La vittima è stata convinta di essere debitrice di somme non dovute: condannato il truffatore

Indurre la vittima a credere di essere ancora debitrice di somme pari al prezzo della merce mai consegnata, maggiorato di iperbolici accessori, adducendo pretestuose argomentazioni sulla regolarità formale del recesso, integra senza dubbio la condotta tipica del reato di truffa.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49261/12, depositata il 19 dicembre. Il caso. Un uomo viene condannato in entrambi i gradi di merito per il reato di tentata truffa egli infatti avrebbe convinto un acquirente a sottoscrivere una ricognizione di debito benché fosse a conoscenza dell’avvenuta risoluzione dell’originario contratto di vendita stipulato anni prima la vittima, infatti, aveva acquistato alcuni prodotti sovvenzionato da una società finanziaria, ma, non avendoli ricevuti, aveva subito esercitato il diritto di recesso. Il credito originario, però, era stato più volte ceduto fino a pervenire alla società rappresentata dall’imputato. Il recesso era legittimo. Questi ricorre per cassazione, deducendo diversi motivi. Quanto alla doglianza relativa alla ritualità del recesso rispetto alle condizioni di vendita, la S.C., confermando la statuizione dei giudici di merito, ritiene che esso sia stato esercitato legittimamente e che la società lo abbia accettato in concreto. Il riferimento a clausole vessatorie non è pertinente. Neppure può essere invocata l’erronea applicazione dell’art. 1469 c.c. in materia di clausole vessatorie, in quanto tale norma sarebbe entrata in vigore posteriormente alla stipula dell’originario contratto la sentenza, infatti, si riferisce solo genericamente all’inserimento di clausole vessatorie nei contratti e non nel contratto in questione nella descrizione del fatto è chiaramente indicato che l’imputato aveva pretestuosamente allegato vizi formali della comunicazione di recesso e non l’esistenza di clausole che avrebbero comunque vincolato l’offeso al rimborso del finanziamento nonostante la mancata consegna della merce e la risoluzione del contratto di vendita. La condotta integra senza dubbio il reato di truffa. Secondo i giudici di legittimità, il fatto che la vittima sia stata indotta a credere di essere ancora debitrice di somme pari al prezzo di vendita della merce mai consegnata, maggiorato di iperbolici accessori, a causa di pretestuose argomentazioni sulla regolarità formale della disdetta venuta comunque a conoscenza di tutte le parti dei negozi collegati corrisponde senza dubbio alla descrizione del fatto tipico previsto dal reato di truffa. Provata l’implicazione dell’imputato. Il ricorrente contesta poi la sua identificazione con il soggetto che avrebbe trattato con il truffato quanto alla ricognizione del debito, ma, a giudizio della S.C., il suo concreto intervento è stato correttamente rilevato dai giudici di merito l’eventuale coinvolgimento di un terzo non potrebbe dunque mutare il quadro di responsabilità a carico dell’imputato, limitandosi semmai ad aggiungersi ad esso. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 dicembre – 19 dicembre 2012, n. 49261 Presidente Petti – Relatore Prestipino Ritenuto in fatto 1. Ha proposto ricorso per cassazione R.R. , avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 10.6.2011, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 9.4.2010, per il reato di tentata truffa in danno di V.R. . 2. Il procedimento era nato in margine ad un'annosa vicenda contrattuale che aveva interessato, all'origine, nel lontano 1995, la International Bolero Travel e V.R. . Quest'ultimo aveva acquistato nello stesso anno prodotti della società per un ammontare di L. 1.500.000, sovvenzionato dalla soc. finanziaria Finemiro, ma non avendo ricevuto la merce, aveva subito esercitato il diritto di recesso. Nonostante la risoluzione del contratto di vendita, il credito originario della Iternational Bolero per il prezzo della merce mai consegnata era stato oggetto di varie cessioni a società finanziarie, fino ad essere acquistato dalla Global Service, società secondo l'accusa rappresentata dal ricorrente, che avrebbe inoltre personalmente condotto le trattative con il V. per la definizione della pratica, convincendolo infine a sottoscrivere, il 5.7.2005, una ricognizione di debito per oltre 3000,00 Euro, benché fosse perfettamente a conoscenza dell'avvenuta risoluzione dell'originario contratto di vendita. 3. Deduce il ricorrente - il vizio di violazione ed erronea applicazione dell'art. 1469 bis c.c., che regola la sorte delle clausole vessatorie tra professionisti e consumatori, in quanto entrato in vigore successivamente alla stipula del contratto di vendita del 1995 - Il vizio di mancata assunzione di prova decisiva in relazione alla mancata assunzione della testimonianza di M.G. , che sarebbe stato il legale rappresentante della Global Service all'epoca della stipula della ricognizione di debito del 2005 e unico responsabile dell'iniziativa - il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta ritualità del recesso contrattuale del V. , in quanto asseritamente non corrispondente alle formalità prescritte dall'art. 1 del contratto di vendita - il difetto di motivazione in ordine all'identificazione del ricorrente come il soggetto che avrebbe trattato con il V. per la stipula della ricognizione di debito la valutazione della Corte di merito sarebbero troppo incertamente ancorate ad una annotazione di Pg e ad una vaga e ambigua dichiarazione del R. - il difetto di motivazione in relazione alla liquidazione dei danni morali, incongruamente parametrati dai giudici territoriali alla sofferenza patita dal V. per la perdita della moglie Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. La sentenza impugnata muove dalla corretta premessa in diritto che nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3589 del 16/02/2010 Findomestic Banca Spa Manfredini contro Consoli ed altri . 1.1 Secondo i giudici di appello, quindi, avendo il V. legittimamente esercitato il diritto di recesso nei confronti della società venditrice, nulla poteva più essergli richiesto in dipendenza della precedente contrattazione, essendo egli estraneo al contratto di finanziamento tra la International Bolero Travel e la Finemiro. 2. La difesa contesta la ritualità del recesso, ma anzitutto non esplicita in alcun modo il contenuto dell'art. 1 del contratto di vendita in secondo luogo, non tiene conto del fatto che il recesso fu comunque accettato in concreto dalla International Bolero i giudici di appello opportunamente sottolineano al riguardo che la circostanza risulta da una scheda datata 19.3.1997 relativa al rapporto contrattuale in questione compilata dalla società Finemiro, e dalla lettera spedita alla Finemiro dalla CDC servizi finanziari s.r.l., in data 5.6.1998, con cui la mittente informava la destinataria dell'avvenuto annullamento della proposta di acquisto e precisava che doveva conseguentemente ritenersi annullato anche il contratto di finanziamento. Non è vero poi, che la Corte di merito non abbia considerato che il sequestro dei documenti in questione era stato effettuato presso soggetti diversi dalla Global Service, avendo piuttosto i giudici di appello logicamente affermato che tutta la documentazione relativa alla complessa vicenda contrattuale doveva comunque essere pervenuta alla Global Service, come ovvio supporto delle successive iniziative per il recupero del credito. 3. Anche alla luce della documentazione del concreto svolgimento della vicenda contrattuale, appare poi non pertinente il riferimento del ricorrente all'art. 1469 bis c.c. e alle questioni di diritto intertemporale che si porrebbero in ragione dell'anteriorità della stipula del contratto del 1995 rispetto all'introduzione della norma, aggiunta al codice civile nel 1996 e che nel testo originario regolava la sorte delle clausole vessatorie inserite nei contratti tra il professionista e il consumatore, dovendosi aggiungere che dalla sentenza impugnata non risulta affatto che nel contratto del 1995 fossero state inserite clausole corrispondenti a quelle per le quali gli artt. 1469 bis e ss., avrebbero poi previsto la sanzione dell'inefficacia. La sentenza si riferisce, infatti, genericamente e accademicamente all'inserimento di clausole vessatorie nei contratti non nel contratto in questione e nella descrizione del fatto rileva che il ricorrente aveva pretestuosamente allegato vizi formali della comunicazione di recesso, non l'esistenza di clausole contrattuali che avrebbero ugualmente vincolato - peraltro nel definitivo venir meno della causa negoziale - la persona offesa al rimborso del finanziamento nonostante la mancata consegna della merce e la risoluzione del contratto di vendita. Né dell'esistenza e del tenore di simili clausole è cenno nello stesso ricorso, talché non occorre impegnarsi oltre nelle questioni di diritto sollevate dal ricorrente, dovendosi in conclusione ribadire, in conformità alle valutazioni della Corte di merito, l'evidente illegittimità della pretesa creditoria della Global Service. 4. Il fatto che il V. fosse stato invece indotto a credere di essere ancora debitore di somme pari al prezzo di vendita di merce mai consegnatagli, maggiorato di iperbolici accessori, sulla base di pretestuose argomentazioni sulla regolarità formale della disdetta, venuta comunque a conoscenza, per quel che effettivamente rileva, di tutte le parti dei negozi collegati, e seguita da consentanee determinazioni delle altre parti negoziali, correttamente è stato quindi valutato dalla Corte territoriale come la conseguenza di una condotta decettiva corrispondente alla descrizione del fatto tipico nella previsione dell'art. 640 c.p 5. Infondato è anche il motivo sulla mancata assunzione della testimonianza di M.G. . Premesso che si tratterebbe, in realtà, in tesi, del vero responsabile dei fatti attribuiti al R. , va osservato che la Corte di merito ha ritenuto l'implicazione del ricorrente nella vicenda essenzialmente sulla base del suo concreto intervento nei confronti del V. come incaricato del settore recupero crediti per conto della Global Service, contestato dal ricorrente per lo più sulla base di considerazioni assertive e comunque prive di idonei riferimenti processuali, e con il generico riferimento ad isolati incisi delle dichiarazioni della persona offesa che peraltro non sembrano affatto equivoche, così come riportate, nell'indicazione fisica del R. , ma semmai erronee nell'indicazione della sua qualità di legale rappresentante della Global Service , con una tecnica che non consente il controllo della fedeltà delle indicazioni di parte all'effettivo contenuto delle fonti di prova. E ciò, a prescindere dalla considerazione che lo stesso ricorrente finisce per ammettere una sua diretta implicazione nella vicenda, come autore di un parere sull'esigibilità del credito. L'eventuale coinvolgimento nei fatti di un terzo non sarebbe quindi in nessun modo in grado di determinare nei confronti del ricorrente una ricostruzione dei fatti diversa da quella effettuata, perché il soggetto terzo potrebbe aggiungersi al R. in un più ampio quadro di responsabilità, ma non sostituirsi ad esso su tale criterio di vantazione della decisività della prova, come fondamento della censura di legittimità ex art. 606 c.p.p., lett. d , cfr. ad es., Cass. sez. IV, 24.10.2005 Bolognini . 6. Del tutto generiche sono infine le censure di legittimità del ricorrente sulla liquidazione del danno alla parte civile il ricorso punta al riguardo sull'evidente sopravvalutazione del marginale inciso contenuto nella sentenza sulla dolorose vicende familiari del V. , ma si tratta di valutazione quasi soltanto incidentale, mentre il ricorrente nemmeno si impegna nella valutazione dell’intrinseca congruità dell’importo complessivo e dell’ammontare degli acconti pagati dalla persona offesa, che se non hanno influito sul titolo del reato, incidono però indiscutibilmente sull’entità del danno, oltreché, come correttamente ritenuto dai giudici di appello, nella valutazione della gravità oggettiva del fatto, indipendentemente dal singolare consolidamento processuale dell’ipotesi del semplice tentativo, ancora una volta del tutto assertiva essendo al riguardo la deduzione del ricorrente secondo cui gli acconti sarebbero stati versati nel tempo dal V. a soggetti diversi dalla Golbal Service tanto risulterebbe dalla documentazione in atti e dall’assolutamente generico riferimento alle dichiarazioni del V. , senza alcuna indicazione sull’effettiva direzione soggettiva dei pagamenti che risulterebbe da tali dichiarazioni” , Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere rigettato, con la conseguenti statuizioni sulle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.