300 euro all’agente per evitare il verbale: condannato. E l’esiguità della somma rende il gesto più offensivo...

Linea rigida dei giudici, che non ritengono rilevante il fatto che l’offerta sia stata minima essa, anzi, può essere ritenuta ancora più offensiva per il pubblico ufficiale. E comunque, di questi tempi, 300 euro non son pochi

Poche centinaia di euro offerti a due agenti della Polizia Stradale obiettivo, evitare un verbale. Ebbene, questo gesto è ampiamente sufficiente per addebitare il reato di istigazione alla corruzione. E non può essere certo l’esiguità della cifra proposta ad alleggerire la contestazione, anzi Cassazione, sentenza n. 48205, Sesta sezione Penale, depositata oggi . Verbale carissimo Durissima la condanna, ovvero diciotto mesi di reclusione in primo grado, poi ridotti a quattordici in secondo, comminata nei confronti di un uomo. A suo carico l’accusa di istigazione alla corruzione , legata a un episodio ritenuto assolutamente certo dai giudici più precisamente, l’uomo ha offerto la somma di 300 euro a due agenti della Polizia Stradale per indurli ad omettere un atto del loro ufficio, e più esattamente la compilazione del verbale col quale doveva essergli contestato di avere circolato alla guida di un autocarro sottoposto a fermo amministrativo . Cifra offensiva. Secondo l’uomo – a cui, comunque, è stato riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena –, però, è eccessivamente dura la linea di pensiero seguita dai giudici. Perché il comportamento tenuto nei confronti dei due poliziotti era privo di una reale offensività , anche tenendo presenti l’esiguità della somma offerte e il contesto, ossia la presenza di altri agenti . Ma i cardini del ricorso proposto in terzo grado vengono letteralmente demoliti dai giudici di Cassazione. Da questi ultimi, difatti, arriva, innanzitutto, la sottolineatura che il reato di istigazione alla corruzione si concretizza anche in presenza di offerta o promessa di donativi di modesta entità , a prescindere da qualsiasi rapporto di proporzione tra l’entità della promessa o offerta di utilità e la prestazione contra ius richiesta al pubblico funzionario . Peraltro, la presunta tenuità della somma di denaro offerta , chiariscono i giudici, rende il reato maggiormente lesivo del prestigio del funzionario , inquadrato come disponibile a venire meno ai propri doveri accettando un’offerta anche minima . Anche quest’ultima considerazione, quindi, porta a ritenere legittima la condanna emessa in secondo grado, difatti confermata anche in terzo grado. Ma a margine, in chiusura, i giudici di Cassazione, tengono ancora a sottolineare – forse consci della crisi che attraversa il Paese – che l’offerta della somma di 300 euro non può certo ritenersi insignificante , anzi può essere ritenuta idonea potenzialmente a turbare psicologicamente il pubblico ufficiale .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 maggio – 13 dicembre 2012, n. 48205 Presidente/Relatore Milo Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Firenze, con sentenza in data 8 ottobre 2007, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava, tra l’altro, C.T. colpevole del reato di cui all’art. 322, comma secondo, cod. pen. - per avere offerto, in data 24/07/2005, la somma di € 300,00 a due agenti della Polizia stradale, per indurli ad omettere un atto del loro ufficio e più esattamente la compilazione del verbale col quale doveva essergli contestato di avere circolato alla guida di un autocarro sottoposto a fermo amministrativo - e lo condannava alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione. 2. A seguito di gravame dell’imputato, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 14 gennaio 2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, che confermava nel resto, concedeva all’imputato le circostanze attenuanti generiche, riduceva la misura della pena inflitta ad un anno e mesi due di reclusione e revocava la confisca della somma di denaro sequestrata. Il Giudice distrettuale riteneva che gli atti investigativi acquisiti e, in particolare, le relazioni di servizio redatte dai due agenti della Polizia stradale conclamavano la responsabilità di C.T. in ordine al reato di istigazione alla corruzione contestatogli. 3. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 49 e 322 cod. pen., sotto più profili il fatto contestato era privo di una reale offensività, data l’esiguità della somma offerta il contesto in cui il fatto era stato posto in essere presenza di altri agenti non aveva determinato alcuna situazione di concreto pericolo per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Considerato in diritto 1. Il ricorso, in quanto manifestamente infondato, è inammissibile. Il reato di istigazione alla corruzione propria non richiede che il denaro o l’altra utilità costituisca retribuzione per il pubblico ufficiale, considerato che tale requisito non è tipico della fattispecie in esame, con l’effetto che la stessa si realizza anche in presenza di offerta o promessa di donativi di modesta entità. Tale conclusione è del resto in linea con la gravità del fatto e rende penalmente rilevante qualsiasi offerta o promessa di utilità, prescindendosi da qualsiasi rapporto di proporzione, peraltro difficilmente apprezzabile, tra l’entità di tale utilità e la prestazione contra ius richiesta al pubblico funzionario. L’eventuale tenuità della somma di denaro offerta al pubblico ufficiale non solo non esclude il reato di istigazione alla corruzione, sotto il profilo del reato impossibile, ma lo rende addirittura maggiormente lesivo del prestigio del funzionario, in quanto l’agente finisce col ritenere il predetto persona suscettibile di venire meno ai propri doveri accettando un’offerta anche minima. Nel caso in esame, peraltro, l’offerta della somma di € 300,00 non può certo ritenersi insignificante ed era idonea potenzialmente a turbare psicologicamente il pubblico ufficiale. La circostanza, inoltre, che l’offerta illecita di denaro sia stata fatta dall’agente in un contesto in cui anche soggetti diversi dai destinatari possano averla percepita non rende l’offerta medesima inidonea nella sua proiezione corruttiva, soltanto perché più alto era il rischio di essere denunciato. 2. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di € 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.