Sequestro di attrezzature sanitarie, ma non c’è il periculum!

L’ordinanza che dispone il sequestro preventivo deve indicare le ragioni a sostegno della ritenuta sussistenza di un concreto o attuale pericolo di ulteriore pregiudizio per il bene tutelato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 16213 depositata il 9 aprile 2013. Il caso. Due strutture sanitarie ricorrevano in Cassazione avverso l’ordinanza del GIP di Roma che aveva sequestrato in via preventiva la strumentazione medica presente in una struttura. Il provvedimento era poi confermato dal Tribunale del Riesame e quindi impugnato in Cassazione. L’accusa mossa ai responsabili della struttura sanitaria e quindi a sostegno del sequestro preventivo era quella di avere aperto e mantenuto in esercizio una struttura sanitaria complessa senza la necessaria autorizzazione regionale ad operare in quella sede. In particolare il reato sarebbe stato ritenuto integrato perché l’indagata, già in possesso dell’autorizzazione alla realizzazione della struttura sanitaria e all’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria nella vecchia sede, aveva operato il trasferimento in altra sede senza l’autorizzazione al trasferimento. Normativa speciale . L’ampia e dettagliata disamina svolta dai giudici circa la normativa speciale consente – in estrema sintesi – di evidenziare una distinzione tra a autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie e b autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie. L’ordinanza impugnata, secondo la Corte, non dà modo di comprendere esattamente quale sia l’autorizzazione ritenuta mancante e posta a fondamento dell’imputazione provvisoria. Misura cautelare priva dei requisiti . I ricorrenti denunciavano, tra l’altro, violazione di legge in ordine ai requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora . Si tratta dei due elementi da cui la misura cautelare reale non può trascendere. Una condizione certamente difettava Secondo la Corte non risultava provata la sussistenza del periculum in mora , quindi non vi erano le condizioni per mantenere in vita la misura cautelare reale. In altre parole, il provvedimento che disponeva il vincolo sui beni dell’indagata non evidenziava quale sarebbe stato il pericolo di aggravamento o continuazione del reato che la libera disponibilità della cosa avrebbe consentito. Giudicato il sequestro preventivo claudicante rispetto a uno dei due requisiti, la censura relativa alla mancanza di fumus boni iuris non si rendeva necessaria.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 gennaio - 9 aprile 2013, n. 16213 Presidente Squassoni – Relatore Franco Svolgimento del processo Con decreto 21.3.2012, il Gip del tribunale di Roma dispose il sequestro preventivo di tutta la strumentazione medica presente nella struttura di via OMISSIS presso lo Studio Polispecialistico Nomentano Due srl, in relazione al reato di cui all'art. 193 r.d. n. 1265/1934 ascritto alla legale rappresentante P.G. , per avere aperto e mantenuto in esercizio una struttura sanitaria complessa senza la necessaria autorizzazione regionale ad operare in quella sede. Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame rigettò le istanze di riesame avanzate dalla s.r.l. Studio Polispecialistico Nomentano Due e dalla s.r.l. Vignola Medica. In sintesi, il tribunale del riesame osservò - che nella specie la ricorrente non era ancora in possesso della autorizzazione regionale all'esercizio della attività - che questa autorizzazione regionale all'esercizio è necessaria anche in caso di trasferimento all'interno della stessa azienda sanitaria - che non si trattava di un atto dovuto, essendo richiesta una nuova valutazione - che il procedimento di rilascio della autorizzazione regionale non si era ancora concluso - che era irrilevante la circostanza che la strumentazione medica sequestrata fosse di proprietà della srl Vignola, terza estranea al reato, in quanto esisteva un rapporto di pertinenzialità con il reato ipotizzato ed il sequestro mirava ad evitare la prosecuzione della attività illecita e ad aggravare le conseguenze del reato. La s.r.l. Vignola Medica, a mezzo degli avv.ti Vincenzo M. Siniscalchi e Gianluigi Abbruzzese, propone ricorso per cassazione deducendo 1 carenza assoluta di motivazione e violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. con riferimento ai requisiti della sussistenza del fumus boni iuris con riferimento alla soc. Vignola Medica, sebbene questa avesse dedotto appunto la assoluta mancanza di motivazione con riferimento alla necessità di giustificare l'imposizione del vincolo su beni di soggetto terzo. Stante il difetto assoluto di motivazione sul punto nel decreto del Gip ed anche nella richiesta del PM, il tribunale del riesame non aveva il potere di colmare la lacuna 2 motivazione meramente apparente e violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. con riferimento ai requisiti relativi al periculum in mora . Lamenta assoluta mancanza di motivazione con riferimento ai beni della soc. Vignola Medica essendosi il tribunale del riesame limitato ad affermare la astratta sequestrabilità. In particolare il tribunale ha omesso di valutare la concreta possibilità che la libera disponibilità del bene assuma carattere strumentale rispetto alla agevolazione di altri reati della stessa specie. Il tribunale ha infatti omesso di valutare che il procedimento amministrativo è stato completato, che la srl Vignola possiede tutti i requisiti strutturali, funzionali e igienico sanitari richiesti, e che sono stati espletati tutti gli adempimenti richiesti. La s.r.l. Studio Polispecialistico Nomentano Due, a mezzo degli avv.ti Vincenzo M. Siniscalchi e Gianluigi Abbruzzese, propone ricorso per cassazione deducendo 1 motivazione meramente apparente e violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 4 e 7 del regolamento reg. n. 2/2007, norma extrapenale di cui si deve tener conto nella applicazione dell'art. 193 r.d. n. 1265 del 1934, e dell'art. 321 cod. proc. pen. con riferimento alla sussistenza del fumus boni iuris . Lamenta che il tribunale del riesame ha dato una valuta-zione della legge reg. 4/2003 e del reg. reg. 2/2007 che non corrisponde alla loro portata precettiva, ritenendo che in tema di autorizzazione al trasferimento infraziendale ed infradistrettuale e non di autorizzazione all'esercizio sia necessaria una autorizzazione regionale intesa quale atto discrezionale che compia una valutazione di merito in ordine alla idoneità funzionale, strutturale e igienico-sanitaria di una struttura già autorizzata all'esercizio di attività sanitaria che intende semplicemente trasferirsi in una nuova sede all'interno dello stesso municipio e della stessa ASL di appartenenza. Inoltre, è erronea la tesi del tribunale secondo cui l'autorizzazione al trasferimento infraziendale ed infradistrettuale spetterebbe alla regione e non invece al comune, come si evince dagli artt. 4 e 7 del reg. reg. 2/2007. La potestà valutativa ed autorizzativa con riferimento al trasferimento di strutture già autorizzate spetta esclusivamente al comune. Nella specie le autorizzazioni comunali alla realizzazione del trasferimento sono tutte in atti, da ultimo quella del 6.3.2012, che il tribunale ha omesso di prendere in considerazione. Assolutamente diversa è l'autorizzazione regionale, che non è presa in considerazione né dalla normativa regionale richiamata né tanto meno dalla norma penale contestata, ed il cui rilascio costituisce un mero atto dovuto che consegue al positivo espletamento dell'iter istruttorio compiuto dal municipio e dalla ASL competenti. Pertanto, il tribunale del riesame ha contestato la mancanza di un atto autorizzazione regionale assolutamente non rilevante. 2 mancanza di motivazione e violazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e dell'art. 321 cod. proc. pen. con riferimento alla sussistenza del fumus boni iuris . Lamenta che erroneamente il tribunale del riesame ha attribuito valore probatorio alla sommarie informazioni testimoniali dei Dott. V. e C. , i quali sono indagati per un reato collegato, ossia per omissione di atto di ufficio relativo proprio alla mancata concessione della autorizzazione al trasferimento in questione. Il tribunale ha attribuito a tali dichiarazioni valore fondante della sussistenza del fumus del reato contestato in violazione dell'art. 192, comma 3, che prevede la presunzione di inattendibilità di tali soggetti in assenza di riscontri esterni. 3 carenza assoluta di motivazione e violazione dell'art. 193 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, e 321 cod. proc. pen. circa la interpretazione analogica in malam partem della fattispecie di reato contestata, operata dal PM., che, con il capo di imputazione, ha contestato la mancanza di autorizzazione regionale, equiparando la stessa alla ontologicamente diversa autorizzazione comunale all'esercizio di attività sanitaria. Nella specie si trattava di struttura già autorizzata che chiedeva una mera autorizzazione al trasferimento infraziendale, e non di richiesta ex novo di autorizzazione. L'art. 193 punisce lo svolgimento di attività sanitaria senza la speciale autorizzazione del prefetto, ora sostituita dalla autorizzazione del sindaco. Il PM ha invece contestato la mancanza di autorizzazione regionale. La normativa extrapenale, cui rinvia l'art. 193 cit., prevede diverse fattispecie regolate dalla legge regionale, con diversi iter procedimentali. L'art. 193 da rilevanza penale esclusivamente alla autorizzazione comunale all'esercizio di attività sanitaria, sicché l'ipotesi formulata dal PM rimane fuori dell'ambito penalistico. Del resto lo stesso testo novellato dell'art. 193 attribuisce l'atto autorizzativo al sindaco e non alla regione. 4 carenza assoluta di motivazione e violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. con riferimento alla mancata lesione del bene giuridico tutelato dall'art. 193 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Lamenta che il tribunale del riesame ha omesso di compiere una valutazione sulla concreta lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato, necessaria tanto più in una fattispecie in cui non c'è un disvalore naturalistico della condotta. Nella specie l'autorizzazione regionale si risolveva in un mero atto dovuto, la cui mancanza non lede minimamente l'oggetto di tutela della norma, in quanto non si ravvisa alcun pericolo per la salute e la incolumità dei cittadini, essendo risultata la struttura conforme a tutti i controlli previsti. L'art. 193 cit. tende appunto a tutelare la salute e l'incolumità dei cittadini nei casi in cui le strutture sanitarie eludano il rilascio della autorizzazione, il cui scopo è quello di consentire l'attività medico specialistica solo alle strutture conformi ai requisiti funzionali, strutturali e igienico sanitari previsti. Di tutti tali requisiti la struttura della ricorrente è in possesso. 5 motivazione meramente apparente e violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, la cui mancanza invece emergeva ictu oculi . Infatti è evidente che l'indagata ha agito quanto meno nella evidente convinzione di esercitare un diritto a lei riconosciuto dalla legge, ponendo in essere tutti gli adempimenti richiesti in maniera assolutamente diligente. Il gravissimo comportamento di inerzia della regione, per due volte diffidata ed i cui funzionari sono stati alla fine denunciati, non può essere fonte di integrazione dello elemento soggettivo del reato. 6 carenza assoluta di motivazione e violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. con riferimento alla sussistenza del periculum in mora . Osserva che nella specie il pericolo è insussistente, emergendo dalla documentazione prodotta che non vi è alcun pregiudizio che il sequestro sia idoneo a prevenire. È infatti evidente che non vi è alcuna possibile prosecuzione del reato, perché l'iter volto al rilascio della autorizzazione al trasferimento della struttura è stato completato e la stessa possiede tutti i requisiti richiesti. Motivi della decisione Nella specie è stato contestato all'indagata il reato di cui al l'art. 193 del r.d. 27 luglio 1934 recante il testo unico delle leggi sanitarie , il quale, nel testo originario, disponeva che comma 1 Nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità” comma 2 L'autorizzazione predetta è concessa dopo che sia stata assicurata la osservanza delle prescrizioni stabilite nella legge di pubblica sicurezza per l'apertura dei locali ove si da alloggio per mercede” comma 3 Il contravventore alla presente disposizione ed alle prescrizioni, che il prefetto ritenga di imporre nell'atto di autorizzazione, è punito con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da lire 1.000.000 a 2.000.000”. L'art. 23 del d.p.R. 10 giugno 1955, n. 854 Decentramento dei servizi dell'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica dispose poi che Il potere del prefètto di concedere la speciale autorizzazione di cui al primo comma dell'art. 193 del t.u. leggi sanitarie, approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, quando si tratti di ambulatori, è attribuito al sindaco, che provvede sentito l'ufficiale sanitario”. Nella specie non è stato contestato che si tratti di una casa o di un istituto di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, o di un gabinetto di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, ovvero di una casa o pensione per gestanti. Si versa quindi, evidentemente, nell'ipotesi di un ambulatorio specialistico medico-chirurgico, che rientra fra quelle strutture mediche, la cui autorizzazione all'apertura o all'esercizio era stata attribuita dal d.p.R. 854/1955 alla competenza del sindaco. In seguito, peraltro, l'art. 43 della legge 13 dicembre 1978, n. 833 ha devoluto alle regioni il compito di disciplinare le autorizzazioni relative alle istituzioni sanitarie di carattere privato trasferendo ad esse il potere autorizzatorio in questione ed ha in particolare decentrato alla unità sanitarie locali le attribuzioni del consiglio provinciale di sanità in materia di controllo dell'idoneità degli esercenti e delle strutture destinate all'esercizio di attività sanitarie. Viene poi soprattutto in rilievo il d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 che all'art. 8 ter aggiunto dall'art. 8, comma 4, del d.lgs. 18 giugno 1999, n. 229 ha stabilito, co 1 comma 1, che La realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie sono subordinate ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla costruzione di nuove strutture, all'adattamento di strutture già esistenti e alla loro diversa utilizzazione, all'ampliamento o alla trasformazione nonché al trasferimento in altra sede di strutture già autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie b strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio ”. Il comma 3 del medesimo articolo poi dispone che Per la realizzazione di strutture sanitarie e socio-sanitarie il comune acquisisce, nell'esercizio delle proprie competenze in materia di autorizzazioni e concessioni di cui all'art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e successive modificazioni [concernente le procedure per il rilascio delle concessioni edilizie], la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione. Tale verifica è effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture”. Il compito della regione, quindi, è quello di effettuare una verifica di compatibilità del progetto in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale. Per il resto, la competenza in ordine al rilascio della autorizzazione per la realizzazione ivi compreso il trasferimento resta del comune. Il comma 2 del medesimo articolo 8 ter riguarda invece l'autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie e dispone che essa è richiesta per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4, nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi”. Il successivo comma 4, poi, dispone che L'esercizio delle attività sanitarie e sociosanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone il possesso dei requisiti minimi, strutturali, tecnologici e organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento ai sensi dell'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, sulla base dei principi e criteri direttivi previsti dall'art. 8. comma 4, del presente decreto”. Il comma 5, infine, prevede che entro la data ivi indicata le regioni determinano a le modalità e i termini per la richiesta e l'eventuale rilascio della autorizzazione alla realizzazione di strutture e della autorizzazione all'esercizio di attività sanitaria e socio-sanitaria, prevedendo la possibilità del riesame dell'istanza, in caso di esito negativo o di prescrizioni contestate dal soggetto richiedente ”. Il principio fondamentale posto dalla norma statale è dunque nel senso che deve distinguersi tra a una autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie e b una autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie. L'autorizzazione alla realizzazione della struttura è rilasciata dal comune ed è richiesta per la costruzione di nuove strutture, l'adattamento di strutture esistenti, la loro diversa utilizzazione, l'ampliamento, la trasformazione nonché il trasferimento in altra sede, qualora si tratti, tra l'altro, di strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio. L'autorizzazione all'esercizio dell'attività è invece richiesta per gli studi medici solo quando siano attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche. Nel caso in esame occorre quindi tenere conto della legislazione della regione Lazio, e in particolare della legge reg. 20 marzo 2003, n. 4, la quale ha recepito pienamente sul punto le previsioni dell'art. 8 ter del d. lgs. n. 502 del 1992. L'art. 1 della detta legge reg. n. 4 del 2003, dichiara che la stessa detta norme in materia di a autorizzazioni alla realizzazione di strutture e all'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie, da parte di soggetti pubblici e privati, previste dall'art. 8 ter del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 ”. L'art. 2, poi, dispone che la regione e effettua la verifica di compatibilità ai fino del rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie e socio-sanitarie, di seguito denominata autorizzazione alla realizzazione d rilascia l'autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie, di seguito denominata autorizzazione all'esercizio”. La legge regionale, dunque, conferma il principio fondamentale già fissato dalla legge statale, secondo cui, per le attività sanitarie e socio-sanitarie, l'autorizzazione all'esercizio è rilasciata dalla regione, mentre, per la realizzazione di strutture sanitarie e socio-sanitarie la regione ha il compito di effettuare la verifica di compatibilità ai fini del rilascio della relativa autorizzazione denominata appunto autorizzazione alla realizzazione”, il cui rilascio quindi continua ad essere di competenza del comune. L'art. 3 della medesima legge regionale, dispone, di conseguenza, che I comuni rilasciano l'autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie e socio-sanitarie ai sensi dell'art. 6”. L'art. 4, poi, sempre riproducendo la norma statale, precisa, al comma 1, che Sono soggette alle autorizzazioni alla realizzazione e all'esercizio a le strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale ivi comprese quelle riabilitative ”. Il comma 2 dispone poi che Sono soggette all'autorizzazione all'esercizio, altresì, le attività di assistenza domiciliare, gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche”. L'art. 6 disciplina quindi la procedura per la autorizzazione alla realizzazione, stabilendo che i soggetti, pubblici e privati, che intendono realizzare, ampliare, trasformare o trasferire una struttura di cui all'art. 4, comma 1, inoltrano al Comune competente per territorio la relativa richiesta di autorizzazione” corredata del progetto. La documentazione è inviata dal comune alla regione che provvede ad effettuare la verifica di compatibilità rispetto al fabbisogno di assistenza. Infine Il Comune, rilascia l'autorizzazione tenuto conto della verifica di compatibilità da parte della Regione” e comunica alla regione il provvedimento di rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione. L'art. 7, quindi, regola la procedura che devono seguire I soggetti, pubblici e privati, che intendono esercitare attività sanitarie e socio-sanitarie”, che siano dotati o meno della autorizzazione alla realizzazione delle strutture. Sono poi dettate le regole per la cessione a terzi dalla autorizzazione all'esercizio, per il trasferimento agli eredi e per la decadenza della autorizzazione art. 9 , le norme sulla vigilanza, sospensione e revoca della autorizzazione all'esercizio art. 11 , nonché le sanzioni amministrative per l'esercizio di attività sanitaria e socio-sanitaria diversa da quella autorizzata e l'esercizio di attività sanitaria in carenza di titolo autorizzatorio da parte di una struttura soggetta ad autorizzazione art. 12 . Va infine ricordato - ma solo perché su di esso si è basata per la gran parte l'ordinanza impugnata - il regolamento regionale 26 gennaio 2007, n. 2 Disposizioni relative alla verifica di compatibilità e al rilascio dell'autorizzazione all'esercizio, in attuazione dell'art. 5, comma 1, lettera b , della legge reg. 3 marzo 2003, n. 4 , il quale, ovviamente, ricalca la disciplina della legge regionale. L'art. 2, lett. c , precisa che si intende per trasferimento, lo spostamento della struttura in altra sede, senza alcun aumento delle attività sanitarie e socio-sanitarie già autorizzate o aggiunta di nuove funzioni sanitarie e socio-sanitarie” l'art. 4 regola la richiesta di rilascio della autorizzazione alla realizzazione l'art. 5 regola la verifica di compatibilità da parte della regione l'art. 7 regola il rilascio della autorizzazione alla realizzazione da parte del comune gli artt. 8 e segg. regolano la procedure per il rilascio della autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie. In conclusione, secondo la legislazione della regione Lazio applicabile nella specie, la quale peraltro recepisce i principi fissati dalla normativa statale, occorre distinguere tra due diversi tipi di autorizzazione a l'autorizzazione alla realizzazione ivi compreso il trasferimento in altra sede della struttura sanitaria che viene rilasciata dal comune b l'autorizzazione all'esercizio della attività sanitaria, che è invece rilasciata dalla regione. Fatta questa generale premessa sulla normativa applicabile e venendo al caso di specie, va subito rilevato che dall'ordinanza impugnata non si comprendere con certezza quale sia la concreta fattispecie in esame, quale la violazione contestata all'indagata P.G. , legale rappresentante della srl Studio Polispecialistico Nomentana 2 e ritenuta integrante il reato di cui all'art. 193 testo unico leggi san., quali le norme applicate, e quale soprattutto l'autorizzazione ritenuta mancante. Si è fatto riferimento all'art. 16, comma 5, del DPR n. 2/2007”, per tale evidentemente intendendosi il regolamento regionale 2/2007 si è fatto specialmente riferimento ad una informativa dei NAS del 25.10.2011 e si sono riprodotte integralmente numerose norme del detto regolamento regionale n. 2 del 2007 fondando in gran parte sulla loro violazione la configurabilità del reato ipotizzato, mentre le norme di un regolamento regionale, alle quali peraltro la norma penale non fa alcun riferimento, non possono ovviamente integrare ipotesi di reato si è fatto soprattutto riferimento ad un trasferimento intraaziendale in una nuova sede, senza autorizzazione, sia dello Studio Polispecialistico Nomentano 2, sia dello Studio Chiropratico srl, e sia della Vignola Medica srl, alla quale peraltro apparterrebbero tutte le attrezzature sequestrate, ma non risulta se sia stato contestato il reato anche ai legali rappresentanti di queste società si è discusso sulla applicabilità del comma 1 bis dell'art. 5 della legge reg. n. 4/2003 comma introdotto dall'art. 1, comma 77, della legge reg. 11.8.2008, n. 14 che riguarda l'esercizio della attività si è immotivatamente esclusa la rilevanza nella specie della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà concernente la permanenza del possesso dei requisiti minimi prevista dall'ari 10 della legge reg. n. 4/2003, ai fini della autorizzazione all'esercizio si è affermato che manca il parere del comune di Roma di compatibilità con il fabbisogno di assistenza, presupposto indefettibile ai fini della autorizzazione al trasferimento”, mentre tale valutazione di compatibilità spetta alla regione e non al comune che invece rilascia l'autorizzazione al trasferimento si è affermato che sarebbe stato arbitrariamente operato il trasferimento di sede senza la preventiva autorizzazione regionale e comunale, mentre per il trasferimento occorre solo l'autorizzazione comunale nel riportare le dichiarazioni della funzionaria regionale responsabile, sembrerebbe che la autorizzazione all'esercizio sia stata sospesa o negata perché mancava l'autorizzazione del comune alla realizzazione, che invece risulta concessa o la cui mancanza comunque non è stata contestata si è affermato che il comune avrebbe rilasciato parere favorevole per quanto di competenza” alla realizzazione del trasferimento, mentre il parere deve essere dato dalla regione e l'autorizzazione al trasferimento viene rilasciata dal comune si è detto che non rilevava la circostanza che il sopralluogo aveva accertato la presenza dei requisiti minimi e la conformità della radiodiagnostica, recupero e rieducazione funzionale, e ciò perché si era in attesa della verifica dei requisiti per l'accreditamento, i quali però rilevano appunto ai fini dell'accreditamento presso il servizio sanitario ma sono del tutto irrilevanti ai fini della autorizzazione al trasferimento e di quella all'esercizio. L'ordinanza impugnata ha riportato fedelmente e scrupolosamente tutto il compendio indiziario sulla cui base si fonda il provvedimento di sequestro preventivo. Resta però che da questo compendio indiziario ed in particolare dalla informativa di reato, dalle riportate dichiarazioni dei funzionari regionali e dalla incerta e poco chiara procedura seguita per come risultano dalla ordinanza impugnata derivano difficoltà ed incertezze in ordine all'effettivo contenuto delle violazioni contestate. Se si tiene conto soltanto delle considerazioni del tribunale del riesame, tralasciando gli altri elementi da questo in premessa richiamati, sembrerebbe che la configurabilità del reato di cui all'art. 193 testo unico leggi san. sia stata ritenuta e la conferma del sequestro preventivo sia stata adottata per la ragione che l'indagata, quale legale rappresentante della srl Studio Nomentano 2, già in possesso della autorizzazione alla realizzazione della struttura sanitaria e della autorizzazione all'esercizio della attività nella vecchia sede, abbia operato il trasferimento in una nuova sede, peraltro sempre nell'ambito della stessa ASL, senza avere ancora ottenuto la necessaria autorizzazione al trasferimento. Si è dianzi rilevato che l'autorizzazione necessaria per il trasferimento in altra sede della struttura è l'autorizzazione comunale prevista dall'art. 8 ter, commi 1 e 3, del d. lgs. 502 del 1992, e dagli artt. 2, 3 e 6 della legge reg. n. 4 del 2003. L'art. 3, comma 3, del d. lgs, n. 502/1992, come rilevato, stabilisce che il comune per la realizzazione e il trasferimento di una struttura sanitaria deve, tra l'altro, verificare proprio gli aspetti edilizi ed urbanistici. I profili relativi alla idoneità e conformità sotto l'aspetto sanitario della struttura sono invece valutati dalla competente autorità sanitaria, ossia dalla ASL. Ora, dall'ordinanza impugnata risulta che il comune ha dato parere positivo il 3.5.2011 ed ha rilasciato autorizzazione alla realizzazione, ossia al trasferimento, il 6.3.2012. Risulta anche che vi era stato il 10.11.2011 accertamento positivo sulla presenza dei requisiti minimi igienico sanitari, comunicato dalla ASL alla ricorrente. Non è chiaro invece se sia preventivamente intervenuta la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione. Nella ordinanza impugnata si dice solo che non risulterebbe il parere del comune di Roma di compatibilità con il fabbisogno di assistenza, ma, come si è visto, la verifica di compatibilità spetta alla regione e non al comune. A questo proposito vanno però fatte anche queste ulteriori considerazioni a la verifica regionale di compatibilità deve essere preventiva al rilascio della autorizzazione comunale al trasferimento. L'ordinanza impugnata afferma che l'autorizzazione comunale è stata rilasciata. In difetto di qualsiasi osservazione sul punto, dovrebbe ritenersi che la verifica di compatibilità vi sia stata, tanto più che l'ordinanza parla di mancato parere di compatibilità del comune che non deve rilasciarlo e non della regione. b è pacifico che si trattava del trasferimento in un'altra sede nell'ambito della stessa ASL e che in precedenza la struttura era dotata di autorizzazione alla realizzazione e quindi anche di una positiva verifica regionale di compatibilità. Ai sensi dell'art. 8 ter, comma 3, del d. lgs. 502/92, la verifica di compatibilità è effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche alfine di meglio garantire l'accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture”. Potrebbe quindi pensarsi che la P.A. abbia ritenuto, in mancanza di elementi contrari o sopravvenuti, che il solo trasferimento intraaziendale non necessitasse della reiterazione esplicita di una valutazione di compatibilità già esistente e già effettuata in relazione ai medesimi parametri di giudizio, e che quindi per questa ragione abbia rilasciato la autorizzazione al trasferimento. c il comma 1 bis dell'ari 5 della legge reg. n. 4/2003 comma introdotto dall'art. 1, comma 77, della legge reg. 11.8.2008, n. 14 , dispone che i titolari delle strutture di cui all'articolo 4, comma 2 ossia, tra l'altro, delle strutture attrezzate per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche” nelle more della verifica del possesso dei requisiti minimi di cui al comma 1, lettera a , del medesimo art. 5 ossia dei requisiti minimi per il rilascio delle autorizzazioni sia alla realizzazione sia all'esercizio sono autorizzati all'esercizio dell'attività sulla base dell'invio alla Regione di atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi di cui allo stesso comma 1, lettera a ”. Nella specie dall'ordinanza impugnata sembra risultare che la struttura sanitaria in questione aveva inviato alla regione l'atto di notorietà sul possesso dei detti requisiti minimi, il che evidentemente può aver determinato anche il rilascio della autorizzazione comunale al trasferimento, oltre ad aver consentito l'esercizio della attività sanitaria. Deve pertanto ritenersi a che l'autorizzazione comunale al trasferimento era stata rilasciata b che l'autorizzazione era regolare sotto il profilo della previa verifica regionale di compatibilità c che comunque non è stata contestata la illegittimità della autorizzazione comunale al trasferimento per mancanza della previa verifica regionale. In ogni caso, quand'anche l'autorizzazione al trasferimento non vi fosse stata o fosse stata ritenuta illegittima, il disposto sequestro preventivo non avrebbe potuto essere confermato in relazione all'ipotesi di reato di cui all'art. 193 testo unico leggi san. per la mancanza di autorizzazione al trasferimento, dal momento che questa ipotesi di reato non è stata contestata. Nella specie risulta infatti contestata soltanto la mancanza della autorizzazione regionale, e non anche la mancanza della autorizzazione comunale occorrente per il trasferimento della struttura. Bisognerebbe però a questo punto chiedersi se sia stata o meno contestata e ritenuta anche la diversa ipotesi di esercizio della attività sanitaria senza la autorizzazione regionale. Non può infatti condividersi la tesi della ricorrente secondo cui l'autorizzazione regionale all'esercizio non sarebbe necessaria anche in caso di trasferimento all'interno della stessa azienda sanitaria e che in tale caso si tratterebbe di atto dovuto. Va però anche considerato che nel particolare caso di specie la srl Studio Polispecialistico Nomentano Due era già in possesso nella vecchia sede della autorizzazione all'esercizio della struttura sanitaria ivi esistente. Poiché, a quanto sembra, sia i soggetti sia le attrezzature sanitarie sono rimaste le stesse, si sarebbero dovuti indicare i validi e ragionevoli motivi che impedivano alla regione il rinnovo della autorizzazione per un tempo che appare spropositato, pur trattandosi di un provvedimento a contenuto sostanzialmente ricognitivo e pur dopo due diffide, un ricorso al TAR ed anche la denuncia dei funzionari responsabili. Va poi considerato che dalla ordinanza impugnata risulta che in data 27.12.2011, ossia ben dopo che la società aveva iniziato il 5.9.2011 a svolgere attività nella nuova sede, la regione avrebbe emanato un provvedimento di sospensione della autorizzazione all'esercizio. L'ordinanza impugnata ha omesso di fare chiarezza su questa circostanza, dal momento che se per il trasferimento in altra sede era necessaria una nuova autorizzazione si sarebbe semmai giustificata una diffida ai sensi dell'art. 11 della legge regionale e dell'art. 16, comma 3, del regolamento regionale e non una sospensione cautelare della autorizzazione all'esercizio ai sensi dell'art. 16, comma 5, del regolamento, che riguarda provvedimenti giudiziari nei confronti del legale rappresentate del soggetto autorizzato” e che presuppone quindi l'esistenza di una autorizzazione in atto. Si sarebbe quindi dovuto spiegare perché si ipotizzava il reato di cui all'art. 193 cit. per la mancanza della autorizzazione regionale all'esercizio in presenza di un provvedimento regionale che invece presupponeva l'esistenza di questa autorizzazione, o per l'avvenuto rilascio di una nuova autorizzazione all'esercizio ovvero per il permanere della validità ed efficacia della precedente autorizzazione. Va anche osservato che, come già ricordato, il comma 1 bis dell'art. 5 della legge reg. n. 4/2003 comma introdotto dall'art. 1, comma 77, della legge reg. 11.8.2008, n. 14 , dispone che i titolari delle strutture di cui all'articolo 4, comma 2, nelle more della verifica del possesso dei requisiti minimi di cui al comma 1, lettera a , del medesimo art. 5 ossia dei requisiti minimi per il rilascio delle autorizzazioni sia alla realizzazione sia all'esercizio sono autorizzati all'esercizio dell'attività sulla base dell'invio alla Regione di atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi di cui allo stesso comma 1, lettera a ”. Nella specie sembra dalla ordinanza impugnata che la struttura sanitaria in questione avesse inviato alla regione l'atto di notorietà sul possesso dei detti requisiti minimi, il che determinava che la struttura sanitaria doveva considerarsi autorizzata all'esercizio della attività. L'ordinanza impugnata ha fatto propria la tesi esposta dalla dirigente regionale responsabile, secondo cui il comma 1 bis dell'art. 5 cit. si applicherebbe solo alle persone fisiche e agli studi medici a carattere personale e non alle strutture complesse e organizzate come quella in oggetto. La tesi appare però non condivisibile perché l'art. 1 bis cit. si riferisce espressamente alle strutture” di cui all'art. 4, comma 2, e cioè proprio alle attività di studi medici e sanitari che siano attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche”. Si tratta chiaramente proprio delle strutture sanitarie organizzate e complesse per le quali è richiesta l'autorizzazione alla realizzazione ed al trasferimento. L'ordinanza impugnata ha poi immotivatamente escluso ogni valenza, anche solo ai fini interpretativi, all'art. 10 della legge reg. 4/2003, il quale, in relazione alla verifica periodica dei requisiti minimi per l'autorizzazione all'esercizio, dispone che i soggetti autorizzati all'esercizio inviano alla Regione, con cadenza quinquennale, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà concernente la permanenza del possesso dei requisiti minimi di cui all'art. 5, comma l, lettera a ”, ossia dei requisiti minimi per il rilascio delle autorizzazioni sia alla realizzazione sia all'esercizio. Non è stato invero spiegato dalla ordinanza impugnata perché la società ricorrente, che era già in possesso della autorizzazione all'esercizio, non potesse avvalersi della procedura di cui all'art. 10. Deve inoltre osservarsi che la ricorrente aveva più in generale contestato la stessa configurabilità del reato di cui all'art. 193 cit. in riferimento alla ipotesi di mancanza di autorizzazione all'esercizio della attività sanitaria. Aveva invero lamentato che si era operata una inammissibile applicazione analogica in malam partem alla ipotesi di mancanza della autorizzazione regionale della norma penale relativa invece solo alla diversa ipotesi della mancanza di autorizzazione comunale. Aveva in particolare osservato - che era stata contestata esclusivamente la mancanza della autorizzazione regionale - che l'art. 193 si riferisce invece tassativamente alla ipotesi di mancanza della autorizzazione del prefetto e poi a seguito della modifica legislativa del 1955 del sindaco - che nessuna norma di legge aveva mai esteso successivamente la norma penale anche alla mancanza della autorizzazione regionale - che pertanto l'interpretazione letterale, come richiesto dal principio di tassatività, dell'art. 193 impone di ritenere che esso si riferisce solo alla autorizzazione comunale per la apertura, ossia per la realizzazione, trasformazione, trasferimento ecc. della struttura e non anche alla autorizzazione della regione per l'esercizio della attività. La tesi eccepita espressamente dalla ricorrente è stata sostanzialmente ignorata dalla ordinanza impugnata, che non la ha esaminata. Ritiene peraltro il Collegio che non sia necessario risolvere in questa incidentale sede cautelare le su indicate questioni di diritto e che nemmeno si debba disporre il rinvio al giudice del merito per l'accertamento dei relativi presupposti di fatto come l'effettiva presentazione alla regione della dichiarazione sostitutiva di notorietà di cui all'ari 5, comma 1 bis, legge reg. 4/2003 . Ciò perché l'ordinanza impugnata, in riferimento al reato ipotizzato per la mancanza della autorizzazione regionale all'esercizio, deve comunque essere annullata senza rinvio in relazione al periculum in mora. Nella specie risulta che il sequestro preventivo ha riguardato tutta la strumentazione medica presente nella struttura sanitaria di via OMISSIS di proprietà, però, non dello Studio Nomentano Due, al cui legale rappresentante soltanto è stato contestato il reato, ma della terza estranea srl Vignola Medica. Il periculum in mora è stato ritenuto sussistente per il rapporto di pertinenzialità tra le cose sequestrate e il reato e perché la disponibilità della strumentazione potrebbe aggravare le conseguenze del reato consentendo alla struttura sanitaria di continuare a funzionare. Ora, giustamente, sia la ricorrente Vignola sia lo Studio Nomentano 2 lamentano che si tratta di motivazione meramente apparente e di stile che non può sanare l'assoluta mancanza di motivazione di cui era già affetto anche il decreto di sequestro del Gip. E difatti, non viene indicato quale sarebbe il concreto ed attuale pregiudizio per il bene giuridico tutelato che il sequestro preventivo sarebbe diretto a prevenire, tenuto conto a che è stata rilasciata la autorizzazione comunale al trasferimento di sede b che vi è stato l'accertamento della ASL sulla idoneità dei locali e della strumentazione, nonché sui requisiti strutturali, funzionali e igienico sanitari c che l'indagata era già in possesso della autorizzazione all'esercizio nella vecchia sede che il trasferimento avveniva nell'ambito della stessa ASL con evidente incidenza sul contenuto della verifica di compatibilità regionale e che tutti gli adempimenti richiesti erano stati espletati d che sembra esservi stato l'invio alla regione dell’atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi, dal che sarebbe derivata automaticamente l'autorizzazione all'esercizio dell'attività - e che non emerge dalla ordinanza impugnata - che pure puntualmente riporta le dichiarazioni dei funzionari regionali competenti - una ragione che possa giustificare l’incomprensibile ritardo nella emanazione del provvedimento. In conclusione, il Collegio ritiene - considerato il concreto svolgersi della vicenda il comportamento degli interessati e degli uffici regionali, l'avvenuto rilascio della autorizzazione comunale al trasferimento della struttura e comunque la mancata contestazione di una mancanza di questa autorizzazione la mancanza di indicazioni sulla sussistenza di un concreto ed attuale pencolò di ulteriore pregiudizio per il bene giuridico tutelato - che non risulta provata la sussistenza del periculum in mora e che quindi non sussistono le condizioni di legge per giustificare il permanere della misura cautelare reale e della conseguente compressione del diritto costituzionalmente garantito, almeno sulla base degli elementi attualmente risultanti dalla ordinanza impugnata. L'ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del tribunale di Roma il 21 marzo 2012 debbono dunque essere annullati senza rinvio e conseguentemente va ordinata la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro del Gip del tribunale di Roma del 21 marzo 2012 e dispone restituirsi i beni in sequestro agli aventi diritto. Manda alla cancelleria per le formalità di cui all'art. 626 cod. proc. pen