Bimbo ucciso a botte: avrebbe potuto essere salvato

Sussiste l’aggravante di cui all’art. 572, comma 2, c.p. se dal maltrattamento del figlio deriva la morte.

Un delitto efferato è alla base della decisione presa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 46848 depositata il 4 dicembre 2012 in merito alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 572, comma 2, c.p. che stabilisce un trattamento sanzionatorio più rigoroso laddove, nel reato di maltrattamenti di famiglia, dal fatto derivi una lesione grave, gravissima o la morte. Ricorda la Cassazione che si tratta una aggravante speciale configurabile – secondo la pacifica valutazione dei giudici – sulla base dell’accertata esistenza di un mero rapporto di carattere materiale tra i maltrattamenti e l’evento più grave, non voluto dall’agente. Tuttavia, tale circostanza può considerasi sussistere anche solo laddove sia possibile riconoscere una derivazione, dunque un nesso eziologico diretto tra i maltrattamenti e le lesioni gravi o gravissime ovvero la morte della persona offesa. Condanna aggravata. Gli Ermellini ritengono di dover esplicitare ancora meglio la propria posizione anche attraverso richiami di fattispecie già considerate tali dalla Cassazione. In un caso la condotta specifica concorreva con i maltrattamenti nella causazione dell’evento più grave, ammettendo ai fini del riconoscimento dell’esistenza del nesso di causalità tra maltrattamenti e morte la non necessità che i fatti di maltrattamento costituiscano la causa unica ed esclusiva degli eventi più gravi. La stessa dottrina – come ricorda Piazza Cavour – ha ammesso la configurabilità della circostanza aggravante in commento nel caso in cui i maltrattamenti abbiano accelerato il decesso di un infante già destinato a morire per altra malattia preesistente oppure abbiano comportato uno stato patologico, come uno stato di denutrizione, che sia stato poi concausa dell’esito finale. Il fattore eziologico. Il passaggio essenziale, richiamato dai giudici di cassazione, affinché sia concretamente riconoscibile una situazione di concorso di cause equivalenti, si fonda sulla necessità che ciascuna di esse sia idonea a costituire fattore eziologico che ha provocato l’evento aggravatore. In definitiva, secondo il ragionamento logico giuridico seguito dai giudici, l’ipotesi aggravata non è configurabile se le pregresse condotte di maltrattamento risultino del tutto inidonee a causare l’evento aggravatore, quali le lesioni gravi o gravissime oppure la morte. Inoltre, si legge nella sentenza, è necessario che tra le pregresse condotte di maltrattamento e la condotta cui sia direttamente riferibile l’evento aggravatore non vi sia una censura logica e cronologica, poiché, altrimenti, non sarebbe possibile propriamente affermare che le lesioni gravi o gravissime ovvero la morte derivano dai maltrattamenti, dato che la condotta finale dovrebbe essere considerata un’autonoma causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre lesioni o la morte della vittima. Il colpo letale. Nel caso in cui l’evento aggravatore sia la morte, la disposizione dell’art. 572, comma 2, c.p. è applicabile se il decesso abbia trovato la sua fonte eziologica diretta nei maltrattamenti, nel cui ambito dei inserirsi la condotta finale che ha direttamente provocato il decesso della persona offesa. Nel caso concreto una coppia era stata condannata per avere, in concorso tra loro, quali esecutori materiali, volontariamente maltrattato il figlio di un anno e sette mesi, sino a cagionarne la morte in seguito ad un violento colpo inferto all’addome dal padre, con il concorso morale della donna che, con le precedenti condotte violente ai danni dell’inerme figlio, aveva legittimato, stimolato e rafforzato psicologicamente l’intento criminoso del complice. Secondo la ricostruzione dei fatti – per certi versi quasi incredibile – i due avevano ripetutamente colpito il bimbo con schiaffi, pugni e calci in tempi diversi e per non meno di due settimane, provocandogli numerose ecchimosi,e escoriazioni, abrasioni, contusioni e tumefazioni al capo, al volto, al labbro superiore, agli arti sino all’ultimo violento colpo inferto dal padre, causa della morte. Tutto ciò con il sostegno della donna che aveva commesso analoghe violenze sul figlio, senza averlo mai difeso dai maltrattamenti del padre. Evento aggravatore del reato. In questo quadro agghiacciante, la sentenza della Corte di assise di appello – oggetto del ricorso dei due condannati – ha fatto corretta applicazione della regola iuris espressa dalla Cassazione nella decisione in commento, spiegando che la morte del bambino non va attribuita al solo autore materiale del trauma, a colui che aveva inferto l’ultimo colpo letale, ma in linea di principio a tutti coloro che lo avevano maltrattato con quelle modalità, tutte potenzialmente letali. Infatti, il colpo mortale non risulta lontano dagli altri episodi di violenza dei due genitori sul bambino, risultando contestuale, visto che le numerosissime ferite repertate erano tutte databili da uno a dieci giorni prima del decesso. La morte, pertanto, risulta non un evento autonomo, ma l’evento aggravatore del reato contestato. Da qui il rigetto dei due ricorsi presentati dall’uomo e dalla donna, con l’ulteriore condanna al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 novembre - 4 dicembre 2012, n. 46848 Presidente Agrò – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di assise di appello di Genova riformava, esclusivamente in punto di sussistenza di una circostanza aggravante e di conseguente rideterminazione della pena, e confermava nel resto la pronuncia di primo grado del 27/10/2010 con la quale, all'esito di giudizio abbreviato, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Imperia aveva condannato alla pena di giustizia A.P. ed P.E. in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 572, commi 1 e 2, 61 n. 1 cod. pen., per avere, in OMISSIS , in concorso tra loro, quali esecutori materiali, volontariamente maltrattato P.G. , all'epoca di un anno e sette mesi, figlio della P. e convivente dell'A. , sino a cagionarne la morte in seguito ad un violento colpo inferto all'addome dall'A. , con il concorso morale della P. , che, con le precedenti condotte violente ai danni dell'inerme figlio, aveva legittimato, stimolato e rafforzato psicologicamente l'intento criminoso del complice, il quale aveva sferrato un potente colpo, dal basso verso l'alto, in regione ipocondriaca anteriore laterale destra, determinando lo sfacelo traumatico e lo spappolamento del lobo destro del fegato, con conseguente infarcimento emorragico della cavità addominale e decesso della vittima in breve tempo in particolare l'A. e la P. avevano colpito ripetutamente con schiaffi, pugni e calci in tempi diversi e per non meno di due settimane, il volto ed il corpo del piccolo G. , al quale avevano cagionato numerose ecchimosi, escoriazioni, abrasioni, contusioni e tumefazioni al capo, al volto, al labbro superiore, agli arti, sino all'ultimo violento colpo inferto dall'A. alla parte destra dell'addome, causa della morte, con il sostegno della P. che aveva commesso analoghe violenze sul figlio, anche se di minore intensità rispetto alla percossa mortale, senza mai aver difeso il bambino dai maltrattamenti dell'A. . Con l'aggravante della morte della vittima in conseguenza dei maltrattamenti e di aver commesso il fatto per motivi futili, in particolare per il fastidio che la presenza del minore aveva creato nella vita di coppia, nonostante la tenerissima età e l'incapacità di porre in essere un'autonoma reazione, condizioni che avevano reso del tutto dissennate le violenze parossistiche dei due imputati. Rilevava il Tribunale come gli elementi di prova offerti dalla pubblica accusa avessero dimostrato la colpevolezza dei due prevenuti in ordine al grave delitto loro contestato, essendo stato accertato che i comportamenti violenti erano divenuti abituali, che il piccolo G. era stato sottoposto a terribili forme di violenza e lasciato in una situazione di trascuratezza ed abbandono, e che il colpo mortale era stato inferto, verosimilmente con un calcio, il pomeriggio del OMISSIS , poco prima che l'A. chiamasse il servizio di 118 al telefono. Tali elementi erano risultati provati sulla base degli esiti dell'accertamento tecnico irripetibile compiuto durante le indagini, delle dichiarazioni rese dai due imputati, delle deposizioni provenienti da diversi testi escussi nella fase delle investigazioni, nonché del contenuto di alcune conversazioni tra presenti intercettate nella immediatezza dei fatti. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso A.P. , con atto sottoscritto dal suo difensore avv. A. Gamberini, il quale ha dedotto i seguenti cinque motivi articolati su diversi punti e così raggruppati . 2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 572 comma 2 cod. pen., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto la sussistenza dell'aggravante in parola, per essere la morte derivata dai maltrattamenti, laddove il decesso del piccolo G. era stato provocato da un fatto lesivo puntiforme , ovvero da una condotta traumatica del tutto autonoma e non collegabile alle pregresse condotte di maltrattamento. 2.2. Vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà o travisamento, per avere la Corte di assise di appello arbitrariamente retrodatato al gennaio del 2009 le presunte forme di maltrattamento che, invece, sarebbero riferibili agli ultimi giorni immediatamente precedenti al decesso del bambino, durante i quali l'A. si era pure allontanato dalla casa di convivenza. 2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 61 n. 1 cod. pen., e vizio di motivazione, per mancanza o contraddittorietà, per avere la Corte genovese errato nel riconoscere la sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi, non essendo stata affatto dimostrata, sulla base delle emergenze processuali, la causale indicata in sentenza. 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente negato all'A. il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante il suo stato di incensuratezza, la riferibilità cronologica di condotte tenute in un breve arco temporale ed il suo successivo comportamento processuale, improntato a caratteri di ordinarietà. 2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte di assise di appello immotivatamente calcolato la sanzione da irrogare partendo da una pena base pari al massimo edittale di venti anni, basandosi su congetture indimostrate e contraddittorie. 3. Ha presentato ricorso anche P.E. la quale, con atto a propria firma, ha dedotto i seguenti dodici motivi articolati su undici punti . 3.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 546 comma 3 e 130 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per non avere la Corte distrettuale dichiarato la nullità della sentenza di primo grado il cui dispositivo, incompleto perché carente dei suoi elementi essenziali, era stato corretto dal Giudice di Imperia con un provvedimento abnorme in quanto adottato de plano, senza la fissazione di una camera di consiglio. 3.2. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte di merito erroneamente individuato nel gennaio del 2009, anziché nell'aprile-maggio del 2009, il periodo di inizio dei presunti maltrattamenti, per avere, dunque, ingiustificatamente allungato la durata di quelle condotte illecite e per avere collegato ai maltrattamenti lesioni che avevano avuto una diversa eziologia. 3.3. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte ligure confermato la condanna della P. , nonostante gli elementi di prova acquisiti avessero dimostrato sia che la prevenuta era stata vittima delle violenze del convivente, sia anche la riferibilità diretta al solo A. della condotta che aveva provocato il decesso del povero G. . 3.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 40 e 110 cod. pen., ed a tutte le altre norme di diritto penale sostanziale oggetto di contestazione, per avere la Corte di assise di appello riconosciuto la penale responsabilità della donna in ragione di un suo concorso morale a titolo omissivo, nonostante l'evento morte non fosse stato per lei prevedibile o altrimenti prevenirle. 3.5. Violazione di legge, in relazione all'art. 521 cod. proc. pen., per avere la Corte di merito condannato la P. a titolo di concorso materiale nella causazione dell'evento mortale, nonostante nell'imputazione le fosse stata addebitata una forma di concorso morale. 3.6. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, per avere la Corte di assise di appello omesso di chiarire in base a quale elemento soggettivo potesse essere attribuita alla P. la responsabilità per la morte del figlio. 3.7. Violazione di legge, in relazione all'art. 114 cod. pen., per avere la Corte di merito negato all'imputata il riconoscimento della circostanza della partecipazione di minima importanza. 3.8. Vizio di motivazione, per mancanza o manifesta illogicità, per avere la Corte genovese ingiustificatamente negato alla P. il riconoscimento delle circostanza attenuanti generiche, nonostante la presenza in atti di elementi che avrebbero potuto indurre ad una scelta ispirata a maggiore clemenza . 3.9. Violazione di legge, in relazione all'art. 61 n. 1 cod. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte di assise di appello contraddittoriamente ritenuto la sussistenza della aggravante di cui al citato articolo. 3.10. Violazione di legge, in relazione agli artt. 443 comma 3 e 580 cod. proc. pen., per avere i Giudici di merito erroneamente omesso di delibare sulla ammissibilità del ricorso per cassazione presentato dal Procuratore generale e per avere deciso nel merito il motivo di quel ricorso. 3.11. Vizio di motivazione, per avere la Corte di merito omesso di motivare in ordine ai criteri di scelta della entità della pena da irrogare e per non avere differenziato la posizione della P. rispetto a quella, ben diversa, del suo coimputato. 3.12. Violazione di legge, in relazione agli artt. 63 e 191 cod. proc. pen., per non avere la Corte di assise di appello dichiarato la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai due imputati nella immediatezza dei fatti in assenza delle garanzie difensive. Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che i ricorsi vadano rigettati. 2.1. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di A.P. è infondato. L'art. 572 comma 2 cod. pen., nel prevedere una circostanza aggravante per il reato di maltrattamenti in famiglia, stabilisce un più rigoroso trattamento sanzionatorio laddove dal fatto derivi una lesione personale grave gravissima o la morte . Si tratta di una aggravante speciale che è pacificamente configurabile sulla base dell'accertata esistenza di un mero rapporto di carattere materiale tra i maltrattamenti e l'evento più grave, non voluto dall'agente ma è evidente come tale circostanza possa considerarsi sussistente solo laddove sia possibile riconoscere una derivazione , cioè un nesso eziologico diretto tra i maltrattamenti e le lesioni gravi o gravissime ovvero la morte della persona offesa. Nella giurisprudenza di questa Corte sono state considerate fattispecie nelle quali una condotta specifica concorreva con i maltrattamenti nella causazione di quell'evento più grave, e si è ammesso che, ai fini del riconoscimento della esistenza del nesso di causalità tra maltrattamenti e morte, richiesto dall'art. 572 comma 2 cod. pen., non sia necessario che i fatti di maltrattamento costituiscano la causa unica ed esclusiva degli eventi più gravi, stante il principio della equivalenza delle cause o della conditio sine qua non di cui all'art. 41 cod. pen. così, da ultimo, Sez. 5, n. 28509 del 13/04/2010, D.S., Rv. 247885 conf., con riferimento alla particolare ipotesi del suicidio della vittima, Sez. 6, n. 12129/08 del 29/11/2007, P., 239584 . In tale ottica, in dottrina si è ammessa la configurabilità dell'aggravante in parola laddove, ad esempio, i maltrattamenti abbiano accelerato il decesso di un infante già destinato a morire per altra malattia preesistente oppure abbiano comportato uno stato patologico, come uno stato di denutrizione, che sia stato poi concausa dell'esito finale. Tuttavia, perché sia concretamente riconoscibile una situazione di concorso di cause equivalenti occorre che ciascuna di esse sia idonea a costituire fattore eziologico che ha provocato l'evento aggravatore con la conseguenza che l'ipotesi aggravata in esame non è configurabile se le pregresse condotte di maltrattamento risultino del tutto inidonee a causare l'evento aggravatore, quali le lesioni gravi o gravissime oppure la morte, evento che, invece, si ricollega ad una specifica ed autonoma condotta, avente una forza eziologica propria ed autonoma. Inoltre, è necessario che tra le pregresse condotte di maltrattamento e la condotta cui sia direttamente riferibile l'evento aggravatore non vi sia una cesura logica e cronologica, poiché, altrimenti, non sarebbe possibile propriamente affermare che le lesioni gravi o gravissime ovvero la morte derivano dai maltrattamenti, dato che la condotta finale dovrebbe essere considerata un'autonoma causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre le lesioni o la morte della vittima. Cesura che, se sussistente, finisce per determinare una scissione dei fatti rilevanti penalmente, nel senso che i pregressi episodi di maltrattamenti conservano una loro rilevanza ed il relativo reato potrebbe essere posto in concorso con altro delitto, quale quello di omicidio o di lesioni personali, imputabile all'agente, a seconda dei casi, a titolo di preterintenzione o di colpa. In altri termini, laddove, in particolare, l'evento aggravatore sia la morte, la disposizione del più volte citato art. 572 comma 2 cod. pen. è applicabile se il decesso abbia trovato la sua fonte eziologica diretta nei maltrattamenti, nell'ambito dei quali deve inscriversi anche la condotta finale che pure ha direttamente provocato il decesso della persona offesa poiché solo in una siffatta situazione è possibile sostenere che i maltrattamenti, globalmente considerati, comprensivi pure dell'ultimo episodio di violenza, hanno avuto una intrinseca attitudine ad espandere la loro potenzialità lesiva ed una idoneità concreta ad offendere anche il bene vita. Nel caso concreto la Corte di assise di appello di Genova ha fatto corretta applicazione di tale regula iuris, spiegando che la morte del bambino non va attribuita al solo autore materiale del trauma, a chi gli [aveva] infetto quell'ultimo colpo letale, ma in linea di principio a tutti coloro che lo [avevano] maltrattato con quelle modalità, tutte potenzialmente letali v. pag. 18 della sentenza impugnata . Tale indicazione è il frutto di un percorso argomentativo completo, non contraddittorio e privo di vizi di manifesta illogicità. Se è vero che la ricostruzione di quanto accaduto in quel tragico pomeriggio del 14/05/2009, nella versione ragionevolmente reputata la più plausibile dai giudici di merito, parrebbe condurre ad una differente soluzione avendo la Corte sostenuto che l'A. e la P. stessero litigando, che uno dei due avesse preso per l'ascella il bambino per toglierlo di torno, proprio quando l'altro aveva sferrato un calcio, magari indirizzato non al bambino, ma al compagno così a pagg. 24-25 sent. impugn. , sembrando voler ipotizzare un episodio finale quasi accidentale e sganciato dalle precedenti condotte violente, bisogna prendere atto come la stessa Corte, con una motivazione congrua e logicamente coerente, ha tenuto a sottolineare come le emergenze processuali avessero inequivocabilmente provato che quel gesto violento nei confronti del bambino era stato l'ennesimo atto di aggressività nei confronti di quel povero essere che era loro di intralcio nella vita comune v. pag. 26 sent. impugn. e come l'evento mortale fosse stato determinato da un colpo non diverso dalle numerose percosse che avevano lasciato le ferite reperiate sul cadavere percosse pesanti, con le mani e con mezzi contundenti, poste in essere con continuità nei confronti di un soggetto molto fragile, un bambino di 16/18 mesi, in zone del corpo delicatissime quali il volto e la fronte, percosse che tutte potevano accidentalmente avere un effetto letale quella unitaria condotta di maltrattamenti, per le sue modalità e le caratteristiche soggettiva della vittima, bambino in tenerissima età, poteva evolversi verso la morte della vittima stessa, per un'infezione, una malattia improvvisa o, come è avvenuto, per un'ennesima percossa occasionalmente più violenta o più letale per la parte del corpo attinta v. pag. 17 sent. impugn. . In buona sostanza, con una motivazione convincente ed ispirata a rigore logico, dunque insindacabile in questa sede, la Corte territoriale ha chiarito come il colpo mortale non fosse lontano dagli altri episodi di violenza, ma praticamente contestuale, visto che le numerosissime ferite repertate erano databili da uno a dieci giorni prima del decesso quell'ultima percossa, per le sue intrinseche caratteristiche, e la successiva morte del bambino, non costitui va no rispettivamente un fatto e un evento imprevedibile rispetto all'unitaria e abituale condotta di maltrattamenti accertata, ma il loro naturale sviluppo. La morte del bambino non fu un evento autonomo , ma appunto l'evento aggravatore del reato contestato v. pagg. 17-18 sent. impugn. . Il bambino era, dunque, diventato un mero oggetto per gli odierni ricorrenti, i quali, del tutto incuranti dell'esistenza e delle esigenze di quell'esserino, avevano da tempo iniziato a scaricare violentemente sullo stesso le frustrazioni derivanti dai loro problemi di coppia ritrovarselo letteralmente tra i piedi durante un litigio così a pag. 25 sent. impug. era diventata per i prevenuti l'occasione per scatenare contro il minore le più brutali forme di aggressione talché, come nelle settimane precedenti l'A. e la P. avevano ripetutamente colpito il bambino in varie parti del corpo, anche nel pomeriggio del 14/05/2009 essi tornarono a colpirlo con un calcio, gesto che si inserì coerentemente in una serie abituale di condotte in cui si era, appunto, sostanziato il contestato reato di maltrattamenti. 2.2. Il secondo motivo del ricorso dell'A. è inammissibile in quanto proposto per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Il ricorrente, lungi dell'evidenziare manifeste lacune o incongruenze capaci di disarticolare l'intero ragionamento probatorio adottato dai giudici di merito, ha formulato censure che riguardano sostanzialmente la ricostruzione dei fatti e che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze già analizzate dalla Corte di appello di Genova censure, come tali, non esaminabili dalla Cassazione. Ed infatti, è pacifico come il controllo in sede di legittimità sia diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo, senza che il sindacato possa comportare un coinvolgimento nel giudizio ricostruttivo del fatto e negli apprezzamenti del giudice di merito in ordine all'attendibilità delle fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. Alla luce di tale principio, bisogna riconoscere come, nella fattispecie, i giudici di merito abbiano dato puntuale e logica contezza degli elementi probatori sui quali si era fondata l'affermazione di colpevolezza dell'A. in ordine al delitto di maltrattamenti, come anche cronologicamente contestatogli, evidenziando come le risultanze dell'autopsia avessero rappresentato un bambino picchiato da diversi giorni, non curato adeguatamente ed in pessime condizioni igieniche come nel computer degli imputati fossero state trovate fotografie scattate tra il gennaio ed il maggio del 2009 con immagini del piccolo G. con lividi e ferite al volto ed al corpo, e tre filmati del OMISSIS , vale a dire di una settima prima della morte, in cui il bambino, con viso atterrito e pieno di lividi, era stato ripreso nel mentre era stato ossessivamente invitato dall'A. a fare il cane il bolognese ed ancora, come escoriazioni ed ecchimosi fossero state riscontrate sul corpo dell'infante sia nella circostanza di un ricovero del gennaio del XXXX, in occasione del quale, benché accompagnata anche dall'A. , la sola P. si era presentata all'accettazione del nosocomio ed aveva poi preteso le dimissioni del figlio, contro la volontà dei sanitari che non avevano ancora iniziato accertamenti più approfonditi, chiaramente per impedire che potesse essere chiarita la genesi di quei lividi che nella circostanza di un successivo ricovero del marzo del XXXX, allorquando sul corpo di G. , portato in ospedale per una frattura al braccio, erano state riscontrate varie ecchimosi, significativamente segnalate al locale posto di polizia, senza che, purtroppo, a tale notazione avesse fatto seguito alcun adeguato controllo da parte di appartenenti ad enti istituzionali v. pagg. 13-14 della sentenza impugnata . 2.3. Il terzo motivo del ricorso dell'A. è infondato. Costituiscono ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte i principi secondo i quali la circostanza aggravante dei motivi futili sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale così, ex multis, Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, Mele, Rv. 248832 e che il riconoscimento della futilità del motivo presuppone, da parte del giudice, la necessaria identificazione in concreto della natura e della portata della ragione giustificatrice della condotta delittuosa posta in essere, quale univoco indice di un istinto criminale più spiccato e di un elevato grado di pericolosità dell'agente Sez. 6, n. 28111 del 02/07/2012, U., Rv. 253033 . Di tali criteri di giudizio la Corte di assise di appello di Genova ha fatto corretta applicazione, evidenziando come le prove acquisite avessero dimostrato con certezza che il piccolo G. impacciava la vita degli imputati, impedendo loro quella vita notturna alla quale erano abituati , posto che vari testi avevano riferito del fatto che la P. era adusa a trascurare il bambino affidandolo ad occasionali ospiti per poter passare la notte fuori di casa e che il teste D.R. , agente di polizia, aveva dichiarato di aver ricevuto dall'A. una richiesta di informazioni per cercare di rimandare a casa la P. ed il figlio di questa, diventati ormai un ingombrante peso per la sua vita talché era ragionevole ritenere che i due prevenuti avessero finito per accumulare motivi di tensione che essi avevano scaricato in maniera violenta sul piccolo G. , aggredendolo ogniqualvolta lo stesso aveva manifestato le sue esigenze infantili v. pagg. 28-29 della sentenza impugnata . 2.4. Il quarto ed il quinto motivo del ricorso dell'A. sono manifestamente infondati. Il ricorrente ha preteso che, in questa sede di legittimità, si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento o meno delle circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena da irrogare. Esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Nella specie del tutto legittimamente, con motivazione completa ed esente da vizi manifesti, la Corte di assise di appello aveva ritenuto di confermare le decisioni del giudice di prime cure circa il diniego delle attenuanti generiche e le scelte in ordine alla dosimetria della pena, atteso che, nonostante lo stato di formale incensuratezza e la giovane età dei due imputati, gli stessi avevano posto in essere condotte di estrema gravità, infliggendo indicibili sofferenze ad un bambino indifeso di neppure due ani, da loro totalmente dipendente , con un dolo di elevata intensità, come desumibile dalla durata dei comportamenti delittuosi e dalle particolari condizioni di incuria in cui si era trovato il piccolo G. né erano state trascurate dalla Corte di merito l'assenza nei due imputati di qualsivoglia forma di resipiscenza o di rimorso per quanto accaduto non potendosi valorizzare il fatto dell'impiego sul bambino di un farmaco in pomata, il cui impiego le emergenze processuali avevano provato essere stato il frutto di una, peraltro erronea, sollecitazione della madre dell'A. , ed il fatto che la vicenda fosse maturata in un contesto tutt'altro che di emarginazione, dato che la donna era risultata ben inserita nel nostro paese e che l'uomo apparteneva ad una buona famiglia , talché il delitto doveva considerarsi il frutto di una miscela pericolosa di egoismo e irresponsabilità v. pagg. 29-30 della sentenza impugnata . 3.1. Il primo motivo del ricorso della P. è infondato. Premesso che la ricorrente non avrebbe evidentemente alcun interesse a dolersi della illegittimità ovvero della asserita abnormità della ordinanza del 29.10.2010, con la quale il Giudice di primo grado aveva disposto de plano la correzione del dispositivo della propria sentenza, tenuto conto che di tale ordinanza la Corte di assise di appello aveva poi dichiarato la nullità in quanto emessa senza la fissazione e lo svolgimento di una camera di consiglio, così come prescritto dall'art. 130 cod. proc. pen., va osservato come la doglianza difensiva è del tutto priva di pregio, in quanto la questione non era quella di verificare se quel dispositivo fosse o meno corredato dei suoi elementi essenziali - sicché la relativa sentenza doveva considerarsi, a mente dell'art. 546 comma 3 cod. proc. pen., certamente valida - bensì quella concernente la congruità dell'interpretazione che del contenuto di quel dispositivo avevano dato i giudici di seconde cure. Sotto questo punto di vista, bisogna riconoscere la correttezza della soluzione fornita dalla Corte genovese la quale, rilevato che il primo giudice aveva qualificato quello previsto dall'art. 572 comma 2 cod. pen. in termini di reato aggravato dall'evento, aveva, in maniera logicamente insindacabile, ritenuto che con l'inciso contenuto nel dispositivo ante correzione, escluse le contestate aggravanti , il Giudice dell'udienza preliminare di Imperia avesse inteso negare la sussistenza delle sole circostanze aggravanti di cui ai nn. 1 e 4 dell'art. 61 cod. pen., oggetto dell'originaria contestazione. Opzione ricostruttiva, questa, conforme all'indirizzo nettamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale l'affermazione o la negazione in sentenza di una circostanza attenuante può essere desunta dalla motivazione, pur se in dispositivo non se ne faccia menzione, a condizione che l'esame della motivazione consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena. Ciò perché la sentenza conserva un carattere unitario, le cui parti - motivazione e dispositivo - si integrano a vicenda naturalmente, con la conseguenza che la motivazione conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione e, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso così Sez. 6, n. 8916 del 08/02/2011, P., Rv. 249654 Sez. 1, n. 37536 del 07/10/2010, Davilla, Rv. 248543 Sez. 4, n. 40796 del 18/09/2008, Marchetti, Rv. 241472 Sez. 4, n. 27976 del 24/06/2008, Adame, Rv. 240379 Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007, Tafuro, Rv. 237828 Sez. 1, n. 34986 del 10/07/2007, Mabrouky, Rv. 237611 . 3.2. Il secondo motivo del ricorso della P. è inammissibile per le ragioni già esposte, con riferimento all'analoga doglianza contenuta nell'impugnazione dell'A. , nel punto 2.2., cui si fa rinvio. 3.3. Il terzo motivo del ricorso della P. è inammissibile in quanto formulato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. La ricorrente ha sollecitato questa Corte ad una inammissibile incursione sui fatti , chiedendone una valutazione alterativa rispetto a quella offerta dalla Corte distrettuale con una motivazione della quale è possibile saggiare, invece, la completezza e la congruità, oltre all'assenza di vizi di manifesta illogicità. I Giudici genovesi, infatti, hanno chiarito come le emergenze processuali avessero escluso che la P. era stata una vittima dell'A. , in quanto gli atti violenti posti in essere dal secondo in danno della prima erano stati sporadici in quanto le fotografie acquisite, nelle quali pure erano risultate documentate le ecchimosi e le escoriazioni sul piccolo G. , avevano rimandato l'immagine di una madre elegante e sorridente e perché le intercettazioni ambientali dei dialoghi intrattenuti dai due Imputati, eseguite nell'immediatezza dei fatti, avevano dato contezza di una donna tutt'altro che subalterna all'uomo, ma anzi della persona che, tra i due, era riuscita a conservare maggiore freddezza ed intelligenza nel concordare una comune linea difensiva da contrapporre agli inquirenti v. pagg. 22-23, 26-27 della sentenza impugnata . 3.4. Manifestamente infondati sono il quarto, il quinto ed il sesto dei motivi formulati nel ricorso della P. , in quanto, per un verso, la Corte di assise di appello non aveva affatto disatteso il precetto della necessaria corrispondenza tra addebito e decisione, dato che la motivazione corrisponde esattamente al tenore dell'imputazione oggetto di contestazione nella quale la prevenuta era stata indicata sia come concorrente, a titolo di esecutrice materiale, degli abituali maltrattamenti in danno del bambino, che come concorrente morale nella consumazione degli atti di violenza letale posti in essere, in danno del piccolo G. , materialmente dall'A. nel pomeriggio del OMISSIS per altro verso, la stessa Corte di merito aveva riconosciuto il concorso morale della donna a titolo omissivo, in relazione all'ultima mortale azione violenza dell'uomo, evidenziando come la causalità si configurasse a carico dell'imputata dato che il comportamento diligente a lei imposto dalla norma a contenuto cautelare violata, avrebbe certamente evitato quell'evento antigiuridico v. pagg. 19-20 della sentenza impugnata . 3.5. Il settimo motivo del ricorso della P. è inammissibile perché generico. Questa Corte ha avuto modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586 Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249 . Nel caso di specie la ricorrente si è limitata ad enunciare, in forma molto indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della decisione impugnata e senza indicare le ragioni di diritto che sorreggono la richiesta di annullamento. Passaggi motivazionali qualificati, invece, da completezza e rigore logico, avendo i Giudici liguri compiutamente spiegato come non potesse essere considerato di marginale e trascurabile rilevanza l'apporto causale del comportamento della P. che, quale madre del minore, ne aveva i poteri di rappresentanza, accudiva il piccolo con maggiore assiduità rispetto al convivente e che, ciò nonostante, aveva preferito continuare a vivere con l'A. anziché allontanarsene, preservando la salute del bambino messa a repentaglio dalle devastanti conseguenze della vita di coppia v. pag. 23 della sentenza impugnata . 3.6. L'ottavo, il nono e l'undicesimo dei motivi del ricorso della P. vanno giudicati infondati ovvero inammissibili per le ragioni già esposte nei punti 2.3. e 2.4., cui si fa rinvio, a proposito delle uguali doglianze proposte dal coimputato A. . 3.7. Il decimo motivo del ricorso presentato nell'interesse della P. è manifestamente infondato. È noto come il ricorso per cassazione proposto dal Pubblico Ministero avverso una sentenza di condanna emessa all'esito di giudizio abbreviato, normalmente inappellabile ex art. 443 comma 3 cod. proc. pen. per il rappresentante della pubblica accusa, si converta in appello ai sensi dell'art. 580 cod. proc. pen. laddove vi sia stata l'impugnazione presentata in via principale anche dall'imputato. In tali circostanze, l'atto di gravame presentato dal Pubblico Ministero continua a essere regolato, anche davanti al giudice d'appello, dalle norme proprie del ricorso per cassazione, sicché il giudice ne conosce il contenuto nei limiti fissati dall'art. 606 cod. proc. pen. tuttavia, una volta che ritenga fondata tale censura, la Corte di appello riprende la propria funzione di giudice del merito e può adottare le statuizioni conseguenti, senza necessariamente procedere in via formale all'annullamento della pronuncia di primo grado così, tra le tante, Sez. 2, n. 4468/09 del 17/12/2008, D'Avino, Rv. 243277 Sez. 6, n. 42694 del 23/10/2008, Raia, Rv. 241872 . Di tale regula iuris la Corte di assise di appello di Genova ha fatto corretta applicazione, dapprima rilevando come il motivo formulato dal Pubblico Ministero con il ricorso per cassazione, convertito in appello - riguardante la erronea esclusione, in primo grado, della aggravante di cui all'art. 61 n. 1 cod. pen. -fosse ammissibile in quanto avanzato per fare valere la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado, e poi esaminando direttamente il contenuto della questione, ritenendo l'aggravante in parola e conseguentemente riformando la decisione di primo grado v. pag. 28 della sentenza impugnata . 3.8. Il dodicesimo ed ultimo motivo proposto con il ricorso della P. , relativo ad un'asserita inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai due imputati nella immediatezza dei fatti per violazione dell'art. 63 cod. proc. pen., è inammissibile in quanto dedotto per la prima volta solo con il ricorso per cassazione. Non è di ostacolo alla declaratoria di inammissibilità il fatto che l'art. 191 cod. proc. pen. stabilisca che l'inutilizzabilità è sanzione rileva bile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, perché questa Corte, con un orientamento oramai consolidato, ha avuto modo di chiarire che la questione dell'inutilizzabllità per violazione del divieto di assumere dichiarazioni, senza le necessarie garanzie difensive, da chi sin dall'inizio doveva essere sentito in qualità di imputato o indagato, non possa essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se richiede - come nella fattispecie sarebbe accaduto - valutazioni di fatto su cui è necessario il previo e naturale vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito così Sez. 6, n. 21877 del 24/05/2011, C, Rv. 250263 Sez. 4, n. 2586/11 del 17/12/2010, Bongiovanni, Rv. 249490 Sez. 6, n. 37767 del 21/09/2010, Rallo, Rv. 248589 v., in senso conforme, anche Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244328 . 4. Alla declaratoria di rigetto consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.