Curriculum ‘gonfiato’ e reso più ricco: condannato

Fatale la candidatura inviata da un uomo a un Comune, nell’ottica della costituzione di un collegio di esperti. Il bluff, relativo alle precedenti esperienze lavorative, viene subito scoperto, ed è sanzionabile alla luce della norma sulle false dichiarazioni sulle proprie qualità personali.

Domandone da un milione di euro come preparare il proprio curriculum vitae per renderlo efficace e, passateci il termine, ‘competitivo’? Di risposte ne troverete a migliaia – basta una ‘navigata’ online per rendersene conto –, ma su un punto non vi possono essere dubbi, incertezze, differenze di opinioni mai bluffare! Perché si rischia una condanna Cassazione, sentenza n. 26600, Quinta sezione Penale, depositata oggi . Esperto offresi A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è il progetto di un Comune meridionale per la formazione di un Collegio di esperti, denominato Nucleo di valutazione . Come facilmente immaginabile, le candidature sono una vera e propria valanga, e corposo è il lavoro di scrematura. Ma è un curriculum vitae, in particolare, a richiamare l’attenzione Per quale ragione? Perché esso si rivela essere un bluff. Difatti, le precedenti esperienze professionali messe ‘nero su bianco’ – responsabile della gestione valutazione del personale di una società, caporedattore e responsabile del personale per una emittente televisiva, ancora redattore con funzioni di coordinamento e valutazione redazionale per una seconda emittente televisiva – sono fittizie. Bluff scoperto, quindi, e che, per giunta, viene sanzionato in maniera dura difatti, l’uomo, che ha presentato il curriculum ‘tarocco’, è condannato, sia in primo che in secondo grado, per il delitto di false dichiarazioni sulle proprie qualità personali . Veritas . E questa linea di pensiero viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali, respingendo le rimostranze manifestate dal legale dell’uomo, confermano la condanna, sottolineando che per qualità personali si deve intendere ogni attributo che serva a distinguere un individuo nella personalità economica o professionale . All’interno di questo quadro, è evidente, una qualifica professionale, ovvero l’effettivo esercizio di un’attività lavorativa, rientrano nel novero delle qualità personali da dichiarare nella loro reale consistenza . Tale visione calza a pennello, ad avviso dei giudici, alla vicenda in esame, perché l’allegazione, ad una domanda rivolta ad un ente pubblico, di un curriculum vitae contenente false dichiarazioni circa proprie esperienze lavorative vale ad integrare gli estremi oggettivi del mendacio , richiesto dalla norma del Codice Penale. E, viene aggiunto, non è rilevante la mancata sottoscrizione del curriculum , richiamata dall’uomo a propria difesa, per la semplice ragione che la sottoscrizione in calce alla domanda presentata al Comune vale a rendere proprie del candidato anche le allegazioni riguardanti le pregresse esperienze lavorative, sia pur indicate in diverso foglio .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 aprile - 18 giugno 2013, n. 26600 Presidente Grassi – Relatore Sabeone Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza del 6 luglio 2011, ha confermato, per quanto d’interesse dei presente giudizio, la sentenza del Tribunale di Napoli del 15 maggio 2008 con la quale D.L. era stato condannato per il delitto di false dichiarazioni sulle proprie qualità personali articolo 496 cod.pen. . Il fatto consisteva nell’aver falsamente dichiarato nel proprio curriculum vitae, allegato ad una domanda inviata al Comune di Arzano per la costituzione di un Collegio di esperti denominato Nucleo di Valutazione, di essere stato responsabile della gestione e valutazione del personale della s.r.l. Formedia sud dal 1993 al 2005, di essere caporedattore e responsabile del personale della Napoli TV dal 1992 al 2001 e di essere redattore con funzioni di coordinamento e valutazione redazionale presso TV Telelibera 63 dal 1987 al 1999. L’imputato, di converso, era stato prosciolto, in uno con il Sindaco di Arzano del pari imputato, dagli ulteriori reati di concorso in abuso di ufficio articolo 323 cod.pen. e truffa aggravata articolo 640, primo secondo comma cod.pen. . 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando, da un lato, una violazione di legge, a cagione della mancanza di sottoscrizione del curriculum vitae allegato alla domanda inviata al Comune e quindi dell’impossibilità ontologica di ravvisare una violazione degli articoli 46 e 47 del D.P.R. 445/2000 idonea a determinare l’esistenza del contestato reato di cui all’articolo 496 cod.pen. nonché, d’altra parte, una motivazione illogica in merito all’interpretazione dell’espressione gestione e valutazione del personale” ritenuta non veritiera e, infine, alla esatta individuazione delle attività giornalistiche ritenute non effettivamente svolte Considerato in diritto 1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 2. Per qualità personali, ai fini del delitto di cui all’articolo 496 cod. pen., devesi intendere ogni attributo che serva a distinguere un individuo nella personalità economica o professionale e che possa avere interesse per l’autorità interrogante v. Cass. Sez. V 26 maggio 1983 n. 7783 e Sez. V 5 novembre 1985 n. 308 . Una qualifica professionale ovvero l’effettivo esercizio di un’attività lavorativa rientrano, pertanto, nel novero delle suddette qualità da dichiarare nella loro reale consistenza ai fini e per gli effetti del precetto penale di cui all’articolo 496 cod.pen. Del tutto fuori luogo è, nella specie, qualsiasi discorso in merito alle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 del D.P.R. 445/2000 posto che nella fattispecie l’imputato non aveva redatto, nelle forme di cui, all’articolo 38 della citata normativa, alcuna dichiarazione autocertificatoria. L’allegazione, ad una domanda rivolta ad un Ente pubblico, di un curriculum vitae contenente false dichiarazioni circa le proprie esperienze lavorative vale, quindi, ad integrare gli estremi oggettivi del mendacio richiesto dalla norma contestata e applicata. A ciò si aggiunga come del pari fuor di luogo è il discorso circa la mancata sottoscrizione del curriculum falso, in quanto la sottoscrizione in calce alla domanda presentata al Comune vale a rendere proprie dell’istante anche le allegazioni riguardanti le pregresse esperienze lavorative, sia pur indicate in diverso foglio. 3. Quanto alle contestazioni circa la illogicità della motivazione in merito all’esatta qualificazione delle mansioni espletate e alla loro corrispondenza a quanto indicato nel curriculum vitae giova premettere, in punto di diritto, come ribadito costantemente da questa Corte v. a partire da Sez. VI 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. V 6 ottobre 2009 n. 44914 , pur dopo la nuova formulazione del suddetto articolo 606 cod.proc.pen., lett. e , novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, che il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia a sia effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata b non sia manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica c non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute d non risulti logicamente incompatibile” con altri atti del processo” indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal Giudice per giungere alla decisione. Nella specie, questa volta in fatto, nell’impugnata sentenza si da logicamente conto della non corrispondenza tra le mansioni esercitate dal ricorrente e quanto evidenziato nel curriculum vitae, con particolare riferimento alla gestione e valutazione del personale” nonché alle funzioni di caporedattore responsabile del personale” della redazione giornalistica di un’emittente radiotelevisiva. Assorbenti sono state le stesse dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di esame dibattimentale in prime cure e fatte proprie anche dal Giudice dell’impugnazione secondo le quali, quanto alle prime, non vi era alcun personale da gestire e quanto alle seconde di non essere mai stato alla dipendenze dell’emittente giornalistica v. pagine 10 e 11 della sentenza di primo grado e pagine 3 e 4 della sentenza della Corte di Appello . Quando, poi, ci si trovi dinanzi a una doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia in primo e in secondo grado di eguale segno vuoi di condanna, vuoi di assoluzione , l’eventuale vizio, di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità, ex articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e , solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti con specifica deduzione che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado v. Cass. Sez. IV 10 febbraio 2009 n. 20395 . Nella specie è stato esaminato il medesimo materiale probatorio e il Giudice dell’impugnazione è pervenuto alle medesime conclusioni di quello di prime cure. 4. Dal rigetto del ricorso deriva, in definitiva, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.