Non conta solo la residenza, ma anche il contesto socio-familiare

Residente a Londra, ma sposato in Italia e padre di una bimba. Il giudice di merito dovrà valutare se, dopo aver subito il processo in Inghilterra, e in caso di condanna, l’imputato debba essere rinviato in Italia.

Lo ha sottolineato la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48777 depositata il 17 dicembre 2012. La fattispecie. La Corte d’appello italiana dichiarava sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna alla giustizia inglese di un uomo a cui veniva contestato il reato di spaccio di cocaina. L’interessato, con residenza a Londra, si rivolge alla Corte di Cassazione italiana. Gli Ermellini, in rigetto del primo motivo di ricorso, specificano che in materia di m.a.e. non è richiesta l’esatta sovrapponibilità dei sistemi processuali posti a confronto, essendo sufficiente che in quello dello Stato richiedente siano dettate regole di garanzia sostanzialmente assimilabili a quelle fissate nel nostro impianto processuale penale a tutela dei diritti di libertà dell’indagato Cass., SSUU, n. 4614/2007 . Invece, la S.C. ritiene fondato il secondo motivo del ricorso, annullando con rinvio la sentenza impugnata. Bisogna valutare anche il contesto sociale, familiare e lavorativo nel quale è più facile la risocializzazione del condannato. Se il destinatario del m.a.e. processuale finalizzato ad ottenere la consegna dell’imputato per consentire lo svolgimento all’estero di un processo penale è un cittadino italiano, o residente in Italia, egli ha diritto alla consegna subordinata al rinvio in Italia nel caso venga considerato colpevole. L’interessato è sposato in Italia e ha una figlia. Tuttavia – precisa la Corte di Cassazione - non è sufficiente il mero requisito dell’iscrizione anagrafica nel registro dei residenti, ma occorre rilevare l’esistenza di uno o più indici concretamente sintomatici di reale e non estemporaneo radicamento dell’interessato con lo Stato italiano . E, nel caso di specie, l’imputato risulta essere coniugato con una cittadina italiana, proprietaria di una attività commerciale, dalla cui unione è nata una bambina.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 – 17 dicembre 2012, n. 48777 Presidente Serpico – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catania dichiarava sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto Europeo emesso il 17/08/2012 dalla Crown Court di Bristol nei confronti di C.V., tratto in arresto in omissis in esecuzione della ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere adottata in pari data di quella Corte italiana. Rilevava la Corte di appello come il mandato di arresto Europeo fosse stato emesso per dare esecuzione al provvedimento con il quale la Corte inglese del Cheltenham Magistrate aveva contestato al C. il reato di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina come tale reato rientrasse nel novero di quelli per i quali la legge 22 aprile 2005, n. 69 contenente le Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri prevede la consegna obbligatoria e, comunque, come lo stesso avesse corrispondenza con l'analogo reato previsto dal codice penale italiano come le emergenze desumibili dalla documentazione trasmessa dall'autorità giudiziaria inglese in specie, il fatto che il C. fosse stato osservato nel mentre, in più occasioni, consegnava delle buste ad altri soggetti ricevendo somme di denaro, all'interno di una delle quali, in una circostanza verificata nel novembre del 2010, fermato l'acquirente dagli agenti di polizia subito dopo aver ritirato il pacchetto dal C. , era stata trovata una partita di 3 kg. di cocaina pura , fossero elementi sufficienti a far ritenere una situazione di gravità indiziaria a carico del prevenuto. Aggiungeva la Corte catanese come non sussistessero ragioni di rifiuto della consegna, dato che la documentazione acquisita aveva provato che la misura cautelare era stata applicata al C. con una durata predeterminata di 182 giorni né dovesse essere domandata all'autorità inglese la garanzia che il prevenuto, dopo essere processato in Inghilterra, fosse poi rinviato in Italia per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale eventualmente irrogatagli in quel processo, posto che lo stesso non svolgeva alcuna attività lavorativa e non risultava residente in Italia, bensì a Londra, dove aveva vissuto fino a qualche tempo prima con la convivente italiana. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il C. , con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti due motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 18 comma 1 lett. e legge n. 69 del 2005, e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale accolto la richiesta di consegna del C. nonostante il sistema processuale inglese preveda la possibilità di prorogare sine die il termine di durata della custodia cautelare, originariamente stabilita in 182 giorni. 2.2, Violazione di legge, in relazione all'art. 18 comma 1 lett. r legge n. 69 del 2005, e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale disatteso la richiesta difensiva di prevedere che la consegna fosse subordinata alla condizione che il C. fosse rimandato in Italia per l'esecuzione della pena che gli fosse stata eventualmente inflitta in Inghilterra. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso è infondato. Costituisce principio oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, in tema di mandato di arresto Europeo, deve escludersi che ricorra l'ipotesi prevista dall'art. 18 comma 1 lett. e della legge 22 aprile 2005, n. 69, che impone il rifiuto della consegna qualora la legislazione dello Stato membro di emissione non fissi limiti massimi della carcerazione preventiva, in relazione ad un mandato di arresto emesso dall'autorità giudiziaria di altro Paese dell'Unione Europea, laddove l'ordinamento processuale di quello Stato preveda un limite massimo di custodia cautelare e la possibilità di eventuali proroghe del termine a cadenze periodiche, controllate da quello stesso giudice straniero in questo senso Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235352 sostanzialmente conf., in seguito, Sez. 6, n. 26194 del 02/07/2010, Mancioppi, Rv. 247827 Sez. 6, n. 2971 del 17/01/2008, Mantu, Rv. 238360 . Di tale regula iuris la Corte di appello di Catania ha fatto corretta applicazione, rilevando, con motivazione congrua ed esente da vizi di illogicità, come dalla relazione del Crown Prosecutor Service di Bristol risultasse che la durata della custodia cautelare disposta nei confronti della persona di cui era stata domandata la consegna, avrebbe avuto una durata non superiore a 182 giorni, termine decorrente dall'invio dell'imputato in quel paese, entro il quale si deve definire il processo di primo grado. Né conduce a differenti conclusioni la circostanza, segnalata dal ricorrente, che, nell'ordinamento processuale vigente in Inghilterra sia previsto che il termine di svolgimento del giudizio di primo grado e, conseguentemente, il termine di durata della custodia cautelare possano essere prorogati in situazioni eccezionali, legate alla gravità del reato oggetto di contestazione ovvero alla complessità del procedimento. Ed invero, tale indicazione difensiva non contraddice affatto l'assunto iniziale, e cioè che è pienamente compatibile con i principi fondamentali del nostro ordinamento una disposizione, quale quella contenuta nel sistema processuale dello Stato richiedente la consegna, che stabilisce che, nell'ambito di una determinata fase quale quella del giudizio di primo grado, il termine di durata della custodia cautelare possa essere eccezionalmente prorogato dal giudice sulla base di accertate condizioni predeterminate dalla legge. Al contrario, è dirimente che quel sistema fissi, comunque, un termine massimo di durata della custodia cautelare, che coincide con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado previsione, questa, la quale solo apparentemente contrasta con la disciplina dettata dal nostro codice di rito, che collega la efficacia della misura cautelare alla definizione dell'intero processo e, dunque, all'emissione di una sentenza di condanna irrevocabile, ma che, ai fini che qui interessa, non è di ostacolo alla operatività delle norme in materia di mandato di arresto Europeo, tenuto conto che, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, per la operatività di tale istituto, sostitutivo in ambito UE di quello estradizionale, non è affatto richiesta una esatta sovrapponibilità dei sistemi processuali posti a confronto, essendo sufficiente che in quello dello Stato richiedente siano dettate regole di garanzia quale, nella fattispecie, quelle che nella legislazione dello Stato membro di emissione del mandato, prevedono la individuazione di un termine di durata della misura cautelare connesso alla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado sostanzialmente assimilabili a quelle fissate nel nostro impianto processuale penale a tutela dei diritti di libertà dell'indagato così Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235351 conf., su tale specifico punto, Sez. 6, n. 12665 del 19/03/2008, Vaicekauskaite, Rv. 239155 Sez. 6, n. 26194 del 02/07/2010, Mancioppi, cit. . È appena il caso di aggiungere che la soluzione, che qui si è inteso privilegiare, non si pone in contrasto - a differenza di quanto prospettato dal ricorrente - con il dettato dell'art. 13 comma 5 Cost., nella parte in cui prevede che la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva , atteso che a tale regola della Carta fondamentale le Sezioni Unite, con la sentenza Ramoci innanzi considerata, hanno inteso attribuire un carattere cedevole a fronte dell'obbligo di rispetto dei vincoli scaturenti dall'ordinamento comunitario e dalle convenzioni internazionali, di cui all'art. 117 Cost., finendo per proporre un'opzione interpretativa che i Giudici delle leggi hanno implicitamente manifestato di poter avallare v. C. cost., ord. 109 del 2008 . 2. Il secondo motivo del ricorso è fondato, sia pur con le precisazioni che seguono. Premesso che è erroneo il riferimento, contenuto nell'atto di impugnazione, all'art. 18 comma 1 lett. r legge n. 69 del 2005, che contiene una norma applicabile nei soli casi di mandato di arresto Europeo esecutivo emesso, cioè, ai fini dell'esecuzione di una pena inflitta con sentenza definitiva e non anche in quelli di mandato di arresto Europeo processuale, ovvero ai fini dell'esercizio dell'azione penale, finalizzato - come nel caso di specie - ad ottenere la consegna dell'imputato per consentire lo svolgimento all'estero di un processo penale nella stessa ottica C. cost. n. 374 del 2010 , va osservato come la richiesta del C. di subordinare la consegna alla condizione che venga rimandato in Italia per l'esecuzione della pena eventualmente infintagli così a pagg. 3-4 del ricorso impone di verificare se vi siano le condizioni per l'applicazione della diversa disposizione dettata dall'art. 19 comma 1 lett. c legge cit., secondo la quale se il destinatario del m.a.e. processuale è un cittadino italiano o un soggetto residente in Italia, lo stesso ha diritto a che la consegna sia subordinata alla condizione che egli, dopo lo svolgimento all'estero del processo a suo carico, in ipotesi di condanna venga rinviato in Italia per scontare la relativa pena. Questa Corte ha già avuto modo di sottolineare come, nel caso del soggetto straniero residente in Italia, tale disposizione imponga una verifica sostanziale e non formale dei requisiti di radicamento con il territorio del nostro paese, nel senso che non è sufficiente il mero requisito dell'iscrizione anagrafica nel registro dei residenti, ma occorre rilevare l'esistenza di uno più indici concretamente sintomatici di reale e non estemporaneo radicamento dell'interessato con lo Stato italiano, nel quale ha stabilito la sede principale dei propri interessi affettivi ed economici, in maniera tale da assimilarne la posizione a quella del cittadino italiano in questi termini, tra le tante, Sez. 6, n. 20553 del 27/05/2010, Cocu, Rv. 247101 Sez. 6, n. 14710 del 09/04/2010, S., Rv. 246747 Sez. 6, n. 2951 del 19/01/2010, Gheorghita, Rv. 245792 Sez. 6, n. 2950 del 19/01/2010, Lazurca, Rv. 245791 Sez. F, n. 36322 del 15/09/2009, Grosu, Rv. 245117 Sez. 6, n. 7108 del 12/02/2009, Bejan, Rv. 243077 . Questa esegesi è coerente anche alla logica sottesa alla previsione legislativa della complementare causa di rifiuto di consegna, di cui al già menzionato art. 18 comma 1 lett. r legge cit Ed infatti, pur ribadendo - come si è visto - la differenza dei rispettivi presupposti applicativi dato che l'art. 19 comma 1 lett. c pone una condizione rispetto ad ipotesi, la condanna all'estero, che ancora si deve verificare, mentre l'art. 18 comma 1 lett. r si riferisce alla esecuzione di una pena già irrogata dall'autorità giudiziaria straniera con sentenza definitiva , va evidenziato come la ratto delle due complementari disposizioni sia praticamente la medesima talché è significativo che la Consulta, nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 19 comma 1 lett. c , nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell'Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, abbia chiarito che l’art. 4, punto 6, della decisione quadro n. 584 del 2002, che attribuisce al legislatore nazionale la facoltà di prevedere che l'autorità giudiziaria rifiuti la consegna del condannato ai fini dell'esecuzione della pena detentiva nello Stato emittente quando si tratti di un cittadino dello Stato dell'esecuzione, ovvero ivi risieda o vi abbia dimora . ha accordato una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena cui essa è stata condannata. In tal senso, il criterio per individuare il contesto sociale, familiare e lavorativo, nel quale si rivela più facile e naturale la risocializzazione del condannato, durante e dopo la detenzione, non è tanto e solo la cittadinanza, ma la residenza stabile, il luogo principale degli interessi, dei legami familiari, della formazione dei figli e di quant'altro sia idoneo a rivelare la sussistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia . C. cost., n. 227 del 2010 . Alla stregua di tale criterio ermeneutico, va rilevato come il ricorrente, già dimorante in passato in Inghilterra, ha allegato all'impugnazione documentazione da cui si evincerebbe che lo stesso risulta essersi trasferito in Italia nel febbraio del 2012, gli sia stato rilasciato un regolare permesso di soggiorno nel giugno del 2012, sia coniugato con una cittadina italiana dalla cui unione è nata anche una bambina, dimori stabilmente a Modica, dove la coniuge ha un'attività commerciale e dove egli ha indicato il proprio domicilio anche ai fini dell'assistenza da parte del medico di base del servizio sanitario nazionale documentazione che non è stata valutata dai Giudici di secondo grado cui spetta verificare, alla luce di tali elemento, se l'interessato abbia dato dimostrazione di un effettivo e stabile radicamento con il territorio dello Stato italiano e, dunque, del suo diritto ad essere rinviato in Italia per espiarvi la pena eventualmente inflitta agli dall'autorità giudiziaria inglese. La sentenza gravata va, dunque, annulla con rinvio alla Corte di appello per nuovo giudizio sul punto. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 22 co. 5 L. 69/05. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catania per nuovo giudizio. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.