Le tasse vanno pagate anche se non si riscuote il denaro

Ai fini fiscali, la percezione del reddito, da parte del professionista, matura nel momento in cui il soggetto che riceve il compenso acquisisce la disponibilità delle somme, essendo ininfluente l’eventuale diverso momento in cui queste sono perse da parte di chi effettua il pagamento.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24533, depositata il 5 giugno 2013, in relazione a un ricorso contro l’accoglimento, da parte del Tribunale, di una richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo per equivalente di beni mobili e immobili. Omessa dichiarazione del compenso professionale. Il sequestro era finalizzato alla confisca obbligatoria del profitto del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante artifici. L’omessa dichiarazione dei redditi riguardava il compenso dell’indagato, un Trustee amministratore fiduciario , per l’attività di consulenza stragiudiziale svolta relativamente al Trust stesso. L’indagato, nell’anno d’imposta, si era limitato a gestire il patrimonio separato rappresentato dal Trust, senza attingervi per la riscossione del proprio credito professionale, nonostante fosse stata disposta la liquidazione finale dei beneficiari del Trust, che avrebbe esaurito, così, la propria attività. Disponibilità materiale del compenso. Secondo il Tribunale, non si può ipotizzare un obbligo di dichiarare al fisco redditi non ancora entrati nella disponibilità materiale, seppure in forza di una scelta personale. Infatti, il Trustee non aveva ancora trasferito il compenso sul proprio conto corrente, e non essendoci alcuna norma che imponga di riscuoterlo, il giudice di merito ha escluso che ciò integrasse il fumus del reato. La Suprema Corte, però, ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero, ritenendo questione di diritto stabilire il momento in cui sorge il presupposto dell’imposizione tributaria per il professionista, con i conseguenti risvolti di natura penalistica in ordine alla individuazione degli elementi attivi da indicare nelle dichiarazioni annuali e quindi alla commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante artifici. Principio di cassa. I giudici di legittimità hanno ricordato che i compensi vanno sottoposti a tassazione in relazione all’anno in cui sono stati percepiti. e che vanno dichiarati secondo il principio di cassa”. Tale principio vuole l’imputazione a periodo dei compensi con riferimento al momento in cui il professionista consegue la disponibilità delle somme. Quindi, data l’inutilità del mantenimento della somma sul conto del Trust, ormai estinto, e, soprattutto, vista la piena disponibilità della stessa, in ogni momento, da parte dell’indagato posizione incompatibile con i poteri del creditore , questi era da considerare già titolare del denaro. Certezza dell’imposizione tributaria. Infine, gli Ermellini ammoniscono che, diversamente, dipenderebbe dal mero arbitrio del contribuente il momento in cui far scattare il presupposto dell’obbligazione tributaria.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 marzo - 5 giugno 2013, n. 24533 Presidente Teresi – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1 - Il Tribunale di Verbania con ordinanza 11.10.2012 ha accolto la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo per equivalente di mobili e immobili nella disponibilità dell'indagato S.F. sino a concorrenza dell'importo di Euro. 853.609,00, sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria del profitto del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante artifici art. 3 D. Lvo n. 74/2000 in relazione alla omessa dichiarazione nell'anno di imposta 2009 di redditi per un ammontare effettivo di Euro 1.354.935,94 a titolo di compenso professionale quale amministratore fiduciario del St James Trust . Per quanto interessa, secondo il Tribunale, l'indagato negli anni 2009-2010 non era venuto ancora in possesso del reddito da compenso professionale, limitandosi a gestire, quale Trustee amministratore fiduciario il patrimonio separato rappresentato dal Trust, provvedendo ad adempimenti fiscali e al compenso dei professionisti, senza attingervi per la riscossione del proprio credito professionale secondo il Tribunale, nessuna norma imponeva di riscuotere il compenso, per cui l'omissione di una tale riscossione non integrava il fumus del reato e quindi non si poteva ipotizzare un obbligo di dichiarare al fisco redditi non ancora entrati nella sua disponibilità sia pure in forza di una sua scelta, così come vale per qualunque altro mandatario autorizzato ad operare su un conto e a prelevare da esso il suo compenso. Sempre secondo il Tribunale, il fatto che l'indagato fosse autorizzato a prelevare l'intero saldo residuo dal conto non valeva snaturare il credito che era di natura professionale e ciò a differenza di quei redditi che si provi esser entrati nel patrimonio del Trustee, sia pure attraverso l'interposizione di un terzo soggetto sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ha escluso il fumus delicti. 2. Per l'annullamento del provvedimento, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell'art. 54 TUIR rimproverando - in sintesi - al Tribunale di avere erroneamente applicato la norma sul presupposto - altrettanto errato - che nell'anno 2009 esisteva una gestione patrimoniale separata rispetto al patrimonio dell'indagato e che occorreva, per la sussistenza del fumus, un atto di prelievo del compenso. Ritiene che, dopo la avvenuta liquidazione dei beneficiari G.M. , G.S. e B.S. , il residuo del Trust si identifica esclusivamente col patrimonio personale dell'indagato perché il Trust non esisteva più e sarebbe stato mantenuto con l'intento fraudolento di evitare controlli di natura fiscale in capo all'indagato. Evidenzia poi la costituzione di una apposita società, la Parest srl, allo scopo di mantenere occultata la predetta somma e di reimpiegarla in Italia precisando che sul conto riconducibile a detta società, costituita con capitale sociale di Euro. 10.000, egli aveva provveduto a bonificare in tre distinte tranches le sue disponibilità. Rimprovera dunque l'errore di interpretazione del concetto di reddito, un vizio logico che porterebbe a legittimare le condotte più callide. Secondo la tesi del ricorrente, non è necessario ai fini della percezione del compenso, il formale trasferimento della somma sul c.c. dell'indagato i residui contenuti patrimoniali del Trust andavano imputati a colui che ne disponeva di fatto, cioè all'indagato. Il S. in data 11 3.2013 ha depositato una memoria con cui deduce l'inammissibilità del ricorso proposto per motivi non consentiti in quanto contenente censure di merito e comunque l'infondatezza. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Contrariamente a quanto eccepito nella memoria difensiva, il ricorso del Pubblico Ministero non si risolve in una riproposizione di mere questioni di fatto, ma pone una precisa questione di diritto La Corte infatti è chiamata a stabilire quale sia il momento in cui sorge il presupposto dell'imposizione tributaria per il professionista, cioè il momento in cui matura, ai fini fiscali, la percezione del reddito da parte del professionista, con i conseguenti risvolti di natura penalistica in ordine alla individuazione degli elementi attivi da indicare nelle dichiarazioni annuali e quindi alla commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante artifici art. 3 D. Lvo n. 74/2000 . In base al comma 1 dell'art. 54, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi dell'art. 54. La lettera della norma è chiara e non ammette interpretazioni diverse da quella secondo la quale i compensi vanno sottoposti a tassazione in relazione all'anno in cui sono stati percepiti. I redditi da lavoro autonomo, anche se assoggettati a ritenuta d'acconto, vanno dunque dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8626 del 2011 . Il criterio di cassa vuole l'imputazione a periodo dei compensi con riferimento al momento in cui il professionista consegue la disponibilità delle somme mentre in caso di pagamenti in contanti la disponibilità si ha al momento della percezione del denaro, in presenza di assegni bancari o circolari il momento rilevante è quello della loro consegna al ricevente. Allo stesso modo, per i bonifici bancari, considerato anche che l'esercente l'arte o professione non può conoscere il momento in cui il cliente ha dato l'ordine di effettuare il bonifico, si è attribuito rilievo al momento in cui la somma risulta posta a disposizione del professionista sulla base della c.d. data disponibile che emerge dalla documentazione bancaria in suo possesso. Dunque, per l'imputazione dei componenti positivi conta il momento in cui il professionista che riceve il compenso acquisisce la disponibilità delle somme, mentre appare ininfluente l'eventuale diverso momento in cui la stessa viene persa da parte di chi effettua i pagamenti. Questi criteri interpretativi di carattere generale risultano ribaditi anche in circolari della Agenzia delle Entrate cfr. ad. es. la n. 38/E del 23.6.2010 . L'altra eccezione sollevata dalla difesa del S. nella memoria difensiva - secondo cui il Trust non avrebbe esaurito la sua attività con la liquidazione dei beneficiari - è priva di fondamento perché ciò che si contesta è il mantenimento della struttura per ben due anni mentre le argomentazioni addotte si basano su adempimenti fiscali e pagamento di compensi ai professionisti, mere attività burocratiche ed accessorie. Ciò posto, e facendo applicazione del principio di cassa , è evidente che nel caso di specie la disponibilità materiale del compenso professionale da parte dell'indagato per l'attività di consulenza stragiudiziale svolta, pari a Euro 1.354.935,94, esisteva di fatto sin da quando era stata disposta la liquidazione finale dei beneficiari del Trust 28.12.2009, epoca bonifico in favore dell'ultimo dei beneficiari, B.S. con il mantenimento unicamente di detto importo di Euro. 1.354.935,94 sul cc OMISSIS presso la Unicredit Italia Private Banking, senza che ormai ve ne fosse più alcuna ragione giustificatrice, e potendone il S. in ogni momento disporre liberamente. Del resto, il S. nel 2011, per sua libera scelta, costituì la Parest srl, su cui ritenne di far confluire la somma tra il giugno 2011 e il marzo 2012. Il Tribunale di Verbania invece, ha tralasciato di considerare il dato essenziale della inutilità del mantenimento della somma sul conto del Trust e, soprattutto, della piena disponibilità della stessa in ogni momento da parte dell'indagato disponibilità di cui pure aveva dato atto in motivazione a pagg. 5 e 7 . E, partendo dall'inesistenza di un obbligo giuridico alla riscossione del compenso, ha quindi ritenuto che per effetto della permanenza della somma unica sul conto del Trust ormai di fatto estinto, il S. non ne fosse venuto ancora in possesso, rimanendone solo un creditore , quando invece, proprio per la massima libertà di incasso e gestione della somma - poteri incompatibili con quelli di chi è solo creditore - ne era di fatto già il titolare. Il ragionamento formalistico del Tribunale, peraltro, porterebbe illogicamente a far dipendere dal mero arbitrio del contribuente il momento in cui far scattare il presupposto dell'obbligazione tributaria, come esattamente rilevato dal ricorrente nella parte conclusiva del ricorso. Da quanto esposto, risulta violato di fatto il principio della disponibilità di cassa a cui invece è ispirato l'art. 54 T.U.I.R., principio che pure il giudice di merito ha richiamato pag. 8 . Infine, la questione circa la avvenuta dichiarazione degli importi percepiti dal St. James Trust nel 2011 e 2012 - pure sollevata nei terzo punto della memoria difensiva - esula dal procedimento perché si controverte dell'obbligazione tributaria della persona fisica per compensi percepiti ai 29.12.2009. Si impone pertanto l'annullamento con rinvio al giudice a quo per un nuovo esame. P.Q.M. annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Verbania.