Quali i confini fra lecita distrazione infragruppo e bancarotta fraudolenta?

L’interesse che può escludere l’effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso della partecipazione al gruppo, né identificarsi nel vantaggio della società controllante, dovendosi escludere l’esistenza di una distrazione solo se la mancanza di corrispettivo sia meramente apparente, in considerazione dei concreti vantaggi compensativi, che l’amministratore ha l’onere di allegare e provare.

Dal novellato art. 2634, comma 3, c.c. nuovi limiti alla bancarotta infragruppo? La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi, in sede di ricorso avverso la decisione della Corte di appello di Genova, quale giudice della esecuzione, sulla richiesta di revoca di una sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione infragruppo dopo la novella del D.lgs. n. 61/2002, che ha introdotto limitazioni alla rilevanza penale di condotte di infedeltà patrimoniale nel caso di operazioni infragruppo. Come noto, infatti, l’art. 2634, comma 3, c.c. esclude l’ingiustizia del profitto e, dunque, la sussistenza del delitto di infedeltà patrimoniale nel caso in cui l’atto di disposizione dei beni sociali sia compensato da vantaggi, conseguiti o fondamentalmente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. Secondo il ricorrente, tale norma sarebbe indicativa della rilevanza del gruppo al fine di escludere rilevanza penale, non solo nelle ipotesi di infedeltà patrimoniale, ma anche a condotte distrattive di beni o di fondi di una società, allorchè tali condotte siano fondate sul comune interesse del gruppo di società cui la medesima appartiene. Se così fosse, dopo la novella legislativa del 2002, potrebbero ritenersi depenalizzate le condotte di distrazione operate tra società collegate nell’interesse del gruppo, con conseguente necessità di revocare le correlate sentenze di condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione in tali ipotesi. La rilevanza della novella nella bancarotta da reato societario Poiché, come noto, la disposizione di cui all’art. 2634 c.c. è esplicitamente richiamata dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 223, comma 1, n. 1, l.f. – che punisce gli amministratori che abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dall’art. 2634 c.c. – ci si deve preliminarmente interrogare sulla efficacia scriminante del dettato di cui all’art. 2634, comma 3, c.c. in ipotesi di bancarotta fraudolenta societaria derivante da infedeltà patrimoniale. Ci si deve chiedere se tale disposizione contribuisca o meno a delineare il fatto” che entra a far parte del delitto fallimentare. In caso di risposta affermativa, infatti, la condotta di infedeltà patrimoniale, compensata da vantaggi infragruppo, non potrebbe dar luogo, anche se legata da nesso causale col dissesto, all’ipotesi di bancarotta di cui all’art. 223 l.f. La prevalente dottrina ha puntualmente evidenziato che la disposizione di cui al comma 3, dell’art. 2634 c.c., concorrendo a definire il concetto di ingiustizia del profitto nei rapporti infragruppo, contribuisce esclusivamente a delineare il contenuto del dolo specifico del reato di infedeltà patrimoniale. Se così è, secondo l’opinione dominante in dottrina, il riferimento contenuto nell’art. 223 l.f. al fatto implica il richiamo al solo elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 2634 c.c. con conseguente irrilevanza della sussistenza o meno del dolo che deve, invece, caratterizzare il reato societario. Bancarotta societaria si avrebbe dunque tutte le volte in cui il fatto di infedeltà patrimoniale, seppur generante vantaggi compensativi a livello di gruppo, abbia cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società. Preferibile, per chi scrive, l’altra opzione interpretativa che ravvisa nell’espressione fatto di cui all’art. 223 l.f. non il riferimento al solo elemento oggettivo del reato di infedeltà patrimoniale, ma all’intero fatto di reato di cui all’art. 2634 c.c., composto dunque sia da elemento oggettivo che soggettivo. Rigoroso, invece, anche il prevalente e più risalente orientamento giurisprudenziale, che evidenzia come la rilevanza della sussistenza di vantaggi compensativi non possa andare oltre la fattispecie di infedeltà patrimoniale, in quanto l’esistenza di un collegamento societario non vulnera il principio della autonomia soggettiva delle società collegate ed il fallimento incide sulla singola società. e nella bancarotta fraudolenta per distrazione . Il caso sottoposto al vaglio dei giudice della Suprema Corte nella sentenza in esame implica, tuttavia, l’analisi della rilevanza del dettato di cui all’art 2634 c.c. non nell’ipotesi di bancarotta da reato societario, ma nel caso di bancarotta per distrazione fra imprese collegate fra loro. La questione della rilevanza dell’esistenza di un gruppo societario e/o del collegamento fra società nel caso di condotte distrattive era noto alla giurisprudenza anche prima della novella legislativa del D.lgs. n. 61/2002. Sul punto, la giurisprudenza più risalente aveva già sancito come gli atti di disposizione patrimoniale, senza una seria contropartita, eseguiti a favore di una società del gruppo integrano il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, stante la autonomia della singola persona giuridica. Naturalmente, l’introduzione dell’art. 2634, comma 3, c.c. e, dunque, la valenza come scriminante della sussistenza di un gruppo societario aveva ridato fiato e coraggio ai sostenitore della penale rilevanza del collegamento societario. La giurisprudenza, tuttavia, anche dopo la novella legislativa non ha cambiato impostazione, continuando ad affermare che sia la diversità di interessi tutelati dalla normativa fallimentare rispetto a quella sui reati societari, sia la autonomia soggettiva e patrimoniale della singola persona giuridica limitano la rilevanza, in tale settore dell’ordinamento penale, della disposizione di cui all’art. 2634, comma 3, c.c Obbiettivamente non può misconoscersi rilevanza ai differenti interessi tutelati dai due corpus normativi quello societario, che tutela essenzialmente i soci, e quello fallimentare, che tutela principalmente i creditori della società né può negarsi, seppur all’interno del gruppo o del collegamento, l’autonomia soggettiva e patrimoniale della singola società. La rilevanza della novella come canone interpretativo della effettività della distrazione. Tuttavia, una lettura attenta della giurisprudenza successiva alla novella legislativa ed, in particolare, della sentenza che si annota evidenzia una portata innovativa derivante dalla modifica legislativa, seppure in modo indiretto. L’introduzione della norma di cui all’art. 2634, comma 3, c.c. ha, infatti, indotto i giudici della Suprema Corte ad una più meditata analisi degli effetti derivanti dalla partecipazione della società ad un gruppo o dal collegamento con altra società. L’esistenza di un gruppo di società o di un collegamento fra le stesse, come ricordano i Giudici di legittimità nel caso in esame, può infatti rendere la distrazione meramente apparente ciò si verificherà quando l’eventuale pregiudizio economico che dall’operazione sia derivato direttamente alla singola società abbia trovato la sua contropartita in un altro rapporto. Allorché, dunque, di fronte alla condotta ritenuta distrattiva, l’amministratore sia in grado di dimostrare che la stessa società, da tale operazione, abbia comunque realizzato benefici indiretti derivanti dal vantaggio complessivo del gruppo, con conseguente totale e completa compensazione di tutti gli effetti negativi generati dalla distrazione, la bancarotta per distrazione non potrà ritenersi integrata. In simili casi, l’insussistenza della fattispecie penale deriva, tuttavia, non dalla novella normativa, ma dalla inesistenza in rerum natura della distrazione, che è solo apparente in quanto integralmente compensata da un reale e riscontrabile corrispettivo. Nessun effetto scriminante, dunque, dalla novella legislativa, ma semplicemente la necessità di un più rigoroso accertamento da parte del giudice o meglio la possibilità per l’indagato di fornire prova contraria sulla effettiva sussistenza della distrazione, che può essere esclusa da concreti e specifici vantaggi derivanti alla società fallita dalla sua appartenenza ad un gruppo ovvero da un collegamento societario.

Corte di Cassazione, Sez. I Penale, sentenza 26 ottobre - 13 dicembre 2012, n. 48327 Presidente Bardovagni – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 22/2/2012 la Corte d'appello di Genova, quale giudice dell'esecuzione, provvedendo sull'istanza di revoca parziale, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., della sentenza di condanna emessa nei confronti di V.M., accoglieva l'istanza limitatamente alla condanna per il capo G dell'imputazione, rideterminando la pena respingeva l'istanza con riferimento agli altri capi. La Corte osservava che la richiesta di revoca parziale riposava sul presupposto che la riforma del diritto societario aveva introdotto nell'ordinamento una disciplina del gruppo di imprese dotata di una certa omogeneità, prevedendo, con l'art. 2643 comma 3 cod. civ., una particolare causa di esclusione della illegittimità del profitto conseguito attraverso la condotta infedele nel caso in cui la stessa sia venuta ad inserirsi in un sistema di operazioni tra società tra loro correlate, determinando un travaso di attività a detrimento di alcune di esse, ma a vantaggio di altre. 2. Ricorre per cassazione M.V. deducendo la carenza assoluta di motivazione e la conseguente errata applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. pen. in relazione alla richiesta di revoca della condanna. Il ricorrente conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, chiede l'annullamento dell'ordinanza. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Nel giudizio di merito, la questione giuridica prospettata dal ricorrente era stata ampiamente trattata, essendo state emesse le sentenze successivamente alla modifica legislativa DS. Lvo n. 61 dell'11/4/2002 , ed era stata disattesa. In particolare questa Corte Sez. 5, n. 1137 del 2009 del 17/12/2008 , nel rigettare i ricorsi degli imputati, così, tra l'altro, motivava L'intero ricorso redatto per M.V. dall'avv. Fasce prospetta l'esistenza di un gruppo di società il cui comune interesse non solo escluderebbe la possibilità di considerare come distrattivi alcuni movimenti di beni e di fondi tra le società collegate, come si deduce segnatamente con il primo motivo d'impugnazione, ma, secondo quanto dedotto con il quinto motivo, avrebbe comunque imposto l'unificazione a norma della L. Fall., art. 219, di tutti i reati di bancarotta contestati con riferimento ai distinti fallimenti . I motivi sono infondati. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione sussiste anche nel caso di imprese collegate tra loro, qualora gli atti di disposizione patrimoniale, privi di seria contropartita, siano eseguiti a favore di una società del medesimo gruppo, poiché il collegamento societario ha natura meramente economica e non scalfisce il principio di autonomia della singola persona giuridica Cass., sez. 5, 1 luglio 2002, Arienti, m. 222387, Cass., sez. 5, 14 dicembre 1999, Tonduti, m. 215668, Cass., sez. 5, 9 marzo 1999, Spinelli, m. 213116, Cass., sez. 5, 17 marzo 1995, Degli Antoni, m. 201318 . Si è ritenuto in particolare che la diversità degli interessi tutelati dalla legge penale fallimentare e dalla nuova disciplina dei reati societari, introdotta dal D. Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, impedisce che alla materia fallimentare possa applicarsi la norma prevista dall'art. 2634, comma 3, cod. civ. secondo cui non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza allo stesso gruppo societario Cass., sez. 5, 5 giugno 2003, Longo, m. 227149 . Sicché integra la distrazione rilevante, ex art. 216 e art. 223, comma 1, legge fallimentare bancarotta fraudolenta impropria la condotta di colui che trasferisca, senza alcuna contropartita economica, beni di una società in difficoltà economiche - di cui sia socio ed effettivo gestore - ad altra del medesimo gruppo in analoghe difficoltà, considerato che, in tal caso, nessuna prognosi positiva è possibile e che, pur a seguito dell'introduzione nel vigente ordinamento dell'art. 2634, comma 3, cod. civ. la presenza di un gruppo societario non legittima per ciò solo qualsivoglia condotta di asservimento di una società all'interesse delle altre società del gruppo, dovendosi, per contro, ritenere che l'autonomia soggettiva e patrimoniale che contraddistingue ogni singola società imponga all'amministratore di perseguire prioritariamente l'interesse della specifica società cui sia preposto e, pertanto, di non sacrificarne l'interesse in nome di un diverso interesse, ancorché riconducibile a quello di chi sia collocato al vertice del gruppo, che non procurerebbe alcun effetto a favore dei terzi creditori dell'organismo impoverito Cass., sez. 5, 8 novembre 2007, Belleri, m. 239108, Cass., sez. 5, 4 dicembre 2007, Spedicati, m. 238237 . È vero che già prima della riforma dell'art. 2634 cod. civ. e a maggior ragione con il nuovo testo della norma deve escludersi l'esistenza di una distrazione, se la mancanza di corrispettivo sia solo apparente, in considerazione dei concreti vantaggi compensativi che rendano appunto solo apparente la diminuzione patrimoniale della società Cass., sez. 5, 24 maggio 2006, Bevilacqua, m. 234606 . Sicché, quando si tratti di rapporti intercorsi tra società appartenenti a un medesimo gruppo, al fine di verificare se l'operazione abbia comportato o meno per la società che l'ha posta in essere un depauperamento effettivo occorre tener conto della complessiva situazione che, nell'ambito del gruppo, a quella società fa capo, potendo l'eventuale pregiudizio economico che da essa sia direttamente derivato aver trovato la sua contropartita in un altro rapporto e l'atto presentarsi come preordinato al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, sia pure mediato e indiretto Cass. civ., sez. 1, 11 marzo 1996, n. 2001, m. 496284 . Tuttavia l'autonomia soggettiva e patrimoniale che pur sempre contraddistingue ogni singola società appartenente ad un gruppo impone all'amministratore di perseguire prioritariamente l'interesse della specifica società cui egli è preposto e dunque non gli consente di sacrificarne l'interesse in nome di un diverso interesse che, se pure riconducibile a quello di chi è collocato al vertice del gruppo, non assumerebbe alcun rilievo per i soci di minoranza e per i terzi creditori della società controllata sicché l'amministratore ha l'onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta Cass. civ., sez. 1, 24 agosto 2004, n. 16707, m. 576187 . In particolare l'interesse che può escludere l'effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso della partecipazione al gruppo né identificarsi nel vantaggio della società controllante, perché il collegamento tra le società e l'appartenenza a un gruppo imprenditoriale unitario è solo la premessa dalla quale muovere per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l'atto di disposizione del proprio patrimonio. E nel caso in esame l'esistenza di tali concreti e specifici vantaggi per le società fallite non è stata neppure allegata dal ricorrente, che si è limitato ad addurre il generico vantaggio derivante dall'appartenenza al gruppo. Mentre è evidente che non è certamente ammissibile che si trasferisca sui creditori delle società collegate il rischio imprenditoriale della società capogruppo Cass., sez. 5, 21 gennaio 1998, Cusani, m. 210031 . L'art. 2634, comma 3, cod. civ., infatti, definisce non ingiuste nei confronti della società talune disposizioni del suo patrimonio ma ciò non esclude che tali disposizioni possano risultare ingiuste nei confronti dei creditori sociali, cui non può addossarsi il rischio di operazioni che ne diminuiscano la garanzia patrimoniale. Né d'altro canto è possibile che la prospettata configurabilità del delitto di infedeltà patrimoniale previsto dall'art. 2634, comma 1 cod. civ. in relazione all'art. 223 legge fallimentare, escluda la configurabilità della bancarotta per distrazione, perché i due reati, essendo in rapporto di specialità specifica, concorrono Cass., sez. 5, 16 gennaio 2007, n. 6140, m. 236054, Cass., sez. 5, 5 marzo 2008, Scotuzzi, m. 239394 . Nessuna revoca avrebbe, quindi, potuto adottare il Giudice dell'esecuzione, atteso che il quadro normativo modificato era ben presente al giudice di merito, che aveva espressamente affrontato e risolto le questioni prospettate dal ricorrente. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle Ammende.