Il giudicato cautelare si estende solo alle questioni effettivamente decise

In tema di confisca per equivalente, il c.d. giudicato cautelare si forma sul materiale probatorio esaminato originariamente dal giudice che ha emesso il provvedimento cautelare e trasmesso al tribunale del riesame, ma non sugli atti prodotti in udienza, qualora l’organo del riesame non li abbia presi in alcuna considerazione.

E’, pertanto, legittima la nuova applicazione del provvedimento cautelare sulla base di ulteriori elementi prodotti nell’udienza davanti al Tribunale del riesame, restando rimesso alla strategia del pubblico ministero se procedere all’impugnazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame per omessa motivazione sulla documentazione prodotta, o presentare una nuova richiesta di applicazione di misura cautelare, allegando gli elementi nuovi in precedenza non valutati. Questi i principi di diritto sanciti dalla seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 49270, depositata il 19 dicembre 2012. La confisca per equivalente La pronuncia in esame richiama diffusamente la giurisprudenza di legittimità formatasi in merito all’istituto della confisca per equivalente, cioè a quella che è stata definita una vera e propria sanzione, disposta su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato. Mediante tale istituto, viene assolta una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l'imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Essa è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo, e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. La confisca per equivalente può essere applicata unicamente con riguardo a somme percepite anteriormente all’entrata in vigore delle norme che la consentono. In altri termini, essa non può essere applicata retroattivamente, in quanto – come detto – ha natura sanzionatoria, e non di misura di sicurezza patrimoniale. Proprio su tali basi è stata ritenuta manifestamente infondata, dalla Corte Costituzionale sentenza n. 97/2009 , la questione di legittimità degli artt. 200, 322 ter c.p. e 1, comma 143, l. n. 244/2007, censurati, in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria cosiddetta per equivalente di beni di cui il reo abbia la disponibilità, con specifico riguardo ai reati tributari commessi anteriormente all'entrata in vigore della citata legge del 2007. Il problema si era posto, nella giurisprudenza di legittimità, sulla base della duplice considerazione che il comma 2 dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto, con i principi sanciti dall'art. 7 CEDU, l'applicazione retroattiva di una confisca di beni, riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente. Al riguardo, si è confermato che la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un rapporto di pertinenzialità” tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una natura eminentemente sanzionatoria, che impedisce l'applicabilità, a tale istituto, del principio generale dell'art. 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive. Altra caratteristica fondamentale dell’istituto de quo è che la confisca non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, il che sta a significare che la motivazione del provvedimento che la dispone dovrà dare atto della valutazione della equivalenza fra il valore dei beni confiscati e l’entità del profitto riveniente dal reato. e i limiti del giudicato cautelare. Nella decisione in commento, i Giudici della Seconda Sezione Penale hanno ritenuto legittima la confisca del profitto diretto del reato di truffa aggravata in danno del servizio sanitario nazionale, richiesta dal Pubblico Ministero ai sensi e per gli effetti dell’art. 240 c.p., dopo che, in sede di riesame, era stato disposto un ridimensionamento” del sequestro preventivo per equivalente precedentemente ordinato in relazione alla medesima somma di denaro. La Corte ha disatteso le deduzioni ed argomentazioni della difesa degli indagati, ritenendo non applicabile al caso in esame quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’istituto della preclusione processuale opera anche quando siano attivate più misure cautelari reali relative allo stesso bene, e volte alla salvaguardia della medesima esigenza cautelare. Tale ipotesi riguarda infatti la diversa fattispecie in cui gli stessi beni sono oggetto di due distinti provvedimenti cautelari reali, e fa capo ad un principio volto a consentire che mantenga efficacia solo il titolo che sia in concreto, e nella fase procedimentale in corso, il più utile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 settembre – 19 dicembre 2012, n. 49270 Presidente Petti – Relatore Fiandanese Svolgimento del procedimento Il Tribunale di Firenze, con ordinanza in data 21 dicembre 2011, annullava il decreto di sequestro preventivo emesso il 22 novembre 2011 dal G.I.P. dello stesso Tribunale nei confronti di A.A.S. per un ammontare di Euro 1.120.493.537,53, somma definita come costituente il profitto dei reati di concorso in truffa continuata aggravata per A.S. e di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita per A.L. ed altri. Il procedimento trae origine da un'indagine che coinvolge più persone fisiche, cui si attribuiscono pluralità di illeciti di natura fiscale, nonché la realizzazione di una truffa ai danni del servizio sanitario nazionale e il conseguente trasferimento e sostituzione delle somme provenienti da siffatti reati, nonché cinque società del gruppo farmaceutico Menarini alle quali sono contestati illeciti amministrativi ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001. Nell'ambito di tale procedimento il G.I.P. del Tribunale di Firenze, con provvedimento del 24 novembre 2010, disponeva il sequestro preventivo nei confronti di A.A.S. della somma di Euro 1.212.035.804,00 ovvero di beni al medesimo appartenenti per un valore corrispondente e lo stesso Tribunale, con ordinanza in data 13 dicembre 2010, rigettava l'istanza di riesame presentata dall'A. . Nella pendenza del ricorso per cassazione, la Procura della Repubblica di Firenze, in data 29 giugno 2011, disponeva la restituzione parziale di cose sequestrate per l'importo complessivo di Euro 323.416.626,37, in esito al procedimento di definizione mediante accertamento con adesione, da parte dell'A. , delle contestazioni di natura fiscale, che aveva comportato il pagamento del suddetto importo. In accoglimento del ricorso per cassazione, la Suprema Corte, con sentenza 19 luglio 2011, così decideva è escluso che la confisca per equivalente sia applicabile con riferimento a somme che siano state percepite anteriormente all'entrata in vigore delle norme che la consentono sez. 2^, 14.6.2006 n. 31988, Ghetta, RV 235357 sez. 2 omissis , 21.5.2008 n. 25910, Comensoli, RV 240623 . Questa Corte non ravvisa ragioni per discostarsi dal citato principio di diritto, osservando che lo stesso costituisce puntuale applicazione del disposto della medesima L. 29 settembre 2000, n. 300, art. 15, che ha introdotto l'art. 640 quater c.p., e dei generali principi di diritto vigenti in materia penale, essendo stato già reiteratamente e definitivamente affermato che la confisca per equivalente ha natura sanzionatoria e non di misura di sicurezza patrimoniale sez. un, 25.10.2005 n. 41936, Muci sez. 2, 12.12.2006 n. 3629 del 2007, Ideai Standard Italia S.r.l., RV 235814 sez. 3, 24.9.2008 39173, P.M. in proc. Tiraboschi, RV 241034 Corte Costituzionale, ordinanza n. 301 del 20.11.2009 . La inapplicabilità retroattiva delle disposizioni che prevedono la confisca per equivalente, preclude ovviamente la possibilità di disporre il sequestro di beni di valore corrispondente al profitto del reato conseguito anteriormente all'entrata in vigore delle disposizioni di cui alla legge citata. Costituisce, infine, consolidato principio di diritto, reiteratamente affermato da questa Suprema Corte che la confisca per equivalente, e cosi anche il sequestro, non possono avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché il giudice di merito deve individuare l'effettivo profitto del reato e, quindi, procedere, anche in sede di sequestro, alla valutazione della equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto sez. 5A, 9.10.2009 n. 2101 del 2010, Sortino e altro, RV 245727 sez. 6, 17.3.2009 n. 26176, Paggiaro, RV 244522 sez. 6, 23.11.2010 n. 45504, Marini, RV 248956 . Orbene, l'ordinanza non contiene alcuna indicazione in ordine ai criteri in base ai quali è stato quantificato il profitto del reato di truffa aggravata, né il riferimento a specifiche risultanze delle indagini, malgrado le puntuali contestazioni dell'istante per il riesame e pur riferendosi il capo di imputazione ad una pluralità di fattispecie illecite. Le questioni esaminate appaiono assorbenti delle ulteriori deduzioni del ricorrente, che peraltro attengono alla valutazione di merito delle risultanze probatorie. L'ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo giudizio che riesamini il provvedimento di sequestro e le deduzioni dei ricorrenti alla luce degli esposti principi di diritto”. Il Tribunale del riesame di Firenze, in sede di rinvio, con ordinanza dell'11 novembre 2011, uniformandosi al principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, limitava l'ammontare del sequestro alla somma complessiva di Euro 84.776.967,08, ritenuta pari al profitto illecito del reato di truffa aggravata, conseguito dall'imputato in epoca successiva all'ottobre 2000 ed individuata sulla scorta dei criteri indicati dal consulente tecnico del P.M., disponendo la restituzione all'indagato di quanto sequestrato in eccedenza rispetto a quell'importo. In data 16 novembre 2011, il P.M. formulava una nuova richiesta di sequestro preventivo con riferimento al profitto sia del reato di truffa sia dei reati di riciclaggio e reimpiego e il G.I.P., con decreto 22 novembre 2011, disponeva il sequestro preventivo di Euro 1.120.493.537,53, costituente il complessivo profitto dei suddetti reati. A seguito di istanza di riesame, il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 21 dicembre 2011, annullava il suddetto provvedimento disponendo la restituzione di quanto in sequestro. Il Tribunale osservava che doveva ritenersi fondata l'eccezione preliminare della difesa di violazione delle regole sul c.d. giudicato cautelare, in quanto l'originario sequestro poneva il vincolo su una somma di circa il medesimo ammontare di quella attuale anche a titolo di valore equivalente, e, pertanto, il profilo dell'attuale sequestro a titolo di profitto del reato non potrebbe considerarsi nell'ottica di una nuova prospettiva di sequestrabilità che si asserisce non essere mai stata prima presa in considerazione, poiché si tratterebbe di tematica introdotta fin dall'originaria richiesta di sequestro. Neppure si potrebbe ritenere di addivenire ad un nuovo sequestro sulla base di asserite nuove risultanze di indagini, poiché le indagini preliminari risultano concluse in data 3 novembre 2011, ossia in data anteriore all'udienza di riesame del primo sequestro effettuata in sede di rinvio e in quella udienza il P.M. aveva prodotto una perizia basata su un ampio uso dei risultati di quelle indagini. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, deducendo 1 inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 111 Cost., 12 delle preleggi, 240, 640 quater e 322 ter c.p., 321 e 649 c.p.p Il P.M. ricorrente sostiene che l'originaria richiesta di sequestro era per equivalente, in quanto il quadro indiziario al tempo non era idoneo a dimostrare che la somma ritrovata fosse diretto profitto del contestato delitto di truffa, poiché i dati documentali consentivano di affermare tale diretta derivazione solo per la somma di 28 milioni. Il decreto successivamente emesso dal G.I.P. e confermato in sede di riesame sarebbe stato, pertanto, un sequestro per equivalente. Il P.M. ricorrente, afferma, quindi, che, a seguito dell'annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, davanti al Tribunale di riesame aveva insistito per il rigetto del ricorso argomentando che la truffa contestata doveva considerarsi a consumazione prolungata, ma, nel caso in cui il Tribunale non avesse ritenuto di accogliere tale tesi, aveva prodotto una consulenza dalla quale risultava che il profitto conseguito dall'A. dopo l'introduzione dell'art. 640 quater c.p. era pari a 84 milioni di Euro e a tale somma il Tribunale riduceva il sequestro con ordinanza del 14 novembre 2011 l'oggetto del giudizio, dunque, sarebbe stato sempre il sequestro della somma considerata come valore equivalente del profitto, mentre la successiva richiesta del P.M. in data 16 novembre 2011 aveva per oggetto un nuovo e diverso sequestro preventivo ai sensi dell'art. 240 c.p., sulla base delle nuove emergenze che consentivano di ritenere che non solo i 28 milioni di Euro di cui si parlava nella prima richiesta di sequestro, ma l'intera somma rinvenuta nella disponibilità dell'A. si potesse considerare in parte profitto della truffa contestata e per intero prodotto del delitto di riciclaggio ascritto ai figli dell'A. e ad altri indagati. Pertanto, secondo il P.M. ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nell'annullare il sequestro sostenendo che la somma fosse già stata sequestrata come profitto della truffa e come valore equivalente, poiché il vincolo originario sulla somma era stato posto solo a titolo di valore equivalente. Del resto, osserva ancora il P.M. ricorrente, quando il Tribunale in sede di rinvio, a seguito di annullamento della Corte di Cassazione, ha accolto parzialmente il ricorso riducendo il sequestro da oltre un miliardo e 200 milioni di Euro agli 84 milioni indicati dallo stesso consulente del P.M. chiarisce che il tema sottoposto alla sua decisione è quello del sequestro per equivalente funzionale alla confisca obbligatoria, poiché il principio sulla irretroattività della norma di cui all'art. 640 quater c.p. non si applica alla confisca ex art. 240 c.p 2 inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in quanto il primo decreto di sequestro emesso dal G.I.P. il 24 novembre 2010 vincolava la somma di Euro 1.212.035.804,00 come valore equivalente al profitto della truffa contestata, il secondo decreto quello annullato con l'ordinanza che si impugna ha disposto il sequestro della diversa somma di Euro 1.120.493.573,53 come prodotto del delitto di riciclaggio e ciò costituisce una novità nel procedimento cautelare, non essendo la relativa questione dedotta né deducibile nel giudizio cautelare che ha preceduto il decreto annullato dall'ordinanza che si impugna. 3 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., in quanto vi sarebbe un travisamento dei fatti processuali e il Tribunale non spiegherebbe come e perché sulla specifica questione del sequestro della somma come prodotto del delitto di riciclaggio si sarebbe formato il giudicato cautelare. 4 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., in quanto la motivazione sarebbe mancante con specifico riferimento a quel profilo del decreto del G.I.P. che sequestra la somma come prodotto del delitto di riciclaggio. Hanno depositato memoria i difensori di A.A.S. e di A.A.G. , nonché i difensori di A.L. , formulando osservazioni analoghe, che possono sintetizzarsi come segue. Il ricorso del P.M. sarebbe inammissibile, nei primi due motivi, in quanto questi non censurano alcuna violazione di legge, unico vizio prospettabile ai sensi dell'art. 325 c.p.p., bensì contestano la ricostruzione in fatto operata dal Tribunale del Riesame, nel terzo e quarto motivo, in quanto questi sono espressamente formulati in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. e dunque non sono deducibili ex art. 325 c.p.p Il ricorso, sempre secondo la difesa, sarebbe, comunque, infondato, in quanto gli elementi addotti come nuovi nel secondo decreto di sequestro preventivo in realtà non lo sarebbero, essendo già stati oggetto di valutazione da parte del Tribunale del riesame nel giudizio di rinvio a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione. La difesa afferma che, in tale giudizio, il P.M. avrebbe portato all'attenzione del Tribunale, mediante produzioni documentali ed una memoria scritta, ogni apporto utile affinché lo stesso potesse assumere una decisione sulla scorta di tutti gli elementi raccolti nella indagini preliminari, che, nel frattempo, si erano concluse in particolare, davanti al Tribunale sarebbe già stata evidenziata la tesi secondo cui non si tratta di sequestro di somme per equivalente ma del profitto diretto del reato di truffa. Pertanto, il P.M. avrebbe dovuto impugnare l'ordinanza del Tribunale del riesame dell'11 novembre 2011 al fine di dolersi del mancato mantenimento del sequestro quale sequestro diretto del prodotto o profitto del reato e non presentare una nuova richiesta di misura cautelare reale. I difensori affermano che l'elemento di novità che giustificherebbe la nuova richiesta di sequestro preventivo non può essere rappresentato da una eventuale ulteriore ipotesi di reato posta in relazione ai medesimi beni da aggredire, sia perché, nel caso di specie, sin dall'inizio il P.M. ha inteso far riferimento in modo unitario alla complessa ed articolata vicenda di cui trattasi, ravvisando una continuità tra le diverse fattispecie di reato ipotizzate, sia perché l'istituto della preclusione processuale opera anche quando siano attivate più misure cautelari reali relative allo stesso bene e volte alla salvaguardia della medesima esigenza cautelare, ancorché relative a concorrenti imputazioni di reato ciascuna delle quali in astratto legittimante l'adozione della misura. D'altro canto, non corrisponderebbe al vero che la somma oggetto dei due sequestri non sarebbe la stessa, poiché essa è sempre quella corrispondente al c.d. scudo fiscale operato da A A. e la mera diversità della cifra finale è dovuta solo al fatto che nel secondo caso dall'originario sequestro è stata detratta la somma restituita all'imputato ai fini del pagamento in favore della Agenzia delle Entrate e sono stati poi aggiunti gli interessi nel frattempo maturati. La difesa, infine, rileva l'erroneità del presupposto secondo il quale il Tribunale avrebbe dovuto attenersi al principio devolutivo, limitandosi ad esaminare la richiesta di sequestro per equivalente, in quanto il Tribunale del riesame non è soggetto al principio tantum devolutimi quantum appellatum e, a fronte di un sequestro per equivalente di una determinata somma di denaro, avrebbe potuto confermare il sequestro qualificando quella stessa somma come profitto del reato, non solo in quanto il sequestro per equivalente presuppone l'impossibilità di sottoporre a misura il profitto diretto, e quindi quando questo venga individuato esso va sequestrato in quanto tale, ma anche in quanto l'art. 309, comma 9, c.p.p., richiamato dall'art. 324, comma 7, c.p.p., prevede che il sequestro possa essere confermato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento. Motivi della decisione I motivi di ricorso sono fondati nei sensi di cui alla presente motivazione. Occorre, innanzitutto, rilevare che, prima della presentazione da parte del P.M. della richiesta di sequestro preventivo in data 16 novembre 2011, i provvedimenti che si sono susseguiti nel tempo, come sopra riassunti, hanno avuto ad oggetto, come si desume chiaramente dal loro contenuto, un sequestro preventivo per equivalente. Premesso che l'esame del contenuto di tali atti non può essere considerato in fatto , come erroneamente sostenuto nella memoria difensiva, bensì attinente alla dedotta insussistenza della preclusione processuale derivante dal ed, giudicato cautelare, deve, allora, osservarsi, che la richiesta del P.M. in data 8 novembre 2010 è formulata nei confronti di A.A. ai sensi degli artt. 640 quater e 322 ter c.p. in relazione alla contestazione di truffa aggravata e il profitto, nella stessa richiesta, è quantificato nella somma di Euro 1.212.035.804,00 il successivo provvedimento del G.I.P., in data 24 novembre 2010, in modo del tutto esplicito, parla di una richiesta di sequestro c.d. per equivalente e da atto della impossibilità transitoria e reversibile di reperimento dei beni costituenti profitto illecito e, pertanto, considerato il profitto del reato indisponibile , ritiene fondata la richiesta di misura cautelare reale di cui all'art. 640 quater c.p. con riferimento alla somma quantificata dal P.M. Il Tribunale del riesame, con ordinanza in data 13 dicembre 2010, confermava il suddetto provvedimento qualificandolo espressamente come sequestro per equivalente riguardante beni mobili di pertinenza del predetto A. , ritenuti di valore corrispondente alla somma di Euro 1.212.035.804,00 e, cioè, all'ammontare dell'illecito profitto individuato nel modo specificato nella stessa ordinanza. La sentenza della Corte di cassazione del 19 luglio 2011, come risulta chiaro dall'ampio stralcio sopra citato, annulla l'ordinanza impugnata proprio sul presupposto che essa abbia riguardato un sequestro per equivalente non solo perché tale lo definisce esplicitamente, ma anche perché l'annullamento si basa proprio sulla inapplicabilità irretroattiva delle disposizioni che hanno previsto la confisca per equivalente. Il Tribunale del riesame in sede di rinvio, con ordinanza dell'11 novembre 2011, limita l'ammontare del sequestro alla somma di Euro 84.776.967,08, ritenendo che, in applicazione dei principi formulati dalla Suprema Corte sull'inapplicabilità retroattiva della nuove disposizioni in materia di sequestro per equivalente, entro tale quota si giustifica, pertanto, il permanere del sequestro preventivo per equivalente ex artt. 640 quater e 322 ter c.p. . In definitiva risulta smentita per tabulas l'affermazione dell'ordinanza in questa sede impugnata che la tematica del sequestro della somma a titolo di profitto del reato è stata introdotta nella presente e perdurante fase incidentale cautelare [ .] fin dall'originaria richiesta di sequestro del P.M. datata 8 novembre 2010 . La stessa ordinanza cita anche a sostegno della sua affermazione la memoria depositata dal P.M. all'udienza davanti al Tribunale del riesame in sede di rinvio a seguito di annullamento della Corte di cassazione. In verità, però, in tale memoria il P.M. insiste nella tesi, già formulata nella richiesta di misura cautelare dell'8 novembre 2010, della truffa contestata all'A. quale truffa a consumazione prolungata e, solo incidentalmente e nella parte finale, argomenta che come risulta dalle relazioni del consulente Poggiali, le somme sequestrate sono quelle accumulate dall'A. nel corso degli anni grazie al meccanismo truffaldino di cui si è detto e attraverso lo stesso meccanismo portate all'estero. [ .] Ne deriva che esse sono il profitto del reato di truffa. Con la conseguenza che sono confiscabili ex art. 240 c.p. e sequestrabili ex art. 321 c.p.p. . A questo punto deve precisarsi, con la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, che il cosiddetto giudicato cautelare non si estende a tutte le questioni deducibili, bensì esclusivamente a quelle che sono state dedotte ed effettivamente decise Sez. 4, n. 32929 del 04/06/2009, Mariani, Rv. 244976 che la reiterazione di una richiesta di applicazione di misura cautelare reale, che contenga allegazioni e deduzioni diverse dalla precedente rigettata, non incontra la preclusione del cosiddetto, giudicato cautelare Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245092 che la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame può essere superata quando si prospettino nuovi elementi di valutazione e di inquadramento dei fatti, acquisiti da ulteriori sviluppi delle indagini pur se riguardanti circostanze precedenti alla decisione preclusiva Sez. 5, n. 5959 del 14/12/2011 -15/02/2012, Amico, Rv. 252151 . Ebbene, nel caso in esame, non vi è dubbio che la richiesta del P.M. del 16 novembre 2011 riguarda le somme individuate come diretto profitto del reato di truffa aggravata contestato ad A.A.S. e le somme individuate come prodotto del reato di riciclaggio contestato agli altri indagati. Dunque, quest'ultima richiesta del P.M. ha un contenuto diverso da quella originaria dell'8 novembre 2010 e si basa su ulteriori elementi investigativi che oggi consentono di affermare, con certezza, che tutta la somma oggetto del c.d. scudo fiscale è costituita proprio dal profitto dell'attività criminosa realizzata . Non sono pertinenti le osservazioni contenute nell'ordinanza impugnata secondo la quale le nuove risultanze di indagini alle quali fa riferimento il P.M. sono in atti almeno dal 20.09.2011 , poiché ciò che rileva, come si evidenzia nei citati principi di diritto, non è la circostanza che tali indagini fossero in atti, ma che esse siano state prese in considerazione dal G.I.P. prima e dal Tribunale del riesame poi, perché possa formarsi il giudicato cautelare, mentre così non è stato, trattandosi di questione - ammesso pure che fosse stata dedotta - comunque non decisa, come risulta dal testo dell'ordinanza del Tribunale del riesame dell'11 novembre 2011, che si è limitata, correttamente, a fare applicazione del principio di diritto formulato nella sentenza di annullamento con rinvio della Suprema Corte, limitando la somma oggetto di sequestro per equivalente. Deve, quindi, nella specie, affermarsi il seguente principio di diritto il c.d. giudicato cautelare si forma sul materiale probatorio esaminato originariamente dal giudice che ha emesso il provvedimento cautelare e trasmesso al tribunale del riesame, ma non sugli atti prodotti in udienza qualora l'organo del riesame non li abbia presi in alcuna considerazione”. Neppure coglie nel segno la memoria difensiva nel punto in cui afferma che il P.M. avrebbe dovuto impugnare l'ordinanza del Tribunale del riesame dell'11 novembre 2011 al fine di dolersi del mancato mantenimento del sequestro quale sequestro diretto del prodotto o profitto del reato e non presentare una nuova richiesta di misura cautelare reale. Infatti, deve affermarsi il seguente principio di diritto è legittima la nuova applicazione del provvedimento cautelare sulla base di ulteriori elementi prodotti nell'udienza davanti al Tribunale del riesame, restando rimesso alla strategia del pubblico ministero se procedere all'impugnazione della ordinanza del Tribunale del riesame per omessa motivazione sulla documentazione prodotta o presentare una nuova richiesta di applicazione di misura cautelare allegando gli elementi nuovi in precedenza non valutati”. Non pertinente, infine, è il richiamo contenuto nella memoria difensiva al principio formulato da Sez. 6, n. 16668 del 11/03/2009, Silvestri, Rv. 243533, secondo il quale l'istituto della preclusione procedimentale opera anche quando siano attivate più misure cautelari reali relative allo stesso bene e volte alla salvaguardia della medesima esigenza cautelare probatoria, preventiva, conservativa , ancorché relative a concorrenti imputazioni di reato ciascuna dei quali in astratto legittimante l'adozione della misura. Infatti, tale principio è stato formulato con riguardo alla ben diversa fattispecie in cui gli stessi beni erano stati oggetto di due distinti provvedimenti cautelari reali e ha la espressa finalità di consentire che mantenga efficacia solo il titolo che sia in concreto e nella fase procedimentale in corso il più utile . Il ricorso, pertanto, deve essere accolto con il conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze per nuovo esame che faccia applicazione dei principi di diritto come sopra formulati. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Firenze.