Mancato versamento IVA del rappresentante legale: niente sequestro dei beni della società

I reati fiscali non rientrano tra le fattispecie contemplate dal d.lgs. n. 231/2001 responsabilità amministrativa degli enti in grado di giustificare l’applicazione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32958/13, depositata lo scorso 30 luglio. Il caso. Il Tribunale confermava il decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal Gip avente ad oggetto somme di denaro depositate su conti correnti bancari della legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, beni mobili e beni immobili della stessa, in relazione ad un mancato versamento IVA. Sequestri i beni dell’amministratrice e della società. Il sequestro, inoltre, era stato disposto anche nei confronti della società. Ed è proprio su questo punto che la donna, ricorrente per cassazione, e gli stessi Ermellini, non sono d’accordo con i giudici di merito. Ma si tratta di reati fiscali Infatti, in ipotesi di reati tributari commessi dall’amministratore di una s.r.l., il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente art. 322 ter c.p. , che abbia ad oggetto beni appartenenti alla stessa società, è illegittimo per l’inapplicabilità della confisca nei confronti di un soggetto diverso dall’autore del fatto . Questo in ragione della natura di sanzione penale di detta confisca, salvo che la struttura societaria rappresenti un apparato fittizio utilizzato dal reo proprio per porre in essere reati di frode fiscale . niente sequestro preventivo per i beni della società. Inoltre – rileva la S.C. – gli artt. 24 e ss. d.lgs. n. 231/2001 responsabilità amministrativa degli enti , fra le fattispecie in grado di giustificare l’applicazione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 19 dello stesso d.lgs., non prevedono i reati fiscali. Quindi l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 marzo – 30 luglio 2013, n. 32958 Presidente Mannino – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza dell'8 agosto 2012, il Tribunale di Tempio Pausania ha confermato il decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal Gip dello stesso Tribunale l'11 giugno 2012, avente ad oggetto somme di denaro depositate sui conti correnti bancari nella disponibilità dell'indagata oltreché beni mobili e immobili riconducibili alla medesima, in relazione al mancato versamento dell'Iva, per il periodo di imposta del 2009 da parte della stessa indagata, nella sua qualità di legale rappresentante di una sopietà. Il Tribunale del riesame rileva che correttamente il sequestro è stato disposto ed eseguito anche nei confronti della società di cui l'indagata è legale rappresentante”, affermando che, in materia di responsabilità da reato, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato può colpire tanto i beni di proprietà dell'ente che ha tratto vantaggio dal reato quanto quelli della persona fisica che lo ha commesso, sempre che il vincolo stesso non ecceda il valore complessivo del profitto. 2. - Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, l'indagata, la quale deduce, con unico motivo di doglianza, l'erronea applicazione degli artt. 321 e 322 ter cod. pen., nonché degli artt. 19 e 53 del d.lgs. n. 231 del 2001, quanto alla conferma del sequestro preventivo nei confronti dei beni della società. Rileva, in particolare, la difesa che la apprensione di beni equivalenti al profitto può essere disposta nei confronti della persona giuridica solo nell'ambito delle fattispecie criminose previste dalla legge n. 231 del 2001, tra le quali non sono inclusi i reati tributari. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Come correttamente rilevato dalla difesa del ricorrente, l'ordinanza impugnata si fonda su un principio di diritto erroneo. Questa Corte ha, infatti, ampiamente chiarito che, in ipotesi di reati tributari commessi dall'amministratore di una società a responsabilità limitata, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente disposto ai sensi dell'art. 322 ter cod. pen., che abbia ad oggetto beni appartenenti a società medesima, è illegittimo, per l'inapplicabilità della confisca nei confronti di un soggetto diverso dall'autore del fatto. E ciò, in ragione della natura di sanzione penale di detta confisca e, ovviamente, salvo che la struttura societaria rappresenti un apparato fittizio utilizzato dal reo proprio per porre in essere reati di frode fiscale, sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell'autore del reato. Deve, del resto, rilevarsi sul punto che gli artt. 24 e seguenti del decreto legislativo n. 231 del 2001 non prevedono i reati fiscali fra le fattispecie in grado di giustificare l'applicazione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente previsto dall'art. 19, comma 2, del medesimo decreto legislativo ex multis, sez. 3, 14 giugno 2012, n. 25774 sez. 3, 4 luglio 2012, n. 33371 . Nel caso in esame, risulta dagli atti che il provvedimento di sequestro ha ad oggetto solo denaro e beni personali dell'indagata, con la conseguenza che lo stesso provvedimento avrebbe dovuto essere eseguito - contrariamente a quanto affermato dallo stesso Tribunale del riesame - solo su tali beni e non anche su quelli della società. 4. - L'ordinanza impugnata deve essere, perciò, annullata, con rinvio al Tribunale di Tempio Pausania, il quale procederà a valutare nuovamente la fattispecie facendo applicazione del principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Tempio Pausania.