio il Tribunale di Roma, con sentenza emessa in data 29 gennaio 2008, assolveva F.A. in merito al reato di cui all'art. 47 co. 2 DPR 547/55 e riconosceva la penale responsabilità di entrambi gli imputati per i restanti reati loro ascritti. Condannava entrambi alla pena dell'ammenda di 200 Euro ed il solo F.G. anche alla pena dell'ammenda di 200 Euro per il reato di cui agli artt. 4 e 391 DPR 547/55 con la sospensione condizionale della pena per entrambi e la non menzione per il solo F.A. . Proposto appello dal difensore degli imputati, la Corte di appello di Roma ha dichiarato il non doversi procedere con riguardo al reato di cui agli artt. 4 e 391 DPR 547/55 per intervenuta prescrizione e ha confermato nel resto l'impugnata sentenza. Avverso tale sentenza ha proposto appello il difensore degli imputati per i seguenti motivi 1 Mancanza e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 co. 1 lett. e c.p.p. con riferimento al mancato accoglimento del primo motivo di gravame in merito all'attribuzione della responsabilità per la causazione dell'evento lesivo agli imputati ed alla erronea valutazione del rapporto di causalità sottostante alle condotte colpose contestate ai medesimi. 2 Mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 co. 1 lett. e c.p.p. con riferimento al mancato accoglimento del secondo motivo di gravame relativo alla qualificazione giuridica del fatto. In particolare la difesa lamenta la mancanza di adeguata motivazione con riguardo alla negata esclusione dell'aggravante circa la gravita delle lesioni. 3 Intervenuta prescrizione del reato di cui agli artt. 113, 590 co. 3 c.p.p Ritenuto in diritto 1. Innanzitutto occorre premettere che entrambi i motivi di ricorso pur non essendo manifestamente infondati sono privi di fondatezza ed andrebbero, quindi, rigettati. 1.2 Priva di pregio appare, infatti, la prima censura con cui si lamenta il vizio di motivazione con riguardo all'attribuzione della responsabilità per la causazione dell'evento lesivo agli imputati ed alla erronea valutazione del rapporto di causalità sottostante alle condotte colpose contestate ai medesimi. In particolare, la difesa rileva come la Corte di appello abbia totalmente ed ingiustificatamente disatteso le argomentazioni addotte dalla difesa liquidandole con una succinta motivazione ed insiste sul fatto che il P. aveva spontaneamente rimosso le protezioni dal macchinario e lo aveva fatto durante la pausa pranzo, cioè al di fuori dell'orario lavorativo. A sostegno della propria ricostruzione i ricorrenti invocano un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate dal proprio dipendente durante il processo di lavorazione è esclusa solo ove la condotta del lavoratore risulti del tutto anomala in quanto esorbitante dalle sue mansioni, imprevedibile, incompatibile con il sistema abituale di lavoro ovvero in qualche modo abnorme. Sul punto, però, la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli vedi Cass. 23292/2011 . Alla luce di tale precisazione si deve concludere che il comportamento tenuto dal P. , seppur altamente imprudente, non può ritenersi abnorme rispetto alle mansioni svolte né del tutto imprevedibili. Dunque esso non esclude la responsabilità dei suoi datori di lavoro per le lesioni da esso riportate. 1.2 Al pari deve ritenersi infondato il secondo motivo di gravame con cui si censura la mancanza di adeguata motivazione con riguardo alla negata esclusione dell'aggravante circa la gravita delle lesioni. In realtà la Corte di appello si sofferma sul punto precisando come, nonostante un sensibile recupero della capacità prensile da parte del P. , i postumi legati alla perdita di buona parte delle prime falangi delle dita di entrambe le mani continuino ad essere di gravità tale da ritenere sussistente l'aggravante de quo . 2. Risulta invece fondato e deve essere accolto il terzo motivo di ricorso con cui si eccepisce la intervenuta prescrizione del reato di lesioni. Quest'ultimo, infatti, è stato accertato in data 9 settembre 2003. Trattandosi di delitto per il quale la legge prevede la pena della detenzione da uno a tre anni, considerate le sospensioni - dal 23 aprile 2007 al 19 luglio 2007 e dal 8 luglio 2007 al 12 novembre 2007 - il termine finale di prescrizione è maturato in data 2 settembre 2011. Come è stato più volte precisato da questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 co. 2 c.p.p. soltanto qualora le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, in modo tale che la valutazione richiesta al giudice risulti più vicina al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi , che a quello di apprezzamento e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di ulteriori accertamenti Cass., Sez. Un., 35490/2009 . Orbene, come si evince dalle considerazioni in precedenza svolte, nel caso di specie non ricorrono le anzidette condizioni. Dunque va senz'altro applicata la causa estintiva in esame con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere i reati estinti per prescrizione.