Remissione del debito solo per i condannati

L’obbligazione relativa alle spese processuali nel procedimento penale deve essere considerata non come obbligazione civile, ma come vera e propria sanzione economica accessoria alla pena. Non possono assumere tale natura le spese processuali eventualmente poste a carico del terzo interessato nel procedimento di prevenzione, tenuto conto che tale procedimento non può mai comportare l’irrogazione di una pena, non essendo paragonabile ad essa né la misura di prevenzione personale, né quella patrimoniale alla cui applicazione tale procedimento è finalizzato.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 32473 del 25 luglio 2013. Vecchia e nuova formulazione dell’art. 6, TU Spese di giustizia. Con ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Palermo veniva dichiarata inammissibile la domanda di remissione del debito relativa a spese processuali comminate a carico del terzo interessato nell’ambito di un procedimento di prevenzione instaurato nei confronti di altro soggetto. Nel provvedimento si leggeva che la formulazione dell’art. 6 D.p.r. 115/2002 che dispone Se l’interessato non è stato detenuto o internato, il debito per le spese del processo è rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto una regolare condotta in libertà , che usa genericamente il termine interessato” al posto di condannato”, non può portare a ritenere che chiunque sia incorso in una condanna alle spese processuali possa accedere al beneficio della remissione del debito, atteso che la norma ha risentito anche della pronuncia della Corte Costituzionale n. 342/1991 che ha dichiarato l’illegittimità della precedente formulazione nella parte in cui non prevedeva che le spese del procedimento penale non potessero essere rimesse anche nel caso di soggetto condannato che non aveva sofferto periodi di detenzione. Rilevava, inoltre, il provvedimento, come la ratio dello stesso istituto sia quella di agevolare il percorso riabilitativo del condannato che potrebbe essere compromesso, ove versando in condizioni economiche disagiate e dovendo pagare debiti di giustizia, fosse portato per far ciò a commettere ulteriori reati. Estensione dell’ambito di applicabilità del citato art. rispetto al precedente art. 56 ord. pen.? L’odierno ricorrente, tuttavia, lamentava violazione dell’art. 6 citato, stante che la norma era stata ritenuta erroneamente applicabile solo ai condannati e agli internati. Riteneva, invece, che la stessa preveda la remissione per l’interessato” che non è stato detenuto o internato”, così ampliando l’ambito di applicazione rispetto all’abrogato art. 56 Ord. Pen. Il debito per le spese di procedimento e di mantenimento é rimesso nei confronti dei condannati e degli internati che si trovano in disagiate condizioni economiche e hanno tenuto regolare condotta ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 30-ter. La relativa domanda può essere proposta fino a che non sia conclusa la procedura per il recupero delle spese . Sollevava, inoltre, contrasto di siffatta interpretazione restrittiva con il dettato dell’art. 3 Cost. venendosi, infatti, a delineare in tali circostanze una disparità di trattamento tra il soggetto condannato al pagamento delle spese processuali ma non condannato a sanzione penale o detenuto, e quello, invece, che oltre la condanna alla pena pecuniaria, subisca anche una detenzione o una condanna a sanzione penale. Remissione solo per il condannato. La Corte, tuttavia, dispiega un consistente ragionamento che, partendo dalla circostanza che la remissione del debito riguarda solo le spese del processo penale in senso stretto, arriva a rigettare il ricorso affermando che tale beneficio è applicabile solo nei confronti dei condannati che abbiano o meno sofferto una detenzione in tali tipi di processi. Ebbene, sostiene la Corte, in primo luogo, che la condanna alle spese processuali comporta una sanzione penale accessoria e come tale non paragonabile alle misure di prevenzione personali o patrimoniali. D’altra parte, poi, il terzo interessato, che sia chiamato in giudizio o che intervenga volontariamente, non è mai destinatario di una misura di prevenzione, ma al più portatore di un interesse di natura civilistica. Oltre ciò, sono pure diversi i presupposti che delineano un processo penale ed un procedimento di prevenzione. In questo secondo caso, infatti, tali misure sono funzionali alla tutela della sicurezza pubblica, e non sono connesse a responsabilità penali del soggetto, non si fondano sulla colpevolezza né hanno carattere sanzionatorio di doveri giuridici, ma sono legate ad un complesso di comportamenti che integrano una certa condotta di vita che può essere assunta come socialmente pericolosa. Anche la Corte di Strasburgo ha ritenuto le misure di prevenzione estranee all’area della materia penale, qualificandole come semplici restrizioni alla circolazione di cui all’art. 2 del Prot. N. 4 della Convenzione. Ma vi è di più. La Corte, rileva, ancora che la nuova norma di cui all’art. 6 non ha assolutamente modificato la ratio dell’istituto reinserimento sociale del condannato . La norma, infatti, afferma la Corte, individua quali destinatari interessati del beneficio solo coloro che siano stati condannati in un processo penale, indipendentemente dall’avere o meno subito una restrizione della libertà personale, così come prescritto dal giudice delle leggi con la sentenza citata. Con specifico riferimento, poi, al processo di prevenzione, data la sua indipendenza e caratteristiche proprie, non può rientrare nella disciplina del processo penale. D’altra parte, tenuto conto che la condanna alle spese processuali sia per il proposto che per gli interessati, nel procedimento di prevenzione può avvenire solo ed esclusivamente nel giudizio di cassazione, a maggior ragione, ritiene il giudice di legittimità, come, tale sanzione non sia assimilabile a quella che invece prevede la remissione del debito ai sensi dell’art. 6 che consegue, appunto, ad una condanna penale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 giugno - 25 luglio 2013, numero 32473 Presidente Siotto – Relatore La Posta Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 21.5.2012 il Magistrato di sorveglianza di Palermo dichiarava inammissibile l'istanza avanzata da D.G.N. , volta alla applicazione della remissione del debito, ai sensi dell'art. 6 d.P.R. numero 115 del 2002, in relazione alle spese processuali poste a carico del predetto, terzo intestatario, nel procedimento di prevenzione nei confronti di P.V. . Premetteva che con decreto del Tribunale di Palermo in data 17.7.1996 era stata applicata al P. la misura di prevenzione personale e quella patrimoniale della confisca di beni, alcuni dei quali nella formale titolarità di terzi. La Corte di appello di Palermo, con decreto in data 3.3.2005, respingeva l'impugnazione del proposto e dei terzi intestatari dei beni confiscati condannando gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, provvedimento divenuto successivamente irrevocabile. Ad avviso del magistrato di sorveglianza la nuova formulazione contenuta nell'art. 6 d.P.R. numero 115 del 2002 che più genericamente rispetto a quella dell'abrogato art. 56 Ord. Penumero usa il termine interessato” e non più quello di condannato”, non autorizza a ritenere che chiunque sia incorso in una condanna alle spese processuali pronunciata da un giudice in materia penale possa accedere al beneficio della remissione del debito, atteso che la norma di cui all'art. 6 citato ha dovuto tenere conto della pronuncia della Corte costituzionale numero 342/1991 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della precedente formulazione nella parte in cui non prevedeva che le spese del procedimento potessero essere rimesse anche nel caso di condannato che non avesse sofferto periodi di detenzione. Si rileva, altresì, che l'interpretazione della norma non può non considerare le origini e la ratio dell'istituto della remissione del debito che, unitamente alle finalità premiali, ha come obiettivo specifico quello di agevolare il percorso di recupero sociale del soggetto che potrebbe essere compromesso, con il rischio di ulteriori spinte criminogene, qualora, pur versando in condizioni di disagio economico, dovesse essere chiamato ad adempiere al proprio debito per le spese di giustizia. Pertanto, la sfera di applicazione soggettiva dell'istituto non può che restare rigorosamente circoscritta alle categorie dei condannati ed internati. 2. Ha proposto il ricorso per cassazione il D.G. premettendo di essere stato condannato al pagamento delle spese processuali, in solido con le altre parti, dalla Corte di appello di Palermo, sezione misure di prevenzione, in data 25.11.2005, e di avere ricevuto cartella esattoriale dal Serit Sicilia s.p.a. per il pagamento di Euro 3.744.344,00 di trovarsi in condizioni economiche disagiate e di avere tenuto sempre regolare condotta. Quindi, con il primo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge con riferimento alla interpretazione dell'art. 6 d.P.R. numero 115 del 2002 sostenuta nell'ordinanza impugnata, secondo la quale l'istituto della remissione del debito sarebbe applicabile soltanto ai soggetti condannati o internati. Rileva che l'istituto della remissione del debito è stato integralmente riformato dal citato art. 6 con espressa abrogazione dell'art. 56 Ord. Penumero che precedentemente lo disciplinava. La nuova norma prevede testualmente che la remissione possa essere chiesta dall'”interessato” che non è stato detenuto o internato”, riconoscendo, quindi, la legittimazione a qualsiasi interessato con la finalità di allargare il principio di premialità posto a fondamento dell'istituto. Diversamente non si comprenderebbe la ragione per la quale il legislatore ha ritenuto di sostituire il termine condannato” indicato nella precedente norma con quello di interessato”. Richiama a conforto una decisione di segno contrario a quella impugnata del Magistrato di sorveglianza di Siracusa. Deduce, altresì, sulla base delle medesime argomentazioni, che la interpretazione restrittiva affermata dal giudice di merito si pone in contrasto con il principio di cui all'art. 3 Cost. in quanto, a parità di circostanze, verrebbero a stabilirsi trattamenti diversi tra chi è stato condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio penale senza essere destinatario di sanzione penale e chi ha subito la medesima condanna alle spese essendo stato ritenuto penalmente responsabile. Quindi, paradossalmente chi ha commesso un reato è maggiormente avvantaggiato rispetto ad un terzo estraneo. Con un secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio della motivazione del provvedimento impugnato. Ripercorrendo le precedenti argomentazioni, ritiene non comprensibili le ragioni poste a fondamento del convincimento del giudice di merito. Considerato in diritto Il ricorso, ad avviso del Collegio, non è fondato e, pertanto, deve essere rigettato. Come è stato già evidenziato Sez. 1, numero 18418 del 20/03/2013, Sansone, rv. 2S5055 un precedente orientamento di questa Corte è stato superato da successive decisioni alla luce delle seguenti argomentazioni. La questione di diritto posta all'esame del Collegio ha riguardo alla legittimazione a domandare quindi alla ammissibilità della richiesta la remissione del debito, di cui all'art. 6 d.P.R. numero 115 del 2002, di soggetti condannati al palmento delle spese processuali nel procedimento di prevenzione. È opportuno prendere le mosse dalla considerazione che la remissione del debito, disciplinata dal vigente art. 6 d.P.R. numero 115 del 2002 al titolo II relativo alle disposizioni generali relative al processo penale” riguarda soltanto le spese del processo penale nessuna disposizione del citato d.P.R., infatti, consente l'applicazione dell'istituto oltre le spese del processo penale cui esclusivamente si riferisce. Come è stato affermato dalla Corte costituzionale numero 98/1998 e numero 57/2001 , l’obbligazione relativa alle spese processuali nel processo penale deve essere considerata non come obbligazione civile, ma vera e propria sanzione economica accessoria alla pena. Tale assunto è stato raccolto e ulteriormente ribadito anche dalla Corte di legittimità e da ultimo con la decisione delle Sez. U., numero 491 del 2011, Pislor. Orbene, è del tutto evidente che non possono assumere la predetta natura le spese processuali eventualmente poste a carico del terzo interessato nel procedimento di prevenzione, tenuto conto che tale procedimento non può mai comportare l'irrogazione di una pena, non essendo in alcun modo paragonabile ad essa né la misura di prevenzione personale pur essendo connotata da un contenuto limitativo della libertà personale , né la misura di prevenzione patrimoniale alla cui applicazione è finalizzato il procedimento di prevenzione. Del resto - come è stato affermato in più occasioni - il terzo che interviene nel procedimento di prevenzione laddove venga in esame l'applicazione di una misura patrimoniale, sia che intervenga volontariamente, sia che partecipi iussu iudicis, non è destinatario della misura di prevenzione, ma portatore nel procedimento di prevenzione di un mero interesse di natura civilistica da ultimo Sez. 2, numero 27037 del 27/03/2012 - dep. 10/07/2012, Bini, rv. 253404 . È nota, altresì, la differenza strutturale tra il fatto reato oggetto del processo penale, cui consegue una pronuncia di condanna e l'irrogazione di una pena o di una misura di sicurezza, e la fattispecie astratta delle misure di prevenzione, funzionali alla tutela della sicurezza pubblica, che non sono connesse a responsabilità penali del soggetto, non si fondano sulla colpevolezza, né hanno carattere sanzionatorio di doveri giuridici, ma sono collegate ad un complesso di comportamenti integranti una condotta di vita” che il legislatore assume come indice di pericolosità sociale. La distanza dal paradigma sanzionatorio del procedimento di prevenzione è stata sottolineata anche rammentando come la Corte di Strasburgo 6/11/1980, Guzzardi 22/2/1994, Raimondo 6/4/2000, Labita , nell'affrontare la questione della qualificazione delle misure di prevenzione previste dal nostro ordinamento, recependo la c.d. concezione autonomistica dell'illecito penale, le abbia ritenute estranee all'area della materia penale” escludendole addirittura, almeno in astratto, dal novero delle misure privative della libertà personale di cui all'art. 5 della Convenzione EDU e qualificandole come semplici restrizioni alla libertà di circolazione di cui all'art. 2 del protocollo numero 4 della Convenzione Sez. U, numero 10281 del 25/10/2007 - dep. 06/03/2008, Gallo, rv. 238657 . D'altro canto - come è stato evidenziato nell'ordinanza impugnata - la modifica della disciplina della remissione del debito, prima prevista dall'abrogato art. 56 Ord. Penumero , secondo l'art. 6 del T.U. sulle spese di giustizia non è connotata da elementi tali da aver inciso sulla natura e sulla ratio dell'istituto che, al contrario, mantiene le sue caratteristiche premiali ancorate alla condotta ed alle disagiate condizioni economiche del soggetto a carico del quale le spese sono poste in quanto condannato nell'ambito del processo penale. Invero, il legislatore ha trasfuso nel contesto della disciplina delle spese di giustizia l'istituto della remissione del debito, apportandovi le modifiche rese necessarie dagli interventi della Corte costituzionale numero 342/91 che aveva dichiarato illegittimo l'art. 56 Ord. Penumero nella parte in cui non prevedeva che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, potessero essere rimesse le spese del procedimento al condannato che avesse serbato in libertà una regolare condotta e versasse in disagiate condizioni economiche. È stato, infatti, evidenziato in dottrina come la nuova collocazione confermi che la remissione del debito rappresenta un beneficio di natura economica che mira ad estinguere il debito del condannato per spese di mantenimento e processuali rappresenta, cioè una forma di rinuncia abdicativa da parte dello Stato ad un proprio credito diretta ad agevolare il reinserimento del soggetto nel momento più delicato della dimissione, attenuando le difficoltà che il soggetto può incontrare nel periodo successivo alla espiazione della pena ed evitando che coloro che abbiano espiato la pena ed abbiano dimostrato di avere positivamente compiuto un processo di responsabilizzazione e di acquisizione delle regole minime di convivenza civile si vedano poi ostacolati proprio nel momento del reinserimento a causa dei debiti residui nei confronti dello Stato costituiti da spese processuali e di mantenimento in carcere. Tali finalità dell'istituto non possono ritenersi snaturate in ragione della circostanza che nella formulazione rinnovata rispetto all'art. 56 Ord. Penumero , l'art. 6 del più volte citato d.P.R. faccia riferimento a d'interessato” e non al condannato”. Anche l'attuale lettera della norma, per vero, non può che condurre alla individuazione dei destinatari del beneficio in coloro che siano stati condannati nel processo penale, posto che al comma 2 viene fatto riferimento a chi è stato detenuto o internato” e al comma 1 a chi non è stato detenuto o internato”, ossia a soggetti comunque condannati in un processo penale. Non è, quindi, venuto meno il presupposto dell'istituto nella sussistenza di indici di ravvedimento del condannato, ancorché riferibile - in conformità con la pronuncia della Corte cost. numero 342/1991 - anche ai soggetti che non hanno espiato la pena o non la hanno espiata in carcere. Né può assumere rilievo - come vorrebbe la ricorrente - un generico riferimento ai soggetti condannati al pagamento delle spese anche a prescindere dalla condanna a sanzione penale, non potendosi in tal caso spiegare la limitazione del beneficio al processo penale di cui, anche dal punto di vista sistematico della norma nell'ambito del T.U. sulle spese di giustizia, non è dato dubitare. Per quel che riguarda specificamente l'applicabilità dell'istituto della remissione del debito al procedimento di prevenzione, deve poi evidenziarsi che sotto il profilo processuale tale procedimento non può farsi rientrare nel processo penale in senso stretto, trattandosi, come è noto, di procedimento che ha nel tempo acquisito natura giurisdizionale con caratteristiche e disciplina proprie, al quale sono applicabili alcune norme del procedimento di esecuzione penale, art. 666 cod. proc. penumero , ed altre disposizioni del codice di rito in conseguenza di espresso rinvio a dette norme. Tanto è confermato, del resto, anche dalla novella disciplina del d.lgs. numero 159 del 2011. Non può, quindi, ritenersi argomento utile - come, invece, afferma il Procuratore generale nella sua requisitoria scritta - al fine di sostenere l'applicabilità della remissione del debito ai soggetti coinvolti nel procedimento di prevenzione, la disposizione dell'art. 204 del d.P.R. citato. Tale norma, contenuta nella parte VII relativa alla riscossione”, titolo I, capo II, nell'ambito dei principi dettati per il processo penale, prevede specificamente che nel processo di prevenzione si proceda al recupero delle spese solo in caso di condanna alle spese da parte della Corte di cassazione. Dall'inserimento sotto il capo principi per il processo penale”, in tema di riscossione, di una disciplina eccezionale della materia delle spese per il procedimento di prevenzione nei sensi indicati al pari di quella prevista per il procedimento di sorveglianza e di esecuzione non può desumersi l'applicazione della remissione del debito alle spese relative al procedimento di prevenzione. Al contrario, la norma richiamata conferma come il procedimento di prevenzione si caratterizzi in maniera peculiare anche per quel che riguarda le spese processuali rispetto al processo penale cui esclusivamente si riferisce la disciplina dell'art. 6 contenuto nel titolo II della parte I del d.P.R. numero 115 del 2002. Peraltro, posto che dal citato art. 204 discende che al procedimento di prevenzione non consegue ne può conseguire, fatto salvo per il giudizio di cassazione, la condanna alle spese processuali, né nei confronti del proposto, né dei terzi interessati, a maggior ragione, dal procedimento di prevenzione non può derivare quella sanzione economica accessoria alia pena suscettibile di remissione attraverso l'istituto della remissione del debito di cui all'art. 6 del d.P.R. numero 115 del 2002. Né, all'evidenza, la ratio e la natura della remissione del debito, di cui si è detto sin qui, possono essere piegate a finalità del tutto estranee all'istituto quale rimedio ad una eventuale errata pronuncia in ordine alla condanna alle spese processuali. Tale pronuncia, all'evidenzia estranea all'esame di cui è investita la Corte in questa sede, può essere impugnata attraverso i mezzi propri previsti dall'ordinamento sia in sede penale che in sede civile ed è opportuno, in specie, ricordare che le Sezioni Unite numero 15 del 31/05/2000, Radulovic numero 7945 del 31/01/2008, Boccia hanno ritenuto ammissibile la procedura della correzione dell'errore materiale, ex art. 130 cod. proc. penumero , sottolineando come la correzione in punto di condanna alle spese incida non sul contenuto intrinseco della pronuncia relativa al thema decidendum, ma semplicemente su una pronuncia consequenziale ed accessoria alla prima e non implicante alcuna discrezione valutativa da parte del giudice pertanto, la correzione dell'errore materiale in tal caso non si pone come inammissibile rimedio ad un vizio della volontà del giudice o ad un suo errore di giudizio, ma è soltanto lo strumento per eliminare la disarmonia tra la manifestazione esteriore costituita dal documento-sentenza e quanto poteva e doveva essere statuito ex legre. Ogni questione, poi, sull'ammontare delle spese processuali deve essere fatta valere attraverso i mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento in sede civile Sez. U., numero 491 del 2011, Pislor, rv. 251265 . Resta, pertanto, solo da rilevare che, tenuto conto del contenuto del provvedimento impugnato sintetizzato in premessa, il dedotto vizio di motivazione risulta manifestamente infondato e che, stante la specifica posizione del terzo nei sensi già richiamati, si palesa, altresì, l'infondatezza della violazione dell'art. 3 Cost. denunciata dalla ricorrente, dovendosi, peraltro, ribadire che la pronuncia Cotte cost. numero 342/1991 aveva rilevato la illegittimità dell'abrogato art. 56 Ord. Penumero facendo, comunque, esclusivo riferimento ai soggetti condannati” che dovevano essere ugualmente legittimati a chiedere la remissione del debito, sia che avessero sofferto la detenzione, sia che avessero diversamente espiato la pena o non l'avessero affatto espiata. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.