Cartellino timbrato indirettamente, ingresso effettivo posticipato: comportamento esecrabile, nessuna sanzione penale

Salvi due dipendenti di un ospedale, protagonisti di una vicenda tipicamente italica. Nessuna possibilità di contestare la falsità ideologica in atto pubblico, perché il fatto è relativo all’ambito privato del rapporto di lavoro. Nessuna ipotesi di sostituzione di persona. E, infine, nessuna possibilità di contestare la truffa l’assenza da lavoro è stata minima.

Cartellino magnetico timbrato conto terzi all’ingresso. Obiettivo certificare, grazie alla collaborazione-complicità di un collega, l’entrata formale a lavoro in un orario precedente a quello dell’entrata effettiva. Pessima abitudine, assai diffusa in Italia, da sanzionare moralmente, ma che non sempre è punibile penalmente Cassazione, sent. n. 48662/2012, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Fatto privato. A essere passato ai ‘raggi X’ è il comportamento tenuto da due dipendenti di un presidio ospedaliero il primo si presenta in orario e timbra il proprio cartellino regolarmente, ma, su richiesta di un collega destinato ad arrivare in ritardo, timbra anche il cartellino del secondo dipendente. Bluff subito scoperto è lapalissiano che il secondo dipendente sia arrivato a lavoro in ritardo – seppur di poco – rispetto all’orario di ingresso registrato tramite la timbratura del cartellino. Eppure il Giudice per le indagini preliminari opta per il non doversi procedere nei confronti dei due lavoratori rispetto all’accusa di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici . Per una ragione semplicissima la condotta di chi fa riportare sul cartellino ‘marcatempo’ nella sua dotazione la presenza, non corrispondente alla realtà, sul proprio posto di lavoro, produce effetti solo nell’ambito della sfera relativa al rapporto di diritto privato tra il dipendente e il suo datore di lavoro, essendo la falsa attestazione rilevante essenzialmente per il computo della retribuzione . Ebbene, questa valutazione viene condivisa dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, che, però, ritiene possa essere diverso l’addebito da muovere ai due lavoratori Danno lieve. e più precisamente, chiarisce il Procuratore Generale proponendo ricorso per cassazione, si può contestare il reato di sostituzione di persona , evidentemente finalizzato a ottenere un vantaggio, a spese, in questo caso, di un presidio ospedaliero. Ma anche questa visione non viene ritenuta fondata. Per essere chiari, i giudici di terzo grado, difatti, ricordano che l’elemento rilevante, nella ipotesi avanzata dal Procuratore Generale, è l’attribuzione al soggetto attivo e la conseguente rappresentazione nei confronti dei terzi, allo scopo di indurli in errore per far conseguire a sé o ad altri un vantaggio ovvero per arrecare ad altri un danno, di connotati che, pur non appartenendogli, appaiono idonei a definirlo come una persona diversa da quella che egli effettivamente è, ovvero rivestito di uno stato o dotato di una qualità, a cui la legge riconnette effetti giuridici, che egli in realtà non possiede , ma, in questa vicenda, tale elemento non ricorre assolutamente. Più chiaramente, non vi è stata sostituzione di persona. Certo, riconoscono i giudici, nessun dubbio sull’azione compiuta, ossia la vidimazione , da parte di un lavoratore, oltre che della propria scheda magnetica anche di quella del collega, così agendo come longa manus di quest’ultimo , e ciò potrebbe portare alla valutazione dell’ipotesi di truffa, ma questo ulteriore non è praticabile, perché si andrebbe oltre la causa petendi proposta dal Procuratore Generale. Eppoi, per giunta, già il Gip aveva riflettuto su questo percorso, ritenendolo poi non praticabile per la mancanza, in capo all’ente pubblico, di un effettivo danno patrimoniale, tenuto conto della breve durata dell’assenza del lavoratore, entrato presto in ospedale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 settembre – 14 dicembre 2012, n. 48662 Presidente Teresi – Relatore Guardiano Ritenuto in fatto Con sentenza pronunciata il 2.12.2010 il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, in sede di udienza preliminare, dichiarava, ai sensi dell'art. 425, c.p.p., non doversi procedere nei confronti di L.P.A.A. e di N.F., imputati del delitto di cui agli artt. 110, 479, c.p., con la formula perché il fatto non sussiste. Tale sentenza veniva impugnata dal procuratore generale presso la corte di appallo di Caltanissetta innanzi alla suddetta corte di appello, che, in data 7.2.2012, qualificava il mezzo di gravame esperito come ricorso in cassazione, disponendo la trasmissione degli atti alla Suprema Corte. Considerato in diritto Il ricorso presentato dal procuratore territoriale non può essere accolto. Il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta ha escluso che nella condotta dei due imputati, dipendenti del presidio ospedaliero di San Cataldo ‘‘R. Raimondi’’, accusati del delitto di cui agli artt. 110, 79, c.p., ‘‘per avere il L.P., agendo su istigazione del N. e, quindi, agendo in concorso tra loro, passando alla timbratura il tesserino magnetico matr. 00320 appartenente al Naro, attestato falsamente la presenza del Naro alle 8,07, mentre l’ingresso di quest’ultimo alla sede di lavoro veniva accertato successivamente alle 8.18’’, sul presupposto che, nel caso in esame, difetterebbe un elemento essenziale della fattispecie di ‘‘falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiate in atti pubblici’’, e, precisamente, la natura pubblica dell'atto compiuto dal pubblico ufficiale, in quanto la condotta di chi fa riportare sul cartellino marcatempo nella sua dotazione la presenza, non corrisponde. Alla realtà, sul proprio posto di lavoro, produce effetti solo nell'ambito della sfera relativa al rapporto dì diritto privato tra il dipendente ed il suo datore di lavoro, ‘‘essendo la falsa attestazione rilevante essenzialmente per l'esatto computo della retribuzione, senza che in qualche momento trovi manifestazione il pubblico servizio’’ cfr. pp. 4-5 della sentenza impugnata . Nel proporre ricorso, il procuratore generale, dal suo canto, evidenzia come pur dovendosi ammettere l'impossibilità di configurare nel caso in esame la sussistenza del delitto di cui all'art. 479, c.p., non avendo i cartellini marcatempo la natura di ‘‘atto pubblico’’, come affermato dalla sentenza delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione, 11 aprile 2006, n, 15983, rv. 233423, richiamata anche dal giudice per le indagini preliminari, nondimeno la condotta degli imputati, essendosi concretizzata in una immutatio veri, cioè in una falsa rappresentazione della realtà, nei sensi in precedenza indicati, debba comunque essere ricondotta al paradigma normativo di cui all'art. 494, c.p., di cui sottolinea la dimensione di norma dì chiusura del sistema sanzionatorio penale in materia di falso, sotto la cui operatività ricadono tutti i comportamenti illeciti che non sono altrimenti qualificabili in termini di reati contro la fede pubblica, come si deduce agevolmente dall'inciso contenuto nella parte finale del testo di tale disposizione normativa ‘‘se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica’’. Orbene il pur apprezzabile sforzo del procuratore territoriale non può essere condiviso, in quanto, ad avviso di questa Suprema Corte, la condot.ta dei due imputati non rientra nella previsione normativa dell'art. 494, c.p. Ed invero la condotta sanzionata dal menzionato art. 494, c.p., come è noto, è quella di chi, ‘‘al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri in danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici’’. Si tratta, come è stato osservato dalla dottrina, di un reato a forma vincolata commissiva, avente, secondo la giurisprudenza di legittimità, natura plurioffensiva, essendo preordinato non solo alla tutela del pubblico interesse sotteso alla genuinità ed alla affidabilità de! rapporti interpersonaìì, ma anche di quelli del soggetto privata nella sfera giuridica del quale l'atto sia destinato ad incidere concretamente cfr, Cass., sez. V, 27.3.2009, n. 21574, rv. 243884 , in cui l'elemento materiale consiste in una pluralità di condotte tipiche fra esse alternative, tutte, però, contraddistinte di un elemento comune l'attribuzione al soggetto attivo e la conseguente rappresentazione nei confronti dei terzi, allo scopo di indurli in errore per far conseguire a sé o ad altri un vantaggio ovvero per arrecare ad altri un danno, di connotati che, pur non appartenendogli appaiono idonei a definirlo come una persona diversa da quella che egli effettivamente è ovvero rivestito di uno stato o dotato di una qualità a cui la legge riconnette effetti giuridici, che egli in realtà non possiede. In questa prospettiva si collocano le decisioni con cui la Suprema Corte ha ravvisato gli estremi del delitto in parola, ad esempio 1 nel caso di attribuzione a sé dì un falso nome di persona immaginaria cfr. Cass., sez. II, 21.12.2011, n. 4250, P., rv. 252203 2} nella condotta di colui che crei ed utilizzi un ‘‘account’’ ed una casella di posta elettronica servendosi dei dati anagrfici dì un diverso soggetto, inconsapevole, con il fine dì far ricadere su quest'ultimo l’inadempimento delle obbligazioni conseguenti all'avvenuto acquisto di beni mediante la partecipazione ad aste in rete cfr. Cass., sez. III, 15.12.2011, n. 12479, A., rv. 252227 3 nella falsa rappresentazione della qualità di dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto la legge attribuisce a tale rapporto determinati affetti, tra cui il diritto alla retribuzione cfr. Cass., sez. II, 1.12.2010, n. 44955, L, rv. 248731 nella specie il reo, al fine di monetizzare un assegno bancario privo dì copertura, aveva rassicurato il prenditore sulla copertura del titolo qualificandosi come dipendente della ditte ‘‘Bartolini’’, indicando suggestivamente alla vittima un furgone di colore rosso parcheggiato davanti al suo negozio 4 nella falsa attribuzione detta qualità di sacerdote, in quanto l'ordinamento riconosce alla qualità di ministro di culto effetti civili ed amministrativi {cfr. Cass., sez, V, 19.8.2008, n. 41142, P., rv, 241590 . Nel caso in esame, invece, tale elemento caratterizzante non ricorre, in quanto in nessun momento il L.P. si è sostituito alla persona del N., attribuendosi i dati identificativi di quest'ultimo e presentandosi all'esterno come se fosse il suo collega egli ha effettuato, infatti, una doppia vidimazione, marcando, oltre alla propria scheda magnetica, anche quella del coimputato cfr. p. 3 dell'impugnata sentenza , agendo, in definitiva, come una longa manus di quest'ultimo. In tal modo il soggetto passivo del reato, vale a dire l'amministrazione da cui dipendono il L.P. ed il N., attraverso il meccanismo di rilevazione elettronica delle presenze, è sì caduta in errore circa l'effettiva presenza del N. sul luogo di lavoro, ma non per avere attribuito al L.P., in virtù del suo sostituirsi al N., le connotazioni personali di quest'ultimo, quanto piuttosto in conseguenza di un artifizio, cioè della simulazione dì una circostanza di fatto inesistente, posto in essere dai due imputati, attraverso l'utilizzazione da parte del L.P. della scheda magnetica del N., di cui, tuttavia, non assumeva l'identità. Il che non significa considerare priva di rilevanza penale la condotta degli imputati, che potrebbe astrattamente essere ricondotta al paradigma normativo di cui all'art. 640, co. 2, n. 1 , c.p. ipotesi che, peraltro, lo stesso giudice per le indagini preliminari prendeva in considerazione, non considerandola tuttavia, praticabile per la mancanza inn capo all'ente pubblica di un effettivo danno patrimoniale, tenuto conto della breve durata dell'assenza del N., rientrato in ospedale appena dieci minuti dopo l'utilizzazione della sua scheda magnetica da parte del coimputato . Tale profilo, però, appare del tutto irrilevante nel caso in esame in quanto la causa petendi del gravame proposto dal procuratore generale era esclusivamente quella di qualificare il fatto ascritto al L.P. ed al N. ai sensi dell'art. 494, c.p. cfr. p. 3 dell'appello convertito in ricorso in Cassazione e, quindi, accogliere l'impugnazione del pubblico ministero per una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata, significherebbe, da un lato oltrepassare i rigidi limiti del devoluto, dall'altro incidere direttamente sull'esercizio dell'azione penale con effetto vincolante sulle determinazioni del pubblico ministero, al di fuori dell'ipotesi imputazione coatta, ex art. 409, co. 5, c.p.p. in cui ciò è consentito. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui si discute va, dunque, rigettato perché infondato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del pubblico ministero.