Il profitto del reato derivante da corruzione del giudice tributario non corrisponde necessariamente all’imposta contestata

Non è possibile in sede penale stabilire se il risparmio d'imposta a seguito di sentenza d'appello, oggetto di accordo corruttivo, confermativa della sentenza di primo grado, costituisca profitto del reato eventualmente commesso dall'esponente apicale della società in concorso con il giudice tributario corrotto.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11029, depositata l’8 marzo 2013. Il sequestro preventivo del profitto del reato. Il caso nasce da un avviso di accertamento fiscale per quasi 60mln di euro notificati ad una s.p.a La Commissione Tributaria Regionale conferma l’annullamento di tale avviso, come già fatto dalla Commissione Tributaria Provinciale. La sentenza di secondo grado conferma quella del primo, ma è giunta a termine di un probabile accordo corruttivo tra un giudice tributario, estensore della sentenza ed il rappresentante legale della società, tramite il suo commercialista, che avrebbe nominato il giudice in alcuni collegi sindacali. Tutti e tre indagati per corruzione. Intanto il GIP sequestra alla società, in via preventiva, beni per 60mln di euro, l’equivalente dell’imposta contestata. Ordinanza confermata dal Tribunale del Riesame. La decisione giunge in base agli artt. 53 e 19, d.lgs. n. 231/2001, che prevede appunto il sequestro preventivo dei beni confiscabili in quanto equivalenti al profitto del reato. La società ricorre per cassazione. Il sequestro dell’imposta evasa. La Corte ricorda la giurisprudenza di legittimità, su cui si sono basati i giudici di merito, in tema di reati tributari. Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, disposto ex art. 1, comma 143, legge n. 244/2007, per i reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000, è riferibile all'ammontare dell'imposta evasa, in quanto quest'ultima costituisce un risparmio economico correlato alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo, conseguendo un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato . Il profitto della corruzione deve essere specificatamente provato. Ma alle stesse conclusioni non può giungersi in questo caso. Siamo di fronte, infatti, ad un’evasione non certificata. Non si può sapere come sarebbe terminato il giudizio senza l’accordo corruttivo. Per quello bisogna attendere il terzo grado di giudizio, davanti alla Corte di Cassazione Civile, cui è ricorsa l’amministrazione finanziaria. Quindi non è automatico ritenere che dall’accordo corruttivo ci sia stato come profitto il mancato pagamento dell’imposta contestata. L’atto corruttivo non basta per la qualificazione e l’accertamento del profitto del reato . E’ necessario stabilire, e lo faranno le sezioni civili, la fondatezza o meno della pretesa erariale. Il risparmio d’imposta non è sequestrabile. Non è quindi possibile in sede penale disporre la confisca dell'ipotizzato profitto della società costituito dal risparmio d'imposta in ipotesi derivato del reato contestato all'esponente apicale della società, in concorso con il giudice tributario corrotto . Dissequestrati i beni, ma nessun rischio di impunità. La Corte di Cassazione annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone il dissequestro di tutti i beni, sottolineando che non si corre il rischio di lasciare impuniti comportamenti illeciti dell’impresa, essendo comunque previste pene pecuniarie ed interdittive. La sanzione della confisca soltanto si aggiungerebbe a queste, per imporre il principio che il crimine non paga.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 novembre 2012 – 8 marzo 2013, n. 11029 Presidente Garribba – Relatore Ippolito Ritenuto in fatto 1. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bari, con ordinanza emessa il 10 novembre 2011, rigettò la richiesta di revoca del sequestro preventivo, disposto a fine di confisca ex artt. 19.2 e 53 d. lgs. 231/2001 e 321 cod. proc. pen., avente ad oggetto somme di denaro, beni mobili e immobili, conti correnti bancari, titoli, gestioni patrimoniali mobiliari, libretti di deposito al risparmio, nella disponibilità della Ingross Levante s.p.a. sino all'ammontare di Euro 59.972.680,00, in quanto la società aveva conseguito un indebito profitto di pari valore dal mancato pagamento della pretesa erariale derivante dalle contestazioni fiscali conseguente all'emissione di sentenza favorevole al contribuente nell'ambito del contenzioso Ingross Levante s.p.a. - Agenzia delle Entrate. I beni sequestrati erano, nell'impostazione accusatoria, l'equivalente del valore che l'impresa aveva conseguito come frutto della commissione in data 7.4.2009 del reato di cui all'art. 319 - ter in relazione all'art. 319 e 321 cod. pen. da parte di A.O.A.M. , legale rappresentante della Ingross Levante s.p.a., in concorso con il suo commercialista G.G. e con O Q. , giudice tributario presso la Commissione regionale tributaria della Puglia, stabilmente remunerato dal G. per compiere atti contrari ai doveri di ufficio. 2. Il Pubblico Ministero aveva contestato ai predetti indagati il reato di corruzione in atti giudiziali per avere dietro corrispettivo fornito dal G. e consistito nella procurata nomina in taluni collegi sindacali il Q. - in qualità di relatore-estensore della decisione sull'appello dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza che la Commissione tributaria provinciale aveva emesso a favore del contribuente Ingross Levante s.p.a., con annullamento degli avvisi di accertamento fiscale notificati dall'Agenzia della Entrate per un valore complessivo di Euro 59.972.680,00 - rigettato l'impugnazione dell'Amministrazione finanziaria. 3. G.D M. , procuratore speciale della Ingross Levante s.p.a., a mezzo del difensore fiduciario, ricorre contro la predetta ordinanza del Tribunale di Bari, che ha rigettato l'appello avverso il provvedimento del g.i.p. di cui al precedente n. 1, proposto, ex art. 222-bis c.p.p., nell'interesse della Ingross Levante s.p.a Il ricorrente deduce a violazione dell'art. 103.5 c.p.p. e conseguente inutilizzabilità probatoria, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., dei risultati delle intercettazioni ambientali eseguite presso lo studio del difensore della parte costituita nei giudizi tributari a carico della stessa b violazione dell'art. 266.3 c.p.p. e conseguente inutilizzabilità probatoria, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., dei risultati delle intercettazioni ambientali eseguite presso lo studio del difensore, trattandosi di domicilio dello stesso c omessa valutazione delle prove documentali offerte dalla difesa travisamento di quelle valutate illogicità e contraddittorietà della motivazione d erronea valutazione degli artt. 19 e 53 D. Lgs. n. 231/2001 e 322-ter c.p. e violazione di legge sotto il profilo dell'erronea applicazione dell'art. 19.2 D. Lgs. n. 231/2001 omessa motivazione con riferimento all'autonoma e specifica doglianza rivolta a sostenere l'impossibilità giuridica di procedere al sequestro preventivo c.d. per equivalente” e neppure in concreto realizzato f inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 19 e 53.2 D. Lgs. n. 231/2001, per avere il sequestro preventivo di valore ai fini di confisca attinto, quale profitto dell'illecito sotto forma di risparmio di spesa fiscale la somma di Euro 59.972.680,00, costituente importo che deve intendersi alla stregua di somma da considerare soggetta ad essere restituita al danneggiato Amministrazione finanziaria sotto forma di pagamento proprio di quelle imposte e sanzioni accessorie. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita accoglimento per le ragioni di seguito espresse. 2. I giudici del merito hanno disposto il sequestro preventivo per equivalente dei beni della società per azioni Ingross Levante, sottoposta a procedimento per responsabilità amministrativa in relazione alla contestazione di corruzione mossa al legale rappresentante della società O.A.M A. , in concorso con G G. e con O Q. . Il sequestro è stato adottato ai sensi degli artt. 19 e 53 d. lgs. n. 231 del 2001, avendo i giudici ritenuto la confiscabilità obbligatoria di beni per valore corrispondente Euro 59.972.680,00, quale indebito profitto per il mancato pagamento della pretesa erariale derivato dalla sentenza favorevole al contribuente nell'ambito del contenzioso Ingross Levante s.p.a. - Agenzia delle Entrate, oggetto di accordo corruttivo. 3. Secondo la giurisprudenza di legittimità in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, disposto ex art. 1, comma 143, della legge finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244, per i reati tributari di cui al d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è riferibile all'ammontare dell'imposta evasa, in quanto quest'ultima costituisce un risparmio economico correlato alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo, conseguendo un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato cfr. Cass. Sez. 3, n. 1199/2012, Rv. 251893, Galiffo n. 35807/2010, Rv. 248618, Bellona . L'ordinanza impugnata sembra essersi ispirata a tale giurisprudenza, senza però tenere in considerazione che entrambe le sentenze sopra indicate hanno sottolineato, in sintonia con quanto ripetutamente affermato dalle Sezioni Unite, che il profitto del reato deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e che esso presuppone l'accertamento della sua diretta derivazione causale dalla condotta dell'agente Cass. Sez. U, n. 26654/2008, Rv. 239924, Fisia Italimpianti spa nonché Sez. U, n. 38691/2009, Rv. 244189, Caruso . Orbene, nei reati tributari il vantaggio patrimoniale, specularmente correlato all'evasione d'imposta, deriva direttamente e indubitabilmente dalla condotta dell'agente e il giudice penale, nel ritenere la sussistenza del reato, contestualmente e inevitabilmente accerta la diretta derivazione del profitto del reato dalla condotta dell'autore. Soltanto in forza di tale accertamento è legittima la confisca per equivalente di beni di valore corrispondente all'imposta evasa e, a fini cautelari, è possibile l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo. 4. Ritiene il Collegio che stesse conclusioni non possono adottarsi per il caso in esame, relativo a delitto di corruzione, che, nell'ipotesi accusatoria, ha ad oggetto la sentenza del giudice tributario d'appello, il quale ha confermato la decisione di primo grado, adottata da un giudice la Commissione tributaria provinciale di Bari del tutto estraneo all'ipotesi accusatoria, che aveva accolto il ricorso della Ingross Levante s.p.a. e annullato gli accertamenti concernenti i periodi di imposta in contestazione. È indubbiamente fondata l'affermazione che una sentenza il cui iter decisionale è stato contaminato da un evento di corruzione, soprattutto se esso coinvolge il relatore-estensore, sia fortemente sospetta ed è condivisibile l'affermazione che nel delitto di corruzione in atti giudiziali, per stabilire se la decisione giurisdizionale sia conforme o contraria ai doveri di ufficio deve aversi riguardo non al suo contenuto ma al metodo con cui a essa si perviene, nel senso che il giudice, che riceve da una parte in causa denaro o altra utilità o ne accetta la promessa, rimane inevitabilmente condizionato nei suoi orientamenti valutativi, e la soluzione del caso portato al suo esame, pur accettabile sul piano della formale correttezza giuridica, soffre comunque dell'inquinamento metodologico a monte Cass. n. 33435/2006, Rv. 234362, Battistella conforme n. 33519/06, Acampora, non massimata sul punto . Tali considerazioni rilevano al fine della qualificazione giuridica del fatto corruttivo addebitabile agli indagati, giacché la corruzione giudiziaria antecedente, quando è funzionale all'adozione di un provvedimento giurisdizionale che implichi la soluzione di complesse e non pacifiche problematiche giuridiche e/o la valutazione di una controversa e non chiara realtà fattuale, assume quasi sempre i connotati di quella per atto contrario ai doveri di ufficio Cass. n. 33435/2006, cit. nonché Cass. n. 44971/2005, Rv. 233505, Caristo . 5. Ciò, tuttavia, non basta per la qualificazione e l'accertamento del profitto del reato, giacché a tal fine rileva stabilire se l'accordo corruttivo antecedente con un giudice abbia ad oggetto un atto del suo ufficio né basta a dedurre che dall'atto corruttivo derivi in ogni caso un danno o un favore per una delle parti processuali né, tanto meno, a formulare una valutazione di fondatezza della pretesa erariale. 5.1. Nell'ipotesi in cui l'oggetto del mercimonio fosse un atto dell'ufficio, ossia nel caso che l'accordo corruttivo fosse finalizzato a dar ragione a chi aveva ragione con rigetto dell'appello avverso la legittima sentenza di primo grado, l'infondatezza della pretesa erariale confermata da parte della Commissione tributaria regionale di cui era parte con funzioni di relatore-estensore il giudice indagato per corruzione , non potrebbe essere considerata produttiva di profitto del reato di corruzione. 5.2. Per quanto concerne il danno o il favore per una delle parti, conseguente alla commissione del reato di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, va ricordato che nell'originario testo dell'art. 319, comma secondo, cod. pen. cioè prima della modifica introdotta dall'art. 7 l. 16 aprile 1990, n. 86 era previsto un aggravamento della pena base per il caso in cui dal fatto di corruzione propria antecedente fosse derivato il favore o il danno di una parte nel processo civile, penale o amministrativo . La predetta ipotesi aggravata ha costituito il precedente storico dell'attuale fattispecie prevista dall'art. 319-ter c.p., che, nel primo comma, delinea una fattispecie penale autonoma a dolo specifico e, nel secondo comma, prevede aggravanti per il caso che dal fatto derivi una ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore o superiore a cinque anni di reclusione o all'ergastolo. Dopo le modifiche introdotte dagli artt. 7 e 9 l. n. 86/1990, la circostanza che dal fatto di corruzione sia derivato un favore o un danno ad una parte processuale, fuori dalle ipotesi appena ricordate di cui all'art. 319-ter, comma secondo, cod. pen., rileva soltanto agli effetti sanzionatoli artt. 132 e 133 c.p. . Rimane, tuttavia, la considerazione, storicamente comprovata dalla normativa precedente la novella del 1990, che non ogni fatto corruttivo avente ad oggetto un processo o una sentenza implica necessariamente, per una delle parti, un danno o un favore. Questi vanno, perciò, specificamente accertati. 5.3. Va infine considerato che la revocazione per dolo del giudice è prevista soltanto se la sentenza è effetto del dolo [ .], accertato con sentenza passata in giudicato art. 395 n. 6 c.p.c. ., ciò che implica l'accertamento che l'intento fraudolento del giudice ha falsato la corretta formazione della decisione, costituendo causa diretta e determinante del provvedimento ingiusto cfr. Cass. civ. n. 1409 del 27.1.2004, Rv. 569708 . 6. Da tutto quanto premesso, consegue che - a differenza di quanto avviene nel giudizio penale avente ad oggetto reati tributari richiamati dall'art. 1, comma 143, della legge finanziaria n. 244 del 2007- non è possibile in sede penale stabilire se il risparmio d'imposta a seguito di sentenza d'appello, oggetto di accordo corruttivo, confermativa della sentenza di primo grado, costituisca profitto del reato eventualmente commesso dall'esponente apicale della società Ingross Levante in concorso con il giudice tributario corrotto. Poiché per disporre la confisca per valore corrispondente all'imposta non pagata è indispensabile la certezza che trattasi di profitto del reato per cui si procede, attesa la natura sanzionatoria della confisca di cui all'art. 19 d. lgs. cit., affermata ripetutamele dalla giurisprudenza di legittimità per tutte v. Cass. Sez. U, n. 26654/2008, cit. , è necessario verificare gli elementi di cui al precedente paragrafo, la cui sussistenza dipende dall'accertamento della fondatezza o meno della pretesa erariale. Su tale fondatezza già esclusa dal giudice di primo grado deciderà la Corte di cassazione in sede civile, essendo stata la sentenza della Commissione tributaria regionale impugnata dall'Agenzia delle Entrate con ricorso per cassazione, che pende dinanzi alla competente sezione civile. Poiché sarà tale decisione o l'eventuale sentenza di revocazione ai sensi degli artt. 64-65 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell'art. 395 n. 6 c.p.c. a stabilire se la pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria sia legittima e fondata, non è possibile in sede penale disporre la confisca dell'ipotizzato profitto della Ingross Levante s.p.a. costituito dal risparmio d'imposta in ipotesi derivato del reato contestato all'esponente apicale della società, in concorso con il giudice tributario corrotto. 7. Tale conclusione, peraltro, non rischia di lasciare senza sanzione i comportamenti illeciti dell'impresa, dal momento che, per la responsabilità amministrativa disciplinata dal d. lsg. n. 231/2001, è prevista come principale sanzione amministrativa la pena pecuniaria, a cui possono aggiungersi le sanzioni interdittive e la pubblicazione della sentenza nei casi previsti dagli artt. 13 e 18. Com'è stato precisato dalla più attenta dottrina, funzione specifica della confisca di cui all'art. 19, prevista anch'essa come sanzione principale, è quella di rendere concreto il principio per cui crimen non lucrai, azzerando i vantaggi economici derivanti dal reato. Tale sanzione si aggiunge alle altre indicate, sempreché, come si è rilevato, sia accertato il profitto tratto dal reato contestato, ossia il vantaggio economico diretto e immediato, rappresentato dall'illegittimo esonero dal tributo fiscale derivante dal reato di corruzione. 8. Esclusa la confiscabilità di beni per valore corrispondente a quello della pretesa tributaria, ne deriva l'illegittimità del sequestro funzionale alla confisca. Assorbiti gli altri motivi di ricorso, deve pertanto annullarsi, senza rinvio, l'ordinanza impugnata, disponendo il dissequestro e la restituzione all'avente diritto delle cose sequestrate con ordinanza del g.i.p. del tribunale di Bari del 29.10.2010. P.Q.M. La Corte annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone il dissequestro e la restituzione all'avente diritto delle cose sequestrate con ordinanza del g.i.p. del tribunale di Bari del 29.10.2010. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 cod. proc. pen