Canapa indiana coltivata in casa: principio attivo minimo, nessun reato

Confermata l’esclusione di ogni addebito nei confronti di un giovane, ‘beccato’ con una pianta di canapa indiana nella propria abitazione. Il quantum del principio attivo, però, risulta decisivo per valutare l’offensività della condotta. E quella pianta la si può quasi considerare ornamentale

Alla fine della giostra la si potrà considerare quasi una pianta ornamentale Sempre che il ‘frutto’ sia davvero minimo. O, detto fuor di metafora, che il ‘principio attivo’ raccolto sia talmente limitato da essere considerato inoffensivo. Solo in questo caso, difatti, la coltivazione domestica della canapa indiana potrà passare in cavalleria Cassazione, sentenza n. 13017, Terza sezione Penale, depositata oggi . Abbellimento. Significativa, già in prima battuta, la pronunzia del Giudice per le indagini preliminari. Quest’ultimo, difatti, ‘assolve’ il giovane, finito sotto accusa per avere coltivato nella propria abitazione una pianta di canapa indiana, con foglie e infiorescenze mature per la raccolta . Decisivo è il principio attivo , appena 18 milligrammi, che spinge il Gip ad escludere il dato della offensività , ossia l’ idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante rilevabile . Praticamente quella pianta la si può considerare un abbellimento da appartamento Di diverso avviso, invece, è la Procura, che propone ricorso in Cassazione, contestando l’ottica adottata dal Gip e sostenendo la concretezza della offensività . Perché, viene specificato, la pianta era già matura, e quindi produttiva di sostanza stupefacente . Non a caso era stato accertato anche il principio attivo Inoffensivo. Ma le osservazioni mosse dalla Procura non possono reggere, secondo la Cassazione. Certo, viene riconosciuto dai giudici, la coltivazione di stupefacenti, sia a livello industriale che domestico , può costituire reato anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale , però A essere rilevante, viene aggiunto, è anche la valutazione della offensività della condotta , soprattutto perché nullum crimen sine iniuria . Ebbene, in questa vicenda, il principio attivo prodotto dalla pianta coltivata è sotto la soglia minima di effetto drogante prevista per la canapa indiana. Assolutamente legittima, quindi, e confermata, la decisione del Gip di escludere ogni addebito nei confronti del giovane.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 gennaio – 21 marzo 2013, n. 13017 Presidente Teresi – Relatore Graziosi Ritenuto di fatto 1. Con sentenza ex articolo 425 c.p.p. il gip del Tribunale di Cosenza dichiarava non doversi Procedere per non essere il fatto previsto dalla legge come reato nei confronti di S.S., imputato del reato di cui all’articolo 73 d.p.r. 309/1990 per avere coltivato nella propria abitazione una pianta di canapa indiana, con foglie e infiorescenze mature per la raccolta e principio attivo pari a 18,44 mg. Il gip rilevava tra l’altro che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno affermato che la coltivazione di stupefacenti, anche domestica, e anche se realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale, costituisce reato, spettando peraltro al giudice di verificare in concreto l’offensività della condotta cioè l’idoneità della sostanza ricavabile dalle piante a produrre un effetto drogante rilevabile S.U. 24 aprile 2008 n. 28605 . Nel caso di specie, tale offensività non sussisteva, trattandosi di una piantina contenente un principio attivo di milligrammi 18,44, e configurandosi un caso analogo a ulteriore giurisprudenza di legittimità Cass. sez. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 . 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, sostenendo che la decisione contrasta con l’insegnamento delle Sezioni Unite richiamate dal gip, potendosi verificare l’inoffensività della condotta solo qualora la pianta non abbia completato sul ciclo di maturazione e quindi non abbia ancora prodotto sostanza drogante ma nel caso in esame la pianta, era già matura e quindi produttiva di sostanza stupefacente, di cui era stato accertato anche il principio attivo. Considerato in fatto 3. II ricorso è infondato. È anzitutto opportuno richiamare l’ambito della cognizione affidata al giudice dell’udienza preliminare nella sentenza di non doversi procedere ex articolo 425 c.p.p. II parametro offerto dalla legge è ravvisabile nell’utilità di procedere al dibattimento il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è infatti l’innocenza dell’imputato, né tanto meno l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi raccolti, bensì il fatto che questi elementi rivestano caratteristiche tali da non potere essere ragionevolmente superabili nel dibattimento da ultimo Cass. sez. VI, 12 gennaio 2012 n. 10849 perché, secondo una prognosi ragionevolmente motivata, non è prevedibile che il dibattimento possa pervenire ad una soluzione diversa di quella allo stato già riscontrabile ancora da ultimo Cass. sez. VI, 17 luglio 2012 n. 33921 e Cass. sez. IV, 6 ottobre 2009 n. 43483 . Nel caso di specie, dagli elementi acquisiti già emergeva - come sottolinea anche il ricorrente stato identificato nella incontestata misura dì milligrammi 18,44. Non era pertanto necessaria alcuna perizia né altra attività probatoria da espletare in sede di dibattimento. Tanto premesso, si rileva che, come è stato richiamato nella impugnata sentenza, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la coltivazione di stupefacenti, sia svolta a livello industriale o domestico, costituisce reato anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale cfr. S.U. 24 aprile 2008 n. 28605 , precisando peraltro che ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile” ancora S.U. 24 aprile 2008 n. 28605 conformi Cass. sez. IV, 28 ottobre 2008-14 gennaio 2009 n. 1222 e Cass. sez. IV, 17 febbraio 2011 n. 25674 . II principio di offensività è stato utilizzato per escludere che il fatto sia previsto dalla legge come reato proprio dall’arresto richiamato dal giudice di merito, Cass. sez. IV, 17 febbraio 2011 n. 25674, che - dopo aver evidenziato come tale principio, sancito a livello costituzionale dagli articoli 13, 25 e 27 Cost., costituisca criterio sia per il legislatore il reato come extrema ratio sia per l’interprete come conseguente ausilio nella valutazione della tipicità di una determinata condotta, cioè la sua totale corrispondenza alla fattispecie astratta prevista dalla norma penale -, puntualizza nel senso della necessità non solo della corrispondenza della condotta alla fattispecie astratta, ma altresì della effettiva lesività derivante dalla condotta ai danni del bene giuridico tutelato dalla norma nullum crimen sine Lege” ma altresì nullum crimen sine iniuria” dovendo il reato essere un fatto tipico offensivo, come conferma l’art. 49, comma 2, c.p. Da ciò desume, in conclusione, l’inoffensività dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice propria di una condotta di coltivazione domestica di una pianta contenente un principio attivo di mg. 16. La giurisprudenza invocata dal giudice di merito è condivisibile, non collocandosi, come sostiene il ricorrente, in conflitto con l’arresto delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, bensì pienamente considerandolo come indicazione interpretativa della fattispecie, corrispondente a quella in esame anche in questa sede. Pure nel caso oggetto dell’impugnata sentenza, infatti, il principio attivo prodotto dalla pianta coltivata è al di sotto della soglia minima di effetto drogante rilevante evincibile dal d. m. 11 aprile 2006 per la canapa indiana non è quindi riscontrabile offensività nella condotta tenuta dall’imputato, avendo correttamente il giudice dichiarato pertanto che il fatto a lui ascritto non è previsto dalla legge come reato, dovendosi ritenere che tale condotta non abbia inferto lesione alcuna al bene giuridico protetto dall’articolo 73 d.p.r. 309/1990. II ricorso deve quindi essere respinto ad ogni effetto di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso.