La difesa chiede che venga dichiarato il ‘bis in idem’, ma così facendo incorre nel principio di non contraddizione

In forza della sentenza ormai in giudicato avente accertato il delitto di truffa per la simulazione di una vendita, appare di tutta evidenza che la distrazione di una somma di denaro – in linea difensiva riferita a tale transazione – non possa essere coperta dagli effetti benevoli di cui all’art. 649 c.p.p., giacché risulta con accertamento incontrovertibile come non vi sia stato alcuno effettivo spostamento monetario, ma soltanto un’entrata fittiziamente inserito nelle scritture contabili.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 33363 depositata il 1° agosto 2013. Strani movimenti. Venivano tratti a giudizio e condannati in prime cure due imputati, con l’accusa di bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento di una società, in quanto essi avrebbero distratto dal patrimonio della stessa un appartamento che risultava essere stato ceduto ad uno dei prevenuti in assenza di corrispettivo ed la somma di 120 milioni di lire indicata in bilancio come finanziamento dell’altro prevenuto, al quale sarebbe stata, in seguito, restituita . I Giudici di appello, in parziale riforma, rilevavano come, in relazione alla vendita dell’immobile, fosse già intervenuta una sentenza - passata in giudicato – avente accertato il delitto di truffa, dal momento che il contratto di compravendita era simulato sebbene la qualificazione giuridica dei fatti apparisse differente, la Corte territoriale riteneva di dover far applicazione dell’art. 649 c.p.p., e cioè del cd. principio del ne bis in idem, secondo cui un soggetto non può essere più volte sottoposto a giudizio per il medesimo fatto storico. Quanto alla distrazione del denaro, gli stessi giudicanti appuravano l’estraneità di uno dei coindagati alla vicenda e, conseguentemente lo assolvevano riducevano, invece, la pena, quanto all’altro, sul presupposto della insussistenza di pregiudizi per i creditori della stessa società, in riferimento alla somma di milioni quarantacinque corrisposti ad una dipendente quali retribuzioni e t.f.r., confermando, al contempo, che la restituzione al medesimo della somma restante fosse sine titulo, sia perché egli non rivestiva la qualità di socio, sia perché non vi era, in ogni caso, una ragione legittimante la ripetizione di quanto versato, in base alle scritture contabili, risultava versato a fondo perduto. Per la difesa vi è la ‘copertura’ del ne bis in idem. L’imputato ricorre per Cassazione, lamentando sia la violazione dell’art. 649 codice di rito, sia la mancanza – contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. In tesi difensiva, infatti, tutte le ipotesi distrattive contestate dovrebbero essere coperte dal precedente giudicato, riferito al delitto di truffa relativa alla simulazione di vendita dell’immobile tra i due coimputati, in quanto anche la somma di denaro oggetto della restituzione sarebbe provento di quella cessione. Nessun fondamento la condanna va confermata. Gli Ermellini rigettano il ricorso i fatti si presentano in maniera differente rispetto alle ricostruzioni difensive, e ciò proprio prendendo quale referente la sentenza irrevocabile tanto invocata dalla stessa difesa. L’articolo 649 c.p.p. ha potuto trovare applicazione solamente su una parte dell’originaria contestazione, vale a dire sulla distrazione dell’appartamento, già ascritta agli imputati quale ipotesi di truffa. La logica non mente! La Corte, sul punto, effettua un apprezzabile ragionamento, affermando che se vi fu simulazione dato incontestato, stante il valore di giudicato assunto dalla sentenza richiamata , allora non poté essere concretamente effettuata alcuna alienazione e, conseguentemente, non fu versato dal compratore alcun corrispettivo. Diversamente, se si fosse trattato di vendita reale, il Pubblico Ministero avrebbe contestato in questa sede non la distrazione dell’immobile, bensì della somma corrisposta dal compratore solo in quest’ultimo caso, infatti, avrebbe potuto darsi il problema della sovrapponibilità – parziale o totale – rispetto alla somma oggetto del secondo addebito. La difesa, quindi, richiamando la sentenza che ha accertato la truffa, incorre nella violazione del principio di non contraddizione sostenendo che la vendita è stata simulata, non può poi dedurre che la somma sottratta fosse frutto di quella stessa transazione, proprio perché fittizia. Nessuna credibilità ai bilanci. Non può assumere rilevanza alcuna la circostanza che le scritture contabili e i verbali di assemblea abbiano indicato un versamento monetario da parte del simulato acquirente. Infatti, se il presupposto logico peraltro accertato giudizialmente con pronuncia in giudicato della distrazione per cui è intervenuta condanna consiste nel fatto che vi fu una vendita simulata, appare di lapalissiana evidenza che, nei libri contabili della società fallita, furono appositamente inserite delle voci volte a dare un’apparente effettività alle cessione dell’immobile a titolo oneroso. E ciò, per la Cassazione, non ha rilievo alcuno nel caso di specie. Per tali ragioni, il ricorso viene rigettato, con condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 gennaio - 1° agosto 2013, n. 33363 Presidente Zecca – Relatore Micheli Ritenuto in fatto 1. Il 15/07/2010, la Corte di Appello di Roma riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale della stessa città il 01/06/2009, nei confronti di M.M. e D.M. , dichiarati colpevoli in primo grado del delitto di bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della Clevis Consultant s.r.l., dichiarato l' omissis con riguardo alla presunta distrazione di un appartamento che risultava essere stato ceduto al D. senza corrispettivo, nonché alla somma di 120 milioni di lire, indicata in bilancio come finanziamento del M. e di cui era stata disposta la restituzione al medesimo. La Corte territoriale, con riferimento alla vendita dell'immobile, rilevava che era già intervenuta una sentenza nei confronti degli imputati, cui era stato contestato il delitto di truffa proprio per avere simulato quel contratto pur essendovi stata una differente qualificazione giuridica, doveva perciò trovare applicazione la norma di cui all'art. 649 cod. proc. pen Quanto alla vicenda della somma che si assumeva distratta, i giudici di secondo grado segnalavano che il D. non vi aveva preso parte, mandandolo così assolto riducevano al contempo l'importo penalmente rilevante anche per il coimputato, sul presupposto del non esservi stato pregiudizio di sorta per i creditori della società in relazione a 45.000.000 di lire, destinati legittimamente a D.S. per trattamento di fine rapporto e retribuzioni non corrisposte. Del residuo, la Corte considerava sine titulo la restituzione al M. in quanto egli non era mai stato socio della Clevis Consultant, ed in ogni caso - quand'anche lo fosse stato - non vi sarebbe stata ragione giuridica lecita perché il M. ottenesse la ripetizione di ciò che, stando alle scritture contabili, aveva comunque versato a fondo perduto. 2. Propongono ricorso per cassazione i difensori del M. , lamentando violazione dell'art. 649 cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata. La tesi difensiva è che tutte le ipotesi di distrazione contestate all'imputato dovessero ritenersi coperte dal precedente giudicato che, come ricordato, si riferiva alla presunta truffa correlata alla simulazione della cessione dell'immobile al D. , in quanto anche la somma di 65.000.000 di lire oggetto della restituzione al M. proveniva dal prezzo di vendita di quel bene, come comprovato dalle scritture contabili e dal verbale di assemblea ordinaria relativo all'approvazione del bilancio al 31/12/1997. In particolare, dalla nota integrativa al bilancio in questione emergerebbe che esistevano poco più di 136 milioni di lire per risconti attivi, da correlare agli acconti versati per la vendita dell'immobile il residuo prezzo, su un totale di 207.500.000 lire, era costituito dall'accollo del mutuo residuo da parte del compratore . Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. Secondo la difesa, la Clevis Consultant s.r.l. alienò al D. un immobile sito in omissis , al prezzo di 207.500.000 lire, e la documentazione in atti comproverebbe che l'acquirente si accollò il mutuo gravante sul bene in argomento, per l'ammontare di 71.400.851 lire, versando alla venditrice la differenza di 136.099.149 lire da quest'ultima somma, entrata materialmente nella disponibilità della società poi fallita, vennero prelevati i 65.000.000 di lire restituiti al M. a seguito del precedente finanziamento soci a fondo perduto. In realtà le cose non stanno affatto così, proprio in base a quanto accertato con la sentenza irrevocabile che la difesa oggi richiama per invocare il ne bis in idem . Nella fattispecie concreta, l'art. 649 del codice di rito ha trovato applicazione su una parte della originaria contestazione si assumeva infatti la distrazione, in pregiudizio dei creditori della Clevis Consultant, di quell'appartamento e della somma di 120 milioni di lire, ma quanto all'immobile l'addebito era stato già ascritto al M. ed al D. quale ipotesi di truffa, sul presupposto che la vendita fosse stata simulata. È di immediata evidenza, pertanto, che se simulazione vi fu tanto da esservi stata in proposito una sentenza passata in giudicato non venne realizzata in concreto alcuna alienazione, e dunque non venne versato dai compratore alcun corrispettivo. Se la vendita fosse stata reale, invece, il P.M. avrebbe qui contestato la distrazione non già dell'appartamento, bensì della somma che era stata corrisposta dall'acquirente e solo in quel caso si sarebbe posto il problema della possibile sovrapponibilità totale o parziale, rispetto a quell'importo, dei 120 milioni di cui alla seconda parte del capo d'imputazione. A nulla rileva la circostanza che le scritture contabili od i verbali di assemblea indicassero una realtà diversa, dando atto che i 65 milioni di lire restituiti al M. provenivano dagli acconti versati dal compratore che poi acconti non sarebbero stati, trattandosi dell'apparente saldo rispetto all'accollo del mutuo va peraltro rilevato che, su una distrazione di rimanenze ipotizzata per 120 milioni ed a fronte di una giustificazione per 45, la differenza farebbe 75 e non 65 se il presupposto logico - e, si ribadisce, giuridicamente accertato - della distrazione per cui è intervenuta condanna è che si trattò di vendita simulata, nel bilancio della società fallita vennero ovviamente inserite appostazioni mirate a dare apparente effettività alla cessione del bene a titolo oneroso. Appostazioni, dunque, difformi dal vero e che oggi è irragionevole invocare a sostegno della ricostruzione dei fatti. 3. La declaratoria di rigetto comporta, in ossequio al dettato di legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso, e Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.